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Ricorso al prestito e fonti: una precisazione necessaria

Imposizioni sulle bestie, sulla carne e sui latticin

4. Ricorso al prestito e fonti: una precisazione necessaria

Il ricorso al prestito è una pratica radicata nella stessa maniera in cui si conducono le finanze dei Comuni. Vi è però una questione di visibilità sulle fonti che il credito “usuale” non incontra affatto: nei documenti amministrativi troviamo anche parecchie menzioni di situazioni di debito, ma non con la chiarezza che permetterebbe la costituzione di serie solide e complete

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di dati. Si parla di “forti debiti”231 o si citano “quattro huomini”232 i cui crediti verso il Comune

vanno sanati il prima possibile, senza che vi siano maggiori specificazioni. Anche le fonti contabili ricorrono spesso ad eufemismi come “benefici” per segnalare ad esempio degli interessi o pagamenti fatti al momento di una rinegoziazione del debito. Il problema non è da poco, soprattutto perché contrasta con la precisione che viene adoperata per l’altra forma di operazione finanziaria collettiva, ossia la rendita da beni comunali. Bisogna dunque ricorrere ad ipotesi per spiegare questa obiettiva difficoltà delle fonti ad affrontare questo problema.

Innanzitutto penso che il fatto stesso della pratica della finanza “a credito” costituisca un ostacolo a rendere chiarissima, agli occhi di chi compone la fonte, la differenza tra prestito ordinario e prestito straordinario. Nella pratica, considerando la contabilità, la differenza sembra esistere nella giustificazione che viene addotta ad ogni voce iscritta nelle ragioni: un ufficiale comunale che debba farsi ripagare il denaro anticipato specifica la causa di quell’esborso, mentre per un prestito non vi sono segnalazioni chiare salvo in un unico capso (un prestito “per la taverna” ad Ardesio nel 1519). Si potrebbe a questo proposito anche sottolineare il sostanziale vuoto normativo che tutte le fonti di diritto, ad ogni livello, propongono per il caso di prestiti da parte di Comuni, ancora in significativo constrasto con il quadro molto più chiaro offerto per la materia dei beni comunali e del loro eventuale sfruttamento in campo finanziario. Il rischio vero per le comunità è di incorrere, come suggerirebbe anche la rubrica 80 dello Statuto di Valle233, in

confische di beni: tenendo presente il ruolo fondamentale dei communalia per le finanze comunali, la loro perdita sarebbe veramente disastrosa.

La mancanza di legislazione potrebbe essere interpretata come una mancanza di tutela specifica contro i creditori, con possibili conseguenze politiche. Questo comportamento avrebbe quindi una ragione politica: si rende per così dire rarefatto in sede eminentemente politica il problema del credito e della possibile dipendenza delle finanze comunali dalla buona volontà dei creditori, adattando a proprio favore lo stesso minaccioso vuoto normativo.

231 Libro degli Ordini del Comune di Parre, 1555-1530, 90r.

232 Atti del Comune di Gromo, 203v.

233 Statuto della Valle Seriana Superiore, rubrica 8, “De datione insolutum fienda creditori de boni debitori”.

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D’altro canto, nell’ambito della problematica del credito ai Comuni, ritengo sia molto più interessante, per le ricadute politiche, considerare due fatti: l’identità del prestatore e le modalità di uscita dal legame che la permanenza di un credito e i pagamenti dovuti mantengono tra creditore e comunità. Queste due questioni riportano il discorso a problematiche politiche, di scelte strategiche e di obbligazioni tra personalità, famiglie e vicini, in cui si può davvero comprendere quali sono le conseguenze della posizione in cui le comunità sono collocate, anche da un punto di vista fiscale, all’interno dello Stato regionale. Quello che intendo qui dire è che, in maniera indiretta, anche una fiscalità progettata come quanto più equa perché basata su meccanismi d’estimo, teoricamente oggettivi perché basati sul valore della proprietà e non soltanto sulle persone, finisce con lo stimolare quella che è la tendenza alla più generale conformazione di ceti dirigenti chiusi che si ritrova in contesti più importanti e più centrali. Come vedremo, sia la scelta di un prestatore che la decisione di utilizzare un sistema piuttosto che un altro per uscire dal debito passano comunque per il gruppo di famiglie che dirige il Comune234, mantenendo gli equilibri di potere sempre nelle stesse mani.

È possibile stabilire l’identità dei prestatori in modo sicuro per due dei tre Comuni per cui rimane una documentazione amministrativa: si tratta di Ardesio e di Gromo. Queste due comunità appartengono ad una sottovalle della Val Seriana Superiore che, alla fine del secolo, verrà a costituirsi in un’organismo denominato Quadra d’Ardesio, pienamente inserito nel contesto della Comunità di Valle e intermediario unico nei rapporti tra il Consiglio e questi Comuni, senza che vi siano altri mutamenti nel quadro istituzionale235. Vi è omogeneità di classi

234 A questo proposito mi preme fare una notazione lessicale. Non posso chiamare questi gruppi di famiglie “ceti”, in quanto manca totalmente, in questo ambiente, una legislazione che costituisca un ceto in quanto tale. Allo stesso modo, le espressioni classe e, soprattutto, “classe dirigente” devono essere intese non secondo la definizione marxista, ma nel senso di insieme di persone e, nel caso della locuzione, gruppo dirigente. Nell’ultimo capitolo si preciserà la struttura della società di queste comunità e in che senso si può parlare di classe dirigente e classe dirigente allargata.

235 I Comuni coinvolti sono Ardesio, Gromo, Gandellino, Valgoglio. Credo sia importante notare in questa sede che questa istituzione ha avuto sì una produzione documentaria amministrativa di registri, ma non ha avuto un’evoluzione ulteriore dal punto di vista istituzionale, ossia una propria legislazione in qualunque forma (statuti od ordini) che ci sia stata tramandata, anche per menzione. Questo fatto può indicare la debolezza che forme di autonomia non sedimentate possono aver avuto al di là del periodo di dinamismo tra la fine dell’età comunale e le guerre d’Italia, oltre che in contesti semplicemente interni al contado; d’altro canto l’assenza di uno statuto mostra anche l’importanza politica, come segnale di autonomia, di questo documento e, possibilmente, anche del nome di statuto, che come si è

dirigenti già nel periodo considerato: se guardiamo alle scritture notarili vi sono legami forti tra Gromo, centro economicamente e socialmente forte, e gli altri Comuni, quali Gandellino oltre che Ardesio. Nell’ambito del credito ai Comuni questa predominanza si traduce anche nel fatto che due gromesi figurano quali prestatori per il proprio Comune ma anche per il Comune di Ardesio. Le fonti in nostro possesso, come già accennato, coprono i primi anni della seconda dominazione veneta, per quattro anni ad Ardesio e per una trentina a Gromo; quasi a riequilibrare le masse di dati a nostra disposizione, per il primo Comune rimangono fonti contabili mentre il libro di Atti del Comune gromese è tra quelle fonti amministrative più reticenti di cui abbiamo parlato.