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LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA DISABILITÀ TRA COPING, RESILIENZA E COMMUNITY CARE

6.1 Le risorse familiar

L’idea della famiglia normale e sana coincide con il mito di una famiglia senza problemi e senza malattie, «tale concezione ci induce ad abbracciare l’assunto erroneo secondo cui qualsiasi problema è sintomo o conseguenza dell’esistenza di un contesto familiare disfunzionante»454

. Questa idea ha fatto in modo che le famiglie con soggetti disabili fossero identificate come famiglie patologiche, unicamente bisognose di ricevere aiuti e cure, senza energie sufficienti per attivare, entro il proprio nucleo familiare, eventuali risorse o potenzialità455.

Dai racconti autobiografici e dalle interviste uno dei dati emersi riguarda la presenza di forza, determinazione e talvolta anche di felicità autentica nelle famiglie con figli disabili. Non che sofferenza, dolore e rabbia fossero assenti, ma accanto a questi sentimenti ed emozioni più convenzionali per chi vive quotidianamente certe difficoltà, almeno nello stereotipo di famiglia con disabilità che in parte è ancora fortemente presente come mito collettivo, vi era anche la gioia e la volontà di andare avanti nonostante tutto.

Già dai brani portati ad esempio nelle pagine precedenti emerge la possibilità di un buon adattamento alla nuova, imprevista e stravolgente situazione data dalla disabilità che irrompe nel vissuto familiare. Gli studi più recenti sull’argomento, come quelli sistemici in primis, pongono in evidenza il cambiamento di paradigma: non più basato sul deficit ma sulle risorse456. Gli studi si sono di conseguenza orientati sull’analisi dei meccanismi che permettono un buon adattamento alle famiglie con figli disabili, anche perché la funzionalità ottimale di tale nuova organizzazione dipende più dalle caratteristiche familiari che dal tipo di patologia di cui il bambino è portatore457.

454 Walsh F., La resilienza familiare, tr. it. Cortina, Milano, 2008, p. 20. 455

Cfr Zanobini M., Manetti M., Usai M.C. (a cura di), La famiglia di…, op. cit.; Ianes D., Il

sostegno alla…, op. cit.

456 Cfr. Walsh F, La resilienza familiare, op. cit.; Scabini E., L’organizzazione famiglia…, op. cit. 457 Soresi S., Psicologia delle disabilità, op. cit.

La capacità familiare di attuare strategie di coping, ovvero di individuare risorse individuali e familiari per far fronte alle problematiche insorte, o di

resilienza, ovvero di resistere alla nuova e sofferente situazione, dipende molto

dalle caratteristiche peculiari di quella data famiglia e come essa orienta tali qualità specifiche di fronte, in questo caso, alla nascita di un figlio con disabilità.

Coping e resilienza non possono essere individuati a priori di un evento

traumatico poiché si attuano dopo che l’avvenimento è accaduto, tuttavia è possibile analizzare alcune caratteristiche che emergono nelle famiglie che ho preso in esame.

Con il termine coping si intende la messa in atto di strategie per far fronte ad un problema. Nella letteratura assume una accezione prevalentemente positiva, ovvero si riferisce a quelle strategie che risultano promotrici di un cambiamento verso prospettive di benessere e che si dimostrano funzionali per il nucleo familiare non solo a breve termine ma soprattutto nel lungo periodo. In realtà le strategie che una famiglia può scegliere per fronteggiare l’evento stressante sorto, possono essere fortemente deleterie per il tessuto familiare stesso, le cui conseguenze possono essere visibili nell’evoluzione di tali progetti, come ad esempio una madre che per fronteggiare la gestione del tempo del figlio disabile, rinuncia a tutto (lavoro, amici, spazi di relax) per dedicarsi interamente al figlio. Strategia che se in un primo momento permette di mantenere un equilibrio familiare, con il passare del tempo la porta ad essere una madre sempre più stressata perché non ha spazi personali458.

