5. STRUTTURA SOCIALE E CULTURALE NE VILLANOVIANO VERUCCHIESE
5.3 IL RITO FUNERARIO
Le fasi della cerimonia funebre sono state ricostruite in base all'analisi dei dati disponibili, i quali mostrano alcuni punti in comune con i rituali descritti nei poemi omerici, anche se molti sono gli elementi riconducibili ad una tradizione locale. Dopo la morte il cadavere, vestito, restava probabilmente esposto per un breve periodo e successivamente il corpo, adagiato su un carro (che tra l'altro fungeva da letto funebre), veniva trasportato in corteo nel luogo dove avveniva il rogo. Al corteo partecipavano probabilmente i membri della famiglia e forse altri personaggi sui quali la morte di un dato individuo aveva delle ripercussioni sociali.
La cremazione del cadavere si svolgeva in un luogo diverso da quello della sepoltura; a questo proposito nelle necropoli non sono state individuate tracce degli "ustrini" (cioè gli spazi deputati alla cremazione dei defunti), anche se forse dovevano essere collocati in altre aree ubicate sempre all'interno delle necropoli stesse. In queste zone "esterne" al sepolcreto, forse quelle aree marginali fin qui interpretate come aree insediative, dovevano svolgersi riti assai impegnativi. Il defunto veniva collocato sulla pira, che a seconda dell'importanza della cerimonia poteva assumere dimensioni notevoli, comportando un elevato impiego di risorse (soprattutto per il reperimento del combustibile, e cioè del legno). Individui di particolare rilievo venivano bruciati con una notevole quantità di oggetti, quali armi, carri smontati, bardature equine, vasi di bronzo e ceramica, resti di cibo, tessuti, ornamenti personali ed altri strumenti, distribuiti sulla pira stessa e ai margini di essa. La cremazione era prolungata (almeno 24 ore e forse più) per consentire la completa combustione, anche perché il fuoco doveva portare a termine la sua azione purificatrice e disgregante.
Durante la cerimonia erano previsti con ogni probabilità balli, canti, giochi funebri e banchetti, mentre ai margini dovevano aver trovato posto anche alcuni animali offerti in sacrificio. In particolare il banchetto doveva svolgersi utilizzando il vasellame che poi veniva defunzionalizzato, ma non combusto, per rimarcare la sua funzione connessa al sacro. Ma a proposito del "pasto funebre" e del simposio, che sicuramente facevano parte del rituale funebre, bisogna mettere a fuoco alcuni importanti aspetti. Nella tomba 89 risultano presenti resti di vasellame utilizzato dai vivi proprio durante la cerimonia funebre in un momento certamente precedente la chiusura del pozzo, poiché i
111 frammenti dei vasi sono stati collocati "dentro" la tomba, anche se fuori della cassa. Una parte dei vasi venivano esposti al fuoco della pira ed è impossibile stabilire se vi siano stati gettati in quanto parte del rituale dei vivi, o se, al pari di altri oggetti di pertinenza del defunto, avessero contribuito a rappresentare, al momento della cremazione, la sua identità, completa di tutti gli attributi. Il fatto che, sia qualitativamente che quantitativamente, i vasi combusti rappresentino quasi una duplicazione del "set" deposto integro, rende questa seconda ipotesi più probabile. Ad ogni modo i servizi comprendono vasi per mangiare e per bere (tazze, scodelle, coppe-piattelli) e non vasi per versare, miscelare e attingere.
