4- LA DELIMITAZIONE DI UNA CERTIFICAZIONE: I CASI STUDIO DEL LARDO D
4.2 Il caso del lardo di Colonnata
4.2.1 Le richieste dei produttori
La necessità di difendersi dalla concorrenza sleale e dagli attacchi al prodotto sul fronte igienico-sanitario, unito alla consapevolezza dei produttori riguardo alle potenzialità del loro lardo, determinarono nell‟anno 2000, la nascita dell‟ associazione “Tutela Lardo di
Colonnata”, da parte degli 11 produttori di Colonnata (Rocchi e Romano 2006).
L‟associazione colonnatese, sostenuta da Slow Food, aveva come obiettivo il riconoscimento del prodotto col marchio comunitario IGP35, in modo da ottenere l‟esclusivo diritto di proprietà sul nome Colonnata, restringendo quindi la zona di produzione ai soli confini della frazione del comune carrarese. La richiesta IGP si collocava all‟interno di una strategia di filiera, rivolta alla difesa della reputazione del nome, continuamente soggetto ad abusi da parte di produttori italiani, e alla regolamentazione del suo uso (Rocchi e Romano 2006). I produttori rivendicavano tecniche di produzione uniche ed un microclima non riscontrabile altrove. In effetti, secondo l‟associazione colonnatese, l‟umidità naturale delle grotte in cui venivano poste le conche di marmo contenenti il lardo durante i mesi della stagionatura, rappresentavano le condizioni ottimali, e soprattutto naturali, per la realizzazione del prodotto finito. L‟articolo 6 del disciplinare di produzione proposto dall‟associazione, così descrive gli elementi che caratterizzano il legame tra il lardo di Colonnata e la sua zona di produzione:
“fattori geografici e climatici, consistenti nell'altitudine abbastanza elevata, nella accentuata umidita' dell'ambiente, nelle temperature estive non eccessive e nelle limitate escursioni termiche giornaliere e annuali, che nell'insieme generano un microclima esclusivo particolarmente adatto alla lavorazione e conservazione del prodotto in maniera naturale; fattori economici e sociali, consistenti nel forte radicamento dell'attività di produzione nella vita dei cavatori di marmo di Colonnata, i quali hanno potuto disporre di un alimento fortemente calorico, necessario per sopportare le proibitive condizioni di lavoro nelle cave; fattori produttivi, consistenti nella facile reperibilità' in loco della materia prima, degli ingredienti di base e dello speciale marmo (proveniente dalla localita' dei «Canaloni») necessario per la conservazione del prodotto, nella permanenza del prodotto nella particolare atmosfera delle «cantine» di Colonnata, nonché nell'utilizzo di metodiche di lavorazione e conservazione consolidate nel tempo in forme leali e costanti” (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 2003)
35 La denominazione DOP non era possibile, poiché, la materia prima non proveniva dall‟area apuana. In
base al disciplinare di produzione gli allevamenti di Suini destinati alla produzione di lardo di Colonnata sono situati in Toscana, Emilia Romagna, Veneto Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, lazio e Molise (art 3).
