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Riflessioni di chiusura sull’attuale fisionomia delle misure alternative.

Parlando di misure alternative alla detenzione, non infrequente è stata la pretesa contrapposizione tra principio di rieducazione e sicurezza dei cittadini, o tra certezza e flessibilità della pena; contrapposizione, la prima, che risulta del tutto fallace e vera solo nel caso di una rieducazione svolta con mezzi inadeguati. L’ingiustificata diffidenza e il sospetto che troppo spesso si manifestano nei confronti del sistema rieducativo derivano da un grave errore: l’identificazione del destinatario di quell’obbligo dello Stato, consistente nella realizzazione della finalità rieducativa della pena, nel soggetto che ha commesso il reato. Principale destinatario è, invece, la società, «perché dalla attività di rieducazione del reo trarrà beneficio nella diminuzione del crimine», se, naturalmente, questa sarà effettiva, seria ed adeguata, come dovrà esserlo la pena inflitta. Ed allora anche la seconda

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Cass., Sez. I, 09.03.2005; A. MORRONE, Liberazione condizionale tra risarcimento del danno e ravvedimento del reo, in Diritto penale e processo, 2006, 207 ss.

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contrapposizione risulta errata: una pena umana, idonea ed adeguata a punire, prevenire e rieducare non può essere fissa, ma flessibile225.

Le misure alternative non andrebbero considerate come uno strumento eccezionale, ma come un ordinario e necessario sbocco della pena detentiva.

La pena carceraria, per il suo modo d’essere, costringe ad una comunione forzata ed impedisce l’ordinario svolgimento dei rapporti familiari e sociali che, secondo la stessa legge, sono necessari, se non essenziali, per lo sviluppo di un’ordinata vita di relazioni. In questo regime, l’impossibilità per chi subisce la pena di influire con la propria condotta sulla sua durata e sulle sue modalità esecutive, lascia prevedere, tra le conseguenze probabili, la spinta a forme di condiscendenza e di emulazione verso i detenuti di più spiccata personalità delinquenziale. L’introduzione delle misure alternative è il prodotto anche di queste considerazioni: l’esigenza di garantire un regolare svolgimento della vita carceraria conduce alla necessità che sia offerta ai detenuti la possibilità di concorrere, con un comportamento responsabile e partecipe alla finalità del riadattamento sociale, alla determinazione delle forme di esecuzione ed alla durata stessa della pena.

Attraverso numerose sentenze la giurisprudenza ha «costituzionalizzato» le misure alternative ed il principio della pena flessibile, affermando il diritto del condannato alla revisione della pena nel corso dell’esecuzione una volta accertato, sulla base del trattamento rieducativo, se siano cessate le ragioni della prosecuzione in forma detentiva226. Per conformarsi alle pronunce della Consulta, che hanno ribadito la finalità rieducativa della pena, è, dunque, necessario un modello incentrato su una pena flessibile,

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A. MARCHESELLI, L’efficacia rieducativa delle misure alternative alla detenzione, in Diritto&Diritti, www.diritto.it, 2003.

226

A. DERIU, L. MORGANTE, Le misure alternative e il trattamento rieducativo nelle nuove proposte di riforma dell’ordinamento penitenziario, in Rassegna penitenziaria e criminologica,

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rimodulabile durante l’esecuzione. Per questo le misure alternative non possono essere applicate nella fase di cognizione: una scelta simile contrasterebbe con la giurisprudenza costituzionale e determinerebbe provvedimenti eccessivamente discrezionali in ordine a persone e situazioni sostanzialmente sconosciute.

Con le riforme introdotte a partire dalla fine degli anni ’80 è stato in parte stravolto l’originario disegno della riforma penitenziaria, vicino ad una cultura specialpreventiva di tipo trattamentale: non più un rapporto diretto tra azione trattamentale e alternative penitenziarie, la concessione di un beneficio penitenziario fondato sulla previa sottoposizione all’osservazione della personalità e sulla predisposizione di un programma trattamentale, ma l’accesso alle misure dallo stato di libertà; non più misure alternative, ma pene sostitutive227.

Le misure alternative rendono l’espiazione della pena il più possibile funzionale ad una effettiva riabilitazione. Come giustamente osservato da Fabrizio Leonardi, la recidiva costituisce un parametro per misurare il successo dell’attività rieducativa e, più specificamente, la riuscita della misura alternativa228.

