• Non ci sono risultati.

Tra peccato originale e Rivelazione. Schelling e Kierkegaard: due possibili interpretazioni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tra peccato originale e Rivelazione. Schelling e Kierkegaard: due possibili interpretazioni"

Copied!
235
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

Tra peccato originale e Rivelazione.

Kierkegaard e Schelling: due possibili interpretazioni

RELATORE:

Leonardo Amoroso

CORRELATORI:

Adriano Fabris

Ettore Rocca CANDIDATO:

Emily Martone

(2)
(3)

«Home is where one starts from. As we grow older The world becomes stranger, the pattern more

complicated Of dead and living. Not the intense moment Isolated, with no before and after, But a lifetime burning in every moment And not the lifetime of one man only But of old stones that cannot be deciphered» (T. S. Eliot, East Coker, from The Four Quartets)

(4)

1

Indice

Introduzione ... 3

Capitolo I: Kierkegaard e Schelling: alcuni dati storici ... 14

1. Kierkegaard uditore di Schelling ... 14

2. Kierkegaard lettore di Schelling ... 46

Capitolo II: La libertà del primo uomo ... 51

1. Le Ricerche sull’essenza della libertà umana: il concetto reale e vivente di libertà ... 53

2. Filosofia della Rivelazione: la libertà «condizionata» del primo uomo ... 73

3. Kierkegaard e hildet Frihed ... 86

4. Kierkegaard e Schelling in dialogo ... 97

Capitolo III: Il peccato originale e il primo peccato ... 107

1. La caduta dell’Urmensch ... 107

2. Il peccato: il paradosso che non può essere compreso, ma deve essere creduto ... 127

3. Il peccato del primo uomo e il primo peccato dell’uomo ... 138

4. Una fenomenologia della caduta ... 150

5. Il ruolo del negativo: la dialetticità delle determinazioni cristiane ... 162

(5)

2

Capitolo IV: Il richiamo della libertà dall’abisso della caduta ... 182

1. Duplice significato di «rivelazione in Schelling» ... 184

2. Kierkegaard e la Rivelazione: l’irruzione dell’eterno nel tempo ... 190

3. La paradossalità della Rivelazione: Kierkegaard e Schelling a confronto ... 199

4. Usandeheden: l’uomo fuori e contro la verità ... 208

Conclusioni ... 218

(6)

3

Introduzione

L’obiettivo del presente lavoro è indagare il rapporto tra due importanti e complessi autori, S. Kierkegaard e F. W. J. Schelling, su tematiche che da sempre attanagliano il pensiero dell’uomo e che, in questo caso particolare, costituiscono le questioni chiave delle opere dei due filosofi. Un possibile approccio a questa ricerca è quello di un’analisi storica che miri a mettere in luce come e quanto il primo conoscesse della produzione filosofica del secondo. Senza dubbio costituisce un interesse preliminare formarsi un’idea del reale contatto e della reale fruizione da parte del filosofo danese non soltanto dei testi propriamente schellinghiani, ma anche dell’entourage culturale e filosofico della Germania di Schelling. Il presente studio dedica a questo oggetto unicamente il primo capitolo per poi andare a esplorare più in profondità i punti di contatto e di divergenza teorica tra i due filosofi, considerati exempla di due modelli filosofici in dialogo, o, se si vuole, in dibattito.

Questo intento sta alla base della scelta di limitare la presente ricerca a due testi del filosofo tedesco, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana1 del 1809 e il corso berlinese sulla Filosofia della Rivelazione2, tenuto nel semestre invernale 1841-1842, e a tre opere pseudonime del filosofo danese, il Concetto dell’Angoscia, la Malattia per la morte e le Briciole di Filosofia.

Philosophie der Offenbarung è il frutto della pubblicazione postuma ad opera del figlio Karl dei manoscritti di Schelling per il corso tenuto in quell’anno, i quali furono poi integrati

1 Schelling, Die Philosophischen Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhängenden Gegenstände (1809), in SW Bd. VII, S. 331. In questo studio faremo riferimento alla

traduzione italiana di L. Pareyson: Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa

connessi, in Schelling, F. W. J., Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, Mursia, Milano, 1974.

2 Idem, Philosophie der Offenbarung (1841-1842). Qui faremo riferimento alla traduzione italiana di Bausola,

(7)

4

nell’opera omnia del padre3. Focalizzare l’attenzione su questo corso permette non soltanto

di scorgere una forte affinità di interessi e di tematiche tra i due autori, ma anche di motivare la personale conoscenza di Kierkegaard della filosofia ivi esposta. Il filosofo danese, infatti, nell’inverno dell’1841-42, partì alla volta di Berlino per seguire personalmente le lezioni di Schelling. La sua partecipazione è attestata dai numerosi riferimenti a Schelling e alla sua nuova filosofia tanto promessa e decantata, ma soprattutta è immortalata dalle pagine di appunti scritti di suo pugno che costituiscono il Referat. Se è vero che questo taccuino non aggiunge nulla di particolarmente rilevante alla nostra conoscenza del punto di vista critico kierkegaardiano in merito alla tarda filosofia di Schelling, tuttavia ci rende certi della sua profonda e diretta conoscenza di essa e della veridicità di una delusione talmente profonda da indurre all’abbandono del corso4. Kierkegaard, infatti, perse l’entusiasmo di prendere

appunti dopo la lezione del 3 Febbraio 1842, anche se verosimilmente continuò a seguire per poche altre volte, fino a tornare definitivamente a Copenaghen all’inizio di Marzo. La

3 Friederich Wilhelm Joseph von Schellings Sämmtliche Werke, ed. by Karl Schelling, parts 2, Stuttgart and

Augusburg. Cotta, vol. I (1856), vol. 2 (1857), vols. 3-4 (1858). I Werke furono pubblicati dal figlio subito dopo la morte di Schelling, tra il 1856 e il 1861, in 14 volumi divisi in due sezioni: la prima comprende 10 volumi e vi è raccolto tutto ciò che era apparso separatamente, nonché i saggi e gli articoli di rivista, i discorsi accademici e le lezioni con la parziale aggiunta di testi inediti; nella seconda, invece, è stata resa accessibile, sotto la forma di lezioni ricavate dal lasciato letterario, la sua tarda dottrina.

Oltre alla pubblicazione del figlio, un altro canale per la conoscenza del contenuto verosimilmente letterale delle Lezioni sono gli appunti degli uditori stessi: alcuni circolanti in quello stesso periodo clandestinamente e con disapprovazione di Schelling; altri pubblicati dopo i corsi e dopo la morte dello stesso Schelling. Oltre a quelli kierkegaardiani, gli appunti più copiosi e noti sono quelli verosimilmente scritti da Alexis Schmidt e pubblicati da H. E. G. Paulus nel 1843 (Die endlich offenbar gewordene positive Philosophie der Offenbarung

oder Entstehungsgeschichte, wörtlicher Text, Beurtheilung und Berichtigung der v. Schellingischen Entdeckungen über Philosophie überhaupt, Mythologie und Offenbarung des dogmatischen Christenthums im Berliner Wintercursus von 1841-42. Der allgemeinen Prüfung vorgelegt von Dr. H. E. G. Paulus) e quelli di

Julius Frauenstädt del 1842 (Schelling´s Vorlesungen in Berlin, Darstellung und Kritik der Hauptpunkte

derselben, mit besonderer Beziehung auf das Verhältniß zwischen Christenthum und Philosophie).

4 Nonostante la rilevanza di queste annotazioni sia per una più approndita conoscenza del rapporto di

Kierkegaard alla filosofia schellinghiana sia della stessa tarda filosofia di Schelling, il Referat ebbe una storia editoriale relativamente breve e discontinua. Esso balzò agli occhi dell’opinione pubblica solo nel 1911, quando solo alcuni estratti furono pubblicati nel III volume dei Søren Kierkegaards Papirer. La scelta di dare alle stampe soltanto pochi frammenti e riferimenti rivela lo scarso e superficiale interesse destato dal Referat in quel momento. Nella sua completezza esso rimaneva comunque disponibile nella Biblioteca reale di Copenaghen. In questo modo ne venne in possesso Eva Schlechta-Nordentoft, che per prima, nel 1962, lo pubblicò nella sua interezza, sebbene in tedesco. La prima completa traduzione in lingua danese risale, invece, al 1970, ad opera di Niels Thulstrup, come parte del volume VIII della seconda edizione dei Søren

(8)

5

ragione di questo drastico cambiamento di prospettiva è concisamente esposta da Edna e Howard Hong: «la progressiva delusione di Kierkegaard nei confronti delle lezioni fu dovuta al sostanziale abbandono da parte di Schelling della sua iniziale distinzione tra quid sit [che cosa è] e quod sit [il fatto che sia]»5. Se il soggiorno berlinese deluse le sue aspettative per la nuova e tanto promessa filosofia positiva, al contrario esso ebbe un notevole impatto positivo sulla sua produttività: tornato a Copenaghen il 6 Marzo 1842, in poco più di un mese, terminò la stesura del Diario del Seduttore, la sezione più copiosa delle carte di A, e nell’arco di un anno diede alla luce la sua prima opera pseudonima, Enten-Eller, pubblicata il 15 Febbraio 1843.

