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Differenti Cut-Off di Indice di Resistivita Renale come indicatori di coinvolgimento renale ed extrarenale e come predittori di peggioramento clinico-strumentale: studio monocentrico su 250 pazienti con Sclerosi Sistemica

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

S

CUOLA

T

OSCO

-U

MBRA DI

S

PECIALIZZAZIONE IN

R

EUMATOLOGIA

Direttore: Prof.ssa Ombretta Di Munno

SEDE AGGREGATA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE

DIPARTIMENTO DI MEDICINA SPERIMENTALE E CLINICA

SOD DI REUMATOLOGIA

Direttore: Prof. Marco Matucci Cerinic

Differenti Cut-Off di Indice di Resistività Renale come

indicatori di coinvolgimento renale ed extrarenale e come

predittori di peggioramento clinico-strumentale: studio

monocentrico su 250 pazienti con Sclerosi Sistemica

Relatore:

Tesi di Specializzazione

Prof. Marco Matucci Cerinic

Dr. Cosimo Bruni

Correlatore:

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1. INTRODUZIONE

La Sclerosi Sistemica (SSc) è una malattia cronica autoimmunitaria del tessuto connettivo caratterizzata da uno spettro molto ampio di alterazioni che coinvolgono il sistema vascolare e che determinano fibrosi sia cutanea che degli organi interni (Leroy, 1988).

La prevalenza Italia è stata stimata in circa 25 casi/100.000 abitanti mentre l’incidenza annuale viene stimata in 3.2-4.3/100.000 abitanti, con un rapporto femmina/maschio di 9,7:1 (Lo Monaco 2011).

Le complicanze malattia correlate determinano un netto incremento del tasso di mortalità il più alto tra le malattie di interesse reumatologico, principalmente a causa delle disfunzioni di tipo cardiorespiratorio legate ad un danno endoteliale diffuso mediato da una combinazione patogenetica di mediatori pro-infiammatori e pro-fibrotici (Denton, 2015).

Dopo il rilievo dell’efficacia degli ACE-inibitori nel trattamento della crisi renale sclerodermica, ad oggi la principale causa di mortalità SSc-correlata è rappresentata dall’ipertensione arteriosa polmonare (IAP), responsabile di più del 30% delle morti (Steen 2007). Per ragioni ancora non chiarite l’ipertensione polmonare SSc-correlata ha un andamento molto più severo rispetto alle forme di ipertensione polmonare idiopatica, con un tasso di mortalità quattro volte superiore (Kawut 2003). Proprio per questo, in considerazione anche dell’esordio spesso precoce di questa complicanza, sono stati proposti numerosi progetti di screening annuale e raccomandazioni tese ad ovviare il ritardo diagnostico e migliorarne la prognosi.

Grazie a recenti scoperte in ambito patogenetico e alla sintesi/utilizzo di farmaci diretti verso specifici target molecolari coinvolti nella patologia, nell’ultima decade vi è stato un miglioramento sia della sopravvivenza generale che nella gestione delle complicanze organo-specifiche (Denton 2015, Ferri 2014, Ho 2014), soprattutto in caso di diagnosi precoce.

La diagnosi precoce del coinvolgimento d’organo nel paziente sclerodermico riveste un ruolo importante per il miglioramento della prognosi per cui sono sempre più necessari test che permettano di evidenziare un coinvolgimento subclinico dei vari organi.

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A livello renale, nell’ambito di malattie di interesse internistico come ipertensione e diabete, già da anni viene utilizzato l’ecocolordoppler renale per identificare il coinvolgimento precoce a livello tubulo interstiziale.

Il nostro studio si pone come obiettivo quello di verificare se la misura dell’indice di IRR possa risultare efficace nell’identificazione del coinvolgimento renale subclinico anche nel paziente con sclerosi sistemica.

2. SCLERODERMIA: DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

La Sclerodermia è una malattia cronica del tessuto connettivo, ad eziologia non nota e patogenesi multifattoriale, caratterizzata dalla contemporanea presenza di alterazioni del sistema immunitario, disfunzione endoteliale e progressivo accumulo di tessuto fibroso a carico sia della cute che di numerosi organi ed apparati fra cui reni, cuore, polmoni e apparato gastrointestinale.

Dal punto di vista classificativo, la prima categorizzazione da porre segue il criterio clinico-descrittivo, il quale correla la distribuzione e la gravità dell’interessamento cutaneo a specifici parametri laboratoristici, strumentali e prognostici.

Accanto al termine sclerodermia dobbiamo infatti specificare se si tratta di:

▪ forme localizzate (sclerodermia localizzata), tra cui le morfee, la sclerodermia lineare e le forme pansclerotiche generalizzate; queste raramente si accompagnano ad interessamento sistemico, anche se possono associarsi positività autoanticorpali e reperti istologici cutanei con infiltrati di tipo infiammatorio (Tabella 1) (Falanga 1989).

▪ forme sistemiche (sclerosi sistemica), la quale a sua volta include forme ad interessamento cutaneo limitato (lcSSc), cutaneo diffuso (dcSSc), o forme senza interessamento cutaneo (SSc sine scleroderma).

Tabella 1 – Classificazione della sclerodermia 1. Forme di sclerodermia localizzata:

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• A placche • Guttata

• Atrofodermia di Pasini e Pierini - Generalizzata

• Localizzata

• Morfea pansclerotica invalidante - Lineare

• Localizzata • En coup de sabre - Profonda

2. Forme di sclerodermia sistemica:

- limitata (lcSSc) fibrosi cutanea confinata alle estremità distali, sotto il

gomito e le ginocchia

- diffusa (dcSSc) fibrosi cutanea che si estende in maniera prossimale oltre

il gomito e le ginocchia.

Oltre al fenomeno di Raynaud, che rappresenta la manifestazione d’esordio più frequente, il progressivo ispessimento ed indurimento cutaneo è l’elemento caratterizzante la patologia. Sulla base della sua estensione, è possibile classificare una forma cutanea limitata (lcSSc), che interessa le regioni distali a gomiti, ginocchia e collo, ed una forma cutanea diffusa (dcSSc) che invece si estende anche prossimalmente ai limiti suddetti (LeRoy 1988)

L’entità della fibrosi cutanea, valutata mediante il modified Rodnan skin score [Furst 1998], correla peraltro con una prognosi più grave di malattia e con una maggiore mortalità, mentre una sua riduzione nei primi due anni dall’esordio della malattia si associa ad una migliore sopravvivenza a 5 anni (Meyer 2006).

La classificazione in forma diffusa e limitata distingue due subsets di malattia caratterizzate non solo da una diversa prognosi e da diverse manifestazioni cliniche, ma

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anche da un pattern anticorpale distinguibile. Se circa il 90-95% dei pazienti affetti da SSc risultano positivi per la presenza di autoanticorpi antinucleo (ANA), le specificità autoanticorpali più caratteristiche per la malattia sono costituite dagli anticorpi anti-topoisomerasi I (anti-Topo I/anti Scl 70) presenti nel 30-40 % dei pazienti con la forma diffusa e dagli anticorpi anti-centromero (ACA) presenti nel 50% dei pazienti con la forma limitata (Steen 2005, Meyer 2007). Questi autoanticorpi maggiori, pur non presentando un accertato significato patogenetico (Senecal 2005), sono utili per la diagnosi e la classificazione della malattia e vengono ampiamente utilizzati nella pratica clinica. Tuttavia la metà dei pazienti sclerodermici positivo alla ricerca degli anticorpi anti-nucleo, presenta altre specificità, tra le quali sono annoverate gli Pm-Scl, gli Th/To RNP, gli anti-U3RNP/anti-fibrillarina e gli anti-RNA polimerasi (RNAP) I, II e III (Steen 2005). Questi anticorpi meno frequenti mostrano delle associazioni cliniche caratteristiche, quali quella tra anti-U3RNP e maggior rischio di ipertensione polmonare SSc correlata (Aggarwal 2009) e quella tra anti-PM-Scl e coinvolgimento muscolare infiammatorio. Non è ancora chiaro se la produzione di questi autoanticorpi sia da considerarsi un epifenomeno all’interno della patogenesi della malattia oppure un fattore determinante, l’attivazione o il danno cellulare (Tabella 2).

Tabella 2. Autoanticorpi specifici nella sclerodermia (ACA: anti-centromero; Anti-topo I: anti-topoisomerasi I; Anti-RNAP: anti-RNA polimerasi; AFA: anti-fibrillarina).