L’attivazione di strategie familiari positive riguardano aspetti cognitivi, relazionali ed emotivi. Infatti, i genitori che riescono maggiormente a sviluppare risorse e aspetti positivi sono quelli che sul piano cognitivo riescono a dare una riformulazione di quanto si è verificato, rileggendo l’evento in termini positivi grazie anche alle maggiori informazioni sulla disabilità del figlio e a una conoscenza delle risorse che il territorio mette a disposizione. L’aspetto cognitivo ingloba anche le strategie di problem solving e di decision making, importanti per

creare flessibilità nel processo di pensiero al fine di trovare nuove soluzioni e prendere decisioni importanti459.

La rilettura del problema aiuta a mettere in atto strategie di carattere emotivo, dove, pur rimanendo la sofferenza per quanto è accaduto e per quanto verrà riproposto ogni giorno, si aprono scenari di maggior consapevolezza e accettazione per il figlio realmente nato, spesso grazie anche al fatto che i genitori di figli disabili sentono che l’evento li ha cresciuti e resi persone più mature e più forti perché capaci di affrontare maggiormente le situazioni stressanti460.

Accanto a queste due strategie si collocano quelle relazionali che consistono nella capacità dei membri della famiglia di rimanere coesi, collaborativi e a trovare ognuno uno spazio relazionale all’interno delle relazioni familiari, continuando a coltivare i propri interessi e i propri hobby461. Come ricorda Soresi le «famiglie che ricorrono con elevata frequenza a queste strategie (high coping) si differenziano da quelle che vi ricorrono solo sporadicamente (low coping) per come affrontano le difficoltà sin dall’inizio, per gli atteggiamenti che intendono assumere nel corso del tempo, per i valori ai quali sembrano aderire, per le attività che svolgono, per la partecipazione alla cura del figlio e per come vivono il supporto sociale che ricevono […]: questi genitori sembrano più abili nel trovare un maggior numero di soluzioni e lo fanno insieme, fornendosi comprensione e supporto reciproco»462. Il coping, in accezione positiva, si lega al concetto di resilienza, dove ritroviamo, negli studi di Walsh, caratteristiche simili a quelle descritte da Soresi relative al coping, ovvero per un costruttivo e significativo funzionamento familiare sono importanti le modalità comunicative, lo stile organizzativo e la capacità di attribuire un significato all’evento463.

Il termine resilienza nasce in fisica per descrivere quei corpi che riuscivano a resistere ad un urto. Nelle scienze umane la parola resilienza si connota di un ulteriore aspetto positivo in quanto non si tratta solamente di riuscire a resistere ad una pressione o ad un urto ambientale, ma riguarda anche la possibilità di uscire

459 Soresi S., Psicologia delle disabilità, op. cit. 460

Ianes D., Lo stress, in Tortello M., Pavone M. (a cura di), Pedagogia dei genitori, op. cit.

461 Soresi S., Psicologia delle disabilità, op. cit. 462 Ivi, p. 231.

da una situazione paralizzante464. Nelle scienze umane la resilienza di una persona o di un nucleo familiare può essere vista solo dopo l’accadere di un avvenimento drammatico. È dalla vulnerabilità465 in cui si trova a vivere un soggetto o un nucleo di soggetti che si può evidenziare la volontà a superare la situazione difficile: la resilienza non è un prodotto dato una volta per tutte, ma è un percorso dinamico all’interno del quale i protagonisti vedono l’opportunità di crescere e raccogliere momenti felici e significativi per la propria vita talvolta impensabili al momento del verificarsi dell’evento drammatico, che nel caso della ricerca in oggetto corrisponde alla nascita del figlio disabile.

Le caratteristiche che permettono lo sviluppo di strategie adattive positive e di resilienza che emergono dai racconti dei genitori sono molte, le più significative e ricorrenti riguardano l’attribuzione di un significato all’evento, il mito (in accezione positiva), la presenza e la continuazione di rituali familiari che permangono anche dopo la nascita del figlio, la collaborazione con la rete formale e informale di supporto che si lega ad una percezione di controllo delle risorse e della problematica legata alla disabilità.

