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La storia di Fulvio Frisone e di sua madre Lucia

PAURE PER IL FUTURO: ADOLESCENZA E ETÀ ADULTA DEI FIGLI DISABIL

5.5 La storia di Fulvio Frisone e di sua madre Lucia

Qualche anno fa il giornalista sportivo recentemente scomparso, Cannavò, affrontò un particolare viaggio in Italia incontrando alcuni diversamente abili. Fra questi, in una assolata Sicilia, il giornalista incontra la famiglia Frisone, in particolare l’esplosiva e battagliera mamma Lucia e il genio di suo figlio Fulvio.

Fulvio nasce nel gennaio del 1966 ed in seguito alle complicazioni del parto viene diagnosticata una tetraparesi spastica con distonie.

Sapete cos’è un uomo afflitto da questa catena patologica? Non ha gambe, non ha parola al di là di faticosissimi suoni da decifrare, ha rimasugli di braccia, inutili e incontrollabili, ma Fulvio ha un busto e una testa da bronzo di Riace, due occhi avvincenti che sorridono, implorano, ironizzano, ti lanciano addosso irresistibili sentimenti primordiali. E un’intelligenza sovraumana, volta agli enigmi affascinanti della scienza prossima ventura e in particolare della fisica448.

Fulvio è tutto questo. La disabilità fisica non ha invaso la parte mentale e cognitiva, e, grazie alla determinazione di mamma Lucia, Fulvio ha avuto la possibilità di far emergere la sua intelligenza. Lucia, dopo il pellegrinaggio tra i medici per cercare una cura per guarire il figlio, intraprende una dialettica interessante e aggressiva con Dio per averle dato in sorte una grandissima

446 Se un ragazzo disabile chiede ad un’educatrice di sposarlo, lei non può rispondere con una frase

ambigua e incerta come «Vedremo!», perché in questo modo alimenta speranze destinate a non realizzarsi, ferendo ancora di più lo spasimante. (Contardi A., Verso l’autonomia, op. cit.).

447 Mannucci A., Crescere insieme, op. cit., p. 43.

disgrazia e supplica l’Onnipotente di aprire comunque una strada perché quel figlio possa prendere parte della normalità. La strada non si rivela troppo facile da percorrere soprattutto all’inizio della scuola media, dove sembrava che tutte le scuole della zona, sia quelle pubbliche che quelle gestite da religiose, non volessero accogliere quel figlio tanto particolare. La disperazione è tanta e Lucia pensa al suicidio, qualcosa però la ferma: è la parola «Idia», ovvero la prima parola che Fulvio ha pronunciato per dire mamma Lucia, dopo un’estrema guerra tra madre e figlio durata un giorno e dove l’intento della madre era proprio quello di fare uscire Fulvio dal mutismo. Lucia ci riesce smettendo di cedere alle richieste non verbali del figlio ma ubbidendo solo alle richieste verbali, per obbligarlo a chiedere aiuto con la voce. Con quella parola Lucia decide che non può uccidersi: suo figlio ha bisogno di lei. Alla fine una delle porte di una scuola viene aperta e Fulvio può continuare il suo percorso scolastico.

E inventano per lui una bravissima insegnante di sostegno, Rita Figliolei, figlia di Piero, famoso avvocato siracusano. E gli anni delle medie volano felicemente, Fulvio può iscriversi al Liceo scientifico Corbino e Rita lo segue sino a quando i nuovi professori le dicono con orgoglio: signora, vorremmo occuparcene noi. E lui è al centro dell’interesse, comincia anche a dipingere, fa le prime mostre, vende tanti quadri nell’ambito scolastico e diventa l’idolo dell’istituto. […]Dopo il primo anno di liceo, Fulvio è chiamato a scegliere l’indirizzo dei suoi studi. Il primo istinto porta verso la medicina. Ma te lo immagini un medico che non ha le mani? Ha fortissime attitudini matematiche e va per quella strada. Ma io non ho tempo per rilassarmi, le battaglie non finiscono mai, ho un figlio troppo impegnativo. La matematica che gli insegnano a scuola non lo soddisfa, lui dice di perdere tempo con cose che, chissà come, già intuisce o addirittura conosce449.

Fulvio ha bisogno di trovare una strada che gli permetta di realizzarsi e di far emergere la propria genialità, il difficile è far accettare la sua diversità. Così quando Lucia segue i suggerimenti dei suoi professori per portarlo da un docente di valore che avrebbe permesso a Fulvio di sviluppare le sue doti scientifiche, si trova davanti ad un grande professore di valore che si atterrisce davanti alla disabilità. È ancora una volta Lucia che interviene:

Quella volta non mi arresi. Mi rivolsi al professore guardandolo fisso negli occhi e gli dissi: «Io le lascio Fulvio, lei lo provi, se non va bene me lo ridarà indietro». Sai com’è finita? Dopo qualche settimana, incontro il professore e lui mi dice: «Suo figlio ha una mente scientifica». Ah, quante ne ho viste, caro amico mio. Fulvio prende la maturità scientifica e già lavora autonomamente ai suoi progetti. Si iscrive all’Università di Catania, in Fisica. La famiglia si divide: lui e il papà a Catania, una parte della famiglia450 a Siracusa, io pendolare. Dopo la laurea, tutti a Catania: per lui scopo massimo della nostra vita. Questa casa di Acicatena è il nostro approdo finale. Fulvio è felice, hai visto il suo studio, hai visto quanti riconoscimenti, hai visto che panorama?451

Nello studio i riconoscimenti sono tanti: le foto con le autorità dimostrano l’intensa vita scientifica di Fulvio, i numerosi inviti e viaggi presso i più importanti istituti di ricerca dimostrano il riconoscimento internazionale per la genialità dei suoi studi sulla fusione nucleare fredda. Frisone è uno scienziato e svolge il suo lavoro come ricercatore confermato presso la Facoltà di Fisica dell’Università degli studi di Catania.