Nella lcSSc, rappresentante il 60 % dei casi di SSc, il coinvolgimento viscerale è frequente ma tardivo rispetto a quello cutaneo, che risulta limitato al volto e alle estremità distali. L’esordio della malattia è rappresentato dal fenomeno di Raynaud, presente nel 95 % dei

Autoanticorpi Frequenza % Subset Associazione Clinica

ACA 10-20 lcSSc CREST, ulcere digitali, PHA,CBP Anti-topo I 15-25 dcSSc Int. cardiaco e gastrointestinale Anti-PM-Scl 3-8 miosite/SSc Miosite

Anti-Th/To 2-5 lcSSc

Anti-RNAP I, II,III 10-25 dcSSc Crisi renale, tendon friction rubs, coinv. cardiaco

U1-RNP 5-30 lcSSc Connettivite mista indifferenziata U3-RNP (fibrillarin) 5-40 dcSSc Maschi Afro-americani, coinv. polmonare

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casi, dalle telangectasie, dalla tumefazione delle dita (puffy fingers), e da artralgie-artriti poliarticolari, spesso a carico delle piccole articolazioni delle mani. La fibrosi viscerale compare fino anche a 10-30 anni dall’esordio del fenomeno di Raynaud.

Il sottotipo a interessamento cutaneo diffuso (dSSc) ha invece evoluzione ben più rapida, con interessamento viscerale entro i primi 5 anni dall’inizio dei sintomi cutanei. Il fenomeno di Raynaud è meno frequente (75 % dei casi) ed esordisce entro un anno o contemporaneamente alle alterazioni cutanee, che si estendono in modo rapido e simmetrico dalle estremità distali a quelle prossimali al gomito e al ginocchio, coinvolgendo anche il tronco. I marcatori immunologici specifici sono gli anticorpi anti-Scl-70, diretti contro auto-antigeni identificati nella topoisomerasi I, positivi nel 20%-40% nei pazienti affetti da questa forma (Steen 1990) (Figura 1).

Nella variante di SSc sine scleroderma (meno del 10 % dei casi) sono presenti le manifestazioni viscerali e le alterazioni sierologiche tipiche della sclerosi sistemica, ma manca la compromissione cutanea.

Come le manifestazioni clinico-laboratoristiche, anche il decorso della malattia varia ampiamente. A differenza delle altre connettiviti, caratterizzate da episodi di riacutizzazione e remissione, la SSc ha un andamento monofasico, spesso relativamente benigno nel tempo, come si osserva particolarmente nella forma limitata caratterizzata da una prognosi migliore, o rapidamente progressivo con elevato rischio di mortalità, tipico della forma diffusa.

Figura 1: adattamento da Medsger and Steen (1996), rappresentante l’evoluzione delle patologie, la tendenza alle complicanze e la rapidità di coinvolgimento cutaneo nelle forme limitata e diffusa.

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3. DIAGNOSI E NUOVI CRITERI CLASSIFICATIVI

La diagnosi di SSc ad oggi rimane ancora difficile, data l’assenza di test diagnostici in grado di dimostrare la presenza o meno della malattia stessa, e per questo motivo viene affidata al giudizio esperto del clinico. Allo stesso tempo invece negli anni si sono susseguiti diversi tentativi e proposte di stesura di criteri classificativi, forniti principalmente allo scopo di uniformare popolazioni di malati all’interno di studi clinici. Il primo tentativo, con successivo utilizzo in larga scala, è stato rappresentato dai criteri ACR del 1980, i quali richiedono la presenza di sclerosi cutanea prossimalmente alle articolazioni metacarpofalangee o metatarsofalangee, o la presenza di due dei tre criteri secondari (sclerodattilia, ulcere digitali, o fibrosi polmonare) (Tabella 3) (Masi 1980).

Tabella 3. – American Rheumatology Association (ARA) criteri clinici preliminari per la sclerosi sistemica.

Criterio maggiore

- Sclerodermia prossimale: ispessimento cutaneo simmetrico delle dita e in qualunque

localizzazione prossimale alle articolazioni metacarpofalangee o metatarsofalangee (sensibilità 91%, specificità > 90%). Le alterazioni possono coinvolgere interamente le estremità, il volto, il collo e il tronco

Criteri minori (contribuiscono alla diagnosi in assenza di sclerodermia

prossimale)

- Sclerodattilia: ispessimento cutaneo limitato alle dita

- Cicatrici a stampo dei polpastrelli o perdita di sostanza distale delle dita - Fibrosi polmonare bibasilare

N.B.: Sono richiesti il criterio maggiore o due criteri minori, escludendo altre condizioni patologiche in cui possono essere riscontrate tali alterazioni: lupus eritematoso, polimiosite/dermatomiosite o fenomeno di Raynaud.

In considerazione dei criteri presenti all’interno di questo strumento diagnostico, i quali rappresentano manifestazioni tipiche di fasi conclamate/avanzate di malattia, Le Roy e

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Medsger proposero un nuovo set di criteri per definire la SSc in fase precoce (ESSc) (LeRoy 2001), caratterizzata dal Fenomeno di Raynaud (RP) obiettivato da un medico in presenza di anticorpi antinucleari marcatori (anticentromero, anti topo isomerasi I, anti-RNA polimerasi I o III antifibrillarina, anti-PM-SCL, anti-fibrillin o anti-RNA, in un titolo di 1:100 o superiore) (Tan 1989) o di tipiche alterazioni capillaroscopiche (megacapillari e/o aree avascolari) (Maricq 1973) o, alternativamente, di fenomeno di Raynaud anamnestico, associato ad entrambi i suddetti reperti.

Recentemente, dopo numerosi tentativi volti a superare i limiti dei vecchi criteri classificativi, sono stati sviluppati e successivamente approvati i nuovi criteri di classificazione, creati da un comitato congiunto commissionato dall’American College of Rheumatology (ACR) e dall’ European League against Rheumatism (EULAR) – Tabella 4

Tabella 4. Criteri Classificativi ACR-EULAR 2013 per la Sclerosi Sistemica

Items Sub-items Score

Ispessimento cutaneo delle dita di entrambe le mani prossimale

alle MCF (criterio sufficiente) 9

Ispessimento cutaneo delle dita (considerare il punteggio più alto)

- Puffy fingers

- Sclerodattilia delle dita (distale alle MCF, ma prossimale alle IFP)

2 4

Lesioni digitali (considerare il punteggio più alto)

- Ulcere ischemiche digitali

- Cicatrici digitali esito di ischemia

2 3

Teleangectasie 2

Anormalità capillaroscopiche dei capillari del letto ungueale

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Ipertensione arteriosa polmonare e/o malattia interstiziale polmonare (score massimo 2)

- Ipertensione arteriosa polmonare - Malattia interstiziale polmonare 2 2 Fenomeno di Raynaud 3

Autoanticorpi SSc-correlati (centromero, ScL70, anti-RNA polimerasi III) (score massimo 3)

Anti-centromero Anti-Scl-70

Anti-RNA polimerasi III

3

Lo score totale è determinato dalla somma del massimo score in ogni categoria

Pazienti con uno score totale di  9 è classificati come affetti da Sclerosi Sistemica

(Van den Hoogen 2013). Questi criteri includono le tre manifestazioni distintive della malattia: la fibrosi della cute o degli organi interni, la presenza di autoanticorpi specifici e le anomalie vascolari, oltre a componenti spesso presenti sin dalle fasi precoci della patologia, quali il fenomeno di Raynaud, la positività di autanticorpi SSc-specifici e le alterazioni videocapillaroscopiche. Sono stati quindi inclusi in questa maniera sia gli elementi presenti nei criteri classificativi ACR del 1980 sia certi aspetti della classificazione proposta successivamente da Leroy e Medsger (Leroy 2001).

La nuova classificazione include come criterio sufficiente di per sé alla diagnosi, la presenza di un inspessimento della cute delle dita di entrambe le mani esteso prossimalmente alle articolazioni metacarpofalagee. In assenza di questo criterio, altri sette elementi con differente peso (quindi differente assegnazione di punteggio) sono valutati per ottenere una classificazione della patologia: ispessimento cutaneo delle dita, lesioni dell’estremità delle dita, telangectasie, presenza di capillari con morfologia anomala a livello della plica ungueale, ipertensione arteriosa polmonare e/o interstiziopatia polmonare, fenomeno di Raynaud e presenza di anticorpi correlati alla sclerosi sistemica (Tabella 4). I criteri non risultano applicabili a pazienti con quadri scleroderma-like, che devono pertanto essere esclusi, come: fascite eosinofila, morfea generalizzata, fibrosi

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nefrogenica sistemica, scleroderma diabeticorum, scleromixedema, eritromialgia, porfiria, lichen sclerosus o graft versus host desease (GVHD).

