• Non ci sono risultati.

Le Ricerche sull’essenza della libertà umana: il concetto reale e vivente di libertà

Capitolo II: La libertà del primo uomo

1. Le Ricerche sull’essenza della libertà umana: il concetto reale e vivente di libertà

Le Ricerche sull’essenza della libertà umana105 inaugurano una fase della gestazione del pensiero filosofico schellinghiano altamente proficua. Molte sono state le opinioni discordanti e divergenti a proposito della continuità o assoluta innovazione di questa “fase” rispetto alla precedente. Potremmo dire che lo Schelling del 1809 cerchi di mantenere uno sguardo doppiamente orientato: da una parte volto verso il passato, nel tentativo di fornire risposte e possibili soluzioni alle domande aperte e alle lacune consegnate dai suoi sforzi filosofici precedenti; dall’altra verso il futuro, interessandosi a nuove problematiche e temi che costelleranno la produzione successiva e apriranno alla cosiddetta “filosofia positiva”. Questo testo, composto nel 1809, viene solitamente considerato il punto di chiusura della “filosofia dell’identità”106. In essa Schelling aveva dato vita a un radicale cambiamento di

prospettiva, ponendo al centro dell’attenzione l’identità e l’indifferenza. Lo scopo non era

105 Questo trattato apparve per la prima volta, insieme con lavori già pubblicati da Schelling, in un volume

intitolato: Scritti filosofici di F. W. Schelling, volume primo, Landshut, presso Philipp Krüll, Libreria dell’Università, 1809.

106 La fase filosofica schellinghiana nota come “filosofia dell’identità” trova la sua espressione nei testi Darstellung meines Systems der Philosophie (Esposizione del mio sistema di filosofia), 1801; Bruno, oder das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge (Bruno, ovvero il principio divino e naturale delle cose), 1802; Philosophie der Kunst (Filosofia dell’arte), 1802-1803; Vorlesungen über die Methode des akademischen Studiums (Lezioni sul metodo dello studio accademico), 1803; Philosophie und Religion (Filosofia e religione), 1804; System der gesammten Philosophie und der Naturphilosophie insbesondere (Sistema dell'intera filosofia e della Filosofia della Natura in particolare), 1804; Aphorismen über die Naturphilosophie (Aforismi sulla Filosofia della natura), 1806. Cfr. Pareyson, L., Schelling: presentazione e antologia, Marietti, Torino, 1975.

54

più trovare l’unità degli opposti partendo da essi, ma di derivare l’opposizione dal punto indifferenziato. Questo tentativo, tuttavia, celava una non trascurabile difficoltà teorica a cui tutti gli sforzi successivi del filosofo cercheranno di porre mano: come sia possibile conciliare la derivabilità del molteplice dall’identico e del distinto dall’indifferenziato, se, come esplicitamente affermato da Schelling, dall’assoluto al finito non si dà alcun passaggio. Le risposte fornite nell’immediato dall’autore, resosi conto egli stesso delle falle di questo sistema, non risultano soddisfacenti107. Una prima consapevole elaborazione e maturo approfondimento delle domande sollevate e dai dubbi irrisolti della fase precedente è espressa appunto dalle Ricerche sull’essenza della libertà umana.

Quest’opera costituisce, quindi, un anello di congiunzione all’interno della produzione schellinghiana. Qui troviamo l’autore impegnato ad approfondire i nodi teorici precedenti. L’identità degli opposti, caposaldo della “filosofia dell’identità”, non soltanto viene mantenuta, ma in qualche modo esasperata a tal punto da instaurare l’opposizione all’interno di Dio stesso. Questa conservazione dell’eredità della fase filosofica immediatamente precedente permette, tuttavia, all’autore di gettare le basi per la successiva concezione, non panteistica e naturalistica, ma decisamente teosofica e cristiana, in cui il problema del male, della libertà umana dinanzi alla perturbante e maestosa onnipotenza divina, della natura e della destinazione del finito giocano un ruolo di primo piano108.

107 Schelling adduce, ad esempio, come possibile spiegazione alla derivazione del finito dall’infinito la teoria

della presenza del finito nell’infinito. In questo modo egli ritiene di poter dar ragione dell’esistenza del finito, del distinto, del particolare, senza con questo implicare necessariamente un passaggio dall’Assoluto al finito. In realtà, Schelling ha soltanto introdotto un’astuta “scappatoia” teorica: il finito di cui qui parla rimane comunque un finito esistente nell’assoluto, in qualche modo “assolutizzato”, “infinitizzato”, non il finito come tale, l’esistente limitato e imperfetto. La prospettiva immanentistica di Schelling, dominante in questa fase della sua produzione, non può che lasciare aperta e insoluta la domanda intorno al passaggio dall’Assoluto al finito.