6.1.1 Alla ricerca di un significato

L’attribuzione del significato si lega alle credenze culturali e sociali a cui la famiglia fa riferimento. Le credenze familiari sono la prospettiva attraverso la quale la famiglia guarda gli eventi vissuti. «I sistemi di credenze rappresentano un nucleo funzionale essenziale in tutte le famiglie e sono forze potenti in termini di resilienza. Affrontiamo momenti critici e avversità attribuendo un significato alla nostra esperienza: connettendola al nostro contesto sociale, ai nostri valori culturali e spirituali, alla nostra storia multigenerazionale e alle speranze e alle aspirazioni per il futuro. Il modo in cui le famiglie valutano i problemi e le opportunità determina la differenza tra la capacità di affrontare e padroneggiare le

464 Malaguti E., Educarsi alla resilienza, op. cit.

465 L’etimologia di tale termine «deriva dal latino vulnus, che significa ferita e che può condurre ad

altre parole quali lesione, strappo, bruciatura, o ancora a una ferita rimarginata che comporta sempre una cicatrice. […] L’animo umano quando è ferito, funziona un po’ come la pelle. I colpi inferti nella vita rischiano di far perdere i punti di riferimento e le basi solide che con il tempo si erano consolidate». (Malaguti E., Educarsi alla resilienza, op. cit., p. 57).

difficoltà e il precipitare nella disorganizzazione funzionale e nello sconforto»466. Un aspetto fondamentale riguarda la capacità di attribuzione di un significato all’evento accaduto. L’attribuzione del significato può essere legata ad un vissuto religioso e a una visione laica della vita, può essere manifestato in maniera esplicita o emergere tra le righe o le parole del genitore narrante.

All’interno della raccolta dei resoconti genitoriali di Come pinguini nel

deserto si trova anche la storia di Paola e Sandro che sono i genitori di Dario un

bambino con Sindrome di Down. Le motivazioni che li spingono a scrivere non riguardano solo la condivisione della loro storia, ma anche l’intento di sottolineare un aspetto estremamente importante per loro: Dario rappresenta un dono.

Abbiamo deciso di raccontare la nostra ancora breve esperienza di genitori (nostro figlio ha poco più di un anno) perché ci sembrava bello e giusto, e perché siamo convinti di avere ricevuto un ulteriore privilegio, un dono che non possiamo non provare a comunicare e a condividere con tutti: nostro figlio è handicappato, affetto dal più comune degli handicap, la Sindrome di Down, più nota sicuramente come «mongolismo». Sappiamo che a molti questo potrà sembrare paradossale, e proprio per questo motivo ci siamo decisi a scrivere queste righe; vorremmo con esse raccontare (non convincere, né dimostrare ma semplicemente raccontare) come sia stato possibile, anzi quasi inevitabile per noi prendere coscienza di essere genitori privilegiati, oltre che felici.

Non fu facile far capire così, a parole, che la felicità era la stessa, che il dolore e la preoccupazione che pur c’erano in noi pensando al futuro del nostro bambino erano qualcosa in più, di diverso, che nulla toglievano alla grande gioia che ci pervadeva. In molti ci capirono e condivisero la nostra gioia, oltre che in seguito il nostro cammino, alcuni non compresero. L’esistenza di tanti sentimenti contrastanti, ognuno dei quali aveva un’intensità incredibile si rivelò comunque alla fine una ricchezza: una volta accettata (e grazie a Dio ci fu donata questa capacità immediata) la necessità di far convivere la gioia con lo stupore, il dolore, la preoccupazione, la ribellione, lo smarrimento, non potemmo far altro che «gustare» nella riflessione e nella convivenza […] questo periodo sicuramente unico e privilegiato[…].

Al periodo di «contemplazione» seguì poi quello dell’«azione». Cominciammo ad informarci su tutti gli aspetti in qualche modo collegati all’assetto cromosomico di Dario, sia da un punto di vista medico-scientifico […] e sociologico che, soprattutto, da un punto

di vista educativo. Certi come eravamo che il nostro ruolo di genitori era insostituibile e sicuramente determinante fin dalle prime settimane per lo sviluppo armonico di tutte le potenzialità del nostro bambino, volevamo essere protagonisti della sua educazione.467

