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CAPITOLO 5: DISCUSSIONE

5.3 Terapia impostata a T0 presso l’ODV

L’approccio terapeutico intrapreso dal clinico presso l’ODV dipende dall’anamnesi del soggetto, in particolar modo dalla presenza di trattamenti già impostati e dalla manifestazione di altri episodi con una patogenesi autoimmune precedentemente manifestati dal paziente.

Nella maggior parte dei soggetti giunti presso l’ODV con una terapia già impostata, è stato mantenuto il principio attivo iniziato, correggendo il dosaggio qualora fosse necessario o aumentando il numero di somministrazioni giornaliere (da singola a doppia). In 4 casi su 13 è stato aggiunto il secondo farmaco immunosoppressore a T0, mantenendo il corticosteroide che già assumevano da almeno 10 giorni (rispettivamente da 10, 25, 60 e 70 giorni); in un altro caso è stato aggiunto subito il secondo farmaco e aumentato anche il corticosteroide che già assumeva.

92 In 4 soggetti è stata mantenuta la sola terapia corticosteroidea, modificando il principio attivo in un solo individuo e aggiustando i dosaggi e il numero di somministrazioni giornaliere negli altri. In un paziente, arrivato con una terapia a base di ciclosporina per una precedente IMHA, è stato aggiunto il corticosteroide; un soggetto in cura da 60 giorni con due farmaci immunosoppressori a dosaggi adeguati, non ha subito cambiamenti; in un soggetto, visto il fallimento della terapia iniziata circa 10 giorni prima, a base di steroide a dosaggio adeguato e secondo immunosoppressore, è stato modificato il glucocorticoide e aggiunto un terzo farmaco; nel paziente rimanente, in terapia da circa 5 mesi senza risultati, è stato deciso di sostituire entrambi i farmaci.

Nei soggetti già in trattamento a T0 da molto tempo, è importante considerare la possibilità che si sia instaurato un fenomeno di resistenza alla terapia e che dunque tale trattamento non sia più efficace. Il fenomeno di resistenza ai glucocorticoidi è una delle principali cause di insuccesso di questa terapia nell’uomo 62, ma ancora non è dimostrato che sia presente

anche nel cane 42. Per questo motivo è stato scelto nella maggior parte dei

soggetti arrivati a T0 con una terapia impostata da tempo, di modificare il trattamento, cambiando uno o entrambi i farmaci somministrati, o aggiungendone uno nuovo con lo scopo di diminuire gradualmente lo steroide.

In 8 soggetti su 13 pretrattati, il clinico ha deciso di mantenere i principi attivi già somministrati, correggendo il dosaggio quando non era adeguato e/o aumentando il numero di somministrazioni giornaliere, da una a due, per aumentare l’efficacia dei farmaci. In particolare, nei soggetti già in trattamento con prednisone, prednisolone e prednisolone acetato, sono stati mantenuti tali principi attivi, effettuando le dovute correzioni, mentre in un caso è stata mantenuta la somministrazione di desametasone sodio fosfato, più potente dei primi ma meno indicato per il trattamento di lunga durata. Nei restanti soggetti la terapia è stata modificata, sostituendo il farmaco con un altro principio attivo, oppure aggiungendo un secondo farmaco. Quando possibile, il desametasone è stato sostituito con il prednisolone, più indicato

93 per questo tipo di terapia cronica. Nei casi in trattamento già con due farmaci invece, è stato sostituito il prednisolone con il betametasone, molecola con potenza decisamente superiore rispetto al prednisone e utile nelle emergenze, per sbloccare la produzione di piastrine e aumentarne la conta, per poi ripassare al prednisone per il mantenimento.

