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Riproduzione e deprivazione culturale »

1.2 Interpretazioni esplicative e comprendenti »

1.2.3 Riproduzione e deprivazione culturale »

Secondo la letteratura sociologica la scuola non riesce ad assolvere il ruolo emancipatorio ed egualitario che la Costituzione le attribuisce come missione specifica e sembra ancora essere luogo di riproduzione culturale e sociale.

Il fallimento scolastico degli studenti provenienti dalle classi sociali più svantaggiate è un fenomeno a cui la maggior parte dei sistemi scolastici hanno difficoltà a porre rimedio.

Come fanno notare Shizzerotto e Barone60, nel ventesimo secolo tutti i paesi europei hanno visto aumentare i livelli di scolarizzazione delle loro popolazioni attraverso una crescita della domanda collettiva e dell’offerta di istruzione, ma questo non ha portato ad una reale democratizzazione dei sistemi scolastici e ad un affermarsi del merito rispetto al successo scolastico e alla collocazione sociale.

Dagli anni Sessanta in poi, l’inflazione dei titoli di studio ha reso la scuola sempre meno fonte di mobilità sociale e, anche a causa dell’avvento della scuola di massa e di conseguenza dell’eterogeneità dell’ utenza, essa è diventata un’istituzione sempre più problematica.

Fino agli anni Sessanta i sistemi scolastici si erano posti il problema dell’accesso, cioè del grado di chiusura o di apertura del sistema e delle caratteristiche che doveva possedere l’utenza scolastica ai vari livelli. Nal 1962, in Italia, viene istituita la scuola media unica e finisce così il doppio binario caratteristico della scuola gentiliana che determinava, già alla fine delle elementari, il futuro scolastico degli allievi. Nel 1969, poi, viene liberalizzato anche l’accesso alle varie facoltà universitarie.

Come afferma Besozzi61, con l’avvento della scuola di massa il dibattito sull’uguaglianza scolastica si sposta dal problema dell’accesso al problema delle opportunità di riuscita e il dibattito si orienta verso quel legame tra selezione ed origine sociale che mette in crisi le speranze ugualitarie legate all’accesso di massa all’istruzione.

L’avvento della scuola di massa, dunque, fa emergere il tema della disuguaglianza dei risultati scolastici e l’esigenza di comprenderne le cause.

“Proprio le condizioni della scuola di massa a livello medio e superiore rendono per la prima volta possibile l’esperienza della disuguaglianza sociale come esperienza intensa e diffusa nella sfera dei rapporti interpersonali quotidiani che si stabiliscono nel gruppo dei pari. Paradossalmente, più una scuola è di élite, meno visibile è la disuguaglianza: solo quando la

60

A. Schizzerotto, C. Barone, Sociologia dell’istruzione, Il Mulino, Bologna, 2006.

61

scuola diventa di massa, quindi quando si attenua la disuguaglianza nell’accesso all’istruzione, essa diventa visibile ed è possibile farne esperienza concreta”62.

Le disuguaglianze possono essere di due tipi, verticali ed orizzontali.

“Oltre alle disparità di istruzione di stampo verticale, riguardanti, cioè, i livelli di scolarità raggiunti, tra i soggetti di diversa origine sociale esistono sensibili disuguaglianze di carattere orizzontale, riferite, cioè, agli indirizzi formativi scelti a parità di ordine e grado di istruzione (postobbligo).

Iniziando dall’istruzione secondaria superiore, si può dire che, nella generalità dei paesi nei quali essa è rimasta suddivisa in segmenti formativi differenziati, si osserva una netta sovrarappresentazione degli eredi delle classi superiori in quelle di carattere accademico e una loro altrettanto netta sottorappresentazione nei segmenti formativi di stampo tecnico e professionale. L’opposto, naturalmente, vale per i figli delle classi meno privilegiate.”63

Anche le differenze orizzontali si configurano come vere e proprie disuguaglianze, in quanto sono correlate, come quelle verticali, al destino professionale dei soggetti.

