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Il finale dell’Iphigenie di Goethe

41 Riferito a: Agamennone

181 l’anima (Seele) di Toante 270 Il cuore (Herz) di Toante 307 Parola (Wort) che rivela la discendenza di Ifigenia da Tantalo 320 Tantalo

321 Il dio del tuono

352 Grandezza (Größe) degli antenati 421 Agamennone 666 Imprese (Thaten) 666 Imprese (Thaten) 682 Impresa (That) 734 L’impresa (Werk) di sottrarre la statua di Diana 778 La sventura (Unheil) cui la sacerdotessa (Ifigenia) è sfuggita riparando in Tauride. 856 La sventura (Unglück) di Pilade (falsa storia cretese) 900 Agamennone 976 Stirpe (Stamm) di Oreste 1076 Anima (Seele) di Ifigenia 1095 Il padre più grande (größter

Vater), cioè Zeus,

padre del Compimento (Erfüllung) 1364 Impresa (That) 1675 Il male (Übel) della possibile morte dei tre Greci 1895 Was nennt man

groß? “cosa è

Marco Duranti, Caratterizzazione dei personaggi e messaggio filosofico-religioso nell’IT

1914 Il biasimo (Vorwurf) contro Ifigenia se fallisse nella sua impresa audace (kühnes

Unternehmen)

2039 Agamen-

none

In grassetto le occorrenze riferibili alla sfera epico-mitologica.

Sottolineate le occorrenze comprese nel discorso in cui Ifigenia rinnega l’inganno (atto quinto scena terza, vv. 1892-1936)

Occorrenze non incluse in tabella: v. 624 (occhi), v. 2060 (numero dei guerrieri di Toante).

Tabella 2: occorrenze dell’aggettivo kühn e del sostantivo kühnheit nell’Iphigenie

auf Tauris

Pronunciato da: Pilade Ifigenia

761 Riferito a: Pilade ed Oreste, che dovranno

compiere la loro impresa con kühnheit

767 Imprese eroiche (kühne Thaten)

1678 Il cuore maschile, quando si accinge

a una impresa audace (wenn es einen

kühnen Vorsatz hegt), non sente altra

voce.

1905 Un eroe che, sprezzante del pericolo,

percorre monti e boschi per liberare il suo paese dai briganti (modello di Teseo)

1913 La nuova impresa (Unternehmen)

che sta maturando nel petto di Ifigenia.

In grassetto le occorrenze riferibili alla sfera delle imprese eroiche maschili.

Sottolineata l’occorrenza che esprime la decisione di Ifigenia di tentare una diversa forma di eroismo.

Tabella 3: occorrenze dell’aggettivo göttergleich nell’Iphigenie auf Tauris

Pronunciato da: Ifigenia

Pilade Oreste Arcade

45 Riferito a:

Agamennone

695 Ombra degli antenati

che compirono azioni memorabili 772 La sacerdotessa (Ifigenia) 814 La stirpe di Ifigenia 1272 Gli antenati di Oreste 1306 Tantalo

Il finale dell’Iphigenie di Goethe

1472 Lo sguardo di

Ifigenia per i greci giunti in Tauride, che grazie a lei si sono visti risparmiare la vita

In grassetto le occorrenze riferibili alla sfera epico-mitologica.

Tabella 4: occorrenze dell’aggettivo edel nell’Iphigenie auf Tauris

Pronunciato da: Ifigenia

Arcade Pilade Oreste Toante

33 Riferito a: Toante

160 I figli dei nobili

del regno 192 “Il re pensa […] ciò

che nessun uomo nobile penserebbe? Pensa di trascinarmi con la forza dall’altare nel suo letto?” (ma

subito dopo Arcade assicura a Ifigenia che non è così: Toante rimane un uomo “nobile”)

213 Toante

117 l’orgoglio (Stolz)

di Ifigenia 319 Tantalo (unedel war er

nicht) 470 La promessa fatta da Toante 482- 3 Le “armi” a disposizione delle donne (nicht unedel)

