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1.2 Interpretazioni esplicative e comprendenti »

1.2.4 La voce dei ragazzi dispersi »

Per una lettura pedagogica della dispersione scolastica73 è necessario comprendere la costruzione di senso che lo studente attiva rispetto all’esperienza che sta vivendo, agli eventi che lo vedono protagonista, a ciò che gli accade.

Un fenomeno, come si è già avuto modo di affermare, può essere interpretato dall’esterno, attraverso l’analisi degli esperti, o dall’interno attraverso la condivisione dei significati attribuiti all’esperienza dai soggetti coinvolti.

L’analisi pedagogica dell’abbandono scolastico deriva da entrambe queste prospettive, è un’analisi che si svolge a due livelli diversi attraverso una lettura ragionata e contrattata. Non basta la descrizione che gli studiosi dei vari ambiti disciplinari danno del fenomeno. Occorre, insieme a una lettura di sintesi dei risultati degli studi nei diversi ambiti disciplinari, prendere in considerazione l’interpretazione che i soggetti in difficoltà danno della loro esperienza. Senza una costruzione di senso condivisa non si potrebbero infatti affrontare adeguatamente le difficoltà scolastiche e dunque l’insuccesso e la dispersione.

L’analisi di ricerche qualitative che prendono in considerazione, attraverso l’uso di interviste e questionari, il punto di vista dei drop-outs ci rende possibile dunque un’analisi comprendente del fenomeno.

I risultati di queste ricerche forniscono elementi fondamentali per la comprensione pedagogica, guardando alla dispersione non esclusivamente nella sua oggettualità, ma comprendendola attraverso l’intenzionalità dei soggetti. Si prendono cioè in considerazione, piuttosto che le cause dell’agire ricostruite a posteriori con strumenti di analisi scientifica, i suoi aspetti intenzionali attraverso l’autocomprensione degli studenti.

Secondo Masoni “modificare queste storie, la forza della profezia che si autoadempie contenuta proprio nello schema esplicativo, nella tessitura deterministica che le racconta e le spiega, implica rinunciare a quei modelli interpretativi, medico-pedagogici (psichiatrico- psicoanalitici) il cui germe concettuale è identico alla realtà che cercano di contrastare”74.

Contro ogni determinismo, sia di ordine psicologico che sociologico, occorre accogliere la narrazione e il significato attribuito all’esperienza degli studenti come base di un’azione realmente efficace perché basata su uno scambio ed una condivisione di significati.

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Vedi V. Severi, op. cit.

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In una indagine, condotta attraverso interviste in profondità realizzate per conoscere il vissuto individuale dei drop outs, Ress75 cerca di comprendere se vi siano stati errori di orientamento, difficoltà nel rapporto con insegnanti, compagni e genitori ed esplora gli stati d’animo nella fase di allontanamento dalla scuola, nonchè la condizione di postabbandono e le prospettive per il futuro.

Dall’indagine risulta che i ragazzi intervistati hanno vissuto come troppo gravoso e precoce il dover scegliere la scuola superiore ed hanno delegato in parte la scelta agli adulti, pur consapevoli che questi potessero sbagliare. Pochi ricordano di essere stati sottoposti a tests attitudinali. La forma più comune di orientamento, o almeno quella a cui i ragazzi si sono affidati, è stata la visita alle scuole superiori fatta con gli insegnanti o la loro presentazione presso la scuola media frequentata. Essi giudicano inadeguati i consigli avuti dagli insegnanti.

“L’impressione è che sia diffuso un grande senso di incertezza, nel momento della scelta, che la scuola affronta qualche volta in modo abbastanza approssimativo. Non appare realizzato infatti un esame soddisfacentemente attento delle attitudini degli alunni, mentre l’attività di orientamento sembra piuttosto assumere la forma di una classificazione di studenti

portati per istituti professionali, tecnici o licei, semplicemente in base ai risultati ottenuti nella

scuola di base. L’intervento istituzionale sembra configurarsi come un’allocazione più o meno consapevole degli alunni sulla base della classe sociale, di cui la riproduzione delle disuguaglianze è corollario inevitabile”76. Nel vissuto dei giovani c’è dunque incertezza, l’impressione che genitori ed insegnanti abbiano deciso per loro e non abbiano deciso bene.

Importante per la scelta della scuola superiore risulta anche il gruppo dei pari. Per i giovani, nel momento in cui devono affrontare un nuovo ambiente scolastico, con tutte le sfide che questo comporta, la presenza di un amico che sceglie la stessa scuola può risultare fondamentale per sedare l’ansia iniziale.

