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Tra i determinanti fisiologici dell’IRR riconosciamo anche fattori extrarenali quali la rigidità arteriosa sistemica.

Nel 1999 Pontremoli e coll. hanno condotto uno studio che correlava l’IRR a markers di danno d’organo legato all’ipertensione (ipertrofia del ventricolo sinistro, IMT); oltre a questa correlazione è emersa anche un’associazione con i valori di pressione arteriosa ed in particolare una correlazione diretta con i valori sistolici e inversa con quelli diastolici; questo significa che l’IRR si modifica in base alla pressione differenziale, noto indice di rigidità arteriosa. (Pontremoli, 1999).

Nel 2005 Ohta e coll. hanno ulteriormente approfondito la connessione tra compliance vascolare e modificazioni emodinamiche del circolo renale attraverso uno studio dal quale è emersa una correlazione diretta tra l’incremento della PWV e IRR. L’aumento della rigidità arteriosa dei grandi vasi (come l’aorta) può predisporre la circolazione renale ad un sovraccarico emodinamico, rappresentato dall’incremento della pressione differenziale, che si traduce in un aumento dell’impedenza del microcircolo. Allo stesso tempo l’arteriolosclerosi dei vasi parenchimali peggiora la funzionalità renale creando un circolo vizioso che va a incrementare la rigidità arteriosa anche attraverso l’attivazione del RAAS (Safar, 2004). Nello studio di Ohta è emerso anche che nei pazienti diabetici i valori di IRR erano significativamente più elevati rispetto ai pazienti non diabetici, anche dopo correzioni con fattori che influenzano notoriamente l’IRR. Il meccanismo alla base di questa associazione resta per la gran parte sconosciuto, ma una possibile spiegazione risiede nel fatto che l’iperglicemia predispone sia a modificazione dell’interstizio renale favorendo la fibrosi (diminuendo quindi la distensibilità delle arteriole) sia accelerando i processi sistemici di aterosclerosi (aumentando di fatto la rigidità) (Ohta, 2005).

Nel 2007, Wadei e coll. hanno effettuato uno studio su pazienti sottoposti a trapianto renale, ad un anno di distanza dall’intervento, con lo scopo di verificare se i valori di pressione arteriosa influenzino la prognosi del trapianto. In questo lavoro sono stati utilizzati la misurazione della pressione delle 24 ore, tramite la quale è stato possibile stabilire il profilo pressorio dei pazienti, e altri indici di danno cardiovascolare, tra cui l’IRR. l’IRR è stato più volte utilizzato come parametro per predire la riduzione della funzionalità

renale dopo trapianto. Allo stesso tempo però non è stata evidenziata una correlazione univoca tra i quadri istologici correlati al rigetto e i valori di IRR (Vallejos, 2005). Nella popolazione studiata da Wadei e coll., la presenza di un profilo pressorio di tipo non- dippers correlava con una riduzione della funzionalità renale, anche in soggetti senza evidenza di fibrosi al controllo bioptico. I risultati hanno mostrato che alterazioni del profilo pressorio dei pazienti erano correlate con valori patologici di IRR. L’ indice era associato anche ai valori di filtrazione glomerulare, suggerendo quindi una relazione tra profilo pressorio, funzionalità renale e IRR, indipendentemente dal grado di fibrosi post-trapianto. Oltre all’età del ricevente, il diabete, la riduzione della funzionalità renale e elevati valori di IRR erano associati ad un mancato calo pressorio notturno. L’associazione con il diabete è stata spiegata con una disfunzione del sistema nervoso simpatico legata alla neuropatia diabetica. Quella con l’IRR invece rimane più incerta, ma gli autori hanno ritenuto che sia il profilo di non-dippers che l’IRR fossero espressione di un’alterata compliance. Il fatto che l’IRR non riflettesse necessariamente la presenza di alterazioni parenchimali alla biopsia suggerisce una correlazione con il danno vascolare sistemico (Wadei, 2007).