Nei pazienti giunti a T0 senza una terapia già impostata l’approccio è stato leggermente diverso, in quanto il clinico non doveva affrontare il problema di una eventuale terapia inappropriata o inefficace che potrebbe aver causato il fenomeno della resistenza. Nella maggior parte di questi soggetti (9/12) è stato scelto di iniziare con la somministrazione di glucocorticoidi, in particolare con prednisone (6/12) e prednisolone (3/12), ad un dosaggio immunosoppressivo, compreso tra 1 e 2 mg/kg PO ogni 12 ore (mediana 1,2 mg/kg ogni 12 ore, con un range compreso tra 0,8 e 2,3 mg/kg bid). In due pazienti, è stato scelto di iniziare la terapia a base di betametasone (dosaggio di 0,05 e 0,1 mg/kg ogni 12 ore) e azatioprina in un caso e ciclosporina nell’altro. In un soggetto è stato scelto di iniziare la terapia a base di sola ciclosporina, farmaco che il paziente aveva sospeso circa 3 mesi prima per un precedente episodio di IMHA.

L’utilizzo dei glucocorticoidi come farmaci di prima scelta è spesso riportata negli studi riguardanti la ITP. Essi, infatti, hanno il vantaggio di avere una risposta efficace e rapida e di essere poco costosi42–44. In letteratura troviamo

che i principi attivi più utilizzati sono il prednisone e il prednisolone, ad un dosaggio immunosoppressivo compreso tra 1 e 2 mg/kg PO ogni 12 ore31,32,34,43,46,49,60. In alternativa viene utilizzato anche il desametasone, ad un

dosaggio compreso tra 0,1 e 0,6 mg/kg ogni 24 ore 25,29 o il desametasone

sodio fosfato ad un dosaggio di 0,35 mg/kg IV ogni 24 ore.

Alcuni autori riportano che dosi di prednisone/prednisolone superiori a 2,2 mg/kg al giorno non aumentino l’azione immunosoppressiva del farmaco, ma solo gli effetti collaterali20,44. Per quanto riguarda desametasone e

betametasone, il loro utilizzo non è consigliato per la terapia di lunga durata, in quanto hanno una lunga durata di azione e una potenza molto elevata, tanto da causare in breve tempo la comparsa di effetti collaterali21,42,44.

94 Nella maggior parte dei casi, dunque, viene aggiunto un secondo farmaco con azione immunosoppressiva, con lo scopo di aumentare l’azione diminuendo i farmaci corticosteroidi e i loro effetti collaterali 25,33,43. Le indicazioni che

troviamo in letteratura consigliano di aggiungere il secondo farmaco nel caso in cui i glucocorticoidi non stiano avendo la risposta attesa, oppure stiano causando effetti avversi importanti (ad esempio una compromissione della funzionalità epatica) oppure in caso di riacutizzazione della patologia 32.

Nel nostro studio il secondo farmaco immunosoppressore è stato aggiunto, in media, dopo 13 giorni dall’inizio della terapia con corticosteroidi.

I farmaci principalmente utilizzati sono stati l’azatioprina (nel 36% dei soggetti) ad un dosaggio compreso tra 1 e 2 mg/kg PO ogni 24 ore e la ciclosporina (nel 32% dei soggetti), ad un dosaggio giornaliero compreso tra 4 e 5 mg/kg PO. L’azatioprina è un farmaco con numerosi effetti collaterali, tra cui troviamo l’epatotossicità e la mielosoppressione e che dunque richiede un monitoraggio più stretto ed esami ematologici frequenti 42,44; la ciclosporina

ha effetti collaterali diversi, tra cui iniziale vomito e diarrea e costituisce un’ottima alternativa all’azatioprina, anche se ad un costo più elevato46,56.

Nel nostro studio, abbiamo osservato anche la durata media della terapia con corticosteroidi e della terapia immunosoppressiva completa. Per effettuare questa valutazione non è stato possibile prendere in considerazione tutti e 25 i soggetti, in quanto di alcuni di essi non disponevamo di informazioni complete.

Per quanto riguarda la terapia corticosteroidea, due pazienti non l’avevano ancora sospesa alla data finale del monitoraggio di questo studio (31/12/2017), mentre di 9 soggetti non possedevamo un monitoraggio completo. Un soggetto è stato trattato con solo ciclosporina. Basandosi dunque sui restanti 13 pazienti, la durata media della terapia con corticosteroidi, indipendentemente dal farmaco, è stata di 110 giorni, con un range compreso tra 31 giorni 845 giorni.

