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Le riforme delle interpretazioni dell’Islam e il movimento per

i diritti delle donne musulmane

È dal XIX secolo che pensatori e riformatori musulmani denunciano le pessime con- dizioni in cui versano le donne in nome di presupposti sacri e religiosi. L’egiziano Qasim Amin (1863-1908) ha dedicato due opere Liberare le donne (1897) e La nuova

donna (1900), purtroppo ancora di grande

attualità. In effetti, a proposito del hijab (il foulard islamico) scrisse: «è veramente stupefacente! Perché non chiediamo agli uomini che temono così tanto di essere sedotti, di velarsi o di allontanare i loro sguardi dalle donne? La volontà maschile sarebbe forse inferiore alla volontà delle

donne?» (Bessis, 2007). Qasim Amin era un magistrato e fu per anni vittima di virulenti critiche non solo da parte dei dottori del

Fiqh36 ma anche da politici di vari schie- ramenti che lo accusarono di inneggiare alla cultura e ai costumi dei colonizzatori a danno delle specificità culturali del Paese. Il suo compatriota Mansour Fahmy (1886- 1959), autore nel 1913 dell’eccellente sag- gio La condizione della donna nell’Islam fu espulso dall’Università del Cairo e ber- saglio di campagne di denigrazioni da parte dei teologi conservatori dell’Azhar e degli islamisti che, di lì a poco, fondarono il movimento dei Fratelli musulmani. Il te- ologo tunisino Tahar Haddad (1898-1935) dell’Università islamica della Zeituna, nel suo saggio La nostra donna, la nostra reli-

gione e la nostra società (1926) paragona il

velo prescritto alle donne musulmane «alla museruola che si mette ai cani per impe- dirgli di mordere». Anche quest’ultimo fu vittima dell’ira dei “guardiani del tempio”. Ma non sono stati solo i maschi ad espri- mersi sulla questione, un movimento fem- minista nel mondo musulmano è nato già dal 1892 e si è organizzato simultaneamente sia fra le studiose della dottrina islamica e teologhe, sia fra le militanti dei movimenti di resistenza all’occupazione e di lotta per l’indipendenza. Fra le più note del periodo della Nahda (“risorgimento”) araba, spicca il nome di Huda Sha’rawi (1879-1947)

(Badran, 1989), attivista egiziana che de- nunciava la segregazione e sottomissione delle donne negli harem ottomani, lottava per la scolarizzazione delle bambine e proponeva, assieme a intellettuali e poli- tici, una nuova interpretazione delle fonti della religione per modificare la legge dello statuto personale, eliminandone alcune disposizioni misogine della shari’a “istitu- zionale” come la segregazione fra i sessi, il ripudio, la poligamia. I vari tentativi di riforma, in particolare le disposizioni sulla poligamia e il ripudio, fallirono e rimasero invariati fino al 1979 (cinquant’anni dopo) quando il presidente Sadat ha portato al- cuni emendamenti alle norme sul divorzio e sul matrimonio. È stato però lo stesso Sadat a favorire l’estremismo islamico e reprimere spietatamente qualsiasi voce a favore della libertà femminile: la nota fem- minista nonché psichiatra e scrittrice Na- wal El Saadawi, che fu la prima nel 197237 a rivelare al mondo l’orrore della clitori- dectomia (e la sua), ne fu una delle tante vittime: radiata dalla professione ed arre- stata. Nel XXI secolo l’eredità di quel movi- mento riformista si ritrova nella posizione e nell’approccio che centinaia di femministe nel mondo musulmano adottano oggi per rivendicare l’uguaglianza fra donne e uo- mini. La rete internazionale delle femmini- ste musulmane considera che è un abuso grave rifarsi all’Islam per giustificare il

37 Con il saggio Women and sex e di seguito con il romanzo autobiografico Il volto nascosto di Eva uscito in arabo a Beirut nel 1977 e successivamente tradotto in varie lingue fra cui l’inglese (The hidden face of Eva), Zed Books, 1980, e il francese (La face cachée d’Eve), Des Femmes, 1982.

38 Teologa ed autrice della prima reinterpretazione dell’Islam in chiave femminista presentata nel suo saggio Il Corano e le donne: una rilettura dei testi sacri

con un’ottica di genere. Ha guidato per la prima volta

la preghiera del venerdì alla moschea di New York nel 2005 e il suo gesto fu acclamato da tutti i riformisti e ferocemente criticato dagli altri.

non riconoscimento della parità di genere nelle società musulmane, e sostiene che le attuali interpretazioni dell’Islam e le leggi islamiche sono frutto di società patriarcali dove il peso dell’antropologia, della cul- tura e la supremazia del potere dell’uomo hanno avuto la meglio sulla religione. Essa promuove “il rinnovamento” e la rilettura dei testi sacri e dell’etica musulmana, pro- ducendo una profonda riflessione sulle pratiche e le norme culturali e di costume responsabili delle pessime condizioni della donna musulmana; inoltre sviluppa una dura critica all’ideologia che istituzio- nalizza la discriminazione, e alla politica che esclude la partecipazione del pensiero femminista.

