economiche anche gravi in conseguenza di comportamenti “illeciti” di soggetti terzi (tifosi, sostenitori), che peraltro sono de tutto privi di vincoli associativi con società sportive. La responsabilità oggettiva costituisce oggi un principio cardine dell’ordina-mento sportivo, tenuto conto che essa è prevista dalle norme di tutte le federazioni.
L’opportunità, anzi la necessità di individuare, anche a priori, il soggetto ogget-tivamente responsabile di eventi dannosi derivanti dal comportamento illecito per-petrato da soggetti terzi, nel diritto sportivo trova il proprio presupposto nell’attività esercitata da chi organizza manifestazioni sportive, con relativa assunzione del rischio di dover rispondere degli eventuali eventi dannosi verificatisi durante le manifesta-zioni stesse.
Come acutamente nota il Prof. Mario Sanino,1 la responsabilità oggettiva si ri-solve in realtà in uno strumento di semplificazione per venire a capo di situazioni di fatto che altrimenti richiederebbero lunghe indagini e complessi accertamenti volti ad individuare i singoli soggetti che hanno provocato, nell’ambito di una manifesta-zione sportiva, eventi dannosi.
Lo strumento della responsabilità oggettiva, al contrario, consente di superare questi problemi attribuendo la responsabilità dell’evento dannoso verificatosi, attra-verso una procedura semplice e rapida, al soggetto che ha organizzato la manifesta-zione sportiva.
L’ordinamento sportivo, dunque, in caso di eventi dannosi, prevede per l’orga-nizzatore di manifestazioni sportive una responsabilità da cui comunque non può liberarsi provando di essere immune da colpa. In questo quadro è forse più esatto parlare di responsabilità senza colpa piuttosto che di responsabilità presunta.
1 M. Sanino, Giustizia sportiva, Milano, Cedam, 2016, p. 198.
Il meccanismo della responsabilità oggettiva costituisce, dunque, un principio cardine ed inderogabile dell’ordinamento sportivo e, nella giurisprudenza del giudice ordinario, vi è sempre stata la tendenza ad assimilare tale principio a quello espresso dal citato art. 2050 c.c., con la conseguenza che l’organizzazione di una manifesta-zione sportiva viene considerata come una attività pericolosa con relativo obbligo al risarcimento dei danni subiti dagli spettatori derivati da incidenti occorsi ad es. per risse tra tifosi avversari verificatisi durante o a margine dell’evento agonistico.
Nella sostanza qualificare in termini di esercizio di attività pericolosa l’organiz-zazione di un evento sportivo, può non essere del tutto erroneo, tenuto conto dei dati offerti dalla comune esperienza riguardanti ipotesi tutt’altro che infrequenti di gravi incidenti che si verificano soprattutto negli stadi di calcio (risse tra tifosi di fede calcistica diversa, lanci di oggetti in campo o fra diversi settori dello stadio, lanci di fumogeni, etc.); va tuttavia subito evidenziato che il disposto dell’art. 2050 c.c. non può trovare piena applicazione nell’ambito dell’ordinamento sportivo per la decisiva ragione che la suddetta norma consente comunque una prova liberatoria consistente nella possibilità di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, mentre una tale possibilità non è riscontrabile in nessuna norma dell’ordinamento sportivo.
L’art. 2050 c.c., in definitiva, costituisce una sorta di norma di chiusura dell’or-dinamento civile finalizzata ad evitare che il soggetto interessato debba sopportare in proprio gli eventuali danni subiti ma, al contrario e per quanto possibile, abbia il diritto di ottenere il previsto risarcimento; nell’ordinamento sportivo, invece la responsabilità oggettiva è prevista con una finalità in parte diversa e cioè assume pre-valentemente una connotazione di carattere sanzionatorio, né ammette alcuna prova liberatoria cui possa appigliarsi l’organizzatore dell’evento sportivo.