Anche per valutare la durata della terapia immunosoppressiva totale, non è stato possibile considerare tutti i soggetti, ma abbiamo dovuto escludere 8 soggetti che al 31/12/2017 non avevano ancora mai sospeso completamente

95 la terapia e 11 soggetti di cui non avevamo informazioni sul monitoraggio fino a T365; basandosi dunque sui restanti 6 soggetti, è stato possibile calcolare la durata media della terapia immunosoppressiva completa, pari a 131 giorni, con un range compreso tra 31 e 330 giorni.

La ITP canina è stata più volte paragonata alla ITP cronica nell’uomo: in medicina umana infatti, si distingue una ITP acuta, tipica della giovane età, che nell’80 – 90% dei casi si risolve spontaneamente e richiede un trattamento medico solo se si instaurano emorragie e una ITP cronica, caratterizzata dalla persistenza della patologia per un periodo più lungo di 6 mesi 63.

L’approccio che normalmente viene utilizzato in medicina umana in caso di ITP cronica è mirato a raggiungere una conta piastrinica considerata “sicura” per il soggetto, piuttosto che ristabilire il numero di piastrine considerato fisiologicamente adeguato 64. La scelta se effettuare il trattamento si basa sul

segnalamento, sulle caratteristiche del paziente e sullo stile di vita: è stato infatti stimato che per una persona sedentaria può essere considerata “sicura” una conta piastrinica superiore a 30 x10⁹/L, per una persona impegnata in lavori che richiedano un’attività fisica la conta piastrinica sale a 50 x10⁹/L e per un atleta si considera 80 x10⁹/L come valore soglia di sicurezza. Inoltre, sono state stimate le conte piastriniche minime richieste per effettuare varie procedure come il parto naturale (> 50 x10⁹/L), il parto cesareo (> 80 x10⁹/L), l’estrazione dentale (> 30 x10⁹/L), anestesie epidurali e spinali (> 80 x10⁹/L) e interventi chirurgici di varia natura (> 50 – 80 x10⁹/L). Sulla base di tali valutazioni, in caso di ITP, possiamo distinguere i pazienti in quattro gruppi 61:

- Pazienti che devono essere trattati con trattamenti di emergenza, con emorragie in atto (in umana il rischio di emorragie si ha con una conta piastrinica < 10 x10⁹/L);

- Pazienti con conta piastrinica < 10 x10⁹/L ma senza emorragie in atto, che dovrebbero essere trattati ma non in regime di emergenza;

96 - Pazienti con una conta piastrinica compresa tra 10 e 30 x10⁹/L: in questo caso la decisione si basa sulle caratteristiche del paziente, tra cui età, stile di vita e carattere;

- Pazienti con una conta piastrinica > 30 x10⁹/L, che devono essere tenuti sotto uno stretto monitoraggio ma che non necessitano di una terapia immediata. Questo approccio è consigliato specialmente nei pazienti di giovane età senza rischi di sanguinamenti, evitando così la tossicità che l’esposizione con i farmaci immunosoppressivi può causare nel trattamento cronico 61,65.

Anche in medicina umana, comunque, il trattamento iniziale preferenziale è costituito dai glucocorticoidi (prednisone 1 – 4 mg/kg PO ogni 24 ore; desametasone 40 mg PO o IV per 4 giorni ogni 4 settimane, per 4 – 6 somministrazioni), con lo scopo di raggiungere rapidamente una conta piastrinica che sospenda / prevenga le emorragie, ma che allo stesso tempo, minimizzi gli effetti collaterali farmaco – dipendenti 64.