La letteratura sociologica ha dato diverse spiegazioni del fenomeno della disuguaglianza dei destini scolastici degli appartenenti alle classi svantaggiate rispetto agli appartenenti alle classi superiori.

Althusser64 è stato il filosofo che ha elaborato la teoria della riproduzione sociale attraverso l’istruzione, teoria che ha avuto influenza su tutta la sociologia dell’educazione neo-marxista, nonché sul sociologo francese Bourdieu.

La visione di Althusser è estremamente determinista. Secondo il filosofo francese per la sopravvivenza di ogni forma sociale occorrono la riproduzione delle forze produttive e quella delle relazioni di produzione e la scuola collabora e partecipa ad entrambe, trasmettendo sia le abilità di lavoro che l’ideologia dominante. La scuola farebbe parte, insieme alla famiglia, alle chiese, ai sindacati, ai partiti, dei cosiddetti Apparati Ideologici di Stato che insieme, o solo apparentemente in opposizione, con gli apparati repressivi, riproducono l’ideologia delle classi dominanti.

“Nel trasmettere l’ideologia dominante la scuola riproduce altresì la divisione sociale del lavoro e lo fa grazie alla selezione e alla differenziazione di percorsi educativi che consente di provvedere ciascuno dell’ideologia che si confà al ruolo che deve assolvere nella 62 Ivi, p.107. 63 Ivi, p.98. 64

società di classe. Ma, ciò che più conta, questo risultato, essenziale per la conservazione della struttura classista, viene dalla scuola al tempo stesso prodotto e legittimato in nome della presunta neutralità dei meccanismi selettivi”65.

La posizione di Althusser porta, secondo Benadusi, a un determinismo e ad un immobilismo per cui perfino i maestri progressisti sarebbero dannosi, in quanto avvalorerebbero la rappresentazione di una scuola neutrale rispetto al sistema capitalistico.

Il sociologo francese Bourdieu e la sua scuola pongono in atto una serie di ricerche empiriche ed elaborano un insieme organico di formulazioni teoriche che vanno sotto il nome di teorie della riproduzione culturale. Esse avranno molta influenza nei paesi europei e dissiperanno le illusioni diffuse negli anni Sessanta rispetto al fatto che l’accesso generalizzato all’istruzione avrebbe estirpato i privilegi di classe.

Il tipo di capitale culturale66 posseduto dagli studenti delle classi subalterne, al contrario di quello posseduto dagli studenti delle classi avvantaggiate, non li metterebbe in grado di assumere quegli atteggiamenti e apprendere quelle conoscenze che sono richieste a scuola. Essi non saprebbero, come i loro compagni, anticipatamente, cosa aspettarsi e come rispondere alle richieste della scuola.

Il capitale culturale non è relativo al titolo di studio, dunque, che è invece definito

capitale scolastico, ma all’insieme di beni simbolici trasmessi dalle varie agenzie

pedagogiche come la famiglia, la cultura libera.

La riuscita scolastica sarebbe influenzata, in particolar modo, dalla valorizzazione della scuola e da un orientamento alla riuscita ed al successo che si acquisiscono nella socializzazione primaria.

I due concetti fondamentali all’interno di questa teoria sono quelli di capitale culturale (conoscenze e stili di comportamento) ed ethos (insieme dei valori che definiscono l’atteggiamento verso la scuola) di classe che insieme costituiscono l’eredità culturale di ciascun allievo.

La scuola non riconosce le disuguaglianze iniziali e le riproduce, poiché tratta tutti i discenti come se fossero uguali nei diritti e nei doveri. Così facendo di fatto non fa altro che sancire e legittimare le disuguaglianze iniziali di fronte alla cultura. L’indifferenza alle differenze sarebbe dunque la causa del fallimento dei rappresentanti delle classi svantaggiate.