“In molte esperienze, così, la scelta di indirizzo si realizza in modo per lo più casuale, non adeguatamente elaborato, in buona misura inconsapevole”77.

Nel vissuto dei drop outs il ricordo della nuova scuola è quello di un entusiasmo che passa presto per la difficoltà dello studio, del cambiamento e della molteplicità delle materie a cui la scuola media non ha preparato. Emerge la difficoltà a trovare aiuto dai professori per

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A. Ress, L’abbandono una sfida aperta per la scuola, in A. Cavalli, G. Argentin, op. cit.

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Ivi, pp.157-158.

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comprendere i propri errori e migliorare. I professori sono percepiti come lontani e distaccati, la relazione con loro è vissuta con forti sentimenti di ansietà e paura, senso di ingiustizia per le loro valutazioni.

La scuola è ricordata come un luogo che non lascia spazi al recupero delle lacune, che non permette di rimanere indietro, che non rispetta tempi diversi e problemi personali anche gravi. Si rileva, al tempo stesso, un forte desiderio di fiducia e di incoraggiamento, di apprezzamento per le proprie qualità e per i propri progressi che sembra essere mancato da parte degli adulti. Emerge il disagio generato da valutazioni negative ritenute insopportabili e umilianti, non tanto quelle dei compiti in classe, quanto delle interrogazioni che, in quanto pubbliche, rendono partecipi i compagni del fallimento e della sconfitta, spesso rinforzati dalle mortificazioni degli insegnanti.

Per alcuni c’è il ricordo della difficoltà del confronto con un ambiente di coetanei provenienti da famiglie più colte e benestanti, che avevano a disposizione più beni di consumo e che erano più curati dai loro genitori. La rassegnazione, il basso livello di fiducia in se stessi e nell’efficacia dei propri sforzi sono i sentimenti più spesso manifestati dai ragazzi.

Emerge anche un forte orientamento al presente, la scelta di divertirsi senza pensare ad un futuro ingestibile.

Forti sono anche i vissuti legati all’adolescenza ed al conflitto con gli adulti, insegnanti o genitori che siano. “Il desiderio di veder riconosciuta la propria identità e in definitiva la necessità naturale di crescere possono comunque spingere il giovane fino alla rinuncia alla scuola, per ottenere una posizione che meglio garantisca l’acquisizione di tali diritti, di fronte alla società e soprattutto in famiglia. Dover negoziare il denaro con i propri genitori assume, infatti, un ruolo importante per questi ragazzi e non è un caso che un lavoro immediatamente disponibile rappresenti una forte attrazione in molte situazioni.

L’allontanamento dalla scuola a questo punto, può avere inizio e la fase di abbandono ha spesso origine dalle prime assenze. Alcuni studenti temono ogni giorno di più l’arrivo del mattino e rifiutano il solo pensiero di dover recarsi a scuola”78.

Il disagio, il malessere, la sofferenza generati dalle difficoltà, dai fallimenti, dalla mancanza di aiuto e di riconoscimento, il senso di impotenza e di incontrollabilità della situazione si tramutano spesso, dunque, in un quadro di vera e propria fobia scolare, alla base

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di gran parte dell’assenteismo. Questo d’altra parte si configura come un processo senza ritorno, perché riprendere la scuola dopo numerose assenze accentua la sensazione di estraneità e le difficoltà. Gli insegnanti non sembrano, nel ricordo dei ragazzi, fare molto per combattere questo fenomeno. I ragazzi spesso svalutano la decisione di abbandonare la scuola, la comunicano telegraficamente sia agli adulti che ai pari, avendo difficoltà a manifestare il dramma che si svolge nel loro intimo con vissuti di angoscia, di paura e di fallimento.

La scelta di lasciare la scuola e di intraprendere quando possibile percorsi di lavoro precario e spesso ai limiti della regolarità, è una scelta orientata al presente, soprattutto alla possibilità di avere a disposizione del denaro e di essere maggiormente autonomi rispetto alla famiglia. E’ fatta per il momento, senza vederne gli sviluppi a lungo termine.

Dopo l’immediato sollievo e la soddisfazione di alcuni bisogni economici, compare però l’insoddisfazione per la propria condizione e la consapevolezza dello svantaggio rispetto a chi ha proseguito nel percorso degli studi. A volte emerge anche un profondo rammarico anche a causa della durezza delle occupazioni trovate.