I risultati dei test per la validazione dei criteri 2013 hanno mostrato una specificità e sensibilità superiore al 90% rispetto al 75% di quelli precedenti risalenti al 1980. In conclusione, i nuovi criteri di classificazione della sclerosi sistemica dovrebbero permettere una corretta classificazione dei pazienti affetti dalla malattia, con un evidente beneficio per la diagnosi precoce e la possibilità di impiegare trattamenti più efficaci.

4. PATOGENESI

La patogenesi della SSc è in larga parte ancora sconosciuta, sebbene venga complessivamente ricondotta a tre importanti eventi cardine: la vasculopatia conseguente al danno endoteliale, l’anomala attivazione del sistema immunitario e la fibrosi, sia cutanea che degli organi interni (LeRoy 1988, Fechner 1994).

4.1 LA VASCULOPATIA

Si pensa che gli eventi iniziali della patogenesi della SSc siano da localizzare a livello dei capillari e dei piccoli vasi (D’angelo 1969, Cannon 1974): la dimostrazione istopatologica di danno vascolare è presente prima dell’evidenza di danno fibrotico e sono presenti manifestazioni cliniche di danno vascolare, come il FR, che precedono tutti gli altri disturbi. Da un punto di vista cronologico, l’alterazione vascolare è inizialmente caratterizzata da un danno a carico della cellula endoteliale, seguito poi da un ispessimento della tonaca intima e da un progressivo restringimento del lume, fino alla completa ostruzione del vaso (Flavahan 2003). Con il progredire del danno vascolare, la diminuzione del letto microvascolare della cute e degli altri organi colpiti, causa uno stato di ischemia cronica.

Inoltre, le cellule endoteliali attivate aumentano l’espressione di E-selectina, promuovendo i meccanismi di homing leucocitario, la cascata coagulativa e fibrinolitica. L’attivazione piastrinica provoca il rilascio di trombossano A2 (TXA2), di PDGF e di TGF che potenziano la vasocostrizione e contribuiscono in maniera importante alla attivazione protidosintetica dei fibroblasti (Guiducci 2009).

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1. Instabilità vasomotoria generalizzata e tendenza al vasospasmo; da un punto di vista clinico sono rappresentate dal FR, caratterizzato da ripetute interruzioni transitorie della perfusione tissutale nelle dita e negli organi interni (FR sistemico), che spesso è un evento precoce nello sviluppo della malattia. In questi pazienti si ha un aumento dei livelli di ET-1, i livelli circolanti di NO sono invece ridotti (Kahaleh 1992) e sono invece aumentati quelli di TXA2, con determinazione di uno stato di vasocostrizione intensa, maggiormente evidente dopo lo stimolo da freddo (Reilly 1986).

2. Alterazioni microvascolari con modificazioni strutturali, caratterizzate da proliferazione dell’intima arteriolare ed obliterazione del lume vascolare con conseguente ischemia cronica.

3. Manifestazioni patologiche intravascolari: aumentata attività delle piastrine, ridotta deformabilità dei globuli rossi ed esaltata formazione di trombi, alla base della quale ci sarebbe anche un’attivazione dei polimorfonucleati che possono ostruire il lume del vaso e rilasciare i radicali liberi dell’ossigeno (Lau 1992).

Questo può giustificare l’ipotesi che nei pazienti con SSc vi sia uno squilibrio tra fattori vasocostrittori e vasodilatanti, soprattutto quelli di origine endoteliale, che possono condurre ad uno stato di vasospasmo che dà luogo al FR.

4.2 LE ANOMALIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’attivazione del sistema immunitario è un evento precoce nella sclerosi sistemica ma non è ancora noto se sia un evento determinante da un punto di vista patogenetico o se sia solo un epifenomeno del danno endoteliale (Abraham 2009). È noto che la flogosi tissutale preceda la comparsa di fibrosi e che le citochine infiammatorie possano indurre la deposizione di nuova matrice extracellulare da parte dei fibroblasti; peraltro tali citochine sono prodotte anche da cellule diverse da quelle infiammatorie come i cheratinociti, gli endoteliociti ed i fibroblasti stessi, che possono pertanto sostenere il processo fibrogenico svincolati dalla flogosi.

In sede perivascolare l’infiltrato si compone prevalentemente di linfociti T attivati e monociti/macrofagi, più raramente anche di eosinofili, mastociti e linfociti B. Le cellule T presentano TCR (T-cell receptor) ristretti per specifici antigeni indicando la presenza di una

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espansione oligoclonale nei confronti di agenti non ancora identificati (Sakkas 2006). Inoltre, nei soggetti SSc è stata ipotizzata una alterazione del normale equilibrio della differenziazione delle T-cell in senso Th1/Th2.

Le cellule T infatti, a seconda del microambiente citochinico, possono polarizzarsi verso due subset diversi, i Th1 produttori di IFN, e i Th2 che invece esprimono IL-4, IL-5 e IL 13. Queste citochine svolgono un ruolo ben riconosciuto di stimolazione al processo fibrogenico inducendo la sintesi di nuovo collageno, la differenziazione in miofibroblasti e la produzione di TGF-. È stato pertanto ipotizzato che nei soggetti sclerodermici ci sia uno sbilanciamento della risposta immune verso un pattern di tipo Th2. A dimostrazione di questa ipotesi linfociti T periferici in soggetti sclerodermici hanno mostrato un pattern predominante di recettori per le citochine di tipo Th2; o ancora i livelli ematici di IFN nei soggetti SSc sono inferiori rispetto ai controlli (Ferrarini 2009).

I linfociti B rappresentano una piccola parte dell’infiltrato flogistico nella SSc, tuttavia la presenza di autoanticorpi in pressoché tutti i pazienti sclerodermici suggerisce che anche le cellule B siano coinvolte nel processo patogenetico. La maggior parte di tali cellule esprimono CD19, il quale costituisce un potente regolatore positivo della loro attività; è stato dunque ipotizzato che uno stato di iperattivazione B cellulare possa estrinsecarsi con una perdita della tolleranza immunologica e conseguente formazione di autoanticorpi. La presenza di ANA e di altri autoanticorpi è peraltro la prova più tangibile del coinvolgimento delle cellule B del sistema immunitario. Sebbene la maggior parte degli autoanticorpi identificati ad oggi non siano stati collegati direttamente a meccanismi patogenetici di malattia, qualcuno di essi potrebbe contribuire in maniera diretta alla progressione della malattia. Gli autoanticorpi anti-endotelio potrebbero indurre apoptosi nelle cellule endoteliali, ma al solito potrebbero anche solo essere un epifenomeno della morte di tali cellule. Anticorpi anti-fibroblasti sono stati identificati solo recentemente e sembra possano indurre l’attivazione delle cellule verso cui sono rivolti. Altri anticorpi con possibile contributo patogenetico sono quelli stimolanti il recettore del PDGF o contro il recettore dell’angiotensina tipo 1 o dell’endotelina tipo A che inducono nei fibroblasti una risposta profibrotica e sono stati recentemente identificati nei sieri di SSc (Varga 2007).

Nella SSc si possono inoltre riscontrare reperti del tutto aspecifici, come un’ipergammaglobulinemia policlonale, una crioglobulinemia, la positività del fattore

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reumatoide del test VDRL (false-positive Venereal Research Laboratory). Il 95% dei pazienti presenta, come precedentemente accennato, anticorpi antinucleari (ANA), a prevalente pattern nucleolare all’immunofluorescenza diretta, suddivisibili in sottotipi specifici per la forma diffusa (anti topoisomerasi I, o Scl-70, nel 30-40% dei casi e associati ad un rapido coinvolgimento cutaneo, polmonare e renale) e per la forma limitata (anti centromero nel 40% dei soggetti affetti). Inoltre possono ritrovarsi anche altri tipi anticorpali, sebbene in minor percentuale (Sapadin 2001).

Autoanticorpi anticentromero (ACA): sono presenti circa nel 99% dei pazienti con sclerosi sistemica variante cutanea limitata ma possono essere riscontrati anche in pazienti con sindrome di Sjogren o con SSc diffusa, oppure in quelli in cui il FR è associato ad artrite reumatoide o tiroidite di Hashimoto. Poiché gli ACA sono frequentemente associati con la lcSSc essi possono risultare predittivi di buona prognosi benché vada sottolineato che pure la forma limitata può essere associata a due gravi complicanze, l’ipertensione polmonare e la cirrosi biliare.

Anticorpi anti Topoisomerasi I (Anti-Scl-70): questi autoanticorpi sono frequentemente associati alla forma diffusa della malattia. L’antigene corrispondente è stato identificato come l’enzima nucleare DNA topoisomerasi che regola il superavvolgimento dei cromosomi durante il ciclo cellulare. Gli Scl-70 sono considerati un marker della SSc, soprattutto nelle forme ad esteso coinvolgimento cutaneo e associate ad ipertensione polmonare.

