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I) Tariffe alte e in aumento costante

2.4 Riflessioni: perché prendersi cura della morte

Nel dibattito internazionale, si è passati da termini quali servizi cimiteriali, che in- dicano alcuni precisi servizi facenti parte delle mansioni all’interno di un cimitero a termini quali death care o fine vita, per indicare un più ampio insieme di procedure, e non necessariamente collegate unicamente al cimitero. Questo cambiamento nella terminologia riflette un’evoluzione importante nella missione percepita da chi si oc- cupa degli svariati aspetti del fine vita. Si ritiene necessario che, anche in Italia, chi si pone come garante delle ultime volontà dei cittadini e chi opera nei settori medici e funerari si prenda maggiormente cura della morte - come concetto, come atto e come ricorrenza imprevedibile ed ineludibile.

Come motivazione a tale affermazione, constatiamo che:

I) Oggi la società tende ad ospedalizzare eccessivamente la morte e nel tentativo di allontanarla dagli occhi perde la capacità di affrontarla. In tal senso è interessante la testimonianza del medico di base londinese Iona Heath:

“lo scopo dell’assistenza sanitaria e il metro in base al quale la si valuta è diventato, in grandissima misura, il semplice prolungamento della vita. […] La sfida tecnologica a prolungare la vita ha gradualmente avuto la meglio sulla qualità della vita vissuta. Processi pericolosi e insidiosi ci hanno fatto perdere di vista fino a che punto il no- stro modo di vivere sia più importante del momento in cui moriamo. […] Una morte ‘medica’ finisce per essere tronca quasi quanto una morte violenta. In Guerra e pace Tolstoj descrive la morte e il morire in un’epoca in cui non esisteva la farmacologia moderna ed esplora metodicamente la relazione inversa tra libero arbitrio e inevi- tabilità. Forse, attraverso l’uso di analgesici e sedativi, noi soffochiamo qualsiasi possibilità di libertà nella morte, mettendo così in evidenza solo la sua inevitabilità” (Heath, 2008, p. 44).

II) Considerando che ogni individuo è differente e reagisce in modi dif- ferenti agli stimoli della vita, possiamo dire che avere, nel proprio bagaglio culturale collettivo, un solo modo comunemente accettato e conosciuto per salutare e ricor- dare i cari non è di grande aiuto ad avvicinare le persone ad un confronto sereno con la morte. Se infatti accettiamo la (sacrosanta) presenza della diversità tra individui e scelte individuali, possiamo tranquillamente immaginare che per alcuni individui il modo comunemente accettato per commemorare i morti sia adatto, e che invece per altri non lo sia (ed è una fortuna, se consideriamo le differenze come un valore). Inoltre questi ultimi potrebbero non essere consapevoli di non avere un appaga- mento adeguato e per questo non far valere le proprie ragioni. Oppure – peggio – essi potrebbero sentire l’inadeguatezza delle modalità di erogazione rispetto alle proprie aspettative personali, ma, immaginando di non poter cambiare la situazio- ne, decidere di tenere a bada la frustrazione conseguente e semplicemente pensare ad altro; senza contare che prima o poi le insoddisfazioni tornano sempre a galla, e non sempre nei momenti più adatti ad affrontarle. Quindi, tenendo conto del fatto che percezioni e sensazioni sono variopinte anche rispetto agli atti commemorativi, allora, da parte di chi si occupa di death care, l’atteggiamento più “antifragile” (Ta- leb, 2013) sarebbe quello di moltiplicare le occasioni di sperimentazione nonché le effettive opzioni per la commemorazione. In via negativa questo può essere fatto dalle amministrazioni pubbliche ad esempio semplificando le procedure di garanzia del rispetto delle proprie volontà, come ad esempio avviene con la donazione degli organi tramite consenso registrato direttamente nel documento di identità.