Dalle basse percentuali di recidiva riscontrabili nella popolazione carceraria in misura alternativa si può dedurre che una esecuzione penale fuori del carcere pone di per sé le basi per un recupero sociale molto più efficace; deduzione che rende non sempre comprensibili alcune scelte a favore della esecuzione penale eseguita esclusivamente in forma detentiva. Maggiori saranno le iniziative trattamentali, l’interrelazione con la società, 2008, 121. Gli autori fanno in particolare riferimento alle sentenze della Corte n.204/1974; n.343/1987; n.282/89; n.125/1992.

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M. PAVARINI, Misure alternative alla detenzione dal 1986 ad oggi. Risultati e incongruenze del sistema sanzionatorio nell’attuale contesto normativo, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2003, 218.

228

F. LEONARDI, Le misure alternative alla detenzione tra reinserimento sociale e abbattimento della recidiva, in Rassegna penitenziaria e criminologica, cit., 7 ss.

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l’assunzione di responsabilità per il detenuto, maggiore sarà la prospettiva di un valido reinserimento. Inoltre, un ampio ricorso alle misure alternative fornisce alla magistratura di sorveglianza elementi di valutazione concreta fondati su una più ampia conoscenza della persona detenuta.

Deve, però, trattarsi di un ricorso «responsabile», mosso non esclusivamente da intenti deflattivi del carcere, che verrebbero comunque vanificati da un uso distorto dello stesso. «L’esigenza di decarcerizzare e di punire ricorrendo il meno possibile alla pena detentiva, in assenza di un coerente intervento di investimento sociale e di sostegno alle persone con maggiore difficoltà, rischia in concreto di accrescere l’allarme sociale e di scaricare il costo della sanzione esclusivamente sul soggetto, sulla famiglia e sul contesto sociale dove la persona vive»229.

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130 CAPITOLO III

PRINCIPIO RIEDUCATIVO E DIRITTO PENALE D’AUTORE: LE ANOMALIE DEL SISTEMA.

1.Premessa. 2. I reati ostativi ex art. 4-bis ord. pen. e gli illeciti sostanzialmente preclusivi all’accesso ai benefici. 2.1. Prospettive di riforma. 3. Il reato di ingresso irregolare nel territorio dello Stato. 3.1. Gli interventi correttivi della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. 3.2. I successivi orientamenti e le occasioni mancate. 4. Il recidivo. 5. Gli interrogativi ancora aperti in ordine agli autori dei delitti in materia di violenza sessuale 6. Il condannato per evasione e la pericolosità presunta. 6.1. Evasione e preclusioni de facto 7. Gli effetti dell’art. 4-bis sulla sospensione dell’esecuzione della pena.

1. Premessa.

Il settore dell’ordinamento penitenziario, sebbene estremamente delicato in quanto afferente all’area di libertà del singolo, è sede privilegiata per l’emissione di provvedimenti legislativi a carattere emergenziale, dettati non solo dalle problematiche connesse al sovraffollamento carcerario, ma anche (e soprattutto) dalla percezione sociale della gravità di un certo fatto di reato, anch’essa del tutto contingente.

Prova ne è il fatto che il Legislatore ci ha abituato all’adozione di periodici provvedimenti in ambito penale, ora volti ad impedire l’accesso alle misure alternative, attraverso l’inasprimento delle sanzioni edittali di alcuni illeciti o l’adozione di meccanismi preclusivi all’accesso dei benefici, ora a svuotare gli istituti carcerari, anche mediante il ricorso a procedure di indulgenza, al solo fine di migliorare le condizioni di vita degli internati Il fenomeno in questione, ricondotto alla cosiddetta giustizia emotiva, presenta non pochi problemi di compatibilità con i principi costituzionali di riferimento del sistema penale e, più in particolare, dell’ordinamento penitenziario.

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Presta, invero, il fianco alle storture del diritto penale d’autore, ossia alla criminalizzazione di alcune categorie di delinquenti, colpevoli, nella migliore delle ipotesi, di aver realizzato specifiche fattispecie di reato che, in un dato periodo storico, generano particolare allarme sociale.