“Riuscire a sopportare la fatica e a essere capaci in qualche cosa si rivela, tuttavia, come un’opportunità per riconsiderare le proprie potenzialità, recuperare una certa autostima e anche valutare la scuola diversamente. Nonostante i timori diffusi relativi ad ostacoli di varia natura, compresa la sensazione di aver per così dire perso il treno, è evidente tra i drop-outs una grande insoddisfazione rispetto alla condizione attuale e un forte desiderio di rivalutare la propria formazione, soprattutto attraverso scuole serali: l’istruzione è valutata, a posteriori, come strumento fondamentale per la vita, non soltanto dal punto di vista dell’inserimento occupazionale, ma anche in un’ottica di arricchimento personale e di stimolo culturale”79.

Anche la ricerca condotta, attraverso una serie di interviste, da Massa, Mottana e Riva sulla dispersione scolastica negli istituti professionali nella città di Milano mette in evidenza i vissuti dei protagonisti della dispersione scolastica.

Gli adolescenti tendono a farsi protagonisti della decisione dell’abbandono e ad attribuirla a sé, hanno il bisogno di sentirsi in qualche modo attori della loro vita. “La soggettività del giovane si afferma, almeno nella maggioranza dei casi, non tanto riguardo alla selettività dell’offerta formativa, quanto nel porre termine a qualcosa di insoddisfacente per

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lui. E’ a partire da questo “no” che poi nascono alcuni elementi propositivi per il futuro, anche se, per forza di cose, la scelta rimane circoscritta entro un ventaglio ristretto”80.

Nelle parole dei giovani compare un aspetto emancipatorio e rivendicativo dell’abbandono scolastico. La condizione di drop out è vissuta in modo essenzialmente positivo ed è accompagnata da un senso di liberazione.

L’inchiesta conferma le rivelazioni della letteratura sociologica rispetto agli abbandoni innovativi, quelli derivati dallo sviluppo economico che consente una rapida collocazione nel mondo del lavoro. I ragazzi paiono felici di trovare un’occupazione anche se di basso livello e i genitori non sembrano accettare troppo negativamente la loro decisione.

“Insomma una vecchia storia. Genitori consenzienti e probabilmente imprenditori abbastanza rapidi (e rapaci) nel selezionare manodopera a basso costo, nell’accaparrarsi il giovane nostrano piuttosto che l’extracomunitario di turno. Non si può non empatizzare con il giovane che, dopo anni di frustrazioni patite su un banco dall’indecifrabile funzione, trova una collusione così ben architettata tra genitori, non più persecutori, e adulti autorevoli, anche in quanto concreti e redditizi. Da un vissuto di continuo fallimento, di scacchi, di relazioni conflittuali, di autopercezione probabilmente poco gratificante, quello scolastico, si passa ad un vissuto molto meno sottoposto ad arbitrari controlli, molto più spendibile, molto più chiaro nelle prescrizioni e nelle regole e anche molto più esibibile sul piano sociale, quello lavorativo” 81.

Queste affermazioni sembrano confermare la lettura dell’abbandono come incapacità di costruire fra insegnanti e studenti un significato condiviso dello stare a scuola e della perdita di senso di un’attività che risulta frustrante e insignificante.

“Ciò che questi ragazzi denunciano ampiamente, in riferimento al mondo scolastico, è sostanzialmente la sua incomprensibilità, la sua confusione, la sua inutilità. Tutti noi, crediamo, abbiamo ben chiare le patologie conclamate di questa istituzione, le incoerenze comportamentali, l’arbitrarietà dei compiti e delle procedure, la divergenza degli atteggiamenti. Se questi ragazzi lamentano, specialmente a fronte della compattezza del microcosmo lavorativo, una mancanza di confine, di chiarezza, di praticità nella vita

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R.Massa, P. Mottana, M.G. Riva, La dispersione scolastica negli istituti professionali: un’indagine qualitativa Franco Angeli, Milano, 1992, p.55.

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scolastica, non si può credere che denuncino semplicemente qualcosa di inevitabile e di essenziale nella vita della scuola e nei processi di apprendimento” 82.