III) Pensare alla morte aiuta a migliorare la qualità della propria vita: già nel 1643 Browne affermava che “noi siamo più felici con la morte di quel che saremmo stati senza di essa” (Browne, 1643, p. 70). Per una riflessione contempo- ranea si veda invece lo scritto34 di Hintjens dal titolo Un protocollo per morire. La

34 Hintjens P., Un protocollo per morire http://www.ilpost.it/2016/04/26/un-protocollo-per-morire/

dottoressa Heath si esprime anche su tale aspetto del legame indissolubile tra la vita e la morte, un concetto tanto banale quanto misconosciuto:

“La società contemporanea sembra avere del tutto smarrito il senso del valore della morte; del legame indissolubile tra mo- rire e vivere. […] Paradossalmente, è la morte che ci fa dono del passare del tempo. In sua assenza saremmo smarriti in un’ac- cozzaglia di eternità e non avremmo nessuna ragione di agire o meglio di vivere. […] Se distogliamo gli occhi dalla morte, pre- giudichiamo anche la gioia di vivere. Meno avvertiamo la morte, meno viviamo. […] Per converso, sembra che una vita vissuta al massimo renda più facile morire. […] Pensare che per chi muo- re sia preferibile una morte improvvisa significa non dare alcun valore alle opportunità offerte da una malattia terminale, tra cui la possibilità di lasciare in ordine le proprie cose, contribuire a pianificare il proprio funerale, condividere e rivivere i ricordi, dire addio, perdonare ed essere perdonati e dire cose che andrebbero dette” (Heath, 2008, pp. 23-33).

IV) Esistono notevoli possibilità di migliorare la nostra condizione di esseri viventi pensanti e le nostre relazioni con gli accadimenti certi e inequivocabili della nostra vita.

Si auspica dunque di continuare a percorrere alcune semplici strade di cono- scenza e consapevolezza, ad esempio:

a) attuare programmi (anche scolastici, ma non solo) per sensibiliz- zare sull’utilità di un approccio alla morte, da affiancare al normale atteggiamento medico e scientifico; approccio che sia invece meno scientifico e più sentimentale, psicologico, umorale;

b) proseguire studi sulla preparazione di quei professionisti che sono in costante vicinanza con casi di malati terminali, lavorando con loro nell’ambito formativo delle cosiddette soft skills – sia per proteggere psicologicamente i pro- fessionisti stessi, sia per aumentarne le competenze nell’approccio con gli utenti; si vedano iniziative quali il progetto di Alex Blake per l’accompagnamento alla morte dei malati terminali35 il master dell’Università di Padova diretto dalla professoressa

Ines Testoni36; c) semplificare le procedure di garanzia del rispetto delle proprie vo- lontà, ed educare al pensiero preventivo. Teniamo presente che questa sarebbe una 35 http://www.yorkshirepost.co.uk/news/nurse-helping-patients-prepare-for-a-beautiful-dea- th-after-her-own-tragic-loss-1-8510342 (ultima visualizzazione 04/04/2018) 36 Master “End of life studies” presso l’Università di Padova http://endlife.psy.unipd.it/ (ultima visua- lizzazione 04/04/2018)

delle voci di più semplice attuazione e al contempo con un impatto positivo tra i più notevoli, perché si tratta di un’operazione per “via negativa” (Taleb, 2013), con distorsione degli effetti pressoché nulla rispetto ad altre politiche, anche a quelle sopracitate, che sono invece di stampo più interventista, come i programmi; d) in ultimo, dare spazio a sperimentazioni su luoghi e modalità del ricordo, facendole emergere dal confronto con una pluralità di visioni e curando par- ticolarmente l’aspetto della raccolta dati sulle esperienze attivate.

Il suggerimento ad intervenire, che poniamo a qualunque soggetto e orga- nizzazione dei settori coinvolti che si senta di poter contribuire, è spinto dalla con- vinzione che – all’interno di una società – trattare la morte, anche semplicemente a partire dal poter affrontare l’argomento in un ambiente relazionale consapevole e capace di affrontarlo, migliora la qualità della vita di ognuno di noi. Qualcuno ha già cominciato. Infatti, nell’ambito delle possibilità legalmente attuabili di adegua- mento dell’offerta ad esigenze emergenti, sono comparse pratiche che introduco- no innovazione nella filiera funeraria, e che saranno esposte nel quarto capitolo. Vedremo come, da parte di soggetti privati, sono state attivate pratiche e modalità di trattamento nella filiera funeraria che contribuiscono al miglioramento della re- lazione della società con la morte. Infatti, come abbiamo visto, non si tratta della sola ‘gestione cimiteriale’ in termini di ingegneria gestionale e di utilizzo degli spazi, ma anche e soprattutto un trattamento della morte e di ogni fenomeno connesso in maniera integrata, con la possibilità di diffondere pratiche rasserenanti dell’evento luttuoso e abitudini concilianti nei confronti dell’unico atto a cui davvero nessuno può sottrarsi.