Altri autoanticorpi diretti contro target nucleolari: sono presenti in circa il 50% dei pazienti con SSc e sono diretti contro diverse componenti nucleolari e contro la tRNA sintetasi: RNA polimerasi I, II, III; Fibrillina (U3 RNA protein complex); RNA nucleolare 4-65; U1RNA protein complex; TH nucleolare; SS-B/LA e SS-A/Ro; Th0-Th1 RNP.

4.3 IL DANNO FIBROTICO

La fibrosi nella sclerosi sistemica è determinata da una inappropriata produzione di matrice extracellulare (ECM) da parte di fibroblasti aberranti e costituisce la più tipica manifestazione di questa patologia. L’ECM è costituita per la maggior parte da proteine strutturali come il collagene, i proteoglicani, le fibrilline e molecole d’adesione (Jinnin 2010), e costituisce un’importante riserva di fattori di crescita e svolge un ruolo attivo nel controllo della differenziazione, del corretto funzionamento e della sopravvivenza delle

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cellule mesenchimali. In condizioni fisiologiche il contenuto di ECM è frutto di un delicato equilibrio tra produzione e degradazione di collagene ad opera di enzimi detti metalloprotinasi della matrice (MMP). Nella sclerosi sistemica questo equilibrio è disturbato dalla eccessiva produzione di collageno non adeguatamente controllata da un parallelo incremento dell’attività collagenasica (Eyden 2008).

Tra i mediatori profibrotici il meglio conosciuto è probabilmente il TGF, fattore di crescita pluripotente caratterizzato da molteplici funzioni: svolge il ruolo di chemochina per i fibroblasti, induce la produzione di proteine della ECM, la trans-differenziazione in miofibroblasti, modula l’adesione tra cellule e matrice. Inoltre stimola la sua stessa sintesi, quella del fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) e di altre citochine così come la sintesi dei loro stessi recettori, generando un circolo vizioso stimolatorio di tipo autocrino-paracrino che sostiene una persistente attivazione dei fibroblasti e di altre cellule effettrici. Nei fibroblasti sclerodermici è stata osservata un’iperespressione costitutiva del CTGF indipendente dalla stimolazione del TGFβ, che determina il cosiddetto “fenotipo fibrogenico”. Inoltre, esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che i fibroblasti dermici esposti all’ipossia incrementano l’espressione di CTGF (Varga 2009). Questo ha portato a ipotizzare che, nella Sclerodermia, l’ipossia, causata probabilmente dalle alterazioni microvascolari, contribuisca all’iperproduzione di CTGF.

5. MANIFESTAZIONI CLINICHE 5.1 IL FENOMENO DI RAYNAUD

Il FR è una sindrome ischemica parossistica caratterizzata dalla comparsa di episodi acroasfittici a carico principalmente delle dita delle mani e dei piedi. Più raramente si presenta anche alla punta della lingua e del naso ed all’elice dell’orecchio. I sintomi riferiti dal paziente sono dolore, ottundimento della sensibilità ed alterazione del colore cutaneo. I pazienti quando si espongono al freddo o al fumo di sigaretta o per fattori emozionali manifestano improvvisamente tale triade di sintomi con una progressione sempre costante (Rodnan 1980, Maricq 1986) (Figura 2).

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- la fase del pallore: corrisponde alla vasocostrizione dei vasi, con mancato afflusso di sangue e conseguente colorazione pallida-bianca della cute;

- la fase della cianosi: corrisponde alla stasi venosa, con colorazione cianotica-bluastra della cute;

- la fase dell’iperemia: rappresenta il ripristino del flusso sanguigno, la cute diventa rossastra.

Nella forma limitata della SSc il FR è quasi sempre presente (95%), spesso precede le altre manifestazioni della SSc di anni o anche di decadi. Al contrario, il FR è presente all’esordio della forma diffusa soltanto nel 75% dei casi e precede solo di 1 anno le altre manifestazioni di malattia (McMahan 2010).

La videocapillaroscopia del letto ungueale rappresenta un esame di fondamentale importanza per la diagnosi differenziale tra le forme primarie e secondarie di FR (Figura 3).

5.2 MANIFESTAZIONI CUTANEE

Manifestazione precoce della SSc è una tumefazione bilaterale e simmetrica delle dita delle mani o delle mani in toto, e talora dei piedi (fase edematosa). Dopo un periodo di tempo, variabile da poche settimane a diversi mesi, tale edema viene sostituito da indurimento ed ispessimento della cute, che perde elasticità e diventa non più sollevabile in pliche (fase sclerotica). Infine la cute diventa assottigliata ed atrofica (fase atrofica). Il

Figura 2: Fenomeno di Raynaud in paziente con edema digitale

Figura 3: A capillaroscopia in soggetto sano, B capillaroscopia in soggetto con fenomeno di

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processo fibroso colpisce anche le ghiandole sudoripare, con riduzione della loro funzione secretoria, ed i bulbi piliferi, con caduta dei peli e dei capelli. L’interessamento specifico delle mani, che vanno incontro ad una progressiva retrazione, determina deformità irreversibili in flessione (“mani ad artiglio”). Le lesioni SSc interessano poi frequentemente la cute del volto, dando la tipica “facies sclerodermica”, amimica, che fa assomigliare molto fra loro i pazienti colpiti dalla malattia. Elementi caratteristici di questa “facies” sono le labbra sottili (microchelia), la rima orale che si apre poco e che non si chiude completamente (microstomia) lasciando in parte scoperti i denti incisivi, il naso affilato, le rughe della fronte spianate.

Nella forma diffusa l'ispessimento cutaneo si diffonde rapidamente in senso centripeto; entro alcuni mesi può coinvolgere avambracci, braccia, viso ed infine il tronco, soprattutto il torace e l’addome.

I pazienti affetti dalla forma limitata, invece, spesso presentano ispessimento soltanto della cute delle dita o delle dita e della faccia, e talora delle mani e delle regioni più distali degli avambracci. Nell’ultima circostanza, la malattia può rimanere stabile per anni senza coinvolgimento di regioni cutanee più prossimali. In una minoranza di pazienti (circa il 2%) non si ha ispessimento cutaneo ma, soltanto coinvolgimento viscerale (sclerosi sistemica

sine scleroderma). La tecnica che viene maggiormente utilizzata per valutare il grado

d’ispessimento e/o indurimento cutaneo è il “punteggio cutaneo modificato di Rodnan” (mRSS, modified Rodnan Skin Score). Con la palpazione si analizzano 17 aree del corpo ed ad esse è assegnato un punteggio dell’ispessimento cutaneo, basato sul giudizio dell’esaminatore, riferito ad una scala ordinaria a 4 punti (0=spessore normale, 1=leggero ispessimento, 2=moderato ispessimento, 3=severo ispessimento) (Black 1995).

Tipiche sono anche le teleangectasie: piccole aree maculari o puntate di colorito violaceo, che appaiono su dita, volto, labbra e lingua. Si riscontrano per lo più nei pazienti con forma limitata (80% dei casi); tali manifestazioni divengono più evidenti nella seconda e terza decade di malattia.

La calcinosi sottocutanea (deposizione di cristalli di idrossiapatite) è una complicazione tardiva,

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frequente soprattutto nella lcSSc (45%), e generalmente è circoscritta nelle sedi sottoposte a microtraumi, come dita, avambracci, gomiti e ginocchia. Altre lesioni cutanee molto comuni nella SSc sono le discromie, chiazze iperpigmentate, talora molto estese, o più spesso ipopigmentate.

5.3 ALTERAZIONI MUSCOLO-SCHELETRICHE

Il coinvolgimento articolare è riscontrato con una frequenza che varia dal 46% al 97% dei pazienti con SSc. Molto spesso le artralgie e la rigidità articolare sono manifestazioni d’esordio della malattia soprattutto nelle fasi precoci della SSc diffusa.

L’ insorgenza di sinovite può essere insidiosa o acuta, può coinvolgere tutte le articolazioni ma più spesso si riscontra a livello delle metacarpofalangee, interfalangee prossimali, polsi e caviglie. L’andamento dell’artrite è solitamente intermittente o cronico remittente e può, in alcuni casi, presentare aspetti erosivi spesso a carico delle MCP e IPP.

Molto spesso si ha un coinvolgimento infiammatorio delle strutture tendinee con quadri di tenosinoviti essudativo-proliferative più spesso a carico del comparto degli estensori e dei flessori del carpo. La tenosinovite dei flessori del carpo è spesso responsabile della presenza di sindrome del tunnel carpale in questi pazienti. In questi pazienti possono inoltre essere documentati rumori coriacei di sfregamento dei tendini estensori e flessori di dita, avambracci, ginocchia, caviglie ed altre sedi, patognomonici di SSc (“tendon friction rubs”). Le flessioni in contrattura che si sviluppano negli stadi fibrotici avanzati determinano gravi deficit funzionali e sono riscontrabili soprattutto nei soggetti con SSc diffusa.

