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La rilevanza nell’azione di governo: il contributo dell’approccio sistemico vitale alla teoria degli stakeholder tra vitalità e sostenibilità

S

ERGIO

B

ARILE*

F

RANCESCA

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ANDOLO

Obiettivi. La nozione di “sostenibilità” è stata introdotta negli studi d’impresa a seguito della definizione di

sviluppo sostenibile coniata dalla Commissione Brundtland delle Nazioni Unite nel 1987, in base alla quale “lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente la soddisfazione dei bisogni economici, ambientali e sociali delle attuali generazioni senza compromettere lo sviluppo delle generazioni future”.

L’affermazione dello sviluppo sostenibile, insieme alla sempre crescente importanza della sostenibilità per le organizzazioni, ha introdotto una nuova tematica, emergente dall’evolvere dell’economia reale e del ruolo che le imprese sono andate assumendo nei sistemi economici. Si tratta, in sostanza, della necessità di coniugare funzione e ruolo dell’impresa (Golinelli, 2011), sulla base di un processo decisionale e di un’azione di governo attenti e sensibili a problematiche di rilevanza collettiva.

La considerazione delle istanze generalmente riconducibili alla “triple bottom line”, o modello delle tre P, ossia alla relazione esistente tra le tre componenti dell’efficienza economica (Profit), della tutela ecologica (Planet) e dell’equità sociale (People), proposta in dottrina da Elkington (1997), porta con sé la necessità di introdurre, negli studi manageriali e nei comportamenti d’impresa, la consapevolezza di un approccio olistico a carattere ecologico, economico e sociale (Meadows et al., 1993; Ostrom, 2009; Rees, 1990).

Ne consegue, pertanto, che è sostenibile quell’organizzazione, qualsiasi sia la sua tipologia, che non solo è stabile sotto il profilo economico, ma che minimizza i propri impatti ambientali negativi e agisce in conformità alle aspettative sociali, nella considerazione che occorre rivolgersi alle generazioni future con un atteggiamento di maggiore responsabilità in merito a quanto si è prodotto in termini non solo economici ma anche etici, ecologici e sociali. L’inclusione delle dimensioni citate, in sostanza, consente di ampliare il ruolo delle organizzazioni imprenditoriali, tradizionalmente legato a prerogative di natura economica, per includere elementi di natura sociale ed ambientale che contribuiscono alla loro legittimazione nei confronti di un ampio e vario numero di soggetti ed agiscono positivamente anche sulla creazione di valore.

La funzione dell’impresa, infatti, (consistente nella produzione di beni/servizi destinati allo scambio e sotto vincoli di economicità) è stata definita immutata ed immutabile (Golinelli, 2011) nonché aprioristicamente definita, essa, quindi, è legata alla sua dimensione strutturale ed alle scelte che si compiono relativamente alla definizione della sua struttura. Il ruolo è, invece, precisabile relativamente ad uno specifico contesto, cioè ad una specifica finalità, ciò significa che esso è definito nell’ambito del sistema, ovvero nel momento in cui si avviano i processi e le interazioni dinamiche.

Pertanto, se si assegnasse all’impresa una funzione sociale si rischierebbe di snaturarne la natura arrivando, persino, a condizionarne la finalità; in sostanza, si sosterrebbe che le scelte relative alla struttura non devono più rispettare le necessarie condizioni di economicità, quanto requisiti ‘sociali’ non meglio definiti o definibili (Lai, 2004). Se, al contrario, si propende per l’attribuzione di un ruolo sociale alle imprese, non ci si pone «in antitesi con le finalità e le condizioni di funzionamento di tale istituto» (Fasiello, 2012). Il ruolo sociale attribuito all’impresa, quindi, che la qualifica come un attore della vita economica la cui attività ha influenze positive non solo in termini di profitto, ma principalmente in termini di valore creato e diffuso, necessita, però, dell’adozione, da parte del soggetto decisore, di un pensiero lungo (Barile et al., 2013, 2014, 2017; Saviano 2014, 2015, 2018; Iandolo e Caputo, 2018; Steurer et al, 2005). Quest’ultimo, in sostanza, consiste nell’utilizzare la sostenibilità, intesa come ampliamento degli elementi considerati dai soli vincoli economici alle dimensioni della socialità e della tutela e preservazione ambientale, come filosofia di governo, ovvero come insieme di istanze composite che orientano i processi decisionali dei soggetti decisori, nel perseguimento della finalità del sistema vitale impresa: la sopravvivenza.