Può, pertanto, affermarsi che l’ordinamento sportivo, nelle ipotesi in cui si veri-fichi un evento dannoso durante una manifestazione sportiva, all’organizzatore della stessa viene ascritta una responsabilità da non può liberarsi provando di essere immu-ne da colpa o aver posto in essere tutti gli accorgimenti possibili finalizzati ad evitare il verificarsi dell’evento stesso.
In queste ipotesi sembra ragionevole ritenere che la sanzione prevista debba es-sere applicata al soggetto organizzatore dell’evento sportivo quasi in via automati-ca, con inevitabili e rilevanti riflessi sui poteri e sui margini di discrezionalità degli organi di giustizia sportiva. Al riguardo occorre tener distinte due ipotesi che sono sostanzialmente diverse: l’una si realizza quando l’evento c.d. dannoso è ascrivibile al comportamento di soggetti terzi che assistono ad una manifestazione sportiva (ad es. gli spettatori o alcuni di essi in uno stadio di calcio); l’altra si verifica quando il comportamento illecito è tenuto da soggetti formalmente e sostanzialmente legati ad una società sportiva (c.d. tesserati).
La prima ipotesi si verifica purtroppo frequentemente negli stadi di calcio: risse tra tifosi di squadre avversarie, lanci di oggetti in campo, lanci di fumogeni o di petardi, cori razzisti, insulti e offese pesanti nei confronti della squadra ospite, espo-sizione di striscioni offensivi o irridenti, ecc. In questi casi, ferma restando
l’utilizza-zione dei moduli della responsabilità oggettiva, gli organi di giustizia sportiva hanno la possibilità di valutare, anche ai fini della graduazione della sanzione eventualmente da irrogare, la rilevanza e la gravità dei comportamenti tenuti sugli spalti nonché il numero degli spettatori coinvolti.
In altri termini evidentemente non è la stessa cosa se un coro razzista provenga da pochi scalmanati e quindi venga sentito da qualche decina di spettatori, ovvero venga urlato da una intera curva e sentito da tutto lo stadio; lo stesso dicasi, sempre a titolo di esempio, sulla visibilità o meno di eventuali scritte offensive apparse su uno o più settori dello stadio.
Sulla base di queste semplici constatazioni i giudici sportivi, da qualche tempo, stanno elaborando la c.d. teoria della percezione, rendendosi conto dei delicati profili che involgono l’applicazione della responsabilità oggettiva, tenuto conto che, pur se finalizzata a sanzionare società sportiva, ha indubbi riflessi negativi anche sugli incol-pevoli spettatori (si pensi alla chiusura per una o più giornate di uno stadio di calcio).
I margini di “discrezionalità” degli organi di giustizia sportiva si riducono note-volmente nell’applicazione della responsabilità oggettiva, quando l’illecito è com-messo da soggetti legati alla società sportiva dal rapporto di tesseramento. Gli organi di giustizia, invero, una volta accertata la sussistenza dell’illecito da parte di tesserati, debbono ritenere oggettivamente responsabile la società sportiva di appartenenza non solo quando questa non ha tratto alcun vantaggio dall’illecito perpetrato, non solo nell’ipotesi in cui fosse completamente all’oscuro dell’illecito, ma addirittura nell’ipotesi in cui l’illecito sia stato concepito ai suoi danni sul piano del risultato sportivo.
di Enrico Cataldi
Procuratore Generale dello Sport
Il 15 luglio 2014 il Consiglio Nazionale del Coni ha deliberato il nuovo Codice della Giustizia Sportiva, definendo una riforma “epocale” che consentisse un “vaglio eso-federale” all’esercizio della disciplina sportiva da parte delle Procure Federali e degli Organi di Giustizia federale.
In buona sostanza si completava l’iter già avviato poco più di un mese prima con la deliberazione della modifica dello Statuto Coni che aveva comportato l’abolizione dei preesistenti Alta Corte di Giustizia Sportiva e Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e l’introduzione degli artt. 12-bis e 12-ter che istituivano il Collegio di Garanzia dello Sport e la Procura Generale dello Sport.