In questa sezione dedichiamo spazio all’approfondimento del concetto di servizi e di servizio, in quanto costituiscono il macro-ambito tematico in cui sono inseriti i servizi cimiteriali, oggetto di studio. Un approfondimento in tal senso è utile perché i servizi cimiteriali, insieme ad altri servizi, sono considerati necessari a livello uni- versale: non li riceve solo chi li sceglie, ma tutti i cittadini in qualche modo li ricevo- no, a prescindere dalle loro scelte personali. Inoltre potremmo affermare che non c’è più solamente il bisogno che il servizio universale sia garantito per tutti: la società nel frattempo si è evoluta in un modo tale per cui oggi è possibile fare delle scelte sul come fruire dei servizi universali, che possono essere erogati in differenti modi. È in atto una modificazione radicale del concetto di servizio, in letteratura come anche nelle pratiche. Non esiste più il concetto di servizi come settore a sé. È im- portante tenere conto di questo dibattito e l’emergere di nuove interpretazioni del concetto stesso di servizio, perché tale nuovo approccio imposta i rapporti tra ero- gatore e fruitore (e tra operatori della stessa filiera) in modo nuovo, aprendo ad am- pie possibilità di sviluppo. Questo approccio fa emergere potenziali modi di operare che in ambito cimiteriale possono concorrere a valorizzare e migliorare l’atto di cura della morte.

Nel secondo capitolo si è riflettuto sulle conseguenze del sostanziale mono- polio dei servizi cimiteriali su efficienza e costo del servizio e sulla qualità ed equità per il cittadino. In questo terzo capitolo si suggeriscono approcci per favorire un’e- voluzione dei servizi e soprattutto del concetto stesso di servizio, mentre nel quarto capitolo si analizzeranno quelle pratiche commemorative, esistenti all’estero, che sono in grado di dare alcuni spunti per l’innovazione dei servizi cimiteriali in Italia, e che nel complesso mostrano come la pluralità sia un elemento cardine per lo svi- luppo di risposte gestionali ‘al passo con i tempi’ e con le necessità di una società in continuo cambiamento. Come l’analisi delle pratiche confermerà, il quadro che se ne può trarre è quello di una società tutto sommato culturalmente e imprenditorial- mente intraprendente, dove la normativa lo consente.

Tra i temi del dibattito attuale in particolare emerge come i servizi perva- dano ogni settore del mercato, in quanto costituiscono ormai il principale oggetto di scambio nei mercati globalizzati. A partire da questa constatazione, il presente capitolo snocciola in quattro paragrafi quei principali elementi di ricerca che ali- mentano la casistica elaborata poi nel quarto capitolo. Il primo paragrafo evidenzia come quello dei servizi di pubblica utilità sia un concetto dinamico e cerca di far emergere le implicazioni di tale dinamismo a livello di mercato. Nel secondo pa- ragrafo si affrontano gli elementi di specificità del concetto di servizio e il metodo della cosiddetta service dominant logic come approccio innovativo nell’erogazione dei servizi. Il terzo paragrafo fa emergere che il servizio ha valore nell’uso, che sono gli utenti a creare buona parte del valore e che dunque alle organizzazioni conviene

prestare particolare attenzione alle relazioni che si instaurano con gli utenti durante il processo di scambio, considerando che il vantaggio è per entrambe le parti, eroga- tore e consumatore; e infine il quarto paragrafo indaga su come gli utenti cerchino nello scambio essenzialmente due elementi, ovvero esperienze e soluzioni, ed è su questi ultimi che le organizzazioni erogatrici dovrebbero maggiormente concentrar- si nell’ottica di migliorare la qualità percepita dagli utenti nell’utilizzo dei servizi.

3.1 I servizi di pubblica utilità. Definizioni, caratteristiche e implicazioni di