Ferma restando, infatti, la finalità ultima dell’impresa sistema vitale di sopravvivere nel contesto di riferimento, laddove si riconosca alla stessa un ruolo anche sociale, la medesima finalità si andrebbe a comporre di una molteplicità di altri obiettivi, ampliati e compositi, che includono anche istanze che richiamano i principi della responsabilità e della sostenibilità.

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Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Sapienza Università di Roma. e-mail: [email protected]

Assegnista di Ricerca in Economia e Gestione delle Imprese - Sapienza Università di Roma e-mail: [email protected]

SERGIO BARILE -FRANCESCA IANDOLO

Pertanto, se, come detto, la sostenibilità “chiama le imprese a rispondere e di conseguenza riconsiderare il loro ruolo all’interno della società, ciò implica che le aziende devono riallineare tutte le loro istituzioni aziendali (mission, vision, articolazione delle policy, processo decisionale, reporting, relazioni, ecc.) a questo nuovo orientamento” (Van Marrewijk, 2003). Tuttavia, le modalità con le quali ciò potrebbe o dovrebbe avvenire non sono ancora definite in modo condiviso: alcuni autori si focalizzano sull’importanza della sostenibilità per la redditività delle imprese (Pfeffer, 2010), altri teorizzano la possibilità per le aziende di rinunciare alla loro sopravvivenza se non sono allineate con i principi di sostenibilità (Benn et al., 2014).

Resta, in ogni caso, la consapevolezza che la sostenibilità sia un elemento centrale da considerare nella definizione delle linee strategiche e delle prassi operative delle imprese e, di conseguenza, elemento prioritario per la loro sopravvivenza (Baccarani et al., 1993; Carroll e Buchholtz, 2014; Baccarani e Golinelli, 20011; Barile e Saviano, 2011, 2018; Polese et al., 2018).

In particolare, partendo dalla teoria degli stakeholder (Freeman, 1984), questo lavoro ha l’obiettivo di proporre il contributo dell’approccio sistemico vitale (aSv) alla inclusione della sostenibilità all’interno delle dinamiche relazionali, strategiche ed operative delle imprese e all’impatto che tale inclusione può avere sulla loro vitalità e sopravvivenza.

Metodologia. Il contributo è sviluppato sulle concettualizzazioni dell’approccio sistemico vitale (asv), inteso sia

come metodologia di indagine dei fenomeni sociali, sia come metodologia per il governo delle organizzazioni. Dopo aver avviato una review della letteratura esistente sulla già consolidata teoria degli stakeholder, il lavoro, tramite la lente interpretativa dell’aSv, si è indirizzato verso la rilettura dei concetti di ‘stakeholder’ e ‘sovrasistemi’ in termini di rilevanza sistemico-vitale e con riferimento ai concetti di sostenibilità, vitalità e sopravvivenza (Golinelli, 2005, 2011; Barile, 2008, 2009). Il termine stakeholder, utilizzato per la prima volta con riferimento alla strategia d’impresa nel 1963 , nell’ambito di una ricerca condotta dallo Standford Research Institute (SRI), per indicare «quei gruppi senza il cui supporto l’organizzazione non potrebbe esistere», richiamava di proposito quello di stockholder (azionista), proponendone un significativo ampliamento, per sottolineare che l’interesse dell’impresa non doveva esclusivamente rivolgersi alla proprietà, ma allargarsi a categorie più ampie di soggetti dagli interessi compositi. Tuttavia, il teorico che formalizzò la collegata teoria fu Freeman, nel 1984, con il suo testo “Strategic Management. A stakeholder approach”, nel quale egli, riprendendo la definizione data dallo SRI, li definisce come «qualsiasi gruppo o individuo che può influire o essere influenzato dal raggiungimento degli obiettivi di una organizzazione».