È assai probabile che il pasto funebre sia avvenuto alla presenza "simbolica" del defunto al quale spettavano le porzioni di cibo poste sul rogo. Ma non è possibile stabilire se l'aspetto "sacrificale" del pasto comportasse un vero e proprio consumo di carne da parte dei vivi in quanto non esiste, finora, documentazione: non sono infatti presenti resti ossei incombusti, né utensili (a Verucchio gli alari sono rarissimi, come del resto anche gli spiedi) o vasellame per la cottura e l'arrostimento della carne. E quindi possibile che nella tomba 89 i resti di ossa di animali non si riferiscano a resti di pasto, ma a porzioni crude o cotte offerte al defunto: infatti il consumo di carne e di pesce è attestato dai resti ossei, tutti rinvenuti combusti e recuperati frammisti alle ossa umane, quindi posti sul rogo assieme al defunto. I resti "parziali" potrebbero ritenersi destinati al suo personale consumo, mentre il branzino e soprattutto l'anatra interi hanno probabilmente un altro significato: per quanto riguarda il primo vanno ricordate infatti le valenze funerarie del pesce, per la seconda può non essere irrilevante il fatto che si tratti di un animale di passo, viste le raffigurazioni di volatili di questo tipo sul trono rinvenuto nella stessa tomba. Va segnalata quindi la relativa frequenza di offerte di cibo finalizzate con ogni probabilità ad un uso futuro, costituite in maniera particolare da frutta (noci, noccioline, uva), e non mancano sontuose offerte di pesce e di carne (come una lepre o la testa intera di un capretto) o più modesti prodotti vegetali (come la zucca).
In seguito la pira veniva spenta intenzionalmente utilizzando dei liquidi forse adoperati in occasione delle libagioni, come ad esempio il vino che nella tradizione omerica si presta proprio per tale uso, con conseguente processo di calcificazione osservato su alcuni frammenti di tessuto. Allo stato delle conoscenze attuali, va tuttavia ribadito che si trattava evidentemente di un rituale "costoso" e forse anche per questo riservato ad un segmento privilegiato del gruppo sociale.
Per le libagioni dovevano essere usati vasi di forma "aperta" (coppe-piattelli), ed infatti si nota una mancanza delle brocche usate altrove, in altri contesti funerari. Il numero di vasi defunzionalizzati nella tomba 89 non appare elevato, e ciò sta a significare che al rito funebre partecipava probabilmente un numero ristretto di persone. Questo fatto appare assai significativo se si considera che nella tomba 85, facente parte dello stesso gruppo, ma cronologicamente posteriore, il vasellame, combusto,
112 frantumato e gettato sopra l'assito di chiusura del pozzo, è davvero consistente, a testimonianza della partecipazione di un numero molto più alto di persone.
Quindi, dopo il raffreddamento della pira, tutte le ossa umane rimaste venivano raccolte, lavate e infine deposte neIl'ossuario assieme agli altri oggetti di appartenenza personale. Altri resti del rogo funebre quali terra di rogo, cenere, vasellame utilizzato e spesso frantumato, oggetti di corredo personale, erano poi depositati all'interno della sepoltura, ma al di fuori dell'ossuario. L’ossuario consisteva in un cinerario di impasto caratterizzato da un coperchio a forma di scodella, anche se non mancano casi di coperture ad elmo, come accade in Etruria meridionale nello stesso. Sebbene non siano state riconosciute tracce di tessuto all'interno della situla-ossuario della tomba 89 Lippi, i confronti interni ed esterni non escludono che le ceneri e le ossa possano essere state avvolte in un tessuto prima di essere collocate nella situla, richiamando in questo modo il rituale descritto da Omero nei funerale di Ettore, un rituale peraltro ben noto anche in Italia, ad esempio in Etruria e in Campania, ma che a Verucchio non risulta ancora documentato con certezza. Non è per il momento possibile avanzare ipotesi sullo svolgimento di riti in momenti successivi alla deposizione.