65

L.. Benadusi, Scuola, riproduzione, mutamento, La Nuova Italia, Firenze, 1984, p.126.

66

P. Bourdieu, JC., Passeron, La riproduzione. Per una teoria dei sistemi di insegnamento, Guaraldi, Rimini, 2006.

La scuola avrebbe pertanto una funzione riproduttrice e legittimatrice delle disuguaglianze, dunque una funzione discriminatrice e mistificatoria: trattando i disuguali come uguali la scuola trasforma il privilegio in merito, le differenze culturali in differenze di doti naturali; si mette l’accento quindi sul ruolo riproduttivo della scuola che non costituirebbe un fattore di mobilità, ma di conservazione sociale.

Secondo questa teoria della trasmissione pedagogica sembra non esistere alcuno spazio di riforma dei sistemi formativi che sia antecedente ad una trasformazione dell’ordine sociale.

Boudon67, contro il pessimistico determinismo dell’eredità culturale, mette l’accento sull’importanza di considerare i fenomeni sociali anche come conseguenza dell’agire individuale ed avanza la teoria della scelta scolastica che, in realtà, sembra dipendere solo debolmente dalla classe sociale quando la riuscita scolastica è buona e viceversa.

Il sociologo francese vede la carriera scolastica nei termini di una serie di decisioni. Non sottovaluta l’importanza della provenienza sociale, ma sottolinea una dialettica tra meccanismi sociali ed aspettative individuali per uscire da un determinismo immobilizzante.

Boudon, insomma, mette in evidenza l’intenzionalità e la scelta individuali. Il dibattito si sposta dunque dalla società e dai suoi vincoli all’individuo, alla sua intenzionalità, alle sue aspettative, alla sua capacità di costruire un progetto di vita.

Nella prospettiva di Althusser e Bourdieu occorreva cambiare prima tutto il sistema e risultava impossibile combattere le disuguaglianze educative all’interno di un Apparato Ideologico di Stato quale la scuola. Le teorie della scelta, invece, consentono una liberazione dal determinismo ponendo al centro del loro modello di spiegazione i progetti di vita degli attori e le preferenze scolastiche individuali connesse a tali progetti. Le teorie della riproduzione, invece, non accolgono all’interno del tema della disuguaglianza quello della differenza poiché la differenza è determinata non dall’individuo ma dalle strutture sociali e si è differenti in funzione del sistema e non del singolo attore sociale.

Le teorie della deprivazione culturale, ed in particolare la teoria del cosiddetto codice

ristretto di Bernstein, pongono l’aspetto linguistico al centro delle loro riflessioni sulla

disuguaglianza dei risultati scolastici.

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Secondo Bernstein68, il contrasto tra la socializzazione primaria avvenuta in famiglia attraverso un codice ristretto e quella secondaria che avviene a scuola attraverso un codice allargato costituirebbe la causa principale della disuguaglianza di risultati .

“Il primo codice governa l’uso del linguaggio sulla base di significati particolaristici e si traduce pertanto in espressioni fortemente contestualizzate che presuppongono un grado elevato di omogeneità di intenzioni e aspettative da parte dei parlanti, quale è rinvenibile in situazioni di solidarietà meccanica; il secondo governa invece l’uso della lingua in base a significati universalistici, indipendenti dal contesto, e tali da richiedere l’esplicitazione e la negoziazione di reciproche aspettative e regole di interpretazione, come avviene nelle situazioni di solidarietà organica”69.

Sarebbe dunque il codice linguistico ristretto in possesso delle classi svantaggiate (lessico limitato, scarse abilità sintattiche, disabitudine a esprimersi in modo articolato e puntuale) a far fallire più facilmente gli studenti delle classi inferiori a scuola, dove si utilizza un codice allargato, tenendo conto anche del fatto che l’uso di un codice linguistico ristretto produce difficoltà nell’astrazione e nella elaborazione simbolica.