108 «Freiheitsschift was written also as a theodicy, and its main motivation is therefore a defense of a natural

theistic background, in the light of the problem of evil – to argue how evil is possible in a world arranged by an entirely good God» (Larsen, Schelling and Kierkegaard in Perspective: Integrating Existence into Idealism, cit., p. 490).

55

Nonostante la presente ricerca sia prevalentemente orientata all’indagine dello statuto e della “biografia” della libertà umana, non possiamo tacere l’interesse prioritario di Schelling per la libertà di Dio – o meglio per Dio come libertà originaria109. Detto sommariamente e rimandando al lavoro di Pareyson, la stessa dinamica dialettica tra necessità e libertà, che Schelling delinea a proposito dell’uomo, si applica anche alla libertà originaria. Ciò si evince prevalentemente da un testo successivo di Schelling, le Lezioni di Erlangen, in cui la libertà risulta inchiodata alla propria essenza. Anche nel momento, infatti, in cui decide di negarsi per quello che è, la libertà si afferma come tale. Allo stesso tempo, per potersi negare come tale e scegliere il proprio opposto, la libertà deve essere presupposta. Essa, quindi, precede l’alternativa, precede se stessa come poter-essere, come mögen. Questa autopresupposizione della libertà è ciò che la rende incomprensibile razionalmente; è ciò che costituisce quella circolarità davanti a cui lo pseudonimo kierkegaardiano, Vigilius Haufniensis, si arresta. Schelling a tal proposito a Berlino affermerà che la libertà originaria è ciò di cui «possiamo dire soltanto che esiste: il che significa che è senza fondamento, ossia esiste semplicemente perché esiste, senza alcuna necessità che lo preceda»110. Questa autopresupposizione della libertà non deve essere intesa cronologicamente, in quanto l’atto di autodifferenziazione di essa avviene fuori dal tempo ed è esso piuttosto ad istituire il tempo. Per concludere, anche a proposito di Dio è lecito affermare un’identità di necessità e libertà, purché la necessità venga intesa come la «pura e semplice necessità dell’autoevidenza dell’essere, di ciò che si dà in se stesso a partire da se stesso e che, come tale, può essere solo constatato»111.

109 «Costituendosi la “non-divinità” dell’essere, la malattia, il caso, la morte, appunto come un “non-Assoluto”,

il trattato sulla libertà umana rivelava in fondo di essere di fatto di un trattato sulla libertà di Dio a partire dalla distinzione – questa era la novità fondamentale dell’opera del 1809 e ciò che la distingueva essenzialmente da

Philosophie und Religion – tra l’ “essenza in quanto esiste” e l’ “essenza in quanto è semplice fondamento di

esistenza”» (Basso, Kierkegaard uditore di Schelling. Tracce della filosofia schellingiana nell'opera di Søren

Kierkegaard, cit., p. 63).

110 Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 287.

111 Galli, P., Libertà e male in Dio. Pareyson a confronto con Schelling, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica,

56

Tuttavia, lo stato della creazione e la storia stessa ci rivela quale sia stata la concretizzazione della possibilità dispiegatesi alla libertà originaria. Essa si è decisa come scelta dell’essere contro il possibile non essere. Per questo motivo, allo stesso tempo, parlare di libertà divina ci porta a pensare allo stesso tempo al problema dell’origine del male, inteso come «effettiva permanenza dell’alternativa scartata»112. Ciò vale ancor più per le creature che – come maggiormente approfondito più avanti – rispetto a Dio non sottomettono una volta per tutte questo relativo non-essere, questa tenebra da cui si origina la vita: «Senza questa precedente oscurità non si dà alcuna realtà della creatura; la tenebra è il suo retaggio necessario. Dio soltanto – l’esistente stesso – dimora nella pura luce poiché Egli è Dio da se stesso»113.