724 Il popolo greco 745 Un uomo, un eroe chiamato dagli dei a servire loro e il mondo 896 Il nobile capo di Agamennone 1494 Toante 1495 Toante 1501 Il comportamento di Toante verso Ifigenia 1640 La pena (Sorge) di

ifigenia stessa, che la esorta a non

imbrogliare e derubare Toante, che per lei è stato un secondo padre

1722 Tantalo

1864 L’uomo nobile, che ascolta le parole delle

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donne (esortazione a Toante)

2041 (A Toante)

“scegli uno dei nobili del tuo esercito” 2049 Azione nobile del sovrano 2060 (A Oreste) “Numerosa è la schiera degli uomini nobili e coraggiosi (tapfer) che mi seguono” 2145 Toante

2149 (A Toante) “non hai spesso l’occasione di compiere azioni così nobili” (scil. Lasciar partire i greci)

In grassetto le occorrenze riferibili alla sfera maschile ed eroica

Sottolineate le occorrenze che i riferiscono alla nuova concezione di nobiltà propugnata principalmente da Ifigenia.

Conclusioni

I capitoli di questo libro hanno inteso fornire un quadro vasto e articolato della costruzione dei personaggi tra Euripide e Goethe, con particolare riguardo alla loro funzione di mediatori del messaggio ideologico che il drammaturgo intende trasmettere. Nel primo capitolo, il personaggio è stato visto nel ruolo di narratore, che nel monologo prologico del dramma euripideo ha la possibilità, solo in scena, di comunicare la propria prospettiva sugli eventi che narra, orientando così il pubblico – a cui pure non si rivolge direttamente – nella ricezione della tragedia. Si è argomentato come il dramma euripideo possa essere utilmente paragonato a un esperimento, che in molte tragedie, tra le quali l’IT, è incentrato primariamente sulla questione del rapporto tra gli uomini e gli dei. Tramite il personaggio prologante, il drammaturgo può orientare l’esperimento dalla prospettiva che intende privilegiare: nell’IT, il problema della teodicea divina è visto tramite la mediazione di Ifigenia, il personaggio umano che più di tutti, insieme al fratello Oreste, ha sofferto per la contraddittorietà delle decisioni divine, e che esprime in modo più forte la protesta per la crudeltà delle divinità del mito. La tragedia si apre così con una distanza massima tra l’opaco mondo divino e un mondo umano offeso dall’insensibilità degli dei, confermata dalla successiva protesta di Oreste, nella seconda scena del prologo, contro l’incomprensibilità degli ordini di Apollo.

Nel prosieguo del dramma, come illustrato nel secondo capitolo, la tensione iniziale tra i personaggi e le divinità del mito sfocia, con il soliloquio di Ifigenia, nell’elaborazione di una nuova prospettiva filosofico-religiosa sul divino, che contesta quei racconti tradizionali nei quali le divinità sono ritratte come immorali e assolve la stessa dea Artemide per i sacrifici umani, attribuendoli alla barbarie dei Tauri. L’opinione di Ifigenia si muove sul filo della forzatura logica rispetto al mito di cui Ifigenia stessa è protagonista, giacché è difficile conciliare l’idea che Artemide disdegni i sacrifici umani con il fatto che la dea stessa ha portato Ifigenia nel tempio taurico, dove questi sacrifici si officiano. Inoltre, non vi è nessuna prova che l’eroina sia nel giusto, e che la sua concezione della divinità rispecchi veramente la natura di Artemide più della concezione che della dea hanno i Tauri. Ma le parole di Ifigenia esprimono precisamente la forzatura del mito da parte del

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personaggio drammatico, il quale rivendica la libertà di sottoporre il patrimonio di storie tradizionali al vaglio della spregiudicata riflessione e del senso etico degli uomini. Tuttavia, nel resto del dramma Ifigenia stessa non si mostra così sicura della bontà divina come lo è stata nel soliloquio, e nel finale quella distanza tra il mondo divino e il mondo umano che era stata così ottimisticamente colmata nelle riflessioni della protagonista sembra invece largamente sussistere.