I genitori di Dario seguono il racconto indicando come, grazie all’attivazione delle risorse di rete familiari e amicali, riescono nell’organizzazione del nuovo assetto familiare (vedremo in seguito l’importanza delle risorse di rete che la famiglia può mettere in atto), impegnato a chiedersi quali strategie siano le migliori per aiutare Dario a raggiungere il suo potenziale e soprattutto ad essere felice. Il significato dell’evento è associato da Paola e Sandro all’aspetto religioso e pertanto viene inquadrato nell’ottica del dono. Ciò indica che i due coniugi possono solo attendersi di essere felici o di saper leggere tra le righe di questa nuova esistenza qualcosa di altamente significativo ed autentico. Il percorso anche per questi genitori non appare sempre roseo o privo di momenti cruciali all’interno dei quali devono essere prese decisioni significative per la crescita di Dario stesso, ma tutto ciò rientra in una cornice di senso che i due coniugi percepiscono e vivono come più ampia di quella che rimane legata all’apparenza: Sandro e Paola vedono Dario come un dono, ovvero come qualcosa di bello che è capitato nelle loro vite.

Ogni genitore attribuisce un significato e un senso alla nascita del figlio con modalità e credenze proprie che mal si trasferiscono alle esperienze di un altro genitore, soprattutto se i significati altri vengono imposti dall’esterno e quelli che fanno più male sono proprio quelli a carattere religioso. Quando Milena, la madre di Francesca, parla tramite mail con Luigi Vittorio (amico di penna elettronica ed educatore di una casa famiglia) cita un aspetto interessante descrivendo le persone ipocrite che incontra:

A volte, mi capita di parlare con persone ipocrite al massimo, che mi dicono frasi del genere: «Siete due genitori bravissimi, Francesca è stata proprio una bambina fortunata, se fosse capitato a me non so come avrei fatto!» (della serie «per fortuna è capitato a te»); oppure: «Ma come siete bravi, la vestite come una principessa e poi le parlate molto!» (perché un handicappato non merita niente? Non ha diritto a essere ben vestito o ad avere

quello che hanno gli altri «venuti bene»?); oppure «Dio vi ha fatto una grazia!» (sì, proprio così. Mi è stato detto anche questo, da un conoscente molto religioso che ha persino un altare in casa, fa il digiuno due volte la settimana e a Medjugorje ha pure visto la Madonna! Lui però ha un figlio «venuto bene», quindi io gli ho domandato a mia volta se per caso mi stesse invidiando, ma non mi ha risposto).468

L’attribuzione del significato che viene dato ad un evento come la nascita di un figlio disabile non può essere «detto» dall’esterno, ma corrisponde ad una ricerca personale, individuale o familiare che si lega alle proprie credenze e modi di vedere la vita. Il senso che può acquistare l’evento può avere il sapore di comprendere l’importanza che tale avvenimento ha regalato alla propria esistenza. Così parla Milena di Francesca dopo qualche anno:

Ora Francesca ha sette anni, io ho raggiunto da tempo il mio equilibrio: le voglio molto bene e davvero non riesco ad immaginare la mia vita senza di lei, è molto importante per tutta la mia famiglia. L’aver accettato Francesca con tutta la sua diversità è stato come rinascere a nuova vita, dopo tanto dolore. Se mi volto indietro, quasi sorrido per tutte le paure che avevo, vedo il mio passato con occhi diversi, più distaccati e quell’antico dolore è quasi sopito.

Certo è che se Francesca e tutti i bambini diversi devono guadagnarsi da subito il nostro amore, la nostra piena accettazione, per loro nulla è scontato, devono faticare sempre per dimostrare agli altri, al mondo esterno che anche loro sanno fare, possono dare. Purtroppo deve partire da noi e dai nostri figli la chiave di apertura a questo mondo, sta in noi far capire che la vita non finisce per colpa di un cromosoma in più, far comprendere che la nostra è si una vita più difficile, ma non per questo meno intensa o meno vera.

Non ci crederete, ma si può essere felici anche con un figlio Down, davvero!469

Riuscire a dare un senso alla nascita di Francesca rende possibile l’apertura di orizzonti di felicità470.