Le alterazioni radiografiche possono essere sia articolari che extra-articolari. Nella maggioranza dei casi le sole anormalità sono rappresentate da atrofia diffusa e da osteopenia. Una forma di artrite erosiva, simile all’artrite reumatoide, è presente soltanto in una minoranza di pazienti (Ueda-Hayakawa 2010).

La maggioranza dei pazienti affetti da SSc presenta una diffusa atrofia muscolare da disuso per limitata mobilità articolare, secondaria al coinvolgimento di cute, articolazioni e

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tendini (Clements PJ, 1978). Alcuni pazienti però presentano quadri del tutto simili alle miositi infiammatorie.

5.4 ALTERAZIONI GASTROENTERICHE

Il coinvolgimento dell’apparato gastroenterico si ha in circa l’80% dei pazienti SSc e differisce poco fra i pazienti affetti da sottotipo diffuso e limitato; in particolare viene colpito per lo più l’esofago con una percentuale che varia dal 50 al 90% dei pazienti secondo le diverse casistiche. Il danno anatomopatologico provocato dalla SSc è simile in tutte le porzioni del tubo digerente: si assiste infatti ad una progressiva perdita della muscolatura liscia con conseguente fibrosi ed atrofia (Marie 2008)

A livello esofageo le alterazioni spesso riguardano i dei due terzi distali del corpo e portano a disordini della peristalsi dell’organo. I disturbi motori che ne conseguono coinvolgono sia il corpo dell’esofago che il suo sfintere esofageo inferiore che in corso di SSc diventa ipotonico. La manometria (gold standard per lo studio esofageo) e la cineradiografia dimostrano una riduzione o scomparsa dell’attività peristaltica dei 2/3 inferiori dell’esofago e, in fasi avanzate di malattia, l’organo può risultare dilatato notevolmente. Tutto ciò conduce spesso ad un quadro di malattia da reflusso gastro-esofageo (GERD) che dal punto di vista clinico può essere asintomatico, caratterizzato da sintomi tipici quali pirosi, rigurgito e disfagia per solidi e/o liquidi o da sintomi atipici come dolore retrosternale, disturbi respiratori (tosse cronica) e quadri otorinolaringoiatrici (laringiti, faringiti, otiti) (Poemals 2005). Gli insulti acidi sulla mucosa esofagea possono portare ad una vera e propria esofagite, fino ad ulcerazione della mucosa. Un quadro cronico di GERD può condurre anche ad altre complicanze: può favorire l’insorgenza di stenosi esofagee; metaplasia della mucosa con l’insorgenza dell’esofago di Barret , che è stato osservato nel 40% dei pazienti (Sallam 2006).

Il reflusso gastro-esofageo sembra rappresentare la manifestazione clinica più frequente, infatti nel 68,6% dei pazienti sclerodermici vi è una vera e propria malattia da reflusso gastro-esofageo (Roman 2011). Tuttavia sono riportati anche altri sintomi come nausea, gonfiore e diminuzione di peso, che suggeriscono il coinvolgimento di altre aree a livello gastrointestinale (Forbes 2009). Circa la metà dei pazienti sclerodermici lamenta un quadro

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sintomatologico, che potrebbe riflettere una compromissione gastrica, come sensazione di pienezza post-prandiale, sazietà precoce, gonfiore, nausea e dolore epigastrico. Tuttavia, poiché il coinvolgimento esofageo in corso di SSc è spesso asintomatico, non è possibile basarsi solo sulla clinica per fare una diagnosi precoce delle complicanze della malattia a livello gastrointestinale. Infatti, le alterazioni motorie a carico del viscere si riscontrano anche in soggetti del tutto asintomatici (Lahcene 2009).

5.5 ALTERAZIONI POLMONARI

L’interessamento polmonare è indice di prognosi sfavorevole e si presenta con simile frequenza nella forma diffusa ed in quella limitata. La malattia parenchimale è visibile radiograficamente come una fibrosi bibasilare lineare o una fibrosi interstiziale nodulare con ridotta capacità di diffusione del CO (DLCO) e riduzione della capacità vitale (FCV), quindi con pattern di malattia restrittiva. Il paziente accusa dispnea per sforzi sempre più modesti e presenta all’auscultazione caratteristici crepitii. La frequenza e la severità della fibrosi interstiziale sono maggiori nei pazienti Scl-70 positivi rispetto a quelli ACA positivi. Il BAL ha rilevato in alcuni pazienti un’intensa risposta infiammatoria (alveolite), con la presenza nel liquido di lavaggio soprattutto di linfociti e macrofagi.

Molti sono i fattori che partecipano alla formazione della pneumopatia interstiziale cronica fibrosante: probabilmente concorrono fattori immunologici, microcircolatori e genetici. Un’ipotesi accreditata associa la fibrosi al danno endoteliale; ne consegue un’alterata permeabilità della barriera epitelio-endoteliale, cosi i precursori della flogosi o i mediatori stessi possono passare dal circolo sanguigno nei tessuti adiacenti causando una alveolite, cioè un accumulo di cellule infiammatorie e/o linfociti a livello alveolare. Si ha quindi l’attivazione dei fibroblasti, che proliferano o producono matrice extracellulare in eccesso.

Altri fattori che sembrano influenzare la genesi della interstiziopatia nel paziente sclerodermico sono le ripetute microaspirazioni di liquido gastrico secondarie a problemi esofagei e fattori ambientali. Quindi la fibrosi polmonare appare essere una risposta stereotipata del polmone ad una varietà di insulti.

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L’evidenziazione clinica di una pleurite è infrequente, mentre l’evidenza a livello autoptico di una pleurite fibrosa cronica è comune. La pneumopatia sclerodermica presenta un’associazione significativa con la silicosi (sindrome di Erasmus) e con il carcinoma polmonare a cellule alveolari.

L’ipertensione arteriosa polmonare verrà trattata in maniera approfondita nel capitolo dedicato.

5.6 ALTERAZIONI CARDIOVASCOLARI

Il coinvolgimento cardiaco è spesso clinicamente silente, ma quando presente è riconosciuto come fattore indicativo di prognosi infausta ed è una delle principali cause di mortalità nei pazienti sclerodermici. Esso può riguardare l'endocardio, il miocardio ed il pericardio separatamente o contemporaneamente. Sono state riportate alterazioni del microcircolo coronarico con risultante ischemia miocardica, miocardite, pericardite, fibrosi miocardica, anomalie del sistema di conduzione, bradiaritmie e tachiaritmie (Kahan 2009). I fattori di rischio del coinvolgimento cardiaco includono la presenza del sottotipo cutaneo diffuso, la rapida progressione della sclerosi cutanea e la comparsa di malattia in età avanzata (Perera 2007).

Di tutte le manifestazioni di coinvolgimento cardiaco, la depressione della contrattilità miocardica è sicuramente una delle manifestazioni più gravi; la presenza di disfunzione diastolica in pazienti con sclerodermia è stata ampiamente dimostrata (De Groote 2008) ed è più prevalente se confrontata con i controlli correlati per età e sesso, aggirandosi fra il 17 ed il 30% (Meune 2008). Sono riportati anche casi di miocardite o miopericardite acuta con rapido declino della frazione d'eiezione del ventricolo sinistro, il versamento pericardico è riportato intorno al 14 % (Meune 2008). Inoltre, vi è un ampio ange di complicazioni dovute a patologia pericardica, inclusa la pericardite acuta, il tamponamento cardiaco e la pericardite costrittiva. Il versamento pericardico è frequentemente asintomatico. Reperti autoptici riportano una frequenza addirittura del 78%. La SSc causa alterazioni soprattutto a carico del miocardio dove si ha un quadro istologico tipico di infiltrazione. Tale fibrosi è sostenuta sia da un accumulo di collageno nell’interstizio che da una vasculopatia delle piccole arterie coronarie intramiocardiche. La fibrosi miocardica

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sembrerebbe avvenire, dopo ripetuti episodi di ischemia focale, risultanti da un'abnorme reattività vasale, con o senza patologie strutturali dei vasi associate.

Le osservazioni alla SPECT di difetti di perfusione miocardica non correlati alla distribuzione delle arterie coronariche e la reversibilità di taluni difetti di perfusione dopo il trattamento con vasodilatatori, suggeriscono la presenza sia di lesioni ischemiche da vasospasmo che spot fibrotici (Kahan 2006). Infatti, alcuni esami istologici hanno rilevato una diffusa fibrosi discontinua, parcellare, con necrosi a bande non correlate con la stenosi delle coronarie extramurali (Bulkley 1976), mentre altri studi hanno rilevato ipertrofia concentrica intimale associata a necrosi fibrinoide delle arterie coronariche intramurali (James 1974).