È vero che il piano divino di liberazione di Oreste dalla persecuzione delle Erinni tramite il trasferimento del culto di Artemide ha successo, dopo il necessario intervento divino. Se la spedizione taurica è stata conseguenza, e poi a sua volta causa, di ‘sommovimenti’ negli equilibri mitici – si è infatti originata dalla cancellazione del risultato sancito nelle Eumenidi eschilee, e ha messo in discussione le prerogative di Artemide stabilite in Aulide, quando Ifigenia è entrata al servizio della dea – l’esito finale della tragedia appiana i contrasti con la fondazione dei nuovi culti attici. A questo successo dal punto di vista mitico non può però corrispondere una piena soddisfazione dal punto di vista dei personaggi umani, i quali sono inseriti, senza autonomia di azione, in piani divini che tengono conto solo in parte delle necessità umane. Se Oreste sarà liberato dalle Erinni, Ifigenia dovrà continuare a essere sacerdotessa di Artemide, in quanto è parte integrante di quei meccanismi di compensazione con i quali il mito recupera i propri equilibri. Questi meccanismi mitici non possono più avere un significato davvero positivo per i mortali, non possono contenere la domanda di senso che proviene dai personaggi. Gli stessi riti ateniesi creati per Artemide sono una risposta davvero insufficiente alla professione di fede nella perfezione divina fatta da Ifigenia nel soliloquio: essi manterranno anzi un inquietante margine di ambiguità, in quanto, seppure in forma limitata, continueranno a prevedere lo spargimento di sangue umano. Il divario tra il mondo divino e il mondo umano, stabilito nel prologo, non è dunque superato.

Se i primi due capitoli hanno portato in primo piano il problema del rapporto con la divinità, il terzo capitolo, dedicato alla coppia amicale formata da Oreste e Pilade, ha evidenziato la crisi del paradigma eroico, osservando come il tentativo dei personaggi di comportarsi in conformità con esso si scontri con lo stato di prostrazione in cui versa Oreste a seguito del matricidio, ma anche con le condizioni

Conclusioni

anomale in cui i due giovani sono costretti ad agire. La macchia del matricidio si traduce nell’isolamento del singolo, Oreste, dalla sua comunità, che prende varie forme nelle tragedie euripidee del ciclo atridico: dall’impossibilità di essere reintegrato (Elettra), alla segregazione rituale (IT), alla vera e propria ostilità (Oreste). La crisi del modello eroico è dimostrata anche da un altro elemento, il fallimento delle capacità progettuali dei mortali. L’Oreste euripideo è lontano dal possedere la capacità di iniziativa del personaggio eschileo e sofocleo, e deve affidarsi ai suoi due sodali, Pilade e Ifigenia (o Elettra) per l’ideazione di un piano d’azione; tuttavia, anche questi piani non arrivano a compimento, o non portano i risultati che i personaggi vorrebbero. Nell’Elettra, l’uccisione di Egisto e Clitemnestra non porta Oreste ed Elettra a reinsediarsi nella casa paterna; nell’IT, il piano di Ifigenia non può da solo garantire il successo ai mortali, i quali si scontrano con l’opposizione di poteri soprannaturali che con le loro forze non possono superare; e Ifigenia stessa non riprenderà la vita interrotta con la partenza per l’Aulide, ma rimarrà a disposizione della dea. Nell’Oreste, il tentativo di convincere l’assemblea argiva è un fallimento; il piano di uccidere Elena non va a buon fine, perché gli dei la salvano, e nel finale si chiarisce che la comune convinzione che sia stata la spartana la causa della guerra di Troia, giustificazione per l’assassinio, era errata. Infine, il piano di ottenere da Menelao la salvezza minacciando di uccidere la figlia Ermione sembra sul punto di fallire, causando la morte dei tre amici e la distruzione della casa.