Per quanto riguarda, invece, la scelta delle Ricerche sull’essenza della libertà umana la motivazione è di ordine maggiormente filosofico e teoretico. Contrariamente all’atteggiamento mostrato verso la filosofia positiva, Kierkegaard non rivelò mai un esplicito e dichiarato interesse per questo testo. Tuttavia, una sempre più copiosa letteratura secondaria mette in luce una relazione più “positiva” alla produzione giovanile di Schelling ed, in particolare, a questo scritto del 1809. Sono esempi di questa tendenza i lavori Schelling und Kierkegaards Freiheitsbegriff (1980) di Günter Figal6; Schelling and Kierkegaard on

Freedom and Fall (1985) di Vincent McCarthy7; Freedom and Reason in Kant, Schelling and Kierkegaard (2006) di Michelle Kosch8 e Schelling and Kierkegaard in Perspective:

5Trad. it. mia. «Kierkegaad´s progressive disappointment with the lectures was due to Schelling´s virtual

abandonment of his initial distinction between quid sit [what it is] and quod sit [that it is]» (Kierkegaard, S.,

The concept of Irony with continual reference to Socrates together with Notes of Schelling´s Berlin lectures,

in Kierkegaard´s writings, II, edited and translated by Howard V. Hong and Edna H. Hong, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1992, p. xxiii).

6 Figal, G., Schelling und Kierkegaards Freiheitsbegriff, in Kierkegaard und die deutsche Philosophie seiner Zeit, ed. By Heinrich Anz, Peter Kemp and Friedrich Schmöe, Copenhagen and Munich: Wilhelm Fink Verlag

1980 (Text und Kontext, Sonderreihe, vol. 7), pp. 112-127.

7 McCarthy, M., Schelling and Kierkegaard on Freedom and Fall, in International Kierkegaard Commentary,

vol. VIII: “The Concept of Anxiety”, Mercer University Press, Macon, Georgia, 1985, pp. 89-109.

(9)

6

Integrating Existence into Idealism (2013) di Rasmus Rosenberg Larsen9. A conferma di

questa più recente tendenza interpretativa è lo stesso interesse mostrato da Kierkegaard per alcune tematiche chiave delle Ricerche nella sua opera del 1843, il Concetto dell’angoscia. Nelle opere pseudonime, infatti, il nome di Schelling compare esplicitamente soltanto una dozzina di volte, ma di queste ben nove riferimenti si trovano soltanto nel Concetto dell’angoscia. In realtà, anche in questo caso la situazione non è completamente chiara: non sappiamo con certezza se questi riferimenti kierkegaardiani allo scritto del 1809 siano stati il frutto di una lettura, o rilettura, dell’opera stessa o piuttosto il ripensamento indotto dallo studio delle opere di Rosenkranz su Schelling (Über Schelling und Hegel: Ein Sendschreiben an Pierre Leroux e Vorlesungen über Schelling10) e di Marheineke (Zur Kritik der Schellingschene Offenbarungsphilosophie11). Nonostante l’assenza di un dichiarato

interesse per quest’opera di Schelling, la sua influenza non può però essere negata, in particolare, come accennato, nel Concetto dell’angoscia. L’opera pseudonima di Vigilius Haufniensis, infatti, sembra prendere forma in opposizione e in dialogo con il testo schellinghiano del 1809.

Per quanto riguarda, invece, la selezione delle opere kierkegaardiane ho privilegiato quelle in cui il tema della libertà mi sembrava avere un ruolo di primo piano. Il Concetto dell’angoscia, infatti, è un’indagine psicologica interessata a delineare lo stato dell’uomo prima della sua rovinosa caduta, ad abbozzare il come possibile dell’attrazione vertiginosa dell’uomo verso la sua stessa rovina. Questa indagine, proprio perché psicologica, è ben consapevole di poter essere solo orientata in direzione del peccato, ma di non poterlo

9 Larsen, R. R., Schelling and Kierkegaard in Perspective: Integrating Existence into Idealism, in Res Philosophica, Vol. 90, No. 4, October 2013, pp. 481–501.

10 Di Rosenkranz Kierkegaard possedeva Kritische Erläuterungen des Hegelschen Systems del 1840 (ASKB

74), e Schelling. Volsesungen, gehalten im Sommer 1842 an der Universität zu Königsberg del 1843 (ASKB 766).

11 Marheineke, P., Kritische Erläuterungen des Hegelschen Systems. Schluß der öffentlichen Vorlesungen über die Bedeutung der hegelschen Philosophie in der christlichen Theologie, Berlin: Enslin 1843 (ASKB 647).

(10)

7

spiegare. Essa, allora, si limita a constatare la condizione dell’uomo appena precedente il salto qualitativo del peccato e a descriverla come un’innocenza ignorante e angosciata. La preistoria della libertà, la sua possibilità, è allora scossa dall’ambigua dinamica di attrazione e repulsione propria dell’angoscia, che se non necessita, quanto meno inclina al peccato.

La malattia per la morte, opera dello pseudonimo Anti-Climacus del 1849, sposta l’attenzione dalla possibilità del peccato allo stato di peccato e offre una descrizione delle varie forme in cui l’uomo può errare nel realizzare se stesso e, così, vanificare la sua libertà. Partendo dalla definizione dell’io come rapporto che si rapporta alla sintesi che già è, Anti-Climacus passa poi a descrivere cosa intenda per disperazione e infine per peccato.

Infine, le Briciole di filosofia, attraverso l’esperimento ideale condotto dall’autore pseudonimo Johannes Climacus, indica la necessità e l’imprescindibilità del ruolo della Rivelazione per la restaurazione, la ri-nascita della libertà dell’uomo. Questa opera, quindi, mette in luce l’ambigua e paralizzante condizione di non libertà e non verità in cui l’uomo si è imprigionato per propria colpa e in cui sempre più continua a sprofondare per propria volontà. È da questa dinamica che l’uomo da solo non riesce a liberarsi. Per questo diviene necessario l’intervento di Cristo. Quale sia il rapporto con questa concessione, con questa eternità da guadagnare in avanti, con questa libertà restaurata e arricchita dalla coscienza di aver peccato e di essere stati giustificati nonostante questo peccato, è la questione attorno a cui ruota quest’opera.

Un altro aspetto su cui la mia ricerca non si soffermerà particolarmente è la comune critica di Kierkegaard e Schelling a Hegel. Si tratta forse del lato di maggior vicinanza tra i due: molto Kierkegaard dovette a Schelling nell’elaborazione della sua offensiva a quel sapere speculativo emblematicamente rappresentato da Hegel, che poi arriverà a colpire anche la filosofia dello stesso Schelling12. Ad appassionarlo alla posizione schellinghiana

12 Questa assimilazione di Schelling e Hegel e la critica ad essi da parte di Kierkegaard fu probabilmente

(11)

8

furono anche i suoi due mentori, F. C. Sibbern e P. M. Møller, per i quali, non a caso, Schelling costituiva una delle maggiori fonti di ispirazione. La condivisione delle linee generali dell’opposizione a Hegel può, quindi, essere considerata una motivazione della scelta di recarsi personalmente a Berlino. Prima del viaggio, nel 1840, infatti, Kierkegaard annotava sul suo Diario: «Si fa sempre più strada quella riflessione che Hegel sia una parentesi in Schelling: si aspetta solo che venga chiusa»13. Per un maggior approfondimento

di questa tematica, rimando agli studi Stewart, J., Kierkegaard’s relations to Hegel riconsidered14; Basso, I., Kierkegaard uditore di Schelling15; Majoli, B., La critica ad Hegel in Schelling e Kierkegaard16.

