CAPITOLO 5: DISCUSSIONE
5.6 Riacutizzazioni della patologia
Negli articoli sul follow-up di lunga durata della ITP nel cane viene riportata una percentuale di riacutizzazioni pari al 43% 29, 47% 33 e 26% 32. Nel nostro
studio, entro T365, 11 pazienti su 25 (40%) hanno presentato almeno una recidiva: si parla di riacutizzazione sia quando dopo una sospensione della terapia completa o di uno dei farmaci somministrati diminuisce la conta
100 piastrinica, sia quando, provando a diminuire il dosaggio di uno o tutti i farmaci non si riesce a mantenere un’adeguata conta piastrinica, evenienza che in medicina umana viene chiamata “dipendenza dai corticosteroidi”64.
Il primo episodio di riacutizzazione è avvenuto dopo un periodo di 72,5 giorni (31 – 157 giorni) dall’inizio della terapia, leggermente più lungo rispetto ai 66 giorni (19 – 286) riportati in un altro studio su 30 cani con ITP, osservati per un periodo compreso tra 112 e 1684 giorni 32. Come riportato in questo articolo,
anche nel nostro caso la causa principale è stata quella della diminuzione del cortisone (36%), effettuata troppo precocemente, troppo rapidamente, o perché in realtà la risposta del soggetto era steroide – dipendente. Altre cause sono state la diminuzione della terapia totale, probabilmente effettuata troppo precocemente, il fallimento della terapia impostata e, nel 27% dei casi, dopo 73 giorni (59 – 113) dalla sospensione completa della terapia. Sulla base della causa della recidiva, il clinico ha apportato le adeguate modifiche alla terapia, aumentando il dosaggio dei farmaci già utilizzati, aggiungendo uno o due farmaci in caso di sospensione della terapia, aggiungendo un terzo farmaco immunosoppressore nel caso in cui la causa era da attribuire ad un fallimento della terapia già in atto.
Il 16% dei pazienti (4/25) ha avuto un secondo episodio di riacutizzazione; in 3 di questi il primo episodio era stato causato dalla diminuzione del cortisone e uno dal fallimento della terapia. Il secondo episodio, avvenuto dopo circa 150 giorni dall’inizio della terapia, vede come causa principale il fallimento della terapia completa, somministrata da circa 83 giorni, seguita dalla diminuzione del secondo immunosoppressore dopo 215 giorni dall’inizio della somministrazione e dalla sospensione della terapia cortisonica da circa 17 giorni. Anche in questo caso, la modifica alla terapia si è basata sulla causa della riacutizzazione e ha previsto l’aggiunta di un terzo farmaco immunosoppressore e il cambiamento dello steroide.
Infine, due pazienti (8%) hanno presentato un terzo episodio di riacutizzazione, avvenuto dopo circa 216 giorni da T0. In questo caso le cause sono da attribuire alla sospensione del farmaco immunosoppressore non steroideo (dopo circa 17 giorni dalla sospensione) e dalla diminuzione del
101 cortisone, somministrato da 196 giorni (da circa 6 mesi e mezzo): questo caso potrebbe essere stato causato dal fenomeno della dipendenza dagli steroidi, già descritto in medicina umana 64.
Il monitoraggio nel nostro studio termina a T365, per cui non sappiamo se i pazienti abbiano presentato altri episodi di riacutizzazioni successivamente. In un articolo, 54 cani sono stati monitorati per un periodo compreso tra 6 mesi e 8 anni: 23 pazienti hanno presentato una recidiva, di cui 8 (34%) nel primo anno di monitoraggio, e 15 (66%) negli anni successivi 29. In un altro studio, su
15 pazienti, 7 (47%) hanno presentato una ricaduta tra i 5 e 24 mesi successivi all’inizio della terapia 33.
Dal nostro studio non si evince una correlazione tra riacutizzazione e presenza di un trattamento impostato prima di T0, qualunque sia stato il dosaggio impostato (P > 0,05). Anche il confronto tra incidenza di riacutizzazione nei soggetti che hanno presentato solo una ITP e quelli che hanno presentato in precedenza anche una IMHA, non risulta essere significativo (P > 0,05). Anche in letteratura non vengono riportate caratteristiche che possono influire o meno sulla probabilità di recidiva 33.