La realizzazione professionale e la costruzione dell’identità di Frisone è stata possibile anche grazie alla presenza di sua madre che non si è arresa davanti alla disabilità del figlio, riuscendo a cambiare prospettiva dalla volontà di curarlo alla presa in cura di Fulvio cercando di abbattere barriere architettoniche e sociali per far vivere al figlio i diritti che spettano a tutti. E ci è riuscita. Oggi Fulvio si è professionalmente realizzato e Lucia vede il figlio come una benedizione, perché ha dato senso alla propria vita, le ha permesso di ampliare le proprie conoscenze, sia perché ha iniziato a studiare (ha preso tre diplomi, mentre all’inizio della storia ci narra che quando è nato Fulvio aveva solo il titolo della quinta elementare) sia perché ha viaggiato molto accompagnando il figlio (dall’America al Giappone, dal Canada alla Cina, dalla Francia alla Russia). Cosa rimane ancora da dire? È Lucia stessa a svelarlo al giornalista senza remore e senza timori:

450 Fulvio ha due sorelle maggiori. 451 Ivi, p. 104.

«Non penserai di evitarti una parte importantissima della nostra storia?». Quale sarebbe, Lucia? «Quella del sesso: Fulvio fa all’amore tre volte alla settimana, regolarmente. […]

Tutto cominciò quando mio figlio aveva sedici anni. Stava facendo la pipì con il pappagallo a letto. Nella stanza c’era il televisore acceso. Un uomo e una donna si baciavano. Mi accorsi che Fulvio ansimava. Lo guardai in faccia e capii che cosa gli stava frullando addosso. Era diventato un uomo e reclamava i suoi diritti. Un altro grosso problema per me. I casi erano due: o chiudere gli occhi e sbarrare la strada alle esigenze naturali di quel ragazzo, dandogli una nuova sofferenza, oppure provvedere. Ma come? Scelsi naturalmente la seconda strada. Ve la immaginate una mamma come me alla ricerca di qualche donna disposta ad andare con suo figlio tetraparaplegico? […]

Oggi Fulvio dispone di un giro di venti ragazze, italiane o straniere. Fissano i turni tra loro con il telefonino. Tre per ogni settimana. Arrivano qui in casa, puntuali e sorridenti. Io le bacio. Loro mi chiamano mamma. Le vedo andar via contente. Per me ormai è come se fossero figlie. Quasi tutto lo stipendio di Fulvio finisce in questo crogiuolo. Ma sono soldi bene spesi, non c’era altra via, non potevo farlo morire»452

.

Lucia riconosce il momento di maturità sessuale di Fulvio e cerca un rimedio: decide di non chiudere gli occhi davanti all’evidenza. Come una manager riesce a dirigere al meglio gli incontri con le prostitute. È vero, possiamo obiettare, è una sessualità che rimane legata al discorso della sessualità e non coinvolge la vita affettiva e relazionale su un piano progettuale di vita a due. Eppure bisogna anche pensare che questa via non chiude la strada all’altra, ovvero ad una progettazione relazionale che vada oltre l’aspetto legato al solo soddisfacimento sessuale. È così difficile pensare a Fulvio come legato sentimentalmente ad una persona, anche se in tutta la sua storia non ha fatto altro che sorprenderci? Concludo con le ultime parole che Cannavò dedica a Frisone, sottolineando il fatto che davanti alla disabilità non finiremo mai di stupirci:

Restiamo soli, Fulvio e io. Mentre lui lavora, fingo di leggere un giornale, ma in realtà mi accolgo di lavorare con lui e soprattutto di soffrire con lui. Sono immerso in ogni suo gesto. Il casco di metallo con quell’asticella davanti è sicuramente un mediatore prodigioso tra Fulvio e il suo strumento elettronico di studio e di ricerca, ma io

umanamente lo vedo come un crudele aggeggio di tortura. Fulvio si abbassa sulla tastiera, si contorce per raggiungere i tasti con l’asticella e li comanda ansimando in uno sforzo commovente. Sembra stremato, ma non si ferma. E l’idea che, torcendo il collo a destra e sinistra, gemendo di sofferenza, possa pilotare il computer verso nuove formule di scienza è un fatto al di sopra della realtà e della capacità intellettiva di noi poveri «normali». Come tutta la sua vita, dal momento in cui si affacciò al mondo con un piedino e i medici dissero al prete di battezzarlo perché stava morendo453.

CAPITOLO 6

LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA DISABILITÀ TRA COPING,