La educabilità differenziata tra i figli delle classi svantaggiate e quelle delle classi superiori dipenderebbe dal codice linguistico nel quale si salderebbero i rapporti tra sfera simbolica e sfera sociale.

La teoria di Bernstein sembra essere vicina a quelle del deficit o della deprivazione culturale piuttosto che a quelle della differenza culturale, visto che il codice allargato o elaborato delle classi avvantaggiate non sarebbe solo diverso da quello ristretto, ma anche più efficace quando si ha a che fare con significati generali o astratti.

La new sociology of education si concentra, piuttosto che una su un’analisi macrosociologica delle relazioni tra scuola e società, come quella delle teorie della riproduzione, o piuttosto che sulla deprivazione culturale, su un’analisi microsociologica delle interazioni in classe studiate attraverso l’osservazione partecipante.

Questa analisi conduce alla teoria della centralità dell’insegnante, mettendo in rilievo come gli studenti che falliscono a scuola possiedano una cultura non più ristretta di quella dei loro compagni, ma diversa da quella degli insegnanti, i quali appartengono, nella grande maggioranza dei casi, alle classi medie.

68

B. Bernstein, Class, Codes and Control, Routledge & Kegan Paul, Boston, 1971.

69

Per la nuova sociologia dell’educazione “il sapere scolastico - non diversamente da ogni altra specie di conoscenza - non è un dato obiettivo, aproblematico, ma una costruzione sociale, la cui genesi va ricercata nella interazione fra gli individui e fra i gruppi”70.

La teoria della scelta (o azione) razionale ritiene che sia le teorie della deprivazione culturale che quelle della riproduzione culturale sarebbero caratterizzate da un certo fissismo che non dà conto del fatto che comunque, nel tempo, gli studenti delle classi subalterne hanno notevolmente innalzato la loro presenza a scuola, né del fatto che, a parità di risultati, essi sono caratterizzati da una minore propensione a continuare gli studi.

La teoria della scelta mette in rilievo come, in periodi di crescita globale della scolarità, le classi medie e superiori, per mantenere il loro vantaggio, investano su una scolarità più alta dei figli, mentre lo stesso non fanno le classi svantaggiate. Le classi subalterne infatti avrebbero una razionale avversione nei confronti dei rischi dell’investimento in istruzione. Per cui anche se la scolarità delle classi inferiori è aumentata, la differenza relativa non è stata colmata in quanto le classi svantaggiate non hanno potuto investire più risorse in istruzione come le classi superiori.

La razionalità della scelta si baserebbe sul fatto che la spendibilità del medesimo titolo di studio è anch’essa influenzata dall’appartenenza sociale.

Alcuni studi71, infatti, mettono in luce come tra mobilità educativa e mobilità sociale esista un rapporto piuttosto debole, in quanto il valore di un titolo di studio dipende soprattutto da chi lo possiede e non tutte le classi sociali sono in grado di appropriarsi allo stesso modo dei vantaggi forniti dall’istruzione.

“Il titolo di studio influisce fortemente sui destini sociali degli individui. A titoli di studio elevati corrispondono alti tassi di partecipazione al mercato del lavoro (soprattutto nel caso delle donne), ridotti rischi di disoccupazione, consistenti possibilità di accedere alle occupazioni più vantaggiose. L’istruzione funziona, dunque, come un canale di mobilità sociale ascendente. La sua influenza sui destini occupazionali delle persone è però sovrastata da quella delle origini sociali di queste ultime cosicché non si può dire che le società contemporanee si configurino come meritocrazie basate sulla scolarità” 72.

70

L. Benadusi, op. cit., p. 175.

71

Vedi F. S. Cappello, M. Dei, M. Rossi, L’immobilità sociale, Il Mulino, Bologna, 1982; M. Barbagli, V. Capecchi, A. Cobalti, La mobilità sociale in Emilia Romagna, Il Mulino, Bologna, 1988.

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