Se fino a questo momento ho cercato di definire il mio lavoro “negativamente”, indicando cosa non vuole essere e da cosa prende le distanze, vorrei adesso anticipare brevemente quale è stato lo scopo che ha guidato questa ricerca, quali sono stati gli obiettivi, a mio parere, raggiunti e in che modo. La lettura dei vari riferimenti a Schelling disseminati nei testi kierkegaardiani e dei suoi appunti delle lezioni berlinesi mi ha spinta ad avvicinarmi con maggiore attenzione alle opere dell’autore tedesco per avere una più chiara conoscenza delle critiche e dei debiti di Kierkegaard nei confronti di Schelling. Dopo un primo sguardo generale, ho percepito pulsare tra le righe delle opere schellinghiane e trasversalmente a temi diversi tra loro il problema della libertà umana. Il confronto con Kierkegaard sembrava, quindi, inevitabile. Questa indagine mi ha portata non soltanto a cogliere la specificità delle interpretazioni offerte dai due filosofi, ma anche a illuminare più vividamente la visione

Cristianesimo al concetto. In entrambi la logica del sistema esercitava un predominio sul contenuto dogmatico del Cristianesimo, dando vita ad una speculazione dogmatica, al mero adattamento di alcune proposizioni del Cristianesimo alla logica del loro sistema filosofico.

13 Pap. III A 34; D, 676.

14 Stewart, J., Kierkegaard’s relations to Hegel reconsidered, Cambridge University Press, NY, 2003. 15 Basso, I., Kierkegaard uditore di Schelling. Tracce della filosofia schellingiana nell'opera di Søren Kierkegaard, Mimesis, Milano, 2008.

16 Majoli, B., La critica ad Hegel in Schelling e Kierkegaard, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 46,

(12)

9

dell’uno proprio tramite gli occhi dell’altro. Più che di uno studio incentrato unicamente su un autore, questa ricerca “comparativa” ha permesso di individuare i punti forti e i limiti di questi due paradigmi filosofici, di questi due possibili approcci filosofici.

Inoltre, trattare con questioni fondamentali quali la libertà e il male umano, il primo peccato dell’uomo e il peccato del primo uomo, la Rivelazione e la giustificazione dell’uomo, permette di collocare i due autori all’interno di una lunga tradizione teologica, quella agostiniana-luterana, e filosofica, dall’intellettualismo greco a Plotino, da Paolo a Agostino. Attraverso la loro specifica presa di posizione rispetto a questa tradizione, è possibile ancor più consapevolmente mettere in rilievo i punti di contatto e di divergenza tra i due.

Dopo un primo capitolo dedicato a questioni più strettamente storiche e storiografiche circa il rapporto di Kierkegaard a Schelling – sia in qualità di lettore che di uditore – , i successivi tre capitoli seguiranno quella che potremmo definire la “fenomenologia” della libertà dell’uomo, il cammino dalla sua genesi al suo scacco, alla sua paralisi e autoincatenamento nello stato di peccato, alla sua restaurazione o, meglio, ri-nascita, grazie all’intervento salvifico del Figlio. Il secondo capitolo di questa tesi sarà quindi dedicato alla natura della libertà umana nel cosiddetto stato edenico dell’umanità e del singolo individuo, il suo rapporto con la coscienza innocente dell’uomo e il suo ruolo e significato all’interno di una relazione tra uomo e Dio non ancora pregiudicata. Il terzo capitolo, invece, si ripropone di esporre le risposte offerte dai due autori alla questione di come una condizione di innocenza e di non ancor viziata libertà possa corrompersi. Entrambi gli autori procedono interrogandosi su chi effettivamente sia l’agente di questa caduta: si tratta di una libertà pienamente dispiegata e cosciente delle proprie potenzialità a peccare o una libertà non libera? Fino a che punto il primo atto peccaminoso è stato compiuto con totale consapevolezza e volontà? Possiamo parlare di una «sollecitazione» o di un «presupposto

(13)

10

predisponente» al male presente nell’uomo? Se così fosse, ha ancora senso parlare di responsabilità e imputabilità morale del peccato? A tutta questa serie di domande i due autori cercano di fornire una risposta, delineando così una propria concezione del male e del peccato dell’uomo. Se per entrambi parlare di male significa domandarsi come il peccato entrò nel mondo, l’interpretazione offerta, invece, li allontana sensibilmente. Se Schelling concentra la sua attenzione sulla caduta del primo uomo, su questo Dio-divenuto, distante da noi nello spazio e nel tempo ed essenzialmente diverso, Kierkegaard, invece, ritrova nei successori, negli individui post-lapsariani, la stessa dinamica, la stessa essenziale libertà, coscienza e disposizione psicologica che animava il primo uomo, proprio perché pur sempre di uomini, o meglio, di individui esistenti si tratta. L’interesse si sposta, quindi, al rapporto tra peccato e peccaminosità, tra primo peccato e stato del peccato.

Infine, l’ultimo capitolo passa a scrutare l’uomo nell’abisso in cui, per propria colpa, è caduto. Si tratta di uno stato di angoscia e di disperazione, di non-verità, di coscienza alienata, in cui, tuttavia, per entrambi gli autori sopravvive un rapporto a quella libertà che sembrava perduta. Per Schelling, la sopravvivenza di questa relazione si traduce nella nostalgia di una passata “età aurea” e nel desiderio della sua restaurazione che pervade tutto il creato. Anche la coscienza dell’uomo, sebbene nello stato presente si presenti come una tabula rasa, aspira continuamente e instancabilmente ad un sapere attualmente non posseduto, ma sentito come “familiare”. Anche nel suo stato di più intensa perdizione, la coscienza dell’uomo è coscienza-di-Dio, è coscienza che pone Dio. La relazione con Dio, quindi, non è mai totalmente recisa. In Kierkegaard il mai estinto rapporto con la possibilità della libertà è ciò che anima il logorante conflitto che si consuma nell’interiorità del peccatore, di quello che il filosofo chiama l’individuo “demoniaco”. Egli si stringe sempre più al suo peccato, sprofonda sempre più nella sua disperazione quanto più sente premere dall’esterno il richiamo della libertà e della verità, o detto in altri termini, della Rivelazione.

(14)

11

In questo capitolo, quindi, l’interesse è rivolto soprattutto all’analisi del rapporto di un individuo già peccatore al passato che per propria colpa ha perduto e al futuro che gli verrà restituito non per proprio atto, ma tramite quella concessione divina che è la Rivelazione.

(15)

12

Per snellire le note vengono utilizzate le seguenti abbreviazioni:

SW: F. W. J. von Schellings sämmtliche Werke, Hg. v. Karl F. August Schelling. 1. Abt.: 10 Bde. (= I-X); 2. Abt.: 4 Bde. (= XI-XIV). Stuttgart/ Augsburg 1856-61.

Auk: Auktionsprotokol over Søren Kierkegaards Bogsamnling, tr. it.: Protocollo d’asta della biblioteca di Søren Kierkegaard), a cura di H.P. Rhode, København, 1967.

SKS: Søren Kierkegaards Skrifter (Scritti di Søren Kierkegaard), a cura di N. J. Cappelørn, J. Garff, J. Kondrup et alii, København, 1997-2003.

Pap: Søren Kierkegaards Papirer (Carte di Søren Kierkegaard), 11voll, 20 tomi, a cura di P. A. Heiberg, V. Kuhr, E. Torsting, København 1909-48.

B&A: Breve og Akstykker vedrorende Søren Kierkegaard, vols. I-II, a cura di Niels Thulstrup, Munksgaard, København, 1953-4.

AE: Afsluttende uvidenskabelig Efterskrift til de philosophiske Smuler (1846), tr. it. di C. Fabro. Postilla conclusiva non scientifica alle «Briciole di filosofia», in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche (1846), Bompiani, Milano, 2013.

BI: Om Begrebet Ironi med stadigt Hensyn til Socrates (1841), tr. it. di D. Borso, Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate, Guerini e Associati, Milano, 1991. EE: Enten-Eller (1843), tr. it. con il titolo originale di A. Cortese, voll. I-IV, Adelphi, Milano, 1976-1989.

FB: Frygt og Bæven (1843), tr. it. di C. Fabro, Timore e Tremore, in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche, Bompiani, Milano, 2013.

BA: Begrebet Angest. En simpel psychologisk-paapegende Overveielse i Retning af det dogmatiske Problem om Arvesynden (1844), tr. it. di C. Fabro, Il concetto dell'angoscia. Semplice riflessione per una dimostrazione psicologica orientata in direzione del problema dogmatico del peccato originale, in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche, Bompiani, Milano, 2013.

G: Gjentagelsen. Et Forsøg i den experimenterende Psychologi af Constantin Constantius (1843), tr. it. di D. Borso, La ripetizione, BUR, Milano 2008.

(16)

13

IC: Indøvelse i Christendom (1850), tr. it. di C. Fabro, Esercizio del cristianesimo, in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche, Bompiani, Milano, 2013.

PS: Philosophiske Smuler eller En Smule Philosophi af Johannes Climacus udgivet af S. Kierkegaard (1844), tr. it. di C. Fabro, Briciole filosofiche, cioè una filosofia in briciole, in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche, Bompiani, Milano, 2013. SD: Sygdommen til Døden. En christelig psychologisk Udvikling til Opbyggelse og Opvækkelse (1849), tr. it. di C. Fabro, La malattia mortale, in Søren Kierkegaard, Le grandi opere filosofiche e teologiche, Bompiani, Milano, 2013.