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Parallelamente, nel febbraio 2000, un nuovo gruppo di produttori di lardo delle aree limitrofe, residente nei comuni di Massa, Carrara e Montignoso, e composto da un numero maggiore di componenti, aveva costituito un nuovo consorzio, denominato “Consorzio per
la Tutela dei Salumi Tipici delle Apuane”, che mirava alla tutela dei salumi tipici della
zona. In particolare, la finalità principale del consorzio è riconducibile alla tutela ed alla promozione del prodotto, come segue:
“Tutelare la tradizione e la tipicità del prodotto e delle sue caratteristiche, promuovere e diffondere il consumo e la conoscenza del lardo di Colonnata e di tutti i salumi tipici delle Apuane” (Consiglio di Stato 2004)
Il consorzio aveva inoltrato anch‟esso una richiesta IGP, estesa ad un‟area più ampia, riconducibile ai comuni di Massa, Carrara (di cui Colonnata fa parte) e Montignoso, rivendicando il diritto all‟utilizzo del nome lardo di Colonnata. In effetti, posto che il legame del lardo di Colonnata con l‟intero territorio apuano, risale al medioevo, il consorzio dichiarava di produrre un lardo con caratteristiche organolettiche apprezzate dai consumatori e non inferiori rispetto a quelle realizzate a Colonnata (London Economics 2008). Inoltre, secondo il consorzio, un marchio IGP esteso ad un‟area più vasta, avrebbe creato nuove opportunità di sviluppo per tutta l‟area apuana, notoriamente conosciuta come zona disagiata, ed il conseguente incremento della produzione certificata IGP, sarebbe stato capace di soddisfare la crescente domanda. In effetti, come illustrato nella tabella 4.1, la differenza produttiva tra l‟associazione colonnatese ed il consorzio apuano era notevole. Da un lato, i produttori colonnatesi producevano 80 tonnellate di lardo annue, su una superficie di circa 500 ettari, dall‟altro, il consorzio apuano riusciva a produrne 1000 tonnellate, su una superficie di circa 18000 ettari.
Tabella 4.1- Produzione annua di lardol’e
Estensione dell‟area (Ha) Produzione annuale (t)
COLONNATA 500 80
AREA APUANA36 17.750 1000
Fonte: propria elaborazione
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In un atto di Giunta, il comune di Massa, che sosteneva la richiesta del consorzio apuano, così enfatizzava la questione:
“…l'individuazione della zona di produzione per la registrazione della IGP con la sola frazione di Colonnata non rappresenta l'effettiva situazione di fatto, in quanto il prodotto viene storicamente lavorato, con le stesse caratteristiche, anche nel resto del territorio di Carrara, di Massa e di Montignoso, che costituisce una zona geograficamente molto limitata e caratterizzata da condizioni climatiche uniformi, determinate dalla presenza delle Alpi Apuane…” (Comune di Massa 2004)
La tesi espansionistica era supportata dalla Provincia di Massa Carrara e dai comuni di Carrara, Massa e Montignoso, secondo cui un‟area IGP allargata rappresentava un‟opportunità per la valorizzazione di tutto il territorio, grazie alla notorietà acquisita nel tempo dal prodotto. Tuttavia, il consorzio Apuano, essendo composto anche da produttori di dimensioni medio grandi, con logiche industriali, come la bottega di Adò, aveva una prospettiva più offensiva e orientata al mercato rispetto ai produttori di Colonnata (Rocchi e Romano 2006). Il consorzio, aveva quindi una diversa concezione di qualità, che lo portò a presentare, nella domanda di registrazione IGP, un disciplinare di produzione meno restrittivo37, a cui afferiva una zona più ampia.
Nonostante il consorzio apuano avesse proposto un disciplinare di produzione meno restrittivo, la decisione non era semplice ed immediata, in quanto, il legame del lardo con l‟intera area apuana, rappresentando uno degli alimenti principali dei cavatori di marmo, era noto da secoli. L‟esclusione dei produttori delle zone limitrofe a Colonnata, da secoli utilizzatori di questo nome, avrebbe implicato un notevole danno economico alle loro attività. Una visione espansionistica avrebbe invece rivitalizzato l‟intera area industriale apuana. Il decisore pubblico era quindi chiamato a scegliere, tra le diverse concezioni di qualità del prodotto, sostenute dalle due associazioni di produttori, una legata all‟origine del borgo apuano, in quanto dotato di caratteristiche climatiche non riproducibili altrove; l‟altra, legata alle caratteristiche del processo produttivo e soprattutto del prodotto finito (Brunori e Medeot 2006). La difficoltà nel prendere una decisione, sottolinea, ancora una volta, come, l‟estensione di un‟ area DOP/IGP sia una decisione politica, influenzata dalla pressione esercitata dagli interessi privati e non una decisione oggettiva determinata puramente sulla base di caratteristiche tecniche.
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tempi di stagionatura inferiori, utilizzo di ambienti condizionati per la stagionatura, possibile utilizzo di spezie non fresche.
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