Tipici reperti patologici includono, infatti, la presenza di placche di fibrosi miocardica disseminate, arterie coronariche epicardiche normali ma ipertrofia arteriolare concentrica, che conduce alla compromissione della riserva coronarica. Vasospasmo ricorrente, ridotta riserva vasodilatatoria, ischemia focale, danno da ischemia-riperfusione ed infiammazione, potrebbero tutti contribuire allo sviluppo di fibrosi miocardica e alla varietà di manifestazioni della patologia miocardica.

La fibrosi miocardica colpisce entrambi i ventricoli con una distribuzione a chiazze e sul piano clinico si manifesta con aritmie sopraventricolari e ventricolari, talvolta responsabili di morti improvvise, scompenso cardiaco diastolico e disturbi della conduzione. Nello studio GENOSIS (Genetics and Environment in Scleroderma Outcome Study) un'aritmia clinicamente significativa all'ECG è stata associata ad un'incrementata mortalità (Assassi 2009) perciò il tempestivo riscontro di bradiaritmie e tachiaritmie è essenziale.

Un coinvolgimento miocardico sintomatico tuttavia non è comune (meno del 10%) ed è presente quasi esclusivamente in pazienti affetti da SSc diffusa. Invece, lievi segni di disfunzione ventricolare sinistra sono presenti in un’alta percentuale di pazienti. Le manifestazioni di malattia miocardica includono un’insufficienza cardiaca congestizia e diversi tipi di aritmie atriali e ventricolari.

L'ecocardiografia doppler insieme con la valutazione clinica è stata proposta come metodo di scelta routinario per stabilire il coinvolgimento cardiaco, essendo in grado di identificare ogni possibile alterazione cardiaca associata a SSc (Ferri 2003).

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Studi recenti suggeriscono, tuttavia, che l’ecocardiografia convenzionale potrebbe mancare di sensibilità e non consentire una pronta diagnosi in fase preclinica, quando le terapie sono potenzialmente più efficaci. Infatti, si è dimostrato che nuovi metodi come la risonanza magnetica e lo strain rate imaging sono più sensibili rispetto all'ecocardiografia convenzionale (Allanore 2006, D’andrea 2005).

La risonanza magnetica cardiaca (RMC) infatti è in grado di individuare anomalie cardiache nella SSc con elevata sensibilità. In uno studio di 52 pazienti con SSc, il 75% aveva almeno una alterazione riscontrabile alla RMC (Hachulla 2009). La valutazione della perfusione dopo vasodilatatori con RMC può anche individuare in modo attendibile l'ischemia, mostrando una compromissione circonferenziale della perfusione subendocardica che si pensa sia dovuta alla patologia del microcircolo (Kobayashi 2009). Infine, la RMC sta divenendo una tecnica fondamentale per la valutazione della struttura e funzione del ventricolo destro (Bezante 2007) e può essere utile per la differenziazione del coinvolgimento primario del ventricolo destro, dal coinvolgimento secondario dovuto all’IPA.

L'enhancement tardivo con gadolinio è divenuto il gold standard per individuare e quantificare la fibrosi miocardica. Recenti acquisizioni nella RMC permettono inoltre una misurazione ancora più accurata della fibrosi miocardica, utilizzando una tecnica di mappaggio in T1 (T1 mapping) e calcolando la frazione di volume extracellulare (Ve) (Iles 2008, Messroghli 2007, Schelbert 2011). Un altro parametro molto interessante per valutare il coinvolgimento cardiaco sono i peptidi natriuretici. Appunto si è dimostrato che un'elevata concentrazione sierica di NT-proBNP rappresenta un marker accurato di elevata pressione arteriosa sistolica polmonare precoce nella SSc.

Oltre al loro ruolo nella valutazione e gestione dell’ipertensione arteriosa polmonare, i peptidi natriuretici sono i markers candidati per stabilire la disfunzione del ventricolo sinistro e destro. In uno studio recente su 69 pazienti con SSc si è confermato che i valori di NT-proBNP correlavano con la pressione arteriosa polmonare ed erano inversamente correlati alla contrattilità del ventricolo sinistro.

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5.7 ALTERAZIONI DEL SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso centrale è raramente colpito nella SSc. A tale livello sono rilevabili alterazioni quali emiatrofia ed encefalopatia ischemica diffusa. Alterazioni elettroencefalografiche possono essere presenti talora anche in pazienti asintomatici. Risulta più spesso colpito il sistema nervoso periferico. Il coinvolgimento più frequente a livello dei nervi cranici e dei nervi periferici è rappresentato, rispettivamente, dalla neuropatia sensitiva del nervo trigemino e dalla sindrome del tunnel carpale. Le alterazioni del sistema nervoso autonomo sono rappresentate da aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico, diminuzione della attività del sistema nervoso parasimpatico, anomalie della motilità gastrointestinale, neuropatia autonomica pupillare.

Quadri clinici acuti di vasculopatia cerebrale sono di solito riconducibili ad una concomitante sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Abbastanza frequenti sono i disturbi psichici, in particolare una sindrome depressiva reattiva ad una malattia a decorso cronico, spesso assai invalidante.

Le cause sono da ricercarsi nel dolore, nella limitazione funzionale, nella minor tolleranza all’esercizio fisico, nella stanchezza e soprattutto nell’alterazione della propria immagine corporea.

5.8 COINVOLGIMENTO RENALE NELLA SCLERODERMIA

La sclerosi sistemica è una patologia cronica caratterizzata da una disfunzione endoteliale che riguarda sia il macro- che il micro-circolo e dalla comparsa di fibrosi della cute e di altri organi. Gli esami autoptici dimostrano che in più del 60% dei pazienti è presente un danno renale occulto (Trostle, 1988). Si riconoscono diverse forme di danno renale nel paziente con SS (glomerulonefrite, vasculopatia cronica), ma la forma più temibile è la crisi renale sclerodermica che insorge in circa il 10% dei pazienti durante l’arco della malattia (Shanmugan 2010). Un altro possibile danno renale è la nefrotossicità indotta da farmaci (es. ciclospirina).

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5.8.1 Crisi Renale Sclerodermica (SRC)

È caratterizzata dalla comparsa acuta di ipertensione moderata-severa e successiva iperreninemia, microangiopatia trombotica e insufficienza renale rapidamente progressiva. Gli studi bioptici dimostrano la presenza di iperplasia e necrosi vascolare fibrinoide a livello delle arterie interlobulari e arcuate del rene con relativo risparmio dei glomeruli, in assenza di depositi di tipo infiammatorio; tuttavia se il danno della SCR progredisce si verificano danni secondari di tipo ischemico a livello dei glomeruli.

I reperti suggeriscono che la SRC sia una manifestazione acuta di malattia, ma questi stessi reperti istologici si possono trovare anche nel rene di un paziente sclerodermico asintomatico e sembrano essere espressione di un aumento della secrezione di renina.

I fattori di rischio per la SRC sono la terapia con corticosteroidi (> 15 mg prednisolone nei 6 mesi precedenti), la positività anticorpale per anticorpi anti-RNA Polimerasi III, durata di malattia <5 anni e forma di sclerodermia diffusa con rapida progressione della fibrosi cutanea. La terapia si basa su alte dosi di ACE-inibitori.

Una forma rara di insufficienza renale rapidamente progressiva, che insorge in circa l’11% delle SRC, è la forma senza ipertensione maligna; in questi casi frequente è l’associazione con emorragia polmonare ed elevata è la mortalità. Il meccanismo non è ancora chiaro, ma è descritta una prevalenza maggiore in pazienti che erano già in terapia con ACE-inibitori (Shanmugan 2010).

5.8.2 Glomerulonefrite MPO-ANCA associata e nefropatia associata a anticorpi antifosfolipidi

L’associazione tra SS e glomerulonefrite MPO-Anca associata è descritta da numerosi autori. In questi pazienti di solito troviamo la forma di slcerodermia cutanea limitata e la progressione dell’insufficienza renale è subacuta e lentamente progressiva; si registrano lieve ipertensione e proteinuria. Per confermare la diagnosi è necessario il dosaggio anticorpale e spesso la biopsia renale. Tale forma non risponde alla somministrazione di ACE-inibitori (Shanmugan 2010).