D: Diario, a cura di C. Fabro, 2. ed. rivista, 2 voll. (Vol. 1: 1834-1849; Vol. 2: 1849-1855), Morcelliana, Brescia,1962-1963.

(17)

14

Capitolo I:

Kierkegaard e Schelling: alcuni dati storici

Per l’esistente non ci sono ora che due vie: o egli può far tutto per dimenticare che è un esistente e così cade nel comico [...] perché l’esistenza ha questa proprietà particolare che l’esistente esiste, che gli piaccia o no. Oppure può concentrare la sua attenzione sul fatto ch’egli esiste. Sotto quest’aspetto bisogna fare a tutta la filosofia moderna l’obiezione ch’essa non ha un presupposto falso

ma uno comico, in quanto ha dimenticato in una specie di distrazione cosmico-storica ciò che significa essere uomo: non ciò ch’è essere uomo in generale [...], ma cos’è che io, tu, lui, che noi siamo uomini ciascuno per sé17

(Søren Kierkegaard)

La filosofia moderna dell’età moderna somiglia a una premessa senza conclusione, per la quale ultima viene ancor sempre atteso invano il libro. Un francese moderno dice molto giustamente: la filosofia è stata finora una semplice tangente della vita umana, essa l’ha toccata, ma poi s’è sviluppata semplicemente accanto a essa18

(F. W. J. Schelling)

1. Kierkegaard uditore di Schelling

A Berlino Schelling giunse nel 1841 per ricoprire la cattedra precedentemente occupata da Hegel. Il suo trasferimento nella grande capitale tedesca non fu soltanto un evento di notevole portata filosofica – come dimostra la grande affluenza alle sue lezioni19 – ma anche

17 AE, 905.

18 Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 295.

19 Il successo di questo primo corso berlinese di Schelling è attestato dai numerosi accenni fatti da Kierkegaard

a vari destinatari delle sue lettere: «Schelling legge davanti ad uno scelto, numeroso e nello stesso tempo

(18)

15

politico-istituzionale. Possiamo ipotizzare, infatti, che la scelta del nuovo professore sia ricaduta proprio sul vecchio Schelling per rispondere ad una più ampia strategia e astuto disegno politico. L’appena nominato re, Federico Guglielmo IV, convinto teorico della reazione ed esponente del “Romanticismo politico”, sperava, attraverso la persona di Schelling, di contrastare il fervido ambiente politico e culturale nascente: l’ala progressista e liberale della scuola di Hegel, più nota oggi con il nome di “sinistra hegeliana”. Essa, infatti, costituiva una spina nel fianco del novello sovrano, con la sua polemica religiosa20, che si spingeva talvolta anche al più convinto ateismo, e con le sue idee politiche rivoluzionarie – dalla democrazia radicale al comunismo o anarchismo.

Una delle principali motivazioni del successo e dell’interesse sollevato dal corso di Schelling fu la curiosità che il suo nuovo progetto filosofico aveva destato nel pubblico e nell’ambiente accademico e filosofico del tempo. Infatti, da anni il filosofo aveva promesso molto, senza mai concretizzarlo in un’opera compiuta. Fatta eccezione per le Divinità di Samotracia (1815)21 e la Prefazione agli Scritti filosofici di Victor Cousin (1834)22, Schelling non aveva dato niente alle stampe per circa una trentina di anni. Tutto ciò che il pubblico poteva sapere era il frutto della frequentazione delle sue lezioni tenute in quegli anni a Stoccarda (1810), Erlangen (1820-27) e a Monaco (1827-41) e della circolazione di appunti dei suoi corsi – alcuni dei quali pubblicati senza la sua approvazione. Anche

vita. In vita mia, non mi sono mai trovato in una situazione così penosa: eppure che cosa non si fa per ascoltare Schelling?»; «Schelling sta parlando ad uno straordinario pubblico»; «Schelling ha cominciato, ma con tanto frastuono e baccano, fumo di pipe, picchiare alle finestre di quelli che non han potuto entrare dalla porta, davanti a un auditorio così pigiato che si è quasi tentati di rinunciare ad ascoltarlo, se continua così. Mi sono trovato tra prezzi grossi: il Prof. Werder e il Dr. Gruppe. Lui, Schelling, a vederlo pare un uomo assolutamente insignificante, un esattore delle tasse; ma ha promesso che farà fiorire la scienza e noi con essa, cosa che egli ha meritato da tanto tempo, e sua massima aspirazione» (Lettera a Sibbern, 15 Dicembre 1841: Brev, SKS, 28, 269; Lettera al Pastore Spang, 18 Novembre 1841: Brev, SKS, 28, 82. Cfr. Spera, S., Il pensiero del giovane

Kierkegaard, Cedam, Padova, 1997, p. 65).

20 Come esempi di questa polemica religiosa possiamo ricordare la Vita di Gesù (1835) di David Friedrich

Strauss, l’Essenza del Cristianesimo (1841) di Ludwig Feuerbach e la Critica dei Vangeli Sinottici di Bruno Bauer (1840-42).

21 Schelling, F. W. J., Über die Gottheiten von Samothrace, in SW VIII, pp. 345-424. 22 Idem, Vorrede zu einer philosophischen Schrift des Hrn. Victor Cousin in SW X, p. 201.

(19)

16

Kierkegaard, sebbene non avesse precedentemente assistito a nessuno di questi corsi, fu particolarmente incuriosito e, inizialmente, positivamente colpito dalle promesse schellinghiane. Il filosofo tedesco, infatti, a «un desiderio di un sapere momentaneo, o più formale che reale» opponeva «lo sviluppo di un sistema che fosse abbastanza forte da reggere alla prova della vita, che non corresse il pericolo di impallidire lentamente dinanzi ai grandi oggetti proposti dalla realtà, e infine di volatilizzarsi in un fumo vuoto; di un sistema, cioè, che doveva piuttosto guadagnare in forza e in potenza con il progresso nell’esperienza della vita e con la conoscenza sempre più profonda e penetrante della realtà»23.

Incoraggiato da queste promesse, Kierkegaard decide di partire alla volta di Berlino per seguire personalmente le lezioni. Viaggiare aveva per Kierkegaard certamente un significato particolare e un valore simbolico: soltanto due volte prima di Berlino egli aveva lasciato la sua città natale ed entrambi i viaggi erano avvenuti in coincidenza di eventi cruciali nella sua vita. Nel 1834, infatti, si recò a Gilleleje, nel nord della Sjælland, dopo la morte della madre; nel 1838 compì un pellegrinaggio verso Sæding, dopo la morte del padre. Berlino, quindi, fu la prima meta estera di Kierkegaard e, a dispetto dei precedenti viaggi, fu per lui non solo un’occasione e un’opportunità di riflessione personale, ma soprattutto di istruzione e produzione24. Infatti, oltre alle già menzionate lezioni di Schelling, Kierkegaard seguì qui quelle di Philipp K. Marheineke25, Karl Werder26, Henrik Steffens27 e Friedrich A. Trendelenburg. L’insegnamento di quest’ultimo, in particolare, fu di considerevole

23 Idem, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 293.

24 Nonostante il suo predominante valore filosofico e produttivo, anche questo viaggio è anticipato e

occasionato da rilevanti avvenimenti biografici: la rottura del fidanzamento con Regine Olsen e la fine del suo percorso accademico.

25 Lezioni su Die Christliche Dogmengeschichte. Cfr. Notebook 9 e Notebook 10 in SKS K19.

26 Corso su Logik und Metaphysik mit besonderer Rücksicht auf die bedeutendsten älteren und neueren System.

Cfr. SKS K 19, 278-82; 382; B&A, vol. I, 84 / LD, Letter 55, 107; B&A, vol. I, 93; LD, Letter 61, 119.

27 Steffens tenne a Berlino un corso sull’antropologia che, tuttavia, deluse profondamente Kierkegaard, al punto

da non solo spingerlo a interrompere la frequentazione delle lezioni, ma anche le sue visite personali. Cfr. Lettera a Sibbern, B&A, vol. I, 83f / LD, Letter 55, 106f; Lettera a Spang (18 Novembre 1841), B&A, vol. 1, 77/ LD, Letter 51, 97.

(20)

17

importanza per lo sviluppo successivo del pensiero kierkegaardiano, costituendo, insieme a Schelling e all’ambiente hegeliano danese, uno dei più importanti veicoli della conoscenza e della critica alla filosofia di Hegel.