In caso di riacutizzazione è possibile provare nuovi approcci terapeutici: nel nostro studio, il clinico ha scelto di aggiungere nuovi farmaci immunosoppressori, diversi dal primo. Oltre ad azatioprina e ciclosporina, in alcuni casi è stato scelto di utilizzare il micofenolato mofetile, che è stato visto avere la stessa efficacia della ciclosporina e minori effetti collaterali 56; a causa
però del numero esiguo di studi sulla sua efficacia e sicurezza e del costo elevato rispetto agli altri farmaci, il suo utilizzo è consigliato in quei casi in cui le altre opzioni terapeutiche non abbiano avuto effetto 43.
In medicina umana l’approccio ai casi di riacutizzazione prevedeva fino a poco tempo fa, la somministrazione di farmaci che diminuissero la distruzione piastrinica (glucocorticoidi, ciclofosfamide, azatioprina), ma ultimamente si preferisce somministrare terapie che aumentino la produzione piastrinica, come gli agenti trombopoietina – mimetici e agonisti dei recettori per la TPO66, farmaci ancora non utilizzabili in medicina veterinaria.
102 Un’altra opzione terapeutica in caso di riacutizzazione, utilizzata sia in medicina veterinaria che in medicina umana, è la splenectomia.
5.7 Opzione chirurgica
In medicina veterinaria, la splenectomia viene effettuata nei casi in cui fallisce la terapia medica, e non si riesce a diminuire i dosaggi dei farmaci senza che vi sia una diminuzione anche del numero di piastrine circolanti. L’intervento chirurgico si effettua per eliminare l’organo responsabile della eliminazione delle piastrine sensibilizzate dagli anticorpi e viene considerato efficace qualora si riesca a diminuire il dosaggio dei farmaci, in primo luogo dei corticosteroidi, senza avere una riacutizzazione. La sua efficacia è controversa: in uno studio, 15 cani sono stati monitorati per due anni, durante i quali 7 soggetti hanno presentato una o più recidive. La splenectomia è stata effettuata in 5 pazienti e tra questi, 4 sono riusciti a sospendere completamente la terapia medica33. In un altro studio, sono stati presi in
considerazione gli effetti della splenectomia su 9 cani, 3 dei quali con ITP, 3 con IMHA e 3 con sindrome di Evans; nei 12 mesi successivi all’intervento sono stati osservati importanti miglioramenti nei soggetti, tanto che in 8/9 è stato possibile sospendere completamente la terapia medica, senza successive riacutizzazioni 60. Nel nostro studio, solo due soggetti sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico, in media dopo 227 giorni da T0. In entrambi i casi è stato possibile sospendere completamente la terapia medica, dopo 25 e 35 giorni dall’intervento e, a oggi, rispettivamente dopo un anno e mezzo e due anni e mezzo dalle due operazioni, nessuno dei due casi ha presentato una recidiva. Tuttavia, per via del basso numero di soggetti considerati, questa valutazione non può essere presa come dimostrazione dell’efficacia della terapia chirurgica.
In medicina umana, la splenectomia è stata la terapia principale in caso di ITP per molti anni, effettuata qualora la terapia con glucocorticoidi non avesse avuto effetto, con una percentuale di successo di circa il 70% dei pazienti 61,67.
Negli ultimi anni, tuttavia, la percentuale dei pazienti sottoposti a splenectomia è diminuita, probabilmente in seguito agli studi che hanno
103 dimostrato la possibilità di complicazioni intra o post – operatorie come emorragie, tromboembolismi e sepsi 67.
Alcuni studi riportano che la splenectomia è da considerare in quei pazienti che dopo 4 – 6 settimane dall’inizio della terapia non abbiano avuto ancora una risposta, in quei pazienti in cui abbiamo una conta piastrinica “sicura” solo con la somministrazione giornaliera di dosaggi superiori a 10 mg di prednisone 61 oppure in regime di emergenza, in caso di emorragie in atto che
richiedono un aumento rapido di piastrine che i farmaci da soli non possono garantire 63,66. Lo scopo della splenectomia è quello di assicurare una
remissione duratura della patologia, evitando la tossicità causata dal trattamento cronico con i farmaci immunosoppressori e in questo modo, migliorare la qualità di vita dei pazienti, diminuendo anche i costi63,64.