In questo modo, Schelling finisce per delineare un’argomentazione circolare, in cui parlare di libertà rimanda sempre al problema del bene e del male, e viceversa la definizione di cosa siano il bene e il male è indisgiungibile dalla descrizione della libertà umana. Nonostante gli sforzi interpretivi di Schelling, la definizione della libertà e del male umano, poichè dipendenti dall’essenza stessa dell’uomo, non può essere esaustiva: l’essere dell’uomo (e l’essere in generale), infatti, viene dipinto dall’autore come qualcosa di non interamente penetrabile dall’intelletto, come una «essenza assolutamente non traslucida»114:

Tutto nel mondo, come noi ora lo consideriamo, è regola, ordine e forma: ma tuttavia sussiste sempre nel fondo l’irregolare, come se potesse tutt’a un tratto ricomparire, e in nessun luogo si trova che l’ordine e la forma siano la condizione originaria, ma dovunque le cose appaiono come se una condizione originariamente priva di regola sia stata portata verso l’ordine. Questa è nelle cose l’inafferrabile base della realtà, il residuo che

112 Ibidem.

113 Schelling, Die Philosophischen Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit, cit., p. 121. 114 Heidegger, Schellings Abhandlung Über das Wesen der menschlichen Freiheit (1809). Sommersemester 1936, cit., p. 10.

57

non scompare mai, cioè che, per quanti sforzi si facciano, non si lascia mai risolvere in intelletto, ma rimane sempre nel fondo. Da questo irrazionale è nato l’intelletto in senso proprio. Senza quest’oscurità antecedente, la creatura non ha alcuna realtà: la tenebra è il suo retaggio necessario115.

Con questa conclusione Schelling fa saltare uno dei capisaldi dell’idealismo: l’identità tra essere e pensiero, la pretesa che nel concetto essere e pensiero si convertano integralmente. La trattazione del problema della libertà umana si inserisce nel più ampio disegno che Schelling si era prefisso nelle Ricerche sulla libertà: sondare il rapporto tra sistema e libertà e dunque tra necessità e libertà. Il problema della costruzione o della già attuale esistenza di un sistema che sia compatibile con la libertà degli enti ha impegnato Schelling da questo scritto sino agli ultimi anni di produzione e di insegnamento. Tale obiettivo costituisce, quindi, uno degli elementi di continuità in questi quattro decenni di maturazione filosofica. Anche nel corso berlinese, infatti, assistiamo a un tentativo di sistematizzazione da parte di Schelling. Al suo interno possono essere individuate 5 sezioni di un possibile sistema: Storia critica della filosofia moderna, Teoria dell’Assoluto, Filosofia della Mitologia e Filosofia della Rivelazione. Qui le più disparate indagini – dalla mitologia alla storia, alla libertà – vengono integrate all’interno di una visione unitaria e la stessa Filosofia della Rivelazione è presentata come un’applicazione della filosofia positiva.

A tal fine la Freiheitschrift offre un ripensamento del concetto di libertà umana insieme a una sua fondazione metafisica. Questa duplice mossa teorica è metodologicamente giustificata dall’autore stesso nell’Introduzione al trattato. Qui Schelling indica al lettore i due compiti prefissi con quest’opera: la delineazione del concetto di libertà e l’inserimento di questo concetto nel contesto complessivo di una visione scientifica del mondo. La prima operazione è motivata dal fatto che, sebbene l’uomo abbia un sentimento della libertà, del

58

proprio essere-libero, da ciò non segue che abbia anche un concetto chiaro e distinto di cosa la libertà sia. Come ulteriormente puntualizzato da Heidegger, «quel che troviamo in noi stessi nel modo del sentimento come impronta del nostro esser-libero, non è sufficiente a fondare, a riguardo, una determinazione del concetto»116. Per quanto riguarda, invece, il secondo obiettivo teorico, Schelling afferma che, in generale, nessun concetto può essere determinato isolatamente, senza connessione col tutto. Ciò vale ancor più per la libertà, considerata il nucleo del sistema poiché determinazione essenziale dell’essere e dell’uomo in particolare:

Le ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana possono riguardare in parte l’esatto concetto di essa, giacché il fatto della libertà, per quanto il sentimento della medesima sia impresso immediatamente in ciascuno, non si trova tuttavia tanto alla superficie, da non esigere una più comune purezza e in profondità di penetrazione, anche soltanto per esprimerla in parole; in parte possono riguardare la connessione di questo concetto con l’insieme di una interpretazione scientifica dell’universo117. [...]