Nata all’inizio degli anni Novanta da un gruppo di iraniane, questa rete indipen- dente si è successivamente sviluppata grazie all’adesione di decine di gruppi di riflessione, associazioni, docenti universi- tarie, studiose e insegnanti di storia della religione, teologhe, ex militanti di partiti islamisti, attiviste per i diritti umani e i diritti delle donne, osservanti e non osser- vanti, dei quattro angoli del mondo. Si sono di conseguenza anche unificate tante meto- dologie di sensibilizzazione, lobbying, pro- poste legislative, azione educativa, sociale e politica e soprattutto assistenza e supporto giuridico alle donne più vulnerabili. La rete ha organizzato il suo primo congresso a Barcellona nell’ottobre del 2005, con il sostegno e il patrocinio dell’UNESCO e le autorità spagnole. Un secondo congresso si è tenuto nel novembre del 2006. Nel loro documento costitutivo, le aderenti defi- niscono il «femminismo musulmano una rivendicazione dei diritti inalienabili delle donne che le società musulmane hanno si- stematicamente confiscato».

Accusano i leader religiosi di essere stati sempre complici del potere escludendo le donne e si propongono di:

• «rivedere i dogmi elaborati nei secoli pas- sati dalle varie scuole di diritto musulmano al fine di adattarli al presente e con la lente dell’uguaglianza fra i sessi; • auto-ridefinirsi all’interno di strutture so- ciali sempre più patriarcali, autocratiche e tradizionali; • riappropriarsi del proprio corpo e della pro- pria anima per una maggiore spiritualità; • operare un’intrusione sovversiva nel campo blindato da un ordine maschilista finora inaccessibile alle donne.»

Fra le note intellettuali che si dedicano all’esegesi e alla reinterpretazione del Co- rano e della Sunna, spiccano i nomi delle iraniane Shahla Sherkat e Azzam Taleghani, Amina Wadud38, Asma Barlas, Riffat Hassan,

Azizah Al-Hibri, Leila Ahmed e Margot Ba- dran39 di varie origini che vivono negli Stati

Uniti, Ziba Mir-Hosseini della Gran Bretagna e la sud-africana Shamima Shaikh.40 Fanno 39 Traduttrice dell’opera dell’egiziana Huda Sha’rawi. 40 Prima di morire (gennaio 1998), la prof.ssa Shaikh ha espresso il desiderio e ha avuto una funzione religiosa, celebrata da una donna che ha guidato la preghiera del defunto, alla quale hanno partecipato donne e uomini fianco a fianco in una moschea di Johannesburg. 41 http://www.wluml.org.

attivamente parte del movimento diverse associazioni (di 70 paesi) aderenti alla “rete delle donne sotto legge musulmana” nata nel 198441 come l’organizzazione malese

Sisters in Islam, l’organizzazione nigeriana Baobab e tante altre, ed è stata aperta anche

una sezione italiana promossa da donne migranti.

8.4.

Conclusione

Grazie a varie “aperture democratiche” necessarie per adempiere agli obblighi internazionali e soprattutto a ricevere in- genti finanziamenti, l’impegno civile delle organizzazioni non governative negli Stati musulmani (spesso senza finanziamenti pubblici ed internazionali) e delle militanti – osservanti o “secolari” – per i diritti umani delle donne musulmane, si è largamente diffuso ed ha contribuito dappertutto a rendere note, anche nelle zone più arretrate dei loro Paesi, i princìpi della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione univer- sale e delle disposizioni internazionali e na- zionali che sanciscono la libertà e la parità di tutti i cittadini. Due esempi fra tanti sono l’associazione delle donne afghane Rawa42 che, pur in clandestinità durante il regime talebano ma con il prezioso sostegno delle donne afghane nel mondo, era l’unica ad averci permesso di vedere davvero ciò che stava succedendo ogni giorno nel paese e alle donne; e ancora la rete della Campa- gna internazionale per fermare i crimini d’onore contro le donne che è completa- mente autofinanziata.43 Tuttavia, questo impegno è un lunghissimo percorso ad ostacoli: le azioni sono spesso contrastate e frequentemente represse: è enorme il numero di militanti donne e uo- mini che vengono regolarmente sottoposti ad intimidazioni, processi per diffamazione o vilipendio, incarcerati per anni senza pro- cesso, costretti all’esilio o ancora dati in pa- sto ai gruppi e gruppuscoli radicali armati di varie correnti integraliste. Rivendicare e promuovere lo stato di diritto, l’uguaglianza, la libertà e la partecipazione politica intral- cia svelando la “doppia morale” delle classi al potere: i valori di libertà e uguaglianza a uso e consumo sullo scacchiere internazio- nale e la cooptazione e ubbidienza al capo nell’arena politica nazionale. Questa “dop- pia morale”, l’estesa opposizione politica integralista, gli “esperti” e analisti a buon mercato hanno fortemente contribuito a rafforzare la diffusa rivendicazione in Oc- cidente della paternità dei valori di libertà e di uguaglianza, e se la lotta delle donne e degli intellettuali musulmani liberali e democratici è invisibile e censurata sia nei loro Paesi che sulla scena internazionale, vorrà pur significare qualcosa.

42 http://www.rawa.org.

43 http://www.stophonourkillings.com.

44 Espressione popolare algerina.

Per fortuna oggi, le moderne e “democra- tiche” tecnologie di comunicazione e della telefonia mettono in difficoltà chi vuole «nascondere il sole con un setaccio»44:

aumenta la consapevolezza che le donne ovunque soffrono a causa delle multiformi e a volte sottili misoginie, nonché dei ri- gurgiti identitari, e che, anche nelle nostre società, «gli uomini e le donne nascono li- beri ed uguali in dignità e in diritti» e «sono dotati di ragione e coscienza».

Per saperne di più

Ahmed L., Oltre il velo: la donna nell’Islam da Mao-

metto agli ayatollah, La Nuova Italia, Firenze, 1995;

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La Déclaration universelle des droits de l’homme et le droit musulman, in “Lectures contemporaines du

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