Se la distanza tra uomini e dei non è colmata, se il modello eroico si dimostra ormai inapplicabile, e se la progettualità umana non raggiunge gli scopi prefissati, l’unico valore veramente positivo si trova nell’affetto fraterno che lega Oreste a Ifigenia e nella nobiltà dell’amicizia di Oreste e Pilade. I personaggi umani sanno dunque dimostrare quella altezza di pensiero e sentimento che hanno ricercato negli dei, trovandola solo in forma assai imperfetta. Solo dal punto di vista umano l’esperimento di Euripide ha avuto un risultato positivo.

Gli ultimi due capitoli di questo libro hanno preso in esame la riscrittura dell’IT euripidea nell’Iphigenie auf Tauris di Goethe. È emerso come il drammaturgo tedesco abbia colto gli elementi di critica e superamento della concezione religiosa tradizionale presenti nell’opera euripidea, e abbia inteso svilupparli ulteriormente,

Marco Duranti, Caratterizzazione dei personaggi e messaggio filosofico-religioso nell’IT

liberando il modello perlomeno da tre limitazioni etiche che apparivano inaccettabili alla sensibilità moderna: l’impossibilità umana di autodeterminare il proprio destino, la precarietà delle comunicazioni tra uomini e dei, e l’uso di inganno e furto per risolvere la situazione drammatica. In particolare, se furto e inganno erano, nell’originale greco, strumenti tradizionali compatibili con il senso etico di Ifigenia, la protagonista goethiana li relega ora in quel mondo epico-mitico, che ella, proprio ripudiando questi mezzi, si propone di superare. Questo mondo tradizionale si esprime nei due princìpi della List e della Gewalt, mentre il mondo nuovo che Ifigenia vuole creare si basa su un appello alla Wahrheit. L’intuizione di Goethe è quella di far competere questi princìpi attraverso i tre personaggi greci del dramma, ognuno dei quali diventa il portavoce di uno dei princìpi stessi; in questo modo, il drammaturgo tedesco scompone il trio amicale, che nelle tragedie euripidee aveva una sostanziale unità di intenti. Separando idealmente i tre sodali, Goethe annulla la divisione nazionale tra Greci e barbari, facendo sì che la sua Ifigenia possa trovare sintonia con il re barbaro Toante, il quale si dimostrerà sensibile all’appello della Wahrheit, e non con il greco Pilade, che non mostrerà alcuna capacità di evolvere verso il più alto modello di umanità indicato dall’eroina. Nel finale del dramma goethiano, il parallelo euripideo tra la sorella umana e la sorella divina, che costituiva l’argomento per la richiesta di aiuto ad Artemide, evolve nell’interiorizzazione del potere di Artemide in Ifigenia, la quale sostituisce così la statua della dea nella capacità di guarire il fratello Oreste dalla persecuzione delle Erinni. Il personaggio umano diventa dunque in prima persona immagine della divinità, mentre gli dei non dovranno più manifestarsi né indirettamente, tramite oracoli o sogni, né direttamente, apparendo ex machina: essi in un certo senso saranno sempre in scena, attraverso la loro immagine vivente che non è solo Ifigenia, ma ogni uomo che sappia ascoltare nel suo cuore la loro voce.

In conclusione, in questo studio si è dimostrato come il personaggio costituisca il punto focale della tensione tra dramma e mito. Il drammaturgo antico, e su suo modello quello moderno, mette in scena un episodio di un patrimonio mitico passato e distante, e con esso le figure che lo popolano; ma nel momento in cui calcano la scena, esse vivono la doppia condizione di essere ancora figure del mito, e però anche personaggi che, nella finzione drammatica, sono vivi nel presente.

Conclusioni

Questa loro duplicità è messa allo scoperto nel prologo diegetico, nel quale il prologante nasce come figura mitica, per poi trasformarsi, con una graduale presa di contatto con l’hic et nuncdella rappresentazione, in una figura ‘realistica’, che pensa, parla e agisce in modo non dissimile da come accadrebbe nella vita reale. Ma la doppia natura risalta anche quando un personaggio come Ifigenia espone un pensiero sulla divinità che si pone, se non in aperto contrasto, perlomeno in frizione con i dati della sua vicenda mitica: il dramma diventa allora uno spazio di libera riflessione razionale, incondizionata dalle premesse mitiche del personaggio.