In un recente studio di Bruno e coll. è stata utilizzata la misura dell’IRR dopo stimolo con farmaci vasodilatanti (nitrati) in pazienti con una nuova diagnosi di diabete o ipertensione arteriosa essenziale. I risultati di questo lavoro hanno mostrato alcune importanti correlazioni. Innanzitutto anche in questo caso è stato confermato che l’IRR è uno dei primi indici a modificarsi in questo tipo di patologie, a sostegno del suo ruolo nella valutazione iniziale del rischio cardiovascolare. Inoltre tra i maggiori determinanti dell’IRR anche in questo caso c’era la pressione differenziale insieme ai valori ematici di glucosio e creatinina: si conferma cioè il rapporto tra IRR e i classici fattori di rischio cardiovascolare e renale. È emersa anche una correlazione diretta tra la misurazione dinamica dell’IRR (ovvero dopo somministrazione di nitrati), PWV ed emoglobina glicata. Questo fatto si spiega con la teoria secondo la quale la riduzione della reattività delle cellule muscolari lisce e il rimodellamento della parete vascolare che si osservano nel diabetico e nell’iperteso possano essere responsabili dei valori patologici di IRR dinamico. La rigidità arteriosa come sempre è legata alla patologia renale in una duplice maniera: è un determinante della riduzione della funzionalità d’organo, ma a sua volta viene incrementata dalla disfunzione renale. Bruno e coll. hanno concluso che nel paziente iperteso l’IRR era indipendentemente correlato con la rigidità arteriosa, suggerendo quindi che il carico emodinamico a livello

parenchimale contribuisca a determinare alterazioni del microcircolo; nel paziente diabetico, al contrario, l’IRR era correlato in maniera significativa con l’emoglobina glicata e con i valori sistolici di pressione arteriosa suggerendo quindi che il primum movens del danno renale sia l’iperglicemia. Diventa quindi importante avere uno stretto controllo dei valori pressori e glicemici, anche nelle condizioni di cliniche precedenti al franco diabete, per rallentare l’insorgenza delle complicazioni microvascolari, soprattutto quando sono già presenti segni di rigidità arteriosa sistemica (Bruno, 2011).

Un aumento della rigidità arteriosa lo possiamo osservare anche all’aumentare dell’età. Nel 1997 Krumme e coll. hanno condotto uno studio su pazienti che avevano subito un trapianto renale e che non presentavano segni di rigetto. Questi ricercatori, in considerazione dell’utilizzo dell’IRR come marcatore precoce di danno del rene trapiantato, hanno voluto indagare i fattori che determinano modificazioni dell’IRR, per definire in maniera migliore quali fossero i pazienti da considerare a rischio di rigetto; hanno evidenziato che la correlazione più importante si verifica tra IRR e valori di compliance vascolare e di età del soggetto ricevente, mentre gli stessi valori, se considerati nel donatore, non hanno alcuna influenza sull’IRR stesso. Questa evidenza, unita al fatto che nella popolazione arruolata non era stato possibile mettere in correlazione l’IRR con i valori di filtrazione glomerulare, ha spinto Krumme e coll. a suggerire che l’IRR possa servire da indice efficace nell’identificare il rigetto di un trapianto renale solo se vengono considerati i suoi cambiamenti nel tempo e non come valori assoluti. Infatti, essendo la rigidità arteriosa variabile da soggetto a soggetto, a seconda di età e comorbilità, non è possibile stabilire a priori quali valori debbano essere considerati patologici. La misurazione Doppler dell’IRR resta comunque auspicabile al momento del trapianto e nei successivi controlli per monitorizzare la risposta renale e stabilire una prognosi del trapianto (Krumme, 1997).

6.5 Alterazioni del compartimento tubulo-interstiziale come determinante dell’IRR

Negli anni ’90 l’IRR si è affermato come una misura semplice e poco costosa della resistenza, ma soprattutto della compliance vascolare a livello renale.

L’aumento dei valori di IRR è associato a molteplici patologie renali, come dimostrato di diversi studi, ma appare chiaro che l’incremento maggiore dei valori di IRR si ha nei pazienti che presentano patologie tubulo-interstiziali più che in quelli con patologie glomerulari.