116 Op. cit., p. 50.

117 Vorrei rimandare al commento heideggeriano, che molto si sofferma su questo termine utilizzato da

Schelling: «visione scientifica del mondo», «interpretazione scientifica del mondo», «Weltanschauung». Qui Heidegger sottolinea la duplice portata di questo termine, duplicità che la proposta schellinghiana – a suo parere – non mancherebbe di preservare. Esso, infatti, avrebbe un’accezione conoscitiva e una ontologica: «Nell’espressione schellinghiana “visione scientifica del mondo”, il termine “scientifica” equivale dunque a “filosofica”, e ciò significa: il sapere assoluto dell’ente nella sua totalità, il sapere che si fonda su principi ultimi e conoscenze essenziali. [...] Una Weltanschauung è in sé un aprire e un tenere aperto di volta in volta il mondo, orientati e intesi in modo determinato. Una Weltanschauung è in sé sempre “prospettica” [...] La

Weltanschauung rientra nella costituzione di ogni ente [...]. La Weltanschauung è qui una componente della

determinazione metafisica di ciascun essere essente, in conformità al quale esso [...] si rapporta alla totalità dell’ente e si comporta e agisce in base a questo rapporto fondamentale» (op. cit., pp. 54-55). La libertà, quindi, diviene un concetto cardinale, che può e deve essere integrato nel tutto e spiegato a partire dal tutto. Ecco che viene resa possibile la conciliazione di libertà e sistema: «La ricerca filosofica sull’essenza della libertà umana deve 1) delimitare questa essenza in un concetto sufficiente e 2) stabilire il posto di questo concetto nella totalità del sistema, cioè mostrare in che modo la libertà e l’esser-libero dell’uomo si accordino con la totalità dell’ente e si adattino a questa. [...] Il concetto di libertà non è soltanto un concetto tra altri, ma è il centro della totalità dell’Essere: la determinazione di questo concetto fa dunque espressamente e propriamente parte della determinazione della totalità stessa. [...] Se la libertà è una determinazione fondamentale dell’Essere in generale, allora il progetto della totalità della visione scientifica del mondo, nella quale la libertà deve essere ricompresa, non ha alla fine come autentico scopo e centro null’altro che la libertà stessa. Il sistema, che si tratta di stabilire, non contiene la libertà come un concetto tra molti, bensì la libertà è il centro del sistema» (op. cit., pp. 57-59).

59

Nessun concetto può essere determinato isolatamente, e soltanto la dimostrazione della sua connessione col tutto può dargli la piena completezza scientifica – il che deve essere particolarmente il caso del concetto di libertà che, se è una realtà, non può essere un concetto subordinato o complementare, ma deve costituire uno dei punti centrali del sistema118.

Schelling, infatti, colloca il fondamento della libertà umana nella stessa struttura ontologica dell’essere umano, nel suo essere “spirito”, cioè rapporto libero, non fissato una volta per tutte, al suo essere, alla sintesi che egli da sempre è. Allo stesso modo, la natura dell’uomo trova la sua condizione di possibilità nella struttura metafisica di Dio. In questo modo Schelling riesce a conciliare necessità e libertà, o, detto in altri termini, sistema e libertà119, screditando la tendenza dominante ad escludere uno dei due opposti, a ritenere il «sistema della libertà» insostenibile e irrealizzabile, logicamente incomprensibile alla stregua di un cerchio quadrangolare: «Secondo una leggenda antica e non ancora dissipata, il concetto di libertà è incompatibile con un sistema, ed ogni filosofia che ha pretesa di unità e di totalità perviene alla negazione della libertà»120.

Per poter, quindi, realmente comprendere lo statuto della libertà umana bisogna risalire a Dio e pensarlo come personalità e vita. Il Dio di Schelling, infatti, non è né ridotto idealisticamente ad un’astrazione logica né all’Uno-tutto del panteismo spinoziano, né meramente ipostatizzato, ma è un’«unità vivente di forze», «un’unità immeditatamente creativa (unmittelbar schöpferische)»121, animata dal dissidio tra la propria esistenza (Existenz) e il fondamento di tale esistenza (Grund von Existenz). Queste due determinazioni

118 Schelling, Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit, cit., p. 81.

119 Schelling sostituisce alla tradizionale opposizione tra natura e spirito, tra ciò che è meccanicamente

determinato e ciò che è libero, la più essenziale opposizione tra necessità e libertà. Sarà proprio questa opposizione che porterà Schelling a sondare il rapporto intrattenuto dall’uomo e della sua libertà, non con la natura, ma con Dio.