Il lavoro di Freeman, basato su quello di R. Ackoff, E. L. Trist, I. Mitroff e R. Mason e J. Emshoff, si propose come un nuovo framework concettuale utile ad analizzare i contesti competitivi degli anni ’80, particolarmente turbolenti, e per i quali nessuno dei paradigmi teorici allora vigenti sembrava essere applicabile. Il dibattito seguito al lavoro di Freeman ha evidenziato la necessità di distinguere con esattezza quali soggetti possano essere inclusi tra gli stakeholder, distinguendo tra una definizione ‘ampia’ ed una ‘ristretta’. In un precedente lavoro, Freeman e Reed (1983), nell’individuare “chi o cosa veramente conta” adottano una visione ampia, dando una definizione (simile a quella che poi darà Freeman nel citato testo del 1984) come di un individuo o gruppo che «può influire sul raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione oppure è influenzato dal raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione» , includendo, quindi, sia coloro che influenzano l’attività dell’impresa che coloro che da essa sono influenzati, in un rapporto bidirezionale che esclude solo quelli che non hanno alcun tipo di potere o aspettativa nei confronti dell’attività dell’impresa. Ronald K. Mitchell, Bradley R. Agle e Donna J. Wood (1997) definiscono i criteri secondo i quali individuare gli stakeholder, identificando i loro interessi secondo i criteri di potere, legittimità e urgenza; tali attributi identificano le relazioni tra stakeholder e management e permettono di stabilire il grado di incidenza dei portatori di interesse sull’attività dell’impresa.

Mentre il potere e la legittimità possono essere considerati variabili indipendenti nelle relazioni fra stakeholder e manager e, pertanto, non sufficienti a comprendere effettivamente le interazioni fra tali due categorie di soggetti, l’urgenza è concetto più decisivo. Quest’ultima, infatti, si riferisce sia alla impellenza temporale (ovvero, il limite di risposta del management all’aspettativa o alla relazione ritenuto accettabile) sia alla criticità (il peso dell’interesse o della relazione); in sostanza, quindi, riguarda la tempestività dell’azione del management nei confronti di una aspettativa ritenuta importante dallo stakeholder. Tali attributi, comunque, non sono universalmente validi; al contrario, essi risentono degli elementi che influenzano il contesto specifico di riferimento (sia dell’impresa che dello stakeholder), pertanto possono variare nel tempo e anche per categorie di stakeholder.

La proposizione della teoria degli stakeholder ha generato un ampio dibattito in teoria, soprattutto relativamente alla natura che ad essa si debba attribuire (Donaldson e Davis, 1991; Donaldson e Preston, 1995); l’orientamento che qui si condivide è quello che guarda alla stessa come ispiratrice di pratiche manageriali che orientano le scelte di fondo del management. Tale approccio si concilia con la necessità, per l’impresa, di adottare comportamenti che siano in grado di contemplare interessi divergenti e conciliarli per garantire la sopravvivenza al sistema impresa.

La citata affermazione, ponendo al centro i soggetti interni all’impresa, richiama alcuni concetti fondamentali dell’approccio sistemico vitale; essa, infatti, evidenzia la necessità che il soggetto decisore debba ricercare la consonanza con tutte le entità presenti nel contesto di riferimento dell’impresa, poiché solo da essa, cioè dal contemporaneo soddisfacimento delle attese di tali gruppi compositi, deriverà la capacità dell’impresa stessa di sopravvivere. La sopravvivenza, pertanto, è la risultante del contemporaneo soddisfacimento delle istanze derivanti non soltanto dai soggetti più immediatamente coinvolti nella sua attività (tipicamente, gli azionisti ed il management), ma anche da quelle dei soggetti che rientrano nella sua struttura specifica (clienti, fornitori, dipendenti, istituzioni

LA RILEVANZA NELLAZIONE DI GOVERNO: IL CONTRIBUTO DELLAPPROCCIO SISTEMICO VITALE ALLA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER TRA VITALITÀ E SOSTENIBILITÀ

finanziarie di riferimento) nonché di coloro che possono, seppur in maniera minore, ricevere da tale attività benefici o danni (comunità in generale, gruppi di interesse, media, ecc).

Questo approccio agli stakeholder che considera tutti i soggetti effettivamente e potenzialmente interessati da e alla attività dell’impresa si collega a quella di sovra sistema data dall’approccio sistemico vitale che definisce così qualsiasi entità che rientra nella struttura ampliata del sistema che si prende a riferimento e che può definirsi rilevante per il sistema stesso quando è in grado di influire sulla sua sopravvivenza.