Il frutto della frequentazione del corso di Schelling sono le molte lettere inviate a familiari e amici, in cui, insieme ad aneddoti, racconti e valutazioni delle neo vita berlinese, Kierkegaard espresse il suo mutevole parere sulle lezioni di Schelling28. Troviamo poi,

qualche anno dopo, riferimenti alla nuova filosofia positiva, presentata dal tedesco proprio in questo corso, in diverse opere kierkegaardiane, ma con maggior insistenza ed in modo esplicito nel Concetto dell’angoscia. Tuttavia, la testimonianza più viva della partecipazione a questo corso è senza dubbio il Referat, una collezione di appunti dello stesso Kierkegaard. Più nel dettaglio, si tratta di 40 annotazioni, prevalentemente in danese, ognuna delle quali riproduce una singola lezione di Schelling, della durata di un’ora e poi di due a partire dal 1 Febbraio 1842. L’ultima annotazione risale al 4 febbraio 1842, in cui è riportata soltanto la data. Tuttavia, come si evince dal Diario, Kierkegaard continuò a frequentare le lezioni, senza prendere appunti, fino al 4 marzo, due settimane prima della fine del corso. Si tratta, tuttavia, della pedissequa riproduzione delle parole pronunciate ex cathedra da Schelling, di una loro mera trascrizione. Infatti, come constatato da Olesen, «che cosa è interessante degli appunti di Kierkegaard è che cosa lui ascoltò e non la sua opinione riguardo cosa ascoltò»29.

In quegli anni il giovane Kierkegaard era ancora all’inizio della sua carriera filosofica: aveva da poco discusso e dato alle stampe la sua tesi di dottorato, Sul concetto di ironia in costante riferimento a Socrate, e si accingeva a scrivere Enten-Eller. Seppur agli esordi della

28 Cfr. Not5 :18, SKS 19, 185; Not8 :33 1841, SKS 19, 235; Not11 :20, SKS 19, 331; Not11 :20, SKS 19, 331;

Brev 86 1842, SKS 28, 168; Brev , SKS 28, 144; Brev , SKS 28, 167; Brev , SKS 28, 151; Brev , SKS 28, 164; Brev , SKS 28, 269; Brev , SKS 28, 268; Brev , SKS 28, 312.

29 Trad. it. mia. «What is interesting about Kierkegaard´s notes is therefore what he heard and not his opinion

about what he heard» (Olesen, T. A, Schelling: A Historical Introduction to Kierkegaard´s Schelling, in

Kierkegaard and His German Contemporaries, in Kierkegaards Research: Sources, Reception and Resources,

(21)

18

sua produzione, Kierkegaard era tuttavia già spinto da quello che sarebbe rimasto il suo interesse centrale: l’esistenza. In una lettera al fratello Pietro, egli rivela tutto il suo entusiasmo e tutte le sue aspettative rivolte a Schelling:

Io sono così contento di aver sentito la seconda lezione di Schelling, indicibilmente contento. Tanto tempo lo sospiravamo io e i miei pensieri in me. Appena egli, parlando del rapporto tra filosofia e realtà, nominò la parola “realtà”, il frutto del mio pensiero trasalì di gioia come il seno di Elisabetta (Lc. 1, 44). Ricordo quasi parola per parola quel ch’egli disse da quel momento. Da qui forse può venire un po’ di luce. Questa sola parola mi ha fatto venire in mente tutte le mie sofferenze e pene filosofiche. […] Ora ho messo tutta la mia speranza in Schelling30.

Questo suo personale interesse, allora, sembrava trovare riscontro nella tanto decantata nuova filosofia di Schelling, che avrebbe dovuto essere «all’altezza delle grandi esigenze della vita»31, «penetrare nella realtà, fissarsi nel mezzo di questa»32. Inoltre, a prescindere dalla condivisione della medesima “pena filosofica”, il rapporto tra filosofia e realtà, Kierkegaard non poteva essere del tutto indifferente alla filosofia schellinghiana, poiché profondamente presente e diffusa nell’ambiente culturale danese del tempo. È interessante notare, infatti, quanto ampio e profondo sia stato l’impatto delle proposte teoriche del filosofo tedesco nei campi più disparati del sapere della Danimarca di metà ‘800.

30 Pap. III A 179; D, 352.

31 Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 293. 32 Op. cit., p. 295.

(22)

19

Esse vi penetrarono attraverso personalità di spicco dell’epoca: da Henrich Steffens33 a

Hans Christian Ørsted34 nel campo della fisica, a Adam Oehlenschläger35 in poesia, da Hans Lassen Martensen36 a Jacob Peter Mynster37, da Grundtvig38 a Christian Molbech39.

33 Henrik Steffens (1773-1845) è stato un filosofo e un naturalista dano-norvegese, tra i più grandi propugnatori

del Romanticismo in Danimarca e futuro collega di Schelling a Berlino. Dalla cattedra all’Elers Kollegium di Copenaghen, egli diffuse gli ultimi sviluppi della filosofia, letteratura e scienze naturali tedesche, che aveva potuto apprendere negli anni di soggiorno in Germania, in particolare a Jena, nel 1799. Qui incontrò personalmente Schelling, con il quale intrattenne un vero e proprio rapporto di “discepolato”. Da quest’ultimo fu particolarmente influenzato circa la visione della natura come totalità dialettica, animata al suo interno dalla collisione degli opposti e direzionata finalisticamente. Steffens tenne lezioni a Berlino contemporaneamente a Schelling, come testimonia Kierkegaard stesso, che personalmente seguì entrambi i corsi. In una lettera al pastore Spang, datata 18 Novembre 1841, Kierkegaard comunica le sue personali impressioni su entrambi i professori. A proposito di Steffens, annota: «The streets are too broad for my liking and so are Steffens’ lectures. One cannot see from one side to the other nor keep track of the passersby, just as with Steffens’ lectures; but of course, the passersby are exceedingly interesting, just as Steffens’ lectures are, I think Steffens resembles Reitzel. Have you ever seen him? – I do not mean Reitzel, but Steffens» (Kierkegaard, S., Letters

and Documents, translated by Rosenmeier, H., Princeton University Press, New Jersey, pp. 95-96).

34 Hans Christian Ørsted (1777-1851) è stato un fisico e chimico danese, il cui nome è solitamente associato

alla teoria dell’elettromagnetismo. Professore di fisica all’Università di Copenaghen dal 1806, strinse contatti personali con Schelling, consolidati nei suoi viaggi in Germania (a Erlangen nel 1823, a Monaco negli anni ’30 e, infine, a Berlino nel 1843). Attraverso l’intercessione del fisico e filosofo della natura Ritter, Ørsted fu influenzato a sua volta dalla filosofia della natura di Schelling. Da costui ereditò una dottrina della natura come totalità onnicompresiva e l’idea che le leggi che governano la natura siano le stesse leggi della ragione. Quest’ultima, in particolare, fu una tesi di grande portata, soprattutto per le sue implicazioni filosofiche. Sostenere questa identificazione comportava, infatti, un’equiparazione tra le operazioni di Dio e quelle naturali, rendendo possibile una conciliabilità e convivenza tra religione e ragione. Questa posizione non poteva certamente essere appoggiata da Kierkegaard, convinto sostenitore di un’abissale differenza qualitati

va tra il finito e Dio: «The Berlingske Tidende trumpets Ørsted’s book (The Spirit in Nature) as a work which will clear up the relations between faith and science, a work which “even when it is polemical always uses the finest phrases of the cultured urbanite”. One is tempted to answer: The whole book from first to last is scientifically – that is, philosophically-scientifically – insignificant, and even when it tries to be most significant it always moves in the direction of the most insignificant phrases of triviality» (Stewart, J.,

Kierkegaard and His Contemporaries: The Culture of Golden Age Denmark, Walter de Gruyter, Berlin-New

York, 2003, p. 9). Kierkegaard aveva presumibilmente una certa familiarità con le concezioni di Ørsted, possedendo personalmente la sua opera e avendolo avuto come membro della commissione di dottorato.

35 Adam Oehlenschläger (1779-1850), poeta danese formatosi alla scuola di Steffens, fu ilmassimo

rappresentante del romanticismo nei paesi scandinavi. Egli segna la nascita di una nuova poetica, introducendo gli ideali romantici tedeschi, uniti a richiami ad Omero e ai tragici greci, alla tradizione medievale nordica e a grandi poeti come Shakespeare e Schiller.ll suo poema I corni d'oro (Guldhornene) del 1802, infatti, è considerato il manifesto del romanticismo nordico. In quest’opera, frutto della collaborazione con Steffens, molti sono i richiami schellinghiani e altrettanto schellinghiana appare la sua visione panteistica della natura.