120 Op. cit., p. 81. 121 Op. cit., p. 121.

60

dell’Essere non sono concepite meccanicamente, ma spiritualmente, nei termini di “volontà”: «Schelling infatti non pensa “concetti”, egli pensa forze e pensa in posizioni del volere, egli pensa nel conflitto di potenze che non si lasciano accordare per mezzo di un artificio concettuale»122. Il loro legame non è il morto rapporto di causa ed effetto, ma un legame di amore, un’identità che non annulla, ma preserva la differenza, e che, anzi, sussiste proprio in virtù di tale differenza. In questo amoroso, indissolubile legame, non si dà una priorità temporale o gerarchica, ma le due determinazioni rimandano costantemente l’una all’altra, dando vita ad una circolarità che il pensiero umano fatica a comprendere: il fondamento è condizione di possibilità dell’esistenza di Dio e tuttavia esso è determinato come tale solo retrospettivamente dall’esistenza, di cui è fondamento. La problematicità di questa posizione è ben espressa da Heidegger: «Il fondamento è in sé ciò che regge e ciò che torna a legare a sé ciò che esce fuori. L’esistenza, in quanto uscir-da-sé, è invece ciò che si fonda come tale sul suo fondamento e lo fonda espressamente come suo fondamento»123.

Tale travaglio interiore è tuttavia necessario affinché Dio possa farsi esistente. Risale, infatti, a questa fase del pensiero schellinghiano la convinzione per cui non si dà vita senza opposizione né personalità senza una condizione a partire da cui e attraverso cui essa si realizza124. Questa «condizione», definita anche «natura in Dio», «fondamento di esistenza», «non-ente» quindi, non è concepita da Schelling come un mero concetto, ma come qualcosa di effettivo, di reale, che, in quanto base, upokeimenon dell’esistenza di Dio, non può essere soppressa da Dio senza che Egli sopprima al contempo se stesso. Questo fondamento oscuro ed inconscio, infatti, non deve essere considerato esterno a Dio, a quella libertà originaria

122 Heidegger, Schellings Abhandlung Über das Wesen der menschlichen Freiheit (1809). Sommersemester 1936, cit., p. 191.

123 Op. cit., p. 195.

124 «Dio stesso non è un sistema, bensì una vita. […] Ogni esistenza esige una condizione per realizzarsi, cioè

per diventare esistenza personale. Anche l’esistenza di Dio non potrebbe senza tale condizione essere personale; soltanto che egli ha questa condizione in sé, non fuori di sé. […] Dove non c’è lotta non c’è vita. Soltanto il risveglio della vita quindi è lo scopo del fondamento, non il male immediatamente e per sé» (Schelling, Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit, cit., pp. 124-125).

61

che Dio stesso è, ma è Dio che si oppone a sé per poter scegliere se stesso125. Il divenire di

Dio, consistente in questo venir fuori dal fondamento per poi assoggettarlo come tale, non è scandito da una successione temporale ordinaria, ma è tutto in una volta, avviene in una contemporaneità originaria: «Nel circolo da cui tutto diviene, non è contraddittorio che ciò da cui l’uno è prodotto, sia a sua volta prodotto da lui. Qui non c’è un primo e un ultimo perché tutto reciprocamente si presuppone, nessuno è altro, e tuttavia nessuno è senza l’altro»126.

Questa concezione di Dio permette a Schelling di sfuggire all’unilateralità di due posizioni da cui, soprattutto nelle Ricerche, cerca di prendere le distanze: l’idealismo unilaterale e il realismo unilaterale127. Il compito che, infatti, l’autore si prefigge è costruire un sistema panteistico al di là di Spinoza, che non cada negli esiti dello spinozismo, ovvero in una posizione fatalistica; un sistema panteistico che mantenga in sé la possibilità dell’immanenza delle cose in Dio, ma, allo stesso tempo, ne garantisca la libertà, la vita e l’individualità:

Il Razionalismo comporta una resistenza a ogni sistematizzazione o ordine meccanicistico, e il determinismo era considerato inconciliabile con ogni azione libera non meccanicistica. Dunque, è tra queste due posizioni teoriche che Schelling all’inizio del XIX

125 «Nelle Philosophische Untersuchungen si ha dunque a che fare con una dialettica non già triadica, ma

propriamente diadica, oserei dire quasi eraclitea, ove l’opposizione di notte e giorno, luce e tenebra è la vivente pulsazione dell’essenza divina nel suo farsi, nella sua autooriginazione» (Galli, P., L’essenza della libertà

umana in Schelling e Pareyson, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 93, No. 1, Vita e pensiero, Milano,

pp. 39-73).

126 Schelling, Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit, cit., p. 96.

127 «L’idealismo è l’anima della filosofia; il realismo ne è il corpo; e solo tutt’e due insieme formano un tutto