A questo punto il corteo si spostava nella necropoli e nell'area riservata alla famiglia o gruppo gentilizio, dove la fossa veniva scavata secondo un preciso progetto che teneva conto anche della non semplice collocazione sul fondo della cassa lignea: dopo aver realizzato il "pozzo", si poteva creare un allargamento laterale (o nicchia) lungo la parete, dove era collocata la terra di rogo e una parte del corredo, per lo più il vasellame utilizzato per il banchetto funebre. La tomba presentava generalmente una struttura a forma di pozzetto destinato ad accogliere una o più sepolture: la sua struttura nel corso del tempo ha subito delle evoluzioni, fino ad assumere talvolta la forma di vere e proprie camere sotterranee. Nel fondo del pozzetto si deponevano l'ossuario (che poteva anche essere "vestito"), direttamente oppure all'interno di un dolio o in un cassone ligneo. Oltre ai resti del rogo funebre, dentro la sepoltura trovavano collocazione alimenti ed anche oggetti non provenienti dalla pira che, pertanto, usando un termine più propriamente archeologico, dovrebbero definirsi di secondo livello. Si trattava quindi di oggetti che appartenevano alla deposizione in quanto corredo accessorio o personale del defunto sia, forse, come dono funebre: armi ed oggetti simbolici del potere civile e religioso, oggetti legati alla tessitura, oggetti ornamentali, tutti nei materiali più disparati quali bronzo, ferro, oro, ceramica d'impasto, ambra, legno, avorio, pasta vitrea, osso, corno, cuoio. Nei vasi frammentati e gettati nella tomba prima della chiusura si deve riconoscere una valenza sacrificale, mentre altri materiali si trovano nelle sepolture forse come dono funebre.
La deposizione degli oggetti funerari non era casuale, ma avveniva con particolare cura, rispettando la distinzione ideologica: infatti un officiante sistemava il corredo nella tomba distinguendo principalmente tra gli oggetti che rappresentavano simbolicamente il defunto e quelli di prestigio che
113 alludevano al suo rango e gli avrebbero servito nell'aldilà. Di conseguenza le sepolture presentano una articolazione spaziale che è legata ai contenuti rituali appartenenti alla sfera sociale dell'individuo incinerato. Per la disposizione del corredo vanno distinti tre raggruppamenti: gli elementi che accompagnavano il defunto sul rogo e che servivano a illustrare le sue prerogative; quelli che gli venivano donati per il suo uso nella vita ultraterrena; quelli utilizzati dai vivi durante la cerimonia e successivamente sacrificati (cioè soggetti alla cosiddetta "rottura rituale").
Nella tomba 89 Lippi, il pozzo, sotto il profilo spaziale ed architettonico, era diviso in tre parti, le quali, come nelle tombe a camera etrusche rappresentano canonicamente il corridoio, l'atrio e lo spazio riservato al defunto stesso. In questo caso sopra la cassa chiusa era posto, come "segnacolo" monumentale identificativo dell'eminente personaggio sepolto, il trono che segnalava precipuamente, come consuetudine, un ruolo particolare nella sfera del sacro per la presenza della ricca e particolare decorazione. Solo in seguito il vano sepolcrale veniva definitivamente separato, attraverso un assito ligneo, dal corridoio verticale d'ingresso alla tomba, creando così una sorta di anticamera.
Fondamentale era infatti, a tutti gli effetti, il riconoscimento da parte della comunità del ruolo e della posizione sociale del personaggio di rango, del quale il rito funebre in tutti i suoi aspetti (la cerimonia, il corredo, l'organizzazione spaziale delle necropoli) ne è espressione.
Al di là di apparenti punti di contatto, il significato del rituale appare complessivamente assai distante da quello "omerico", e in particolare non sembra di poter cogliere tracce di culto eroico. L'esibizione e i messaggi della cerimonia dovevano quindi servire in prevalenza a definire ruoli ed equilibri all'interno del gruppo gentilizio.
In conclusione la tomba poteva essere ubicata ad una notevole profondità dal piano di campagna, proprio per garantire l'inviolabilità del luogo; un semplice cippo (o segnacolo) in pietra grossolanamente sgrossata, la segnalava ai passanti, mentre in altri casi tale funzione era probabilmente adempiuta da strutture deperibili come il legno di cui solo alcune tombe hanno conservato labili tracce.
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