Questi risultati sembrano essere confermati da quelli dell’indagine IARD del 1993, secondo la quale la percezione dei giovani rispetto all’utilità della formazione scolastica nei confronti del lavoro è molto più alta, anche se non estesissima, in coloro che hanno proseguito gli studi fino ai livelli più alti, mentre è molto bassa nei drop outs. Essi attribuiscono uno scarso valore alla scuola e alla cultura, mentre, come gli altri, attribuiscono molto valore al lavoro.

“Questo confermerebbe un’ipotesi desumibile da altre indagini quantitative e qualitative sul fenomeno della dispersione scolastica, secondo cui l’interruzione degli studi, più che da necessità o eventi e condizioni determinate, sarebbe sostenuta da istanze psicologiche e atteggiamenti culturali - a cui l’attuale organizzazione della scuola non riesce che a contrapporsi - orientati invece verso un possibile inserimento in luoghi lavorativi (per quanto di basso profilo possano essi poi risultare). Il che continua a suscitare, se non altro, una preoccupazione sostanziale, sia per il mancato accesso da parte di una così larga maggioranza di giovani ai valori della cultura formale, sia per la possibilità di inserimento a livelli più elevati nel mondo del lavoro. La responsabilità maggiore sembra essere ancora una volta della scuola, incapace di svolgere quella funzione specifica di mediazione culturale - con tutte le attenzioni psicologiche e le condizioni organizzative che questo comporta - in cui dovrebbe consistere il suo compito primario”83.

La scuola non è riuscita a dare contenimento e direzione di senso a questi giovani, ma, al contrario, è stata uno specchio sconfortante della loro confusione.

“La scuola appare fin troppo spesso come una dimora in rovina, senza confine, senza missione, senza prestigio, senza apprezzabili regole interne, senza meccanismi decisionali chiari e senza pianificazione delle relazioni interne. La scuola rispecchia fedelmente la confusione del suo destinatario e invece di restituirgli qualcosa di strutturante, gliene deforma ulteriormente l’immagine. Di fronte a questo, chi si impaurisce prima, prima ne fugge, contento di rifugiarsi in un contesto rigido e normato e governato da un padre riconoscibile. Inutile negare che chi lamenta una mancanza di “codice paterno” nella nostra società trova

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Ivi, p.141.

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anche nella scuola una latitanza seria di qualcosa del genere.”84 E’ mancata la cura educativa di chi non possedeva già codici culturali adeguati alle richieste dell’istituzione.

“La domanda che tutti questi ex-allievi pongono (ma non pongono esplicitamente) alla scuola è in fondo estremamente corretta e ovvia. Questi allievi chiedono che la scuola disponga di modalità di trattamento in grado di fornire cura, oggetti di interesse e trattamento adeguato anche a chi con il mondo della cultura o degli strumenti per leggere la realtà ha poca dimestichezza” 85.

In una ricerca qualitativa svolta nel comune di Roma tesa a dare la parola ai soggetti coinvolti nell’abbandono86 le interviste degli alunni mettono in rilievo come nodo centrale e critico la relazionalità, in particolare quella insegnanti-alunni e quella alunno-classe87. Secondo i ragazzi la qualità della relazione alunno insegnante dipende dalla capacità di ascoltare, di far sentire ognuno una persona unica in quanto riconosciuta nelle sue caratteristiche particolari; dalla cura degli insegnanti nel mettere al centro della propria azione educativa gli alunni prima delle materie, dalla passione comunicata dall’insegnante per la materia insegnata; dall’utilizzo di metodi didattici che comprendano la partecipazione attiva dell’allievo88.

In negativo invece vengono sottolineati: il disprezzo e lo stigma che alcuni insegnanti mostrano per gli scarsi risultati degli allievi; il tentativo da parte di alcuni insegnanti di richiedere sostegno agli alunni rispetto alla loro disaffezione all’insegnamento; la centratura degli insegnanti sulla disciplina con una sorta di isolamento relazionale tra il loro mondo e quello degli alunni.

La classe appare importante per il piacere di andare a scuola e soprattutto per il contagio positivo o negativo rispetto alla motivazione, come se ogni gruppo classe elaborasse delle norme circa le prestazioni scolastiche in senso positivo o negativo.

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R.Massa, P.Mottana M.G. Riva, op. cit. p.141.

85

R. Massa, P. Mottana, M.G. Riva, op cit., pp.134-135.

86

G. A.Costaggini, (a cura di), Chi abbandona chi. La dispersione scolastica tra cause e soluzioni, Centro Italiano di Solidarietà di Roma, Roma 2004.