A differenza delle altre patologie autoimmuni, la presenza di anticorpi antifosfolopidi nel paziente sclerodermico è descritta essere simile a quella della popolazione generale

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(3.3-12%). Wielosz e coll hanno messo in correlazione la positività per gli anticorpi anti fosfolipidi e la funzionalità renale ottenendo una correlazione con l’incremento sierico della cistatina C (marker di ridotta filtrazione renale) e ridotta clearance della creatinina; nei pazienti con positività anticorpale pareva essere presente anche proteinuria. Questi dati tuttavia richiedono ulteriori conferme attraverso studi su più larga scala (Shanmugan 2010).

5.8.3 Riduzione isolata della clearance della creatinina e riduzione della riserva renale

Numerosi dati suggeriscono che nel paziente sclerodermico l’utilizzo della creatinina sierica come parametro per valutare la funzionalità renale non sia attendibile, essendo queste legata alla massa muscolare e avendo modificazioni significative del suo valore per riduzioni del 50% della filtrazione glomerulare (Kingdon 2003). Numerosi studi hanno evidenziato, attraverso follow-up prolungati, una riduzione della filtrazione glomerulare nell’11% dei pazienti con SS diffusa e nel 9% circa dei pazienti con forma limitata; le comorbilità associate ad una riduzione della filtrazione renale, come atteso, erano ipertensione arteriosa, cardiopatie e nefropatia alla biopsia renale (Scheja 2009).

Il gruppo italiano di Livi e coll ha studiato la riserva renale in 21 pazienti sclerodermici andando a misurare la clearance dell’acido paraamminoippurico prima e dopo la somministrazione intravenosa di aminoacidi. Questi pazienti, che al basale presentavano valori paragonabili al gruppo di controllo di soggetti sani, hanno mostrato un incremento delle clearance rispetto ai soggetti sani, indice di ridotta riserva renale (Livi 2002).

5.8.4 Proteinuria

L’albuminuria è un marker di vasculopatia e un predittore indipendente di mortalità cardiovascolare in pazienti con e senza patologie cardiovascolari come ipertensioni e diabete.

Seiberlich e coll hanno analizzato l’escrezione urinaria di proteine nei pazienti sclerodermici con normale clearance della creatinina e hanno dimostrato la presenza di microalbuminuria nel 25% dei pazienti dello studio; l’albuminuria correlava con la durata della malattia >4 anni e l’ipertensione (Seiberlich 2008). Tuttavia, a causa della ridotta

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ampiezza della popolazione campione di questo e altri studi successivi, la presenza di microalbuminuria non è stata correlata a outcome clinici.

A differenza del paziente diabetico o iperteso, dove la presenza di microalbuminuria indica un danno renale e cardiovascolare che beneficia della terapia con ACE-inibitori per ridurre la progressione della fibrosi, nel paziente con SS l’uso profilattico di questi farmaci non sembra proteggere dall’insorgenza della SRC e può associarsi a outcome infausti anche se nei diversi studi in cui è stato evidenziato questo dato non è stata mai raggiunta la significatività statistica (Penn 2007, Penn 2008).

6.0 INDICE DI RESISTIVITÀ RENALE: DEFINIZIONE, DETERMINANTI INTRA ED EXTRA RENALI

6.1 Ruolo dell’ecografia nello studio della patologia renale

L’ecografia rappresenta la metodica di prima scelta nello studio dell’apparato urinario. L’esame viene eseguito a paziente digiuno da almeno 6 ore per ridurre al minimo il meteorismo intestinale che impedisce la corretta visualizzazione soprattutto dei vasi. Prevede l’impiego di sonde di frequenza compresa tra 3.5 e 5 MHz; la tecnica consente di effettuare un’analisi morfologica dei reni (dimensioni, stato di dilatazione delle vie escretrici e valutazione parenchima e corticale) e inoltre le sonde, appoggiate in regione meso-epigastrica permettono di visualizzare l’aorta addominale, la vena cava inferiore e le vene e le arterie renali sin dall’origine.

È ormai chiaro come l’uso della tecnica Doppler per valutare la situazione emodinamica del flusso sanguigno a livello dell’arteria e del parenchima renale risulti utile nello studio della disfunzione renale.

La metodica Doppler permette non solo di analizzare il flusso sanguigno a livello dei vasi di più grande calibro, come ad esempio l’aorta e le arterie renali, ma anche di visualizzare i vasi e il loro decorso dall’ilo fino alla regione corticale; i tracciati Doppler dei rami segmentari, interlobari e arcuati, possono essere ottenuti attraverso un’analisi dei rapporti del volume campione rispettivamente a livello del seno renale, delle piramidi e del passaggio cortico-midollare.

In condizioni fisiologiche il flusso renale è quello tipico dei territori parenchimali: continuo, misurabile sia in sistole che in diastole, con basse resistenze periferiche, con picco

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sistolico ben rilevato e curva diastolica ben rappresentata; la velocità sistolica di picco è in genere doppia o tripla rispetto alla tele-diastolica (Rabbia, 1995).

Una stima rapida e accurata del flusso intraparenchimale renale è fornita da misurazioni Doppler in base alle quali è possibile calcolare l’Indice di Resistività Renale e l’Indice di Pulsatilità.

6.2 Indice di Resistività

L’Indice di Resistività (o di Resistenza) Renale (IRR) è stato introdotto da Pourcelot nel 1973, poco tempo dopo l’Indice di Pulsatilità (PI) introdotto da Gosling nel 1971. Entrambi esprimono numericamente la resistenza al flusso vascolare distalmente rispetto al punto di osservazione. Tali indici sono entrambi semiquantitativi e indipendenti dall’angolo di isonizzazione, peraltro estremamente variabile per la posizione anatomica dei reni.

INDICE DI PULSATILITÀ’:

Vs - Vd PI = --- Vm

In cui Vs = velocità sistolica di picco (o picco di velocità del flusso sistolico), Vd = velocità tele-diastolica (o minima velocità di flusso in diastole) e Vm = velocità media (Gosling, Angiology, 1971).

INDICE DI RESISTIVITÀ’ RENALE

Vs - Vd IRR = ---

Vs

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I valori di IRR cambiano molto poco nel territorio che va dall’arteria renale alle arterie interlobulari e tendono ad annullarsi nel tratto compreso tra questi vasi e i capillari non pulsatili (Knapp, 1995) – Figura 4 sottostante.

Nel 1989 Platt e coll., attraverso uno studio su reni di individui sani, hanno identificato un range di valori dell’IRR considerato fisiologico (0.56-0.67) e il valore di 0.70 come cut-off per distinguere l’idronefrosi ostruttiva da quella non ostruttiva. Da allora questo valore si è affermato come limite superiore di normalità anche in altre patologie renali, in maniera indipendente dall’età (Platt, 1989). Da numerosi studi compiuti negli anni ‘90 è risultato chiaro come l’IRR sia in realtà un parametro età dipendente. Nel 1992 Bude e coll. hanno dimostrato che nei bambini di età inferiore ai 6 mesi l’IRR raggiunge valori anche superiori a 0.70, in assenza di patologia; le resistenze vascolari tendono a diminuire con l’aumentare dell’età, raggiungendo valori paragonabili a quelli dell’adulto all’incirca a 7 anni (Bude, 1992).

Nel 1996, Boddi e coll. hanno condotto uno studio su individui sani tra i 20 e gli 85 anni. Lo studio prevedeva la misurazione dell’IRR in condizioni di riposo e dopo stimoli di attivazione del sistema simpatico. I risultati hanno chiaramente evidenziato una correlazione significativa fra età̀ e indice di resistività̀ renale; in particolare in soggetti di età̀ media superiore ai 70 anni sono stati rilevati valori medi di indice di resistività̀ renale superiore a 0,70 (Boddi, 1996).

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Tabella 5. Limiti di normalità dell'Indice di Resistività Renale nelle diverse decadi di età (estratta da Boddi, 1996)

Età media ± ds valore massimo (+2 ds)

<30 0,54 ± 0.03 0,60 31-40 0,55 ± 0,05 0,65 41-50 0,58 ± 0,04 0,66 51-60 0,61 ± 0,04 0,69 61-70 0,65 ± 0,04 0,73 >70 0,69 ± 0,06 0,81

In base ai risultati di questi studi si mette in discussione che il valore di 0.70 rappresenti in ogni caso il valore soglia per considerare l’IRR patologico come sostenuto da Platt (Platt 1991; Platt 1992).

La misura degli indici richiede una meticolosa tecnica: fondamentale innanzitutto è la localizzazione corretta dei vasi a livello del parenchima renale. I punti di repere per le arterie arcuate e le arterie interlobari sono rispettivamente la giunzione corticomidollare e il margine delle piramidi della midollare. La ricerca in tali punti viene eseguita con una finestra Doppler di 2-4 mm con una frequenza di ultrasuoni emessi di 3.5-5 MHz (Platt 1992). La misurazione deve essere effettuata quando l’immagine Doppler mostra almeno 4-5 onde di forma simile. Per ottenere un valore affidabile devono essere eseguiti almeno 3 rilevamenti consecutivi sullo stesso rene e il valore finale di IRR è considerato la media delle tre misure. Numerosi studi infatti hanno dimostrato che il campionamento di più siti all’interno dello stesso rene, specialmente in soggetti adulti, migliora la precisione e l’attendibilità della misura dell’IRR (Palmer, 1995) (Figura 5).