Le finalità coincidevano con la volontà, da un lato di rendere più tempestiva l’a-zione disciplinare, con fasi che venissero scandite in tempistiche ben definite; dall’al-tro con lo scopo prioritario di tutelare la legalità nello sport attraverso un percorso procedimentale che rispettasse i principi fondamentali del giusto processo, garanten-do il contraddittorio e, conseguentemente, la parità tra le parti, cioè tra l’accusa e la difesa.
Il nuovo procedimento disciplinare, in sostanza, veniva ad essere articolato at-traverso la fase delle indagini preliminari, riconoscendo l’esclusiva titolarità al Pro-curatore Federale dell’esercizio dell’azione disciplinare; per poi passare ad una fase processuale, di primo e secondo grado federale, secondo una sorta “processo misto”, laddove il Presidente del Tribunale Federale e della Corte d’Appello Federale veniva-no facultati ad interrogare i testi, disponendo di tutti gli atti rimessi dal Procuratore Federale all’atto del deferimento e comprensivi anche delle memorie difensive.
Il Collegio di Garanzia dello Sport, infine, poteva essere invocato per sole questio-ni di diritto o per evidenti contraddittorietà delle motivazioquestio-ni della Corte d’Appello Federale.
Ciò comportava automaticamente un cambio di mentalità nel procedere nella raccolta degli indizi che nella loro emblematicità riunissero i requisiti di precisione e chiarezza tali da formare un utile strumento al Presidente del Tribunale per giungere ad un giudizio che superasse il livello di mera probabilità.
I compiti conferiti alla Procura Generale dello Sport dalla riforma statutaria ine-rivano il coordinamento e la vigilanza sulle attività delle Procure Federali: concetto, questo, meglio esplicitato nello “spirito di cooperazione” (art. 51, comma 4, del Co-dice di Giustizia Sportiva Coni) che doveva ottimizzare le fasi accertative di verifica dei fatti segnalati.
L’interscambio informativo rendeva, tendenzialmente, maggiormente eque le de-terminazioni finali attraverso una comparazione delle decisioni tra i diversi Rego-lamenti di Giustizia che, anche a fronte delle diversificate tipologie delle discipline sportive, presentavano – e presentano tutt’ora – nella parte sostanziale considerevoli differenze, eccezion fatta per la norma di chiusura riferita al generico rispetto del comportamento ‘leale, probo e corretto’ che il tesserato e l’affiliato devono osservare.
La novellata normativa comprendeva, anche, due Regolamenti di Organizzazione e Funzionamento – uno per il Collegio di Garanzia per lo Sport ed uno per la Procu-ra GeneProcu-rale dello Sport – che andavano ad integProcu-rare il Codice di Giustizia Sportiva Coni per quanto atteneva alle rispettive modalità attuative, sempre nel rispetto dei Principi Fondamentali e del Codice di Comportamento Sportivo vigenti a salvaguar-dia dell’etica nello sport.
Le attribuzioni della Procura Generale dello Sport riguardavano, essenzialmente, la facoltà di concedere proroghe alle indagini; condividere o meno gli intendimenti di archiviazione; avocare i procedimenti in caso di rigetto all’invito di modificare le determinazioni precedentemente assunte; esprimere pareri in ordine a sanzioni con-cordate tra le parti post-incolpazione e richieste di astensione; costituirsi dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport.
A tre anni dall’entrata in vigore della riforma della giustizia sportiva, si è in condi-zione di poter trarre un giudizio sull’efficacia alla luce delle attività della Procura Generale dello Sport.
È di tutta evidenza quanto sia risultata onerosa l’attività, potendo compendiare in circa 8.000 fascicoli procedimentali il carico di lavoro vagliato dalla Procura Gene-rale dello Sport, a seguito di quanto “prodotto” dalle n. 63 Procure Federali, ricom-prese tra Federazioni Sportive Nazionali (44) e Discipline Sportive Associate (19).