Questa forzatura intellettuale del mito, delineata in Euripide, viene portata alle estreme conseguenze nella rielaborazione goethiana, cosicché si può affermare che l’intera vicenda tragica dell’Iphigenie è incentrata sul quesito se sia giusto rimanere nel mito o superarlo. A più riprese nel testo goethiano si fa riferimento diretto alla trasmissione della memoria delle imprese umane tramite il racconto, e Ifigenia stessa si chiede quali azioni siano degne di essere cantate e tramandate. A voler restare nel mito è il personaggio di Pilade, che come il Pilade euripideo si attiene all’oracolo di Apollo e sostiene la liceità di ogni mezzo per portarlo a compimento. La forza della lunga tradizione mitica di cui si fa portatore è tale che egli riesce per un certo tempo a mantenere all’interno di essa anche Ifigenia, che così, facendosi portavoce dell’inganno, non compirebbe alcuna evoluzione rispetto all’eroina euripidea. Tuttavia, l’Ifigenia goethiana si risolve a rifiutare inganno e furto, e in ciò va oltre il personaggio euripideo nel superamento del mito. Si tratta però solo di un punto più avanzato su una strada che ha aperto l’eroina euripidea, con la sua fede nella bontà degli dei, il suo appellarsi all’amore fraterno, ma anche l’atteggiamento ‘pragmatico’ con il quale ha sfruttato un elemento della tradizione religiosa, la contaminazione del matricida, ai fini del piano di fuga. Lo scarto tra le due protagoniste corrisponde alla distanza tra l’uomo greco, sottoposto al Fato, e l’uomo moderno, libero di determinarsi. Il personaggio euripideo esprime la sua autonomia di pensiero, ma deve poi piegarsi a un intreccio che ha una conclusione non abbastanza distante dai tradizionali modi del mito; il personaggio goethiano, invece, costringe l’intreccio ad allontanarsi da un finale mitico che non è compatibile con la sua rivoluzione etica e religiosa. Una Ifigenia riscatta il suo pensiero; l’altra, con il concorso degli altri personaggi, riscatta il suo destino.

Appendice

Commento al prologo dell’Ifigenia taurica di Euripide (vv. 1-122)

1-122 Prologo: il prologo è diviso in due scene, secondo una modalità che tra i tre tragici solo Euripide utilizza, mentre Eschilo o Sofocle prediligono prologhi di una o tre scene (cfr. Schmidt in Jens 1971: 3-11). Come consueto, la prima scena (vv. 1-66) è monologica, la seconda (vv. 67-122) dialogica. L’IT adotta la modalità delle scene separate, tale per cui il personaggio che recita la prima scena si ritira alla fine di essa e non prende parte al dialogo successivo, che intercorre tra due nuovi personaggi. Tale scelta è motivata dalla necessità di evitare l’incontro tra i due fratelli, preservando l’agnizione per una fase successiva del dramma.

Euripide svela solo gradualmente l’ambientazione della tragedia: il primo riferimento alla Terra taurica, con dimostrativo, è al v. 30 (cfr. n) e il primo riferimento al tempio è al v. 34. I particolari delle decorazioni del tempio e dell’altare, che dovevano attirare l’attenzione degli spettatori, sono descritti dai personaggi solo nel dialogo tra Pilade e Oreste ai vv. 68 ss. Una menzione così ritardata dell’ambientazione del dramma ha parallelo nell’Oreste, dove Argo è nominata con dimostrativo solo al v. 46; risalta la differenza con l’Elena, dove la protagonista precisa con un dimostrativo già al v. 1 di trovarsi nei pressi del Nilo e al v. 2 nomina l’Egitto. Nel caso dell’IT il ritardo nella menzione del nome è finalizzato a incrementare il senso di smarrimento del pubblico, provocato in primo luogo dalla affermazione di Ifigenia di essere stata sacrificata – “come sembra”. I dubbi circa la sorte dell’eroina e l’ambientazione della tragedia vengono risolti congiuntamente ai vv. 28-30.