36 Hans Lassen Martensen (1808-1884) fu docente e vescovo luterano danese della Chiesa di Danimarca. Dopo

Heiberg, fu uno dei maggior esponenti dell’hegelismo danese. Prima lettore di Teologia Sistematica all’Università di Copenaghen, divenne professore ordinario nel 1840. La sua opera principale fu la Dogmatica

Cristiana, in cui cercò di conciliare l’uso del metodo speculativo con la teologia, senza compromettere la

rappresentazione di un Dio personale. Per un maggior approfondimento rimando all’articolo di Stewart, J.,

Kierkegaard and Hegelianism in Golden Age Denmark, in Kierkegaard and His Contemporaries The Culture of Golden Age Denmark, cit., pp. 106-145.

37 Jacob Peter Mynster (1775-1854) è stato un teologo e vescovo luterano danese, uno dei massimi esponenti

della Chiesa danese, cappellano di corte e guida spirituale della famiglia Kierkegaard. L’influenza esercitata da Schelling in questo caso fu “negativa”. Come si evince da alcune sue critiche al poeta Oehlenschläger, molte posizioni del filosofo tedesco non entusiasmarono Mynster. In particolare, egli non condivideva l’assimilazione del Cristianesimo alla mitologia e al panteismo – temi, invece, presenti nell’opera schellinghiana ed, in particolare, nei corsi sulla Filosofia della Mitologia e della Rivelazione. Un’ulteriore conferma della sua presa

(23)

20

Gli anni ‘40 saranno, invece, per Schelling gli ultimi decenni di produzione filosofica. A questo periodo risale la maturazione di questioni e problematiche contenute in nuce già nell’opera del 1809 e oggetto delle lezioni del periodo monachese. Se, infatti, si opta per evidenziare gli elementi di continuità con la fase precedente, il corso sulla Filosofia della Rivelazione può essere considerato una possibile risposta all’annosa questione che aveva iniziato ad animare la filosofia schellinghiana anche prima delle Ricerche filosofiche, già dal Bruno40 (1802) e da Filosofia e Religione41 (1804): il passaggio dall’Assoluto al finito.

In quest’opera del 1802, Schelling sembra introdurre uno stato intermedio tra il puro Assoluto e il finito come tale e completamente esterno a Dio. Si tratterebbe dell’essere che

di distanza dalle posizioni schellinghiane emerge dall’opposizione a Ørsted, che, come messo in luce precedentemente, era stato influenzato dalla filosofia della natura di Schelling, soprattutto nella sua opera Lo

spirito della Natura. Tuttavia, Mynster sembra appoggiare Schelling relativamente alle sue critiche alla

filosofia hegeliana. In un suo articolo, Razionalismo, Sovrannaturalismo, Mynster indica Schelling come una possibile alternativa al sistema hegeliano. Cfr. Saxbee, J., The Golden Age in an Earthen Vessel: The Life and

Times of Bishop J.P. Mynster, in Kierkegaard and His Contemporaries The Culture of Golden Age Denmark,

cit., pp. 149-163.

38 Nicolai Frederik Severin Grundtvig (1783-1872) è stato una figura poliedrica nel panorama culturale danese

ottocentesco. Poeta, storico, pedagogo, politico e riformatore, teologo e filologo, per la storia danese è importante anche per aver sviluppato l’idea di una “istruzione popolare” permanente, in cui ruolo chiave è svolto dalla lingua. Per dare un’idea dell’impatto delle sue concezioni sulla cultura e società danese, basti pensare che, sebbene non compose mai un sistema teologico o filosofico, «le sue idee religiose hanno influenzato la chiesa danese, le sue idee sull’educazione hanno influenzato il sistema educativo e la cultura, la sua opera riformatrice ha avuto sulla società un’influenza tale da agire come catalizzatore, riunendo una intera classe di contadini intorno alla Sinistra nella lotta contro i grandi proprietari terrieri e la classe urbana dei funzionari» (AA. VV., Dai Gesta danorum alla Scena del Crimine, Iperborea, 2012, Milano, p. 29). Egli criticò aspramente la filosofia della natura di Schelling. Nella sua opera del 1812, Cronaca universale (Verdenskrøniken), accusava Schelling di una dottrina troppo lontana, se non contraria al Cristianesimo. Grundtvig conobbe la proposta teorica schellinghiana attraverso le lezioni di Steffens, la lettura diretta di alcune opere giovanili di Schelling stesso, il Bruno e le Lezioni sullo studio accademico, e di alcuni testi di Schiller e Novalis. I principali capi di accusa erano l’idea di una possibile conciliazione, armonizzazione degli opposti, poiché avrebbe comportato inevitabilmente l’eliminazione dell’opposizione tra bene e male; il più generale panteismo; la mitologizzazione del Cristianesimo. A proposito della recezione di Schelling da parte di Grundtvig rimando al lavoro di Ingrid Basso, Kierkegaard uditore di Schelling. Tracce della filosofia

schellingiana nell'opera di Søren Kierkegaard, cit. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra Grundtvig e

Kierkegaard, cfr. Garff, J., SAK. Søren Aabye Kierkegaard. En biografi (2005), tr. it: SAK, Soren Aaebye

Kierkegaard: una biografia, Castelvecchi, Roma, 2013.

39 Christian Molbech (1783-1857) fu storico e linguista danese, membro del circolo romantico danese. Conobbe

personalmente Schelling a Monaco negli anni ’20, divenendone fervente seguace. Sarà, infatti, Molbech ad esporsi pubblicamente, attraverso il canale giornalistico, contro le posizioni anti-schellinghiane di Grundtvig. In questo modo Molbech scatenò un vero e proprio dibattito con l’antagonista, che a sua volta replicò alle critiche ricevute con lo scritto Replica della Cronaca. Ciò che, in breve, Molbech imputava a Grundtvig è di aver fornito non una visione “universale”, ma la sua personale concezione e di avere una comprensione limitata e fallace di Schelling, a cui, per questo, non era in grado di contrapporre una sensata e solida teoria.

40 Schelling, F. W. J., Bruno, oder über das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge, in SW IV, p. 213. 41 Idem, Philosophie und Religion, in SW VI, p. 11.

(24)

21

è “finito” e diveniente, ma che ha ancora Dio in sé, e che allo stesso è in grado di produrre un vero e radicale finito. Il distacco dall’Assoluto, allora, viene reso possibile solo mediante un finito che sia al contempo divino e non divino. In Filosofia e Religione, invece, il problema del passaggio dall’Assoluto al finito viene interpretato nei termini di una caduta (Abfall) del molteplice finito, una soluzione questa che, piuttosto, moltiplicherà le difficoltà teoriche e spingerà il pensiero in una serie di numerose contraddizioni42. La caduta diviene,

dunque, quel «concetto-limite» contro cui si infrange la filosofia dell’identità, portando alla luce la sua incapacità di fornire le ragioni metafisiche della deducibilità del finito: «In questo senso, il concetto di caduta rappresenta un “concetto-limite”, la cui funzione è quella di porre in evidenza il bisogno di un superamento della visione dell’Assoluto come identità a favore del pieno riconoscimento dello spicco irrinunciabile dell’esistere concreto»43.

Come evidenziato da Bausola, «il legame peculiare tra Filosofia e Religione e filosofia positiva [...] sta [...] nella dottrina del distacco del finito dall’Assoluto, la quale costituisce appunto il trait d’union tra le due fasi del cosiddetto ultimo Schelling (sia pur con le moltissime differenze che poi si insediano nel terreno comune)»44.

I germi della futura filosofia positiva, infatti, sono già presenti nelle lezioni del periodo monachese, le quali erano volte alla sistemazione dei frutti di questo suo pensiero più recente. Si tratta di una fase di vita filosoficamente proficua per Schelling. Egli è una vera e propria fucina di idee, che, tuttavia, non riesce a cristallizzare in un prodotto compiuto. Il risultato di questi anni è il grande progetto della “filosofia positiva”, una filosofia, cioè,

42 Per un maggiore approfondimento delle questioni aperte e dalle difficoltà insolute della teoria della caduta

in Filosofia e Religione, rimando a Millucci, M., La funzione introduttiva di «Philosophie und Religion»: il

finito come nulla e il «concetto-limite» del sistema dell’identità, in Idem, La «Freieitschrift» del 1809 come momento decisivo tra la filosofia dell’identità e il rilievo dell’esistenza nel pensiero di Schelling, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vita e pensiero, Milano, Vol. 88, No. 2, aprile-giugno 1996, pp. 207-211.

43 Op. cit., p. 211.

44 Bausola, A., Saggio introduttivo: La Filosofia della Rivelazione al vertice speculativo del pensiero di Schelling, in Schelling, Philosophie der Offenbarung (1841-1842), cit., p. XXV.