5.4 Evoluzione della patologia

Nel nostro studio abbiamo preso in considerazione la presenza a T0 sia di una trombocitopenia grave (< 20 x10⁹/L) sia di una stima piastrinica inadeguata. Le analisi statistiche non hanno mostrato differenze significative tra i 25 casi di ITP e la popolazione totale di IMT giunta presso l’ODV e, in entrambi i casi, hanno mostrato percentuali sovrapponibili: per quanto riguarda la stima piastrinica, dei 25 pazienti con ITP, il 76% (19/25) presentava una stima inadeguata e il 24% (6/25) ridotta (per quanto riguarda i 55 casi totali di IMT le percentuali erano rispettivamente di 78% e 22%); per quanto riguarda la conta piastrinica, era < 20 x10⁹/L nel 64% dei pazienti (16/25), mentre nel 36% (9/25) era superiore (dei 55 casi di IMT, la trombocitopenia era grave nel 60% e moderata nel 40%). Da queste valutazioni possiamo affermare che, effettivamente, in caso di ITP è comune riscontrare una marcata trombocitopenia 1,29,34, ma questo dato non può essere preso come valore di

riferimento per distinguere una forma primaria da una secondaria 21.

Per valutare l’evoluzione della patologia nel primo anno di monitoraggio, sono state prese in considerazione le conte piastriniche strumentali di tutti i

97 pazienti nei vari tempi precedentemente descritti. A T0 è stata presa in considerazione anche la stima piastrinica.

La mediana delle conte piastriniche a T0 è di 13 x10⁹/L, con un range che varia da 0 a 128 x10⁹/L. Osservando il grafico dell’andamento delle conte piastriniche (tabella 4.4.3) e la tabella delle mediane con i rispettivi valori di minimo e massimo (tabella 4.4.4), vediamo come già tra T0 e T7 vi sia un importante aumento del numero di trombociti circolanti, in media di circa 10 volte il valore iniziale. A T0 è stata impostata la terapia con corticosteroidi, e aggiustata laddove dosaggio, numero di somministrazioni, o principio attivo, non erano adeguati o efficaci. In letteratura è spesso riportato che i glucocorticoidi sono caratterizzati da una rapida risposta, caratteristica che li rende i farmaci più utilizzati per il primo trattamento delle patologie immuno- mediate, tra cui l’ITP. Nei pazienti trattati con glucocorticoidi, si osserva un aumento della conta piastrinica tra 50 e 100 x10⁹/L entro i primi 7 giorni dall’inizio del trattamento 25,29,31,43; in uno studio viene riportata una mediana

di 3.533, in un altro di 5 giorni32. Anche nel nostro studio è possibile osservare

questo rapido incremento, tanto che, a T7, la mediana delle conte piastriniche è di 194 x10⁹/L con un range compreso tra 18 e 900 x10⁹/L. Negli intervalli successivi, invece, notiamo una riduzione di questo incremento, tanto che tra T60 e T90 osserviamo una diminuzione della mediana delle conte piastriniche (da 229 x10⁹/L a T60 a 182 x10⁹/L a T90).

Una rapida risposta alla terapia con glucocorticoidi è stata osservata anche in medicina umana: la risposta iniziale alla somministrazione di prednisone infatti si può avere già dopo 4 giorni dall’inizio del trattamento; per quanto riguarda il desametasone, vista la sua maggiore potenza, possiamo osservare un aumento della conta piastrinica già dopo 2 giorni64.

Abbiamo correlato l’incremento delle mediane, vale a dire il numero di volte che la mediana aumenta in un intervallo di tempo tra due T consecutivi, con la conta piastrinica strumentale iniziale.

Se osserviamo, infatti, l’incremento delle mediane nei pazienti con una trombocitopenia grave (<20 x10⁹/L) e quello nei pazienti con trombocitopenia moderata (>20 x10⁹/L), osserviamo che nei primi, tra T0 e T7 la mediana delle

98 conte piastriniche aumenta di 44 volte, mentre negli altri aumenta di 1,6 volte. Ciò evidenzia che la velocità con cui aumenta il numero di trombociti circolanti, è inversamente proporzionale alla conta piastrinica di partenza. 5.5 Pazienti ex IMHA

Dei 25 pazienti giunti presso l’ODV per ITP, 5 (20%) avevano manifestato in passato una IMHA, trattata con un’associazione tra corticosteroide e secondo farmaco immunosoppressore, azatioprina o ciclosporina. Di questi 5 pazienti, uno, a T0, non aveva mai sospeso la terapia con ciclosporina, mentre gli altri avevano interrotto completamente il trattamento da 2, 3, 7 e 10 mesi.