Una soluzione ottimale per risolvere il flusso e reflusso della documentazione delle diverse comunicazioni previste per la fase delle indagini preliminari all’art. 53 del Codice della Giustizia Sportiva Coni è stata l’adozione in luogo di “registri” di una ‘piattaforma informatica’, che, in attuazione di un modello operativo definito, consentisse il passaggio della documentazione dalla Procura Federale verso la Procura Generale e viceversa; nonché dalla Procura Generale dello Sport verso i Procuratori Nazionali dello Sport delegati. Il tutto legittimato dal Garante della Privacy.
Il frequente scambio di opinioni, poi, tra operatori del diritto sportivo ha con-sentito un serrato e proficuo confronto, tale da garantire aderenza ed equità alle situazioni in concreto analizzate, nonché il rispetto di quella autonomia ed esclusi-vità nell’esercizio della giustizia sportiva, ben determinato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2011.
Ciò non di meno, come peraltro anticipato sin dal momento dell’entrata in vigore del nuovo Codice, superata la prima fase di attuazione pratica, nel mese di novembre 2015 è stato necessario adottare alcune correttivi che, pur non stravolgendo il qua-dro complessivo normativo, adeguassero la normativa di riferimento alle esperienze maturate sul campo ed alle esigenze palesatesi nel frattempo.
Con tali correttivi, in buona sostanza, il parere da esprimere sulle sanzioni con-cordate è stato anticipato dalla fase dibattimentale a quella pre-incolpazione ed è stata esclusa, nel contempo, la possibilità di accedervi anche per i gravi fatti di vio-lenza, oltre che, come previsto nella prima stesura, per gli illeciti sportivi e nei casi di recidiva.
E ancora veniva estesa al Procuratore Federale la facoltà di richiedere l’adozione di misure cautelari nei confronti di soggetti incolpati che si fossero resi responsabili di gravi illeciti, proprio al fine di evitare il rischio della reiterazione di simili condotte:
in tal caso i termini procedimentali venivano ad essere dimezzati.
La fase delle indagini preliminari, inizialmente suddivisa in tre fasi di 40 giorni ciascuna, veniva ad essere scandita in periodi di 60 + 40 + 20 – e, quindi, maggior-mente adeguati alle esigenze iniziali –, seppur venisse mantenuto il computo di 120 giorni totali entro cui giungere alla loro conclusione.
A tal proposito sia la comunicazione della chiusura delle indagini a fine di defe-rimento o di archiviazione, così come l’esercizio dell’azione disciplinare, dovevano rispettare dei termini ordinatori, ciò al fine di consentire il contenimento dell’iter per giungere ad una definizione dell’esame disciplinare dal momento dell’iscrizione dell’iniziale notizia al massimo entro un anno solare.
Veniva, altresì, onerata la Procura Generale dello Sport nel richiedere atti all’Au-torità giudiziaria ordinaria, ove resi ostensibili, necessari all’esame del procedimento disciplinare.
Non può escludersi che il quadro normativo non possa o debba essere ulterior-mente modificato al fine di renderlo quanto più aderente alle diverse esigenze che la disciplina sportiva richiede.
di Nicola Cavallaro
Avvocato in Bergamo
Sommario: 1. Il rispetto della regolarità sportiva nell’ordinamento italiano.
– 2. La tipizzazione di un principio generale di stabilità delle competizioni sportive. – 2.1. La Costituzione Federale Brasiliana del 1988 e il Codice Bra-siliano di Giustizia Sportiva (Código Brasileiro de Justiça Desportiva) (Cbjd) del 2003. – 2.2. Cenni sulla comparazione del diritto italiano con quello bra-siliano. – 3. La posizione sistematica da parte della recente giurisprudenza italiana. – 4. Conclusioni.
1. Il rispetto della regolarità sportiva nell’ordinamento italiano