Il concetto di sovra sistema rilevante, più ampio di quello di stakeholder, può meglio definirsi sulla base delle due dimensioni che definiscono la rilevanza, criticità ed influenza. La criticità riguarda il rapporto che si instaura con un soggetto e dipende dalla criticità stessa della risorsa in oggetto e dai benefici relazionali netti che dallo scambio deriveranno; l’influenza riguarda l’entità stessa con cui il sistema instaura un rapporto e dipende dal livello di vincoli e regole presenti e dalla capacità di controllo, feedback ed intervento.

Risultati. Le considerazioni su esposte permettono di operare un confronto tra i concetti di criticità ed influenza

appena citati e quelli di potere, legittimità ed influenza sopra definiti; tale parallelismo permette di definire quali debbano essere i rapporti tra gli stakeholder e i decisori dell’impresa e come i comportamenti di questi ultimi debbano orientarsi, alla luce degli avanzamenti in materia di responsabilità e sostenibilità.

La legittimità, infatti, può essere riportata alla criticità, mentre l’urgenza all’ influenza; il potere, invece, può essere considerato un effetto della rilevanza e, poiché è dimensione variabile nel tempo, pare più utile concentrare l’attenzione sulle prime due dimensioni. La legittimità è attributo dalle caratteristiche maggiormente strutturali, come la criticità, e riporta a dimensioni di appartenenza e coerenza; l’urgenza, invece, ha connotazione più marcatamente sistemica, è maggiormente connessa a variabilità temporale e specificità di contesto, pertanto più affine all’influenza. La rilevanza del sovra sistema legata a criticità/legittimità, quindi, sarà maggiormente legata alla consonanza, ossia alla capacità di creare dei legami di tipo strutturale con le entità che comporranno la struttura specifica, laddove, invece, la rilevanza legata all’influenza/urgenza sarà connessa alla risonanza, cioè alla capacità di mantenere relazioni e sviluppare interazioni consonanti con i singoli soggetti.

I sovra sistemi rilevanti nel senso della criticità, quindi, saranno ritenuti dall’impresa componenti rilevanti della struttura specifica, dal momento che essi sono determinanti per il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa; i sovra sistemi rilevanti nel senso dell’influenza, invece, sono componenti della struttura ampliata dell’impresa, ma non della sua struttura specifica, cioè non possono influenzarla, tramite la rilevanza, appunto, del loro interesse.

Questi ultimi, pertanto, rimangono nella struttura ampliata come potenzialità relazionale, mentre i primi sono effettività relazionale, in quanto componenti specifiche del contesto dell’impresa. L’impresa, pertanto, nell’estrarre dall’ambiente generico il suo specifico contesto di riferimento, incontra una molteplicità di entità con cui poter entrare in contatto le quali costituiscono la struttura ampliata; l’impresa attiverà con una parte di esse delle relazioni basate sulla compatibilità strutturale, definita consonanza, e che possono evolversi positivamente (risonanza) o negativamente (dissonanza) e che qualificheranno un secondo insieme di soggetti che definiscono la struttura specifica.

Fig. 1: La matrice di rilevanza Influenza

Alta Media Bassa

Criticità

Bassa Sostenibilità

Media Sopravvivenza

Alta Vitalità

Fonte: ns. elaborazione

Partendo dalle concettualizzazioni sviluppate in ambito aSv che sostanzialmente riconducono la sostenibilità alla ricerca di consonanza con i sovrasistemi di riferimento all’interno dello specifico contesto definito dall’organo di governo, è possibile ampliare ed approfondire il livello di analisi facendo riferimento alla matrice concettuale. In particolare, all’interno di questo framework, ci concentriamo sull’analisi dei due momenti nei quali si esplica l’azione cognitiva volontaria del soggetto decisore: il passaggio dalla struttura ampliata alla struttura specifica.

Se definiamo, infatti, la struttura ampliata come l’insieme delle possibilità relazionali attivabili dall’organo di governo sulla base di relazioni di consonanza e la struttura specifica come l’insieme delle attualità relazionali definite ed attivate dallo stesso organo di governo proprio in relazione alla preesistente consonanza e nell’ottica di sviluppo di risonanza, è possibile ricondurre i concetti di sostenibilità e vitalità ai due precedentemente introdotti. Pertanto, se la vitalità intesa come finalità ultima di qualsiasi sistema è da collocarsi nella struttura specifica, la sostenibilità è da ricondurre alla struttura ampliata. La vitalità, quindi, diventa la traduzione in atto (ovvero nella struttura specifica) di tutte le possibili configurazioni di sostenibilità presenti, in potenza, nella struttura ampliata. Essendo le configurazioni di sostenibilità presenti ‘in potenza’ nella struttura ampliata, alla sostenibilità si ricollega un atteggiamento proattivo delle organizzazioni, laddove alla vitalità si ricollega un atteggiamento che possiamo definire reattivo.