Il paziente ancora in trattamento con ciclosporina, era in terapia per epilessia con un barbiturico ed aveva sospeso il farmaco steroide appena la situazione ematologica si era stabilizzata, per migliorare l’epatopatia che l’associazione dei due farmaci stava rapidamente causando. La manifestazione di ITP ha portato il clinico a reintrodurre il betametasone a basso dosaggio (0,03 mg/kg bid), con lo scopo di migliorare rapidamente la conta piastrinica e sospendere il farmaco, continuando comunque la terapia con ciclosporina (5 mg/kg bid). La risposta alla terapia è stata ottima, tanto che è stato possibile iniziare a scalare lo steroide già dopo 20 giorni, fino alla completa sospensione.

La terapia per la ITP in questi soggetti, dovrebbe tenere conto della risposta che hanno avuto in precedenza: se in passato la somministrazione di corticosteroidi aveva causato importanti effetti collaterali, come l’epatopatia da steroidi, è consigliabile evitarne l’utilizzo, a meno che non vi sia necessità: è il caso del cane che aveva sospeso il trattamento con ciclosporina da circa tre mesi. A T0 il clinico ha scelto di reintrodurre tale farmaco, evitando la somministrazione di steroidi che in precedenza gli avevano causato gravi alterazioni epatiche; vista la mancanza di una risposta efficace, dopo tre mesi è stata tentata l’aggiunta anche di azatioprina a basso dosaggio (1 mg/kg sid) e infine, del prednisolone, a dosaggio di 1,5 mg/kg sid, in modo tale da indurre il meno possibile l’epatopatia da steroidi. In un altro paziente, che aveva sospeso la terapia da circa 10 mesi e che aveva presentato sofferenza epatica rapidamente dopo l’inizio del trattamento, è stato deciso di iniziare subito la

99 terapia a base di betametasone e azatioprina, in modo tale da migliorare rapidamente la situazione, tanto che è stato possibile sospendere la terapia cortisonica già dopo circa 60 giorni.

Nei pazienti che, invece non hanno presentato in precedenza effetti collaterali alla somministrazione di steroidi, il clinico ha scelto di iniziare la terapia con prednisone, e aggiungere successivamente il secondo farmaco.

Come possiamo osservare dai risultati, la durata della terapia con corticosteroidi in questi pazienti è decisamente minore rispetto agli altri soggetti (72 giorni rispetto a 110). Osservando l’incremento, notiamo che quest’ultimo è nettamente superiore nei pazienti che hanno presentato solo la ITP (circa il doppio rispetto agli altri soggetti); la ragione di questa differenza può essere individuata nella differenza della mediana delle conte piastriniche iniziali nei due gruppi; i soggetti che hanno presentato in precedenza un episodio di IMHA avevano una mediana delle conte piastriniche di 23 x10⁹/L, mentre i cani che hanno avuto solo una ITP avevano una mediana di 7 x10⁹/L. Come abbiamo notato in precedenza, ad una conta piastrinica minore corrisponde un incremento maggiore; inoltre, soprattutto nei pazienti in cui la terapia precedente con corticosteroidi aveva causato effetti collaterali in particolar modo sul fegato, il clinico è stato portato a sospendere il prima possibile la somministrazione dello steroide; si può dunque ipotizzare che siano queste le ragioni per cui la durata della terapia con corticosteroidi sia minore nei pazienti che hanno presentato in precedenza un episodio di IMHA rispetto a quelli che hanno manifestato solo la ITP.

Tuttavia, tali considerazioni andrebbero avvalorate con un numero maggiore di pazienti.

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