SUD EST EUROPA
5. Riflessioni conclusive
Le previsioni economiche del SEE sembrano buone. I successi degli anni recenti non dipendono dalla fortuna ma piuttosto da una combinazione
di stabilità economica e politica, uno spostamento verso politiche a favore delle imprese e degli investimenti, ed un riconoscimento avvenu-to in ritardo da parte degli investiavvenu-tori del potenziale della regione.
Abbiamo cercato di mostrare in questo capitolo che la regione è cresciuta in modo vigoroso per una serie di anni sopravanzando il CEB, sebbene par-tisse da un livello più basso. Questa crescita è stata accompagnata da politi-che macroeconomipoliti-che generalmente efficaci, politi-che si sono riflesse in una bassa inflazione e conti pubblici in ordine, oltreché da un costante impegno alle riforme. Come risultato, gli IDE sono confluiti copiosi verso la regione, mentre gli investitori hanno cominciato a trarre profitto dai vantaggi della regione in termini di posizione geografica, regime fiscale e, in alcuni casi, forza lavoro relativamente poco costosa. È probabile che l’aumentata libe-ralizzazione del commercio accresca ulteriormente l’attrattiva della regione per gli investitori. La scenario di riferimento è quello di una crescita perdu-rante del PIL in termini reali, in una fascia compresa tra il 5-7% l’anno.Tutto ciò, tuttavia, presuppone che molti miglioramenti introdotti negli anni recenti siano mantenuti e, se possibile, ampliati. È realistico puntarci?
La cautela è d’obbligo in questo caso, soprattutto nelle previsioni per la regione. È anche importante considerare i rischi che continuano a gravare sull’area. Ci sono tre insiemi di rischi di cui vale la pena discutere: l’insta-bilità politica, un rovesciamento delle riforme, il fallimento nell’avvicina-mento all’UE. Ognuno di essi verrà discusso qui di seguito brevemente.
I conflitti che hanno avuto come teatro la regione negli anni ’90 hanno deteriorato la sua immagine complessiva così profondamente che è oggi difficile modificare questa percezione. La stessa parola “Balcani” o varianti di essa (ad esempio “Balcanizzazione”) sono spesso usate per esprimere instabilità e disordine. È realistico pensare ad un ritorno a quel tipo di conflitti che hanno caratterizzato lo scorso decennio? È vero che rimangono delle questioni irrisolte, delle quali la più importante riguarda lo status futuro del Kosovo. A tutt’oggi, non è ancora chiaro come questo problema verrà risolto. Dopo un anno di negoziati è stato proposto un piano dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da parte di Marti Ahtisaari, l’inviato dell’ ONU, che prevede una specie di
“indipendenza controllata” per il Kosovo. Ma qualsiasi tipo di indipen-denza è difficilmente accettabile per la Serbia. Qualunque sia l’esito, è chiaro che la Serbia non proverà a conservare la sovranità sul Kosovo in modo violento, lo farà piuttosto con mezzi democratici. Tuttavia, ciò che non può essere escluso è il conflitto all’interno del Kosovo, in special modo se le richieste della maggioranza albanese non venissero accetta-te. Anche tenuto conto di tutto ciò, è comunque improbabile che
que-sto si riversi sui paesi vicini e danneggi seriamente le prospettive com-plessive della regione.
Una seconda possibilità è che i paesi ritornino sui propri passi riguardo alle riforme, e che a turno mettano in pericolo il flusso di IDE e com-promettano la stabilità macroeconomica. Tutto ciò è assai poco proba-bile ma non può essere certo escluso. La transizione ha avuto effetti misti sulla vita della popolazione della regione e molti non sono conten-ti dei risultaconten-ti. Questo punto può essere visto chiaramente nel grafico 8, che mostra il livello di insoddisfazione della popolazione in ogni paese, e si basa su una indagine svolta su un campione casuale di 1000 indivi-dui per paese. Tra tutti i paesi coinvolti nel processo di transizione solo in Albania e Croazia il livello di soddisfazione è vicino o sopra la media.
Nel resto dei paesi prevalgono gli insoddisfatti.
Il problema che affrontano i policy-makers è che le riforme sono spesso dolorose all’inizio, perché i benefici arrivano solo in un secondo tempo:
se i tempi diventano troppo lunghi il rischio è che la popolazione sia così insoddisfatta da rendere impossibili ulteriori riforme. Tutto somma-to, comunque, è probabile che la necessità di realizzare riforme collega-te alla UE e la volontà di dimostrare alla comunità di investitori ulcollega-terio- ulterio-ri avanzamenti verso l’economia di mercato, pesino di più degli ostaco-li alle riforme, almeno a medio e lungo termine.
Infine, la domanda su cosa farà l’UE rispetto a ulteriori allargamenti.
L’entrata di Bulgaria e Romania ha creato qualche disagio all’interno dell’UE, soprattutto alla luce della diffusa preoccupazione che questi paesi non fossero ancora del tutto pronti per le sfide che la membership europea avrebbe posto loro. Le future candidature saranno pertanto valutate in modo particolarmente accurato, specialmente da parte di quei membri dell’Unione che nutrono profondi dubbi sui benefici deri-vanti dall’entrata di nuovi paesi.
Potrebbe passare così molto tempo prima che alcuni paesi della regione siano in grado di soddisfare i nuovi, impegnativi standard posti dall’UE.
È comunque assai improbabile che l’UE possa mantenere fuori questi paesi per un tempo indefinito, ovviamente sempre che i richiedenti siano in grado di dimostrare di essere meritevoli della membership. E l’esperienza degli anni più recenti sembra suggerire che non sia così lon-tano il giorno in cui tutti i paesi del SEE siano pronti ad unirsi all’UE.
CAPITOLO 3
APPENDICE *
Balcani Paesi Baltici
Centro-Est Europa
CIS+M Emisfero Occidentale
Euro area Stati Uniti Asia-paesi in via di sviluppo