(25)

22

“storica”, contrapposta a una scienza puramente “logica” e, per questo, “negativa”45. Il corso

berlinese costituisce, forse, la più completa, brillante e sistematica presentazione di questo risultato filosofico: «In nessun altro scritto di Schelling è dato trovare, forse, una sistemazione altrettanto ordinata, chiara e completa di tutti i momenti essenziali dell’ultima speculazione del filosofo»46.

Questo progetto filosofico sorge in Schelling come alternativa e risposta alla generale insoddisfazione per i sistemi filosofici del suo tempo, i quali «ci offrono soltanto un surrogato indigesto, un sapere in cui il pensiero non si eleva mai al di sopra di sé e progredisce soltanto dentro se stesso»47. Rimanendo confinati su un piano meramente logico, essi non sono così in grado di afferrare l’esistenza degli oggetti, del loro contenuto, che deve, quindi, essere presupposta. La nuova filosofia positiva, infatti, si fonda sulla preliminare distinzione tra essenza ed esistenza, una distinzione erroneamente interpretata e accantonata dalla filosofia negativa e, in particolare, da Hegel. Quest’ultima, infatti, invece di mettere in luce l’irriducibilità di pensiero ed essere, avanza la convinzione di una loro identità, partendo dall’Idea che contiene già tutto in sé e che deve solo esplicitarsi:

Questa filosofia progrediva da ciò che era determinato relativamente come non ente, e perciò conoscibile, a ciò che è pensabile ancora soltanto come essente, e perciò a qualcosa che [...] era da determinare come non più conoscibile; il che voleva appunto dire a un trascendente, poiché esso sporgeva oltre questa scienza. Ma, appunto, questo progredire da ciò che è relativamente

45 Kierkegaard stesso, in una lettera a F. C. Sibbern, datata 15 Dicembre, illustra le intenzioni programmatiche

di Schelling in relazione al suo nuovo progetto filosofico, che andrà esponendo nel ciclo di lezioni in corso: «Schelling legge davanti ad un uditorio straordinario, per dimostrare la sua scoperta che ci sono due filosofie, una negativa e una positiva. Hegel non è nessuna delle due, la sua filosofia è uno spinozismo raffinato. La filosofia negativa è data dalla filosofia dell’identità, la positiva deve darla lui adesso, e così porterà la scienza alla sua vera altezza» (Lettera a Sibbern, 15 Dicembre 1841: Brev, SKS, 28, 269).

46 Bausola, Saggio introduttivo: La Filosofia della Rivelazione al vertice speculativo del pensiero di Schelling,

cit., p. VII.

47 Schelling, Münchener Vorlesungen zur Geschichte der neueren Philosophie, tr. it. di Durante, G.: Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna, Laterza, Roma-Bari, 1996.

(26)

23

non ente all’ente, cioè all’ente secondo la sua natura e il suo concetto, fu considerato come una successiva realizzazione dell’Idea, mentre era soltanto una successiva elevazione o incremento del concetto, il quale rimaneva, pur nella sua più alta potenza, concetto, senza che con ciò fosse dato un passaggio all’esserci effettivo, all’esistenza48.

Lo sforzo teorico di Schelling è, quindi, orientato alla ricerca di un sapere sui generis in grado di cogliere l’esistenza di un Dio liberamente creatore, ma senza ricorso alla fede, senza ripiombare, cioè, in un dualismo gnoseologico kantiano49. Egli tenta di affermare Dio con

un atto teoretico, anche se non razionale, nella convinzione che la ragione non esaurisca il sapere. Schelling, infatti, concepisce la ragione come quella facoltà conoscitiva in grado di cogliere solo il possibile, l’essenza degli enti, la loro natura, non il loro essere attuale, la loro esistenza, che solo l’esperienza può afferrare. Si tratta di una facoltà deduttiva, capace di partire da un’essenza e derivarne una rete di attributi e relazioni essenziali, tra i quali rimane esclusa l’esistenza. L’esistenza di un qualsiasi singolo oggetto è e rimane del tutto irriducibile alla ragione, indeducibile e impenetrabile, in quanto la presenza di quel singolo, di quel tode ti, come lo chiamava Aristotele, l’esserci di quel singolo colpisce la ragione come un extra-razionale. Solo l’esperienza si rivela, quindi, in grado di affermare se questo possibile contenuto della ragione sia anche attuale.

48 Idem, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 121.

49 Schelling stesso prende le distanze e mette in luce i limiti della posizione kantiana, a cui, con la sua filosofia

positiva vuol porre rimedio. Se il merito di Kant, rispetto alla teologia razionale, è stato l’aver riconosciuto in Dio il contenuto necessario, e non già accidentale, della più alta idea della ragione, tuttavia egli esclude la possibilità per la ragione di conoscere e provare l’esistenza di Dio. La ragione necessariamente si sforza verso questa idea più alta, cerca di ricollegare tutto ad essa, ma finisce per non poter iniziare nulla con essa. Dio doveva rimanere semplicemente la più alta idea e questa idea sempre e soltanto di uso regolativo: «La religione rivelata presuppone un Dio che si rivela, epperciò agente e reale. Da un Dio provato come esistente, che l’antica metafisica credeva di avere, era possibile un passaggio al Dio che si rivela; di un Dio che è soltanto la più alta idea della ragione, invece, si poteva dire soltanto in un senso sommariamente improprio che Egli si rivela alla coscienza, in un modo totalmente diverso da quello in cui il credente nella Rivelazione parla della Rivelazione stessa» (op. cit., p. 75).

(27)

24

La differenza e il passaggio dalla filosofia negativa alla filosofia positiva si gioca, dunque, intorno al rapporto tra ragione ed esperienza. La filosofia negativa, infatti, è confinata al piano del pensiero: partendo unicamente da questo, costruisce tutto il suo contenuto a priori. La ragione da sola può al massimo farsi oggetto a se stessa e scoprire così che a se stessa come soggetto, come infinita potenza di conoscere, corrisponde come suo contenuto innato e connaturato, l’infinita potenza d’essere – il contenuto possibile e primo di ogni ente50. Essa,

quindi, per poter essere sapere di questo o quello, sapere di un contenuto specifico e determinato, deve essere in primis ragione in quanto tale, assoluta, incondizionata. Rivolgendosi a se stessa e pensandosi non come già ragione in atto, ma come pura ragione, essa si scopre, si sa come infinita potenza51:

50 In questo consiste ciò che Schelling chiama «scienza della ragione» in riferimento a Fichte. A quest’ultimo,

infatti, spetterebbe il merito di aver determinato il concetto di una scienza incondizionata della ragione, scienza in cui la ragione sta sempre soltanto di fronte a sé ed è tanto il conoscente quanto il conosciuto. Heidegger, invece, sottolinea maggiormente il ruolo anticipatore e fondatore di Kant. Per Kant, la filosofia èteleologia

rationis humanae, sapere che ha la ragione come strumento di conoscenza, ma anche come oggetto della

scienza. In realtà, se esaminate più da vicino, queste due posizioni concordano sull’importanza ma anche sul limite della prospettiva kantiana rispetto al successivo idealismo (anche se i limiti riconosciuti sono ben diversi per i due autori). Per entrambi Kant non sembrerebbe affiancare alla sua critica una parte costruttiva. Tuttavia in Heidegger leggiamo: «A Kant è riuscita una critica, cioé al tempo stesso una delimitazione positiva dell’essenza della conoscenza come esperienza, ma egli ha omesso di fondare l’essenza di quella stessa conoscenza che si attua come critica» (Heidegger, M., Schellings Abhandlung Über das Wesen der

menschlichen Freiheit (1809). Sommersemester 1936, tr. it: Schelling. Il trattato del 1809 sull’essenza della libertà umana, Guida editori, 1998, p. 89); in Schelling, invece: «Kant riteneva che si desse una conoscenza a priori delle cose, ma da questa conoscenza a priori escluse la cosa più importante, e cioè l’esistente stesso,

l’in-sé, l’essenza delle cose, ciò che in esse propriamente È». Per entrambi, inoltre, questa limitatezza viene superata da Fichte. Per Heidegger, Fichte offre nella sua Dottrina della scienza «la fondazione del sistema nella sua sistematicità», una fondazione dei fondamenti. In questo modo, egli apre agli sforzi filosofici dell’idealismo, che troverà il fondamento del sistema nella Ragione stessa che conosce se stessa: «Il sapere assoluto è sapere dell’Assoluto, nel duplice senso che l’Assoluto è ciò che sa e ciò che è saputo, né solo l’uno né solo l’altro, bensì tanto l’uno quanto l’altro, in una unità originaria di entrambi. [...] Solo dal momento in cui questa rappresentazione del sistema come sistema assoluto della ragione diventa consapevole di sé nel sapere assoluto, al sistema è data una fondazione assoluta, a partire da se stesso, cioè esso è autenticamente matematico, certo di sé, fondato sull’autocoscienza assoluta e abbracciante tutti gli ambiti dell’ente. E quando in questo modo il sistema si sa come necessità incondizionata, l’esigenza del sistema non è più soltanto qualcosa di esteriore, ma ciò che vi è di più profondo, ciò che è primo ed ultimo» (op. cit., pp. 97-98). Per Schelling, invece, Fichte oltrepassa Kant nella misura in cui costruisce una scienza totalmente a priori, «una filosofia assoluta, nulla presupponente, in cui nulla dev’essere accettato come dato da altre fonti, ma tutto dev’essere dedotto secondo una successione conforme alle leggi dell’intelligenza, da un Prius assoluto, da ciò che unicamente si puó porre in modo immediato» (Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 83).