Il significato che viene attribuito all’evento della nascita di un figlio con disabilità è estremamente personale e familiare, spesso commenti o

468 Portolani M., Berliri L.V., È Francesca e …, op. cit., pp. 15-16. 469 AA. VV., Come pinguini nel…, op. cit., pp. 20-21.

interpretazione sulla vita da parte degli altri risultano caratterizzati da ipocrisia, ma anche da ignoranza e bisogno di etichettare l’evento più per bisogno personale che per costituire un reale aiuto alla famiglia che presenta il problema. Esempio significativo emerge dal diario di Salomone scritto per entrare in un dialogo profondo con la figlia affetta da sindrome inficiante che non potrà mai leggere tali parole. Salomone dà voce alle parole non dette davanti ad alcuni commenti e riflessioni di conoscenti ed amici (o meglio ex amici) che hanno cercato di dare un senso all’evento della nascita di Luna. Trovano così spazio nelle pagine del diario le argomentazioni che Salomone avrebbe voluto dire agli inopportuni, e poco attenti interlocutori, espresse a qualche anno di distanza dagli infelici incontri, ma che diventano per noi lettori ulteriori strumenti di riflessione.

Tempo fa, era venuta a trovarci la prima babysitter di Luna […] era tornata da un paio d’anni e, nell’attimo in cui ha varcato la soglia di casa, ci siamo trovati immersi in una metamorfosi globale imbarazzante: aveva lasciato nostra figlia poco più che lattante e normale, torna e ritrova una bimba di tre anni disabile; avevamo visto partire una ragazza appena diplomata, vediamo tornare una religiosa perfettamente integrata nel suo saio francescano. Dolce come allora. Attenta come allora, guarda Luna gattonare per casa, la osserva arrampicarsi sulle nostre braccia appesantite e tremanti per una scoperta non ancora digerita e dice: «è un dono». La guardo con aria interrogativa. Lei mi guarda con un sorriso spirituale, guarda mia figlia e ripete: «è un dono».

Alla processione durata anni attraverso i labirinti della nostra costernazione, ha partecipato anche un’altra ex-amica. […] Viene sin su dalla Liguria dove si è trasferita con marito e figli in una casa nel bosco, per dirmi che Luna è venuta per me. In che senso scusa? Nel senso che ogni cosa nella vita ha un senso, le anime scelgono dove andare e se l’anima di mia figlia ha scelto questa famiglia è perché io ne avevo bisogno.

Inviterei di cuore qualunque divinità, spirito o entelechia ne avesse lontanamente intenzione, di evitare per il futuro di farmi qualsivoglia genere di regali. Va bene lo stesso grazie.

Insomma, sono un tipo fortunato. E c’è di più, lo è anche Luna. «Vedi lei non ha bisogno di andare all’Università. Lei è oltre, è già arrivata dove noi impiegheremo anni a giungere, magari senza riuscirci». Che culo.[…]

Dunque dolce e spirituale ex-babysitter, a parte l’indelicatezza nei nostri confronti che dopotutto può pur sempre essere spacciata per un timido e impacciato tentativo di

sostenere le nostre fatiche, vorrei ti rendessi conto che simili uscite non rendono un buon servizio al tuo Dio. In pratica hai sostenuto che l’Onnipotente per farmi un regalo ha mandato sulla terra una bambina come Luna. Neanche Satana sarebbe capace di una cosa del genere. […]

E tu ex ex amica? Tu che hai sentenziato con l’occhio leggermente vacuo di chi sta per pronunciare un vaticinio, che mia figlia non avrebbe bisogno di andare all’Università? Mi piacerebbe sentirti dire a un tetraplegico, con lo stesso cipiglio e la medesima condiscendenza, che non ha «bisogno» di camminare. A un cieco che non ha «bisogno» di vedere. A un focomelico che non ha «bisogno» di suonare il pianoforte.

Trasformare una mancanza in assenza di bisogno è degno della migliore tradizione zen, però la prossima volta parla per te. E soprattutto porta fino al limite le tue sagge considerazioni perché sai per questa via chi è messo meglio? Un morto, che dopotutto non ha «bisogno» di vivere.471

Dare senso all’evento accaduto è un percorso personale e un processo dinamico che costituisce e si affianca ad una riformulazione dell’evento. Questa rilettura permette di leggere tra le righe un senso altro, sul quale, in un primo momento, era stato difficile porre attenzione. È interessante che tra le molte e affascinanti riflessioni che si legano all’aspetto del quotidiano e che l’autore offre