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Benchè per molto tempo dalla sua introduzione l’IRR sia stato considerato solo espressione delle resistenze vascolari, tanto che i due termini spesso venivano usati come sinonimi, recenti studi hanno evidenziato come questo valore sia espressione di una serie più complessa di interazioni, molte delle quali ancora da dimostrare.

6.3 Indice di resistività: i determinanti

La frequenza cardiaca modifica il valore di IRR senza interferire con le resistenze vascolari. Mostbeck e coll., nel 1990, hanno dimostrato che esiste una relazione tra la frequenza cardiaca e la pressione tele-diastolica misurata; in particolare, all’aumentare dell’una, registriamo un incremento anche dell’altra e viceversa. (Mostbeck, 1990).

Un altro modo per diminuire la pressione tele-diastolica e quindi di far aumentare l’IRR è la compressione del rene attraverso la sonda ecografica. Questo fattore si rende particolarmente importante per il controllo nel paziente trapiantato a causa del posizionamento del rene più superficialmente rispetto alla sua sede anatomica fisiologica e porta soprattutto a una significativa variabilità tra le misurazioni compiute da diversi operatori. Otteniamo un aumento dell’IRR anche facendo eseguire al paziente la Manovra di Valsalva (espirazione a glottide chiusa), a causa della riduzione della velocità tele-diastolica per la diminuzione del ritorno venoso.

Figura 5: Indice di resistività normale in una donna sana di 25 anni. Il tracciato Doppler è usato per identificare le arterie interlobari (freccia bianca).

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La maggior parte degli studi iniziali si sono concentrati in particolar modo sul ruolo delle resistenze vascolari e della compliance (cambiamento del volume di un vaso in base alla sua pressione di riempimento) come predittori dei valori di IRR, apparendo chiaro fin da subito la presenza di una relazione tra questi parametri.

Nel 1984 Norris e Barnes hanno effettuato uno studio su un modello animale dimostrando per primi la correlazione esistente tra l’aumento delle resistenze vascolari a livello parenchimale renale e l’aumento dei valori dell’IR. Questi ricercatori hanno usato come modello sperimentale reni di cane con i vasi embolizzati attraverso microsfere di gel; dal confronto dei valori delle resistenze vascolari ottenuti con metodica cruenta e la misurazione ecocolordoppler attraverso l’indice di resistività renale è emerso chiaramente come esista una correlazione lineare tra incremento delle resistenze vascolari e incremento dell’IRR (Norris, 1984).

Primi tra tutti, i ricercatori canadesi Morrow e Adamnson, negli anni ’90, hanno condotto una serie di esperimenti su feti di pecora finalizzati a ricercare una correlazione tra IRR e compliance vascolare utilizzando la tecnica dell’embolizzazione sui vasi placentari di feti di pecora. Gli studiosi hanno correlato l’inversione della fase diastolica dell’onda di flusso prevalentemente all’aumento delle resistenze periferiche (Morrow, 1989).

Nel 1998, Saunders e coll., in considerazione delle evidenze emerse negli anni precedenti, hanno condotto uno studio per chiarire quali fossero i determinanti dell’IRR a livello di letti vascolari a bassa resistenza, come quello renale o placentare. Anche loro hanno utilizzato un modello animale costituito da feti di pecora e hanno, in sostanza, ripetuto l’esperimento di Adamnson e coll. tramite l’embolizzazione dei vasi placentari con microsfere di gel e vasocostrizione dell’arteria ombelicale attraverso infusione di angiotensina II. Saunders ha confermato i risultati dello studio precedente, ma ha descritto con più precisione i meccanismi fisiopatologici alla base delle differenti modificazioni dell’onda Doppler indotta dall’embolizzazione e dalla vasocostrizione farmaco mediata.

In particolare è stato messo in evidenza come nei distretti vascolari con basse resistenze l’onda Doppler è uguale all’onda di flusso e come la sua morfologia sia ugualmente condizionata dalla resistenza, dall’impedenza di base e dalla pressione di pulsatilità concludendo che in condizioni in cui ci sono più variabili a modificarsi, l’interpretazione dei valori dell’IRR non è sempre chiara e affidabile (Saunders, 1998).

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Nel 1999 Tublin si è posto l’obiettivo di fare chiarezza riguardo alle complesse interazioni che legano Indice di Resistività e resistenze vascolari, in particolare a livello del circolo renale. Per il suo studio Tublin ha scelto di lavorare su un modello animale, in particolare sul rene di coniglio isolato, adeguatamente perfuso con un sistema in grado di mantenere e modificare secondo le necessità degli operatori alcuni parametri cardiovascolari tra i quali pressione differenziale e frequenza cardiaca; durante tutta la durata dell’esperimento sono state ottenute misure dell’IRR. I risultati dello studio hanno dimostrato una correlazione tra incremento delle resistenze vascolari e dell’IRR; tuttavia tale aumento era significativo solo per incrementi enormi, e sicuramente non fisiologici, delle resistenze, con un innalzamento del valore di IRR solo modesto rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato osservando i valori delle resistenze. Già questo dato è stato sufficiente per indebolire il concetto da tempo consolidato che l’IRR riflettesse fedelmente i cambiamenti delle resistenze vascolari. I risultati di Tublin e coll. inoltre hanno messo in evidenza che la pressione differenziale era più importante nella determinazione dei valori di IRR, mentre non è stata confermata alcuna correlazione con la frequenza cardiaca o la durata della sistole, contrariamente a quanto affermato pochi anni prima da Mostbeck. Lo stesso autore ha intravisto l’importanza clinica dei suoi risultati: tenendo conto del valore assoluto dell’IRR senza un corretto inquadramento delle variabili che possono modificarne il valore, soprattutto in soggetti anziani dove si verifica un progressivo aumento della pressione differenziale conseguente all’invecchiamento dei vasi, si rischia di considerare patologici anche soggetti i cui valori rientrano nel range di normalità (Tublin 1999).

Nel 2000, Murphy e Tublin hanno condotto ulteriori esperimenti sul modello di rene di coniglio isolato. Da osservazioni preliminari infatti era emerso come la pressione differenziale delle arterie sistemiche fosse un determinante dell’IRR, ma questi ricercatori hanno voluto approfondire l’argomento ricercando una correlazione tra distensibilità dei vasi parenchimali e variazioni dell’onda Doppler, ricreando in laboratorio una condizione simile all’ostruzione delle vie escretrici. Con questo modello hanno potuto dimostrare come l’aumento della pressione interstiziale riduca la distensibilità delle arteriole renali e provochi così modificazioni nella resistenza in maniera asimmetrica durante il ciclo cardiaco. La distensione delle arterie è modulata dalla pressione transmurale e dalla compliance vascolare, che dipende principalmente dalle caratteristiche della parete. Quando la pressione interstiziale è zero, la pressione transmurale (i.e. differenza tra

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pressione intraluminale e pressione interstiziale) è uguale alla pressione intraluminale. Aumentando la pressione all’interno del sistema degli ureteri, come nel caso di una patologia urinaria di tipo ostruttivo, abbiamo un aumento della pressione interstiziale che si traduce in una riduzione del diametro dei vasi nella fase sistolica, ma soprattutto in quella diastolica quando la pressione intraluminale è di per sé minore (Figura 5).

Figura 6:

I vasi che risentono maggiormente di questo fenomeno sono quelli di calibro più piccolo; tuttavia le modificazioni nel distretto vascolare più periferico hanno delle ripercussioni quasi immediate sul flusso delle grandi arterie che si riduce, analogamente a quanto accade nel microcircolo, prevalentemente in diastole. Poiché l’IRR è il risultato del rapporto tra velocità registrata in fase diastolica e sistolica, risulta chiaro come un aumento della pressione interstiziale possa tradursi in un aumento dell’IRR. (Murphy, 2000).

Nel 1999, sulla scia degli esperimenti di Saunders, Adamnson e Morrow, altri due ricercatori, Bude e Rubin, hanno creato un modello sperimentale artificiale per precisare la correlazione esistente tra l’indice di Pourcelot e resistenze vascolari, ritenendo che negli studi precedenti non fosse stata posta l’attenzione necessaria sul ruolo della compliance vascolare come determinante dell’IRR. I due ricercatori hanno costruito un modello,

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