Vari studi ritengono che circa il 60 – 80% dei pazienti sottoposti a splenectomia, riesce a raggiungere una remissione completa della patologia
63,65,66,68,69, alcuni sostengono il 90% 70.
Dopo la splenectomia, nell’uomo come nel cane, sono richiesti alcuni giorni prima di osservare miglioramenti, in media tra 1 e 56 giorni 64,65. Inoltre è
stato osservato come, nell’uomo, i giovani abbiano una risposta più rapida rispetto agli anziani e anche la percentuale di riacutizzazione aumenta con l’età 65,67.
Infine è stato visto nell’uomo che le ricadute, quando presenti, si manifestano soprattutto nei 2 anni successivi all’intervento chirurgico e che spesso, possono essere causate dalla presenza di milze accessorie 70. Gli obiettivi della
terapia medica nei casi di fallimento della terapia chirurgica sono leggermente diversi rispetto a quelli nei pazienti alla prima presentazione, in quanto nei primi le possibilità di indurre una remissione completa e duratura sono molto più basse. Comunemente viene tentata una terapia con basse dosi di corticosteroidi (prednisone ad un dosaggio massimo di 5 – 10 mg al giorno); per i pazienti che richiedono dosaggi più elevati, è possibile iniziare una terapia con nuovi farmaci, ma non vi sono studi riguardanti la loro efficacia in questi pazienti 61.
104 Anche in medicina umana, dunque, vista la presenza di nuovi farmaci e la possibilità di complicazioni legati all’intervento, non si effettua più la splenectomia come prima scelta terapeutica, ma si tende a rimandarla ed effettuarla solo nei casi in cui si rende necessaria, utilizzando come prima opzione, il monitoraggio e la possibilità di remissione spontanea del paziente70.
5.8 Tempi di sopravvivenza
La ITP è una patologia che, in assenza di complicazioni, possiede una buona prognosi: richiede un lungo follow – up e una buona compliance col proprietario, a cui dovrebbe essere spiegato l’importanza della terapia, del monitoraggio e, soprattutto, la possibilità di riacutizzazioni 31. In alcuni studi il
tasso di sopravvivenza del primo episodio di ITP è circa del 70% 25,31,34, in altri
dell’80 – 84% dopo 60 giorni dall’inizio della terapia 32,55,56. Uno studio ha
monitorato 54 soggetti con ITP per 8 anni: tra questi, 14 sono morti nel primo anno di terapia (26%), 11 dei quali per problemi non collegati alla ITP e 3 perché i proprietari hanno deciso di effettuare l’eutanasia 29. Un altro studio
ha monitorato 15 cani per 2 anni dalla diagnosi: a due di questi (13%) è stata praticata l’eutanasia per problemi non collegati alla ITP entro i primi 12 mesi, mentre ad uno, dopo il fallimento sia della terapia medica che di quella chirurgica, è stata effettuata l’eutanasia nel secondo anno di monitoraggio 33.
Nel nostro studio la mortalità a T365 è stata del 4% (1/25): tale soggetto, refrattario alla terapia medica appena iniziata, è deceduto dopo appena 27 giorni da T0. I restanti soggetti (escludendo tre soggetti di cui non abbiamo informazioni) hanno risposto più o meno bene alla terapia, sebbene, come abbiamo già visto, alcuni abbiano presentato degli episodi di riacutizzazione. Inoltre, non sono state dimostrate correlazioni tra la mortalità e la durata della terapia, a prescindere dal dosaggio. Inoltre non è stata riscontrata una correlazione tra mortalità e manifestazione di episodi di IMHA precedenti alla ITP: questi dati confermano le informazione che troviamo in letteratura, che riporta una prognosi peggiore solo nei soggetti che manifestano contemporaneamente ITP e IMHA 25,31.
105 In medicina umana le cause di mortalità più frequenti, collegate alla ITP, sono le emorragie intracraniche in soggetti con marcata trombocitopenia, le complicazioni post – operatorie e le infezioni a seguito di trattamenti con agenti citotossici 71. La ITP è considerata una patologia con una buona
prognosi, migliore nei soggetti che presentano un solo episodio rispetto a quelli che manifestano riacutizzazioni o che non rispondono alla terapia 72.
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