Al proposito, invero, si parla di diritto penale del nemico o di diritto penale d’autore230

, formule equivalenti che evocano il fatto che ciò che è punibile non è più il reato ma il reo e, nello specifico, per “quello che è” e non per “quello che fa”; ciò in contrasto con un sistema improntato sul diritto penale del fatto e della colpevolezza. In tale ottica, il leit motiv è dato dall’appartenenza del nemico ad un gruppo identitario, al modello penale nazista del “tipo normativo di autore” (Tätertyp).

Il presupposto della colpevolezza di autore è che l’oggetto del rimprovero consiste nell’aver informato la propria vita al crimine, nell’essere piuttosto che nel commettere, mentre il fatto tipico costituisce null’altro che il sintomo di tale personalità.

Il partecipante ad un’associazione a delinquere, il terrorista, l’immigrato e il recidivo sono gli archetipi più elementari di questa tendenza.

Il bisogno di sicurezza sociale finisce, quindi, per giustificare la selezione dei comportamenti criminosi e la conseguente classificazione dei nemici. Dal punto di vista operativo, si concepiscono appositi piani di sicurezza della società al fine di tutelarla dai delinquenti per principio, fondati su congegni normativi che guardano al futuro, per neutralizzare pericoli, e non al passato, per riaffermare la vigenza della norma violata. Su questa scia si promuove l’anticipazione della criminalizzazione a condotte lontane dalla

230

Per approfondimenti su tema si vedano DONINI M., Il diritto penale di fronte al nemico, in Cassazione Penale, 2006, p. 274. 3; Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, a cura di DONINI M., PAPA M., Milano, Giuffrè, 2007; FERRAJOLI L., Il diritto penale del nemico e la dissoluzione del diritto penale, in Questione Giustizia, 2006, p. 797; PALIERO, Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano, 2006; STANIG E., Il nuovo diritto penale d’autore, 2011.

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lesione o messa in pericolo di un bene, nonché l’imposizione di pene draconiane al di là dell’idea della proporzionalità.

Tale impostazione si pone in palese contraddizione con il modello di diritto penale liberale che si è affermato stabilmente nel nostro ordinamento sin dal 1800, trovando compiuta teorizzazione nell’opera di Francesco Carrara, che sul tema affermava: «Il diritto di proibire certe azioni, e dichiararle delitto, si attribuisce all’autorità sociale come mezzo di mera difesa dell’ordine esterno: non per il fine del perfezionamento interno;... i pensieri, i vizi, e i peccati, quando non turbano l’ordine esterno, non possono dichiararsi delitti civili»231.

È una visione laica fatta propria anche dai codici del 1889 e del 1930: l’intento era quello di punire, invariabilmente, non la mera intenzione di delinquere, bensì fatti e solo fatti offensivi di beni giuridici individuali o collettivi. Come sottolineato da autorevole dottrina «i delitti sono classificati in base al criterio della loro oggettività giuridica (già accolto dal codice del 1889), e quindi secondo l’interesse giuridico leso o esposto a pericolo mediante il fatto incriminato», mentre «è stato rigettato il criterio dei motivi o dell’intenzione dell’agente, perché il diritto non punisce gli interni moti dell’animo, bensì il danno o il pericolo per gli interessi che esso protegge»232.

Improntare l’incriminazione di alcuni fatti al diritto penale d’autore si pone, dunque, in palese violazione del principio di offensività nonché del principio di colpevolezza

La maggiore attenzione della comunità ad alcune categorie di rei o di illeciti ha comportato nel tempo non solo l’introduzione di nuove fattispecie ovvero l’inasprimento delle sanzioni di quelle già esistenti, ma

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CARRARA F., Programma del corso di diritto penale, parte generale,1871, p. 32 232

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anche – seppur a periodi alterni - la maggiore carcerizzazione del sistema, attuata – per quanto di maggior interesse ai nostri fini - attraverso l’applicazione di meccanismi preclusivi all’accesso alle misure alternative alla detenzione.

Ne sono espressione le plurime modifiche adottate nel tempo all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, che stabilisce, appunto, il divieto di concessione dei benefici penitenziari agli autori di alcune categorie di reati.

2. I reati ostativi ex art. 4-bis ord. pen. e gli illeciti