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Possiamo supporre che le difficoltà relazionali siano quelle che i ragazzi hanno maggior facilità a rilevare e che forse non abbiano strumenti critici adeguati per cogliere altri problemi della loro esperienza scolastica.

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Nella decisione di lasciare la scuola emerge poi il ruolo di fattori personali quali il desiderio di indipendenza economica, l’insicurezza relazionale, l’assenza di progetto e vocazione personale, la scelta precoce e poco fondata della scuola superiore89.

Un’indagine originale e significativa sulla dispersione scolastica è stata condotta da Fabbri e D’Alfonso90 con il metodo cognitivo e costruttivista della psicologia culturale e della epistemologia operativa che, contrariamente ad altre epistemologie, si rifà, oltre che al principio di razionalità, anche a quello di storicità, cerca cioè di comprendere anche la genesi, le tradizioni, le teorie spontanee, gli usi della conoscenza. Per ottenere interpretazioni nuove e spontanee, fuori dagli stereotipi che si sono sedimentati, e guardare alla dispersione scolastica con uno “sguardo laterale” le interviste non sono indirizzate agli addetti ai lavori, ma a persone non direttamente interessate né come operatori, né come studenti: uomini e donne che hanno ottenuto successo nel loro lavoro in campi diversi.

Nell’intervista si fa uso di metafore e si cerca di stimolare associazioni nuove che consentano di vedere il fenomeno da punti di vista inattesi.

Dai risultati dell’indagine risulta che “la dispersione scolastica è figlia anche di un’attitudine «eliminatoria», in cui si è cacciati non solo perché non si corrisponde a certi parametri, ma anche perché non c’è più scambio e perché non c’è più (o forse non c’è mai stata) attenzione nello sguardo dell’altro”91.

L’immagine che le interviste danno della dispersione scolastica è innanzitutto quella di un agire sociale negativo in cui sono implicati sia il singolo che il sistema. Scuola, famiglia, gruppo dei pari, sistema sociale, tutti interagiscono per creare dispersione. Il malfunzionamento e l’inadeguatezza della scuola, divenuti quasi stereotipi, vengono declinati in azioni precise in cui manca cura nell’agire: manca la verifica in itinere dei progetti, molte cose si iniziano, non si finiscono, si perdono in corso d’opera, non se ne correggono i difetti. A volte si chiede un impegno e un’applicazione che per primi non si è disposti a profondere, oppure non lo si richiede e si fa al posto degli altri, per gli altri. La mancanza di applicazione

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Gli insegnanti sono difensivi, vedono le cause dell’abbandono nello scarso rendimento degli allievi e nella famiglia che delega e non coopera e collude con il figlio, delegittima l’insegnante e ne rende inefficace l’azione educativa. Si attribuiscono alla società valori contro la scuola, mentre gli insegnanti devono trasmettere valori contrari a quelli dominanti. Gli insegnanti non comprendono, secondo l’autore, che si vive in una società policentrica da tutti i punti di vista, anche quello valoriale e dunque la scuola è immersa nel “policentrismo etico della complessità.”

90

D. Fabbri, P. D’Alfonso, La dimensione parallela. La dispersione scolastica nell’immaginario e nelle

aspettative dei testimoni privilegiati, Erickson, Trento, 2003.

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dei valori professati e l’incapacità di agire secondo i valori professati sono anch’esse causa di dispersione.

Per quanto riguarda il piano emozionale la dispersione appare come un subire

individuale nel quale ci si sente costretti a subire minacce, oltraggi interiori, paure che portano

alla rinuncia, allo spaesamento, all’insicurezza, alla diffidenza, allo smarrimento, al senso di perdita. “Il danno subito sembra provenire da un sistema malato di disattenzione”92.

Vengono poi messi in rilievo mancanze ed eccessi. “Nel sistema sembra implicato direttamente anche l’individuo che si disperde e lo si evidenzia e lo si evidenzia nella mancanza – di interesse, di unità e di ritmo – e nel suo opposto, l’eccesso di interesse e l’eccesso di offerte. Sembra di poter dire che la dispersione scolastica è un circolo vizioso che si instaura tra singolo e scuola. Di conseguenza, alla mancanza di interesse di uno corrisponde un’acuita mancanza di interesse dell’altra, a un difetto di unicità di proposte della scuola corrisponde un’accelerazione nel disperdersi dei singoli, a una disarmonia sui tempi subentra una disaffezione ai contenuti. Talvolta il fenomeno dispersivo si innesca a causa non di

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