1-66. Monologo di Ifigenia: la tragedia si apre con un monologo della protagonista, sola in scena, scarsamente motivato dal punto di vista drammatico. L’esordio con la genealogia della protagonista ha un parallelo, tra le tragedie conservate, nello

Ione (dove Ermes si presenta come figlio di Maia, a sua volta figlia di Atlante), ma

Appendice: commento al prologo dell’IT di Euripide (vv. 1-122)

esempio, in Archelao, Ipsipile, Melanippide Sapiente, Frisso, Meleagro. Complessivamente, le forme di esordio dei drammi euripidei sono le seguenti129:

1. Apostrofe, invocazione o preghiera (apostrofe al palazzo rappresentato dalla

Skenè, Alc.; alla terra natale, Andr., preghiera a Demetra, Suppl.; apostrofe

al luogo geografico, El.; al sole, Pho.

2. Dichiarazione di ingresso, generalmente con la formula ἥκω λιπών, tipica dei prologanti soprannaturali (Hec., Tro., Ba.). Nello Ione, dopo aver esposto brevemente la sua genealogia, anche Ermes dichiara ἥκω δὲ Δελφῶν τήνδε γῆν.]

3. Gnome generale (Her., Or.)

4. Desiderio irrealizzabile, esposto in forma patetica (Med.).

5. Domanda retorica (“chi non conosce colui che ha diviso con Zeus lo stesso letto, l’argivo Anfitrione?”, HF).

6. Genealogia (IT, Ion)

La prima tipologia costituisce una forma di ‘mascheramento’ drammatico del monologo, come è rilevato da sch. Eur. Pho. 1 e Sch. Soph., El. 86a:

sch. Eur. Pho. 1 ἔθος ἔχουσιν οἱ τραγικοὶ παράγειν τοὺς ἥρωας θεοῖς τὰς συμφορὰς ἀπολοφυρομένους.

[I tragediografi sono soliti introdurre in scena i personaggi eroici nell’atto di lamentarsi con gli dei per le proprie disgrazie].

Sch. Soph., El. 86a ἐπεὶ δὲ ἄηθές ἐστι πρὸς τοὺς θεατὰς ἢ πρὸς ἑαυτὴν ταῦτα διαλέγεσθαι ὡς ἀπομεμφομένη τοῖς θεοῖς ἢ μάρτυρας τῶν θρήνων καλοῦσα πρὸς τὰ στοιχεῖα ποιεῖται τὸν λόγον.

[Poiché sarebbe improprio che dicesse ciò agli spettatori o a se stessa, (Elettra) rivolge la parola agli elementi naturali, come a biasimare gli dei o a chiamarli come testimoni dei suoi lamenti].

L’assenza di una qualsivoglia forma di introduzione drammatica al monologo rende invece i prologhi delle tipologie 5 e 6 passibili di un sospetto di artificialità diegetica: e infatti afferiscono a queste due tipologie i sette prologhi parodiati da Aristofane nell’agone delle Rane (vv. 1198-248), tra i quali è incluso proprio quello dell’IT. In effetti, non solo il monologo di Ifigenia non è introdotto da alcuna

Marco Duranti, Caratterizzazione dei personaggi e messaggio filosofico-religioso nell’IT

formula drammatica, ma la prima parte del discorso non ha alcuna motivazione psicologica o connessione con la situazione presente del personaggio in scena. Il personaggio introduce invece la narrazione del sogno, affermando di volerlo raccontare al cielo (cfr. vv. 42-3 n.), ma cionondimeno anche il racconto del sogno è privo di quegli accenti patetici che ci si aspetterebbe da un verosimile racconto