51 Questa posizione, sebbene a prima vista possa apparire assimiliabile a quella del Sistema dell’Idealismo trascendentale, in realtà presenta sostanziali differenze. Nell’opera giovanile, infatti, Schelling sostiene che il

sapere sa se stesso in quanto si fa, come sapere, oggetto di se stesso. In questo modo, soggetto e oggetto, con un procedimento circolare, vengono a coincidere. Qui il sapere, la ragione scopre se stessa come sapere già in atto. Al contrario, nelle Lezioni berlinesi il sapere si sa come infinita potenza di conoscere. Non solo «esso non sarà sapere di sè come sapere in atto di sé come sapere in atto, ma sapere dell’essere» (Bausola, Saggio

(28)

25

La ragione, in quanto dirige se stessa verso sé e diventa oggetto di se stessa, trova in sé il suo Prius, o, ciò che è lo stesso, il soggetto di ogni essere, e in questo essa ha il mezzo, o piuttosto, il principio di una conoscenza a priori di ogni ente. Ora, però, ci si chiede che cosa sia ciò che viene conosciuto in ogni ente in questo modo, cioè a

priori. […] Qui va infatti notato che in ogni ente reale bisogna fare

una distinzione: sono infatti due cose ben diverse sapere che cosa un ente sia, quid sit, e che esso sia, quod sit. Quella – la risposta alla domanda: che cosa è – mi concede una penetrazione nell’essenza della cosa. […] L’altro punto invece – sapere che essa è – non me lo fornisce il semplice concetto, ma qualcosa che va oltre il semplice concetto, che è l’esistenza. […] Un concetto senza una conoscenza reale è possibile, ma non è possibile una conoscenza reale senza un concetto. Infatti, ciò che io in quel riconoscimento giudico come esistente è appunto il che cosa, il quid, cioè il concetto della cosa. Il più compiuto conoscere è propriamente un riconoscere: per esempio, se io conosco una pianta e so cosa essa sia, io riconosco il concetto, che già prima avevo di essa, in quella pianta che è presente, e cioè nell’esistente. […] Che cosa esista, o più precisamente, che cosa esisterà […] questo è un compito della scienza della ragione, questo si lascia conoscere a priori; ma che esso esista, non segue affatto da tale conoscenza. […] Che in generale esista qualcosa, e che in particolare questo elemento determinato, conosciuto a priori, esista nel mondo, la ragione non può mai sostenerlo senza l’esperienza52.

Per riassumere, quindi, la filosofia negativa è allora quella scienza della ragione, nella quale la ragione trova da sé il contenuto di ogni essere, ricavandolo dal suo proprio originario contenuto. Essa giudica e riconosce esistente soltanto il quid. Riprendendo l’esempio dello

introduttivo: La Filosofia della Rivelazione al vertice speculativo del pensiero di Schelling, cit., p. XLIV).

Schelling sostiene questa sua affermazione con una sbrigativa e appena accennata argomentazione: «Poiché a ogni conoscere corrispond eun essere, al conoscere reale corrisponde un essere reale, di conseguenza all’infinita potenza del conoscere non può corrispondere null’altro che l’infinita potenza dell’essere, e questo è dunque il contenuto innato e connaturato alla conoscenza» (Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 105). Nonostante le aporie teoriche riscontrabili in questa convinzione, essa recupera una verità messa da parte dalla filosofia idealistica: il contenuto del sapere, della ragione non è ancora, all’infinito, un sapere, ma l’essere.

(29)

26

stesso Schelling, quando la ragione si rivolge a una pianta realmente esistente, riconosce in essa il concetto che di essa già prima possedeva. L’esistenza, infatti, in quanto attributo accidentale, non cambia né aggiunge niente in modo sostanziale al contenuto dell’esistente. Proprio per questo motivo, la filosofia negativa rimane un’impalcatura astratta, una mera descrizione del conoscibile, un esame delle caratteristiche generali degli oggetti di un’esperienza possibile, che esige di essere integrata con una descrizione del mondo reale.

La ragione è la facoltà di conoscere in generale, la quale, si fa oggetto a se stessa come infinita potenza del conoscere. Il contenuto originario della ragione come infinita potenza del conoscere dovrà essere un contenuto a priori, un contenuto che non è ancora conoscere e che la ragione possiede senza un proprio operare: l’infinita potenza di essere. La caratteristica fondamentale di tale potenza è il suo necessario trapassare nell’essere attuale: essa, modo aeterno, deve, in quanto pensata, trapassare all’essere, ma ad un essere contenuto soltanto nel pensiero. Si tratta di un passaggio necessario, poiché il pensiero non può rimanere bloccato nel poter essere. Tuttavia, tale passaggio non è reale, ma avviene solo entro i confini e i limiti del pensiero53: «Al posto della pura potenza […] appare un ente, ma la determinazione “un ente” è qui soltanto quidditative, non quodditative. […] L’infinita potenza si pone come il Prius di ciò che, attraverso il suo passaggio nell’essere, sorge per il pensiero»54. Per questo, la ragione, da sola, non può spiegare il reale divenire delle cose.

53 Questa distinzione di piani è più volte ribadita da Schelling e su questa si fonda la critica alla parzialità e

limitatezza della filosofia negativa. L’errore di Hegel – a detta di Schelling e successivamente anche di Kierkegaard – consiste, invece, nella pretesa di fare di questo movimento logico, immanente, interamente concettuale anche un movimento reale, un vero e proprio divenire. Provocatoriamente Schelling afferma: «Poiché una volta al concetto di Dio era legata inscindibilmente la rappresentazione dell’esistenza, […] sorsero così quelle abusive e improprie espressioni di un automovimento dell’Idea, parole con le quali l’Idea veniva personificata, e le si attribuiva un’esistenza che essa non aveva e non poteva avere. […] Questo progredire da ciò che è relativamente non ente all’ente, cioè all’ente seconda la sua natura e il suo concetto, fu considerato come una successiva autorealizzazione dell'Idea, mentre era soltanto una successiva elevazione o incremento del concetto, il quale rimaneva, pur nella sua più alta potenza, concetto, senza che con ciò fosse dato un passaggio all’esserci effettivo, all’esistenza. […] Egli ipostatizzò il concetto con l’intenzione di dare al movimento logico – il quale, per quanto lo si prenda indipendentemente da ogni elemento soggettivo, può essere pur sempre soltanto nel pensiero – il significato di un movimento oggettivo, anzi di un processo» (op.

cit., pp. 121; 147). 54 Op. cit., p. 109.

Riferimenti

Documenti correlati

l’habitat dispersé permet une prolifération des hommes et de leurs exploitations. En dehors de ces considérations, qui lui permettent d’aller au plus près qu’il est possible de

Indeed, looking at EEMs, drivers to support their implementation could be defined as factors promoted by one or more stakeholders, stimulating the sustainable adoption

Complete pathological response in a patient with multiple liver metastases from colon cancer treated with Folfox-6 chemotherapy plus bevacizumab: a case report.. Norma

Both the emission intensities of the buried Trp48 (Figure 4 a) and of the exposed Trp129 in the R129W protein (Figure 4 b) and in the W48A / R129W double mutant (Figure 4 c)

cuatrilingüe en la corte napolitana en época aragonesa; con el pro- ceso de renovación radical operado en época Carolina por Garcilaso de la Vega sobre todo, pero también por

Attitudes towards physical activity and exercise in older patients with advanced cancer during oncological treatment - a qualitative interview study. Lavallée JF, Abdin S, Faulkner

lem due to the high healthcare utilization, rising costs of care and limitations of effectiveness of many current treatments.1, 2 Reviews of the literature report a lifetime

 Zu Schreyers teils eher konfuser Wortkunsttheorie siehe Pirsich 1985, S. Schreyers Verfahren der ‚Konzentration‘ meint z. die Reduktion von Sätzen auf einzelne wichtige