Da ciò deriva che la vitalità deve essere interpretata come la possibilità che l’Organo di governo ha di scegliere tra una varietà di “vie”: alcune tra queste strade sono tese unicamente alla sopravvivenza del sistema e dei suoi sovrasistemi prossimi (consonanza con i sovrasistemi che l’Organo di governo avverte come rilevanti); altre vie, invece, sono dirette al raggiungimento della sostenibilità e tengono conto delle istanze di sopravvivenza dell’intero

SERGIO BARILE -FRANCESCA IANDOLO

contesto (consonanza con l’intero contesto, cioè con i sovrasistemi dei sovrasistemi). L’impresa, pertanto, può definirsi sostenibile in ottica sistemico-vitale se è in grado di far sopravvivere non solo il proprio contesto, ma anche il contesto di riferimento dei sovrasistemi che popolano il contesto stesso, in un’ottica ricorsiva che arriva ad includere tutte le prospettive considerate dalla sostenibilità (è il caso della definizione di sviluppo sostenibile data dal citato Rapporto Bruntland, in cui si afferma che è “sostenibile” lo sviluppo «che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri».)

Limiti della ricerca. Il principale limite della ricerca risiede nella mancanza di una verifica empirica di quanto

esposto.

Implicazioni pratiche. Lo studio fornisce al management una diversa chiave di lettura delle relazioni ed

interazioni che l’impresa sistema vitale deve instaurare con i sovrasistemi rilevanti, sia con riferimento ai due driver proposti di criticità ed influenza sia con riferimento all’effetto che le scelte hanno in termini di sopravvivenza, vitalità e sostenibilità dell’impresa. In questo senso, il contributo dell’aSv alla teoria degli stakeholder potrebbe rappresentare un valido supporto ai decisori d’impresa, orientando le loro azioni e decisioni di governo in relazione alle diverse soggettività di cui tener conto nei processi evolutivi delle imprese intese come sistemi vitali.

Originalità del lavoro. Sostenere che la sostenibilità implica un atteggiamento proattivo equivale a dire che il

sistema vitale, il suo organo di governo, deve ‘trasformare’ potenza in atto, deve cioè scegliere ed attivare, tra tutte le relazioni possibili, quelle che generano il maggior livello di consonanza - che da diadica diventa consonanza di contesto, quindi con il maggior numero di sistemi presenti, appunto, nel contesto di riferimento. E, per far ciò, deve agire sulla ridondanza, ovvero sul “sovrabbondante, eccessivo o non necessario”, sulla possibilità, cioè, di creare contesti, appunto, sostenibili. La ridondanza, se fisiologica, si ricollega al concetto di antifragilità (Taleb, 2012), ovvero alla capacità delle organizzazioni di ‘tornare’ nella struttura ampliata e ridefinire nuove strutture specifiche, laddove le precedenti configurazioni non fossero in grado di garantire la sopravvivenza del sistema.

L’originalità del lavoro, pertanto, consiste nel creare un collegamento tra il concetto di sostenibilità e quello di vitalità di una organizzazione intesa come sistema vitale. Un sistema, pertanto, può essere vitale senza essere sostenibile; questo consente al sistema di sopravvivere nel breve periodo. Nel lungo periodo, tuttavia, la sostenibilità arriva sostanzialmente a coincidere con la vitalità e, nella ricerca di consonanza, che diventa, come detto, consonanza di contesto, il sistema vitale deve essere sostenibile. Se, pertanto, sostenibilità intesa come garanzia di vitalità nel lungo periodo è creazione di contesti ed è connessa alla capacità di agire sulla consonanza di contesto, è necessario specificare il concetto stesso di contesto e come esso si relaziona alla performance, ovvero al risultato del comportamento del sistema.

Parole chiave: sostenibilità; vitalità; sopravvivenza; approccio sistemico vitale; stakeholder; sovrasistemi

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