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La ripetibilità e la riproducibilità

8.3 I principali rivelatori utilizzati nei dosimetri per radioprotezione

8.3.1 Rivelatori a gas

I rivelatori a gas sono fra i più antichi rivelatori utilizzati per la misura delle radiazioni ionizzanti e sono tuttora largamente utilizzati in dosimetria. Nella sua configurazione di base un rivelatore a gas è costituito da un contenitore riempito con un gas e al cui interno sono disposti due elettrodi (catodo e anodo) fra i quali è applicata una differenza di potenziale (cfr. figura 8.6). Nel volume del rivelatore compreso fra i due elettrodi (il volume attivo del rivelatore) agisce il campo elettrico dovuto alla differenza di potenziale esistente fra catodo e anodo. La radiazione che interagisce con il rivelatore ionizza il gas da cui il rivelatore è costituito con la conseguente formazione di ioni positivi ed elettroni. Le cariche positive e negative così prodotte si muovono nel gas, sotto l’azione del campo elettrico, in direzioni opposte per essere infine raccolte rispettivamente sul catodo e sull’anodo. Un opportuno circuito elettronico elabora il segnale di carica fornito dal rivelatore e fornisce un segnale proporzionale alla ionizzazione e quindi al numero delle particelle ionizzanti che l’hanno prodotta. Se le particelle cedono un’energia E all’interno del volume attivo, il numero di coppie elettrone- ione formate è pari a E/W, dove W è l’energia media necessaria per formare, nel gas considerato, una coppia di ioni (cfr. § 3.3.5). Il segnale, costituito da una corrente o da un numero di impulsi di tensione a seconda del circuito di misura associato al rivelatore, dipende quindi da

E/W e può dipendere più o meno sensibilmente, a seconda del tipo di

rivelatore, anche dall’intensità del campo elettrico nel rivelatore. L’ampiezza del segnale in un rivelatore a gas in funzione della differenza di potenziale fra i suoi elettrodi varia come mostrato nella figura 8.7 dove è riportata la curva caratteristica di un rivelatore a gas. In questa curva si distinguono i tre principali regimi operativi del rivelatore al variare dell’intensità del campo elettrico applicato: il regime di camera a ionizzazione, il regime di contatore proporzionale e il regime di contatore Geiger-Müller.

molto bassi del campo elettrico, solo una parte delle cariche prodotte per ionizzazione viene raccolta agli elettrodi, poiché prevalgono i processi di ricombinazione tra cariche di segno opposto. Al crescere del campo elettrico la migrazione delle cariche verso i rispettivi elettrodi tende a prevalere sulla ricombinazione con un sensibile aumento della carica raccolta. Al crescere ulteriore del campo elettrico la carica raccolta aumenta leggermente in modo asintotico verso un valore di saturazione. Nel tratto finale del regime di camera a ionizzazione in cui i fenomeni di ricombinazione si possano ritenere trascurabili, la carica prodotta nel rivelatore è pressoché uguale a quella generata nel processo di ionizzazione. Questa carica è proporzionale all’energia depositata dalla radiazione nel rivelatore ed è poco dipendente dal valore del potenziale ad esso applicato.

Con l’aumentare del campo elettrico inizia il regime cosiddetto di “contatore proporzionale” in cui gli ioni acquistano, durante la loro migrazione, energia sufficiente a ionizzare ulteriormente il gas. Si innesca così un processo di moltiplicazione in cascata, in cui la quantità di Figura 8.6 - Schema di base di un rivelatore a gas. La forma del contenitore entro cui è contenuto il gas è generica. Anche gli elettrodi fra cui è applicata una differenza di potenziale V₀, possono avere, a seconda del tipo di rivelatore, configurazioni diverse. Il circuito di misura, M, schematizzato in figura come circuito di misura di un segnale di corrente, può essere realizzato anche in modo da misurare il numero di impulsi di tensione

carica raccolta sugli elettrodi aumenta esponenzialmente con la tensione applicata. Come nel regime di “camera a ionizzazione”, l’ampiezza del segnale prodotto dal rivelatore è sempre proporzionale all’energia depositata nel gas dalla radiazione ionizzante. Nel regime “proporzionale”, a differenza di quello di “camera a ionizzazione”, l’ampiezza del segnale prodotto dal rivelatore varia però con il potenziale applicato. Nel regime “proporzionale” si ha infatti una moltiplicazione della carica iniziale prodotta dalla ionizzazione, al crescere della tensione applicata, V. Il fattore di moltiplicazione è molto elevato e può raggiungere, all’aumentare di V, valori fino a 10⁶. Alla regione di proporzionalità segue, all’aumentare di V, una regione cosiddetta di “proporzionalità limitata”. In questa regione di funzionamento la proporzionalità tende infatti a venir sempre meno poiché il processo di moltiplicazione della carica è talmente ampio Figura 8.7 - Andamento della curva caratteristica tensione-corrente (V-I) di un rivelatore a gas. Le regioni di ricombinazione (a) e di (quasi) saturazione (b) corrispondono al regime operativo di “camera a ionizzazione”. Le regioni di proporzionalità (c) e di scarica (e), separate dalla regione intermedia (d), corrispondono rispettivamente ai regimi operativi di “contatore proporzionale” e di “contatore Geiger-Müller”. Per semplicità non è evidenziata nel grafico la cosiddetta regione di proporzionalità limitata compresa fra la regione di proporzionalità e quella di scarica

da dar luogo alla formazione di carica spaziale e quindi a una distorsione del campo elettrico all’interno del rivelatore.

Aumentando ulteriormente l’intensità del campo elettrico inizia il regime cosiddetto di “contatore Geiger-Müller”. In questa regione di funzionamento del rivelatore i fenomeni di ionizzazione sono caratterizzati da effetti non lineari causati da processi di ionizzazione a valanga che, a partire dal punto in cui ha luogo la ionizzazione iniziale, si diffondono all’interno del rivelatore. Questi molteplici processi a valanga sono innescati dai fotoni ultravioletti di diseccitazione di alcuni tipi di molecole contenute nel gas. Questi fotoni UV nell’attraversare il gas, producono ionizzazioni in diversi punti all’interno del rivelatore, dando luogo a un fenomeno di scarica lungo tutto il suo volume. A seguito di questi effetti la proporzionalità del segnale all’energia depositata nel gas dalla radiazione ionizzante scompare gradualmente. Il passaggio di ogni particella provoca infatti la cosiddetta “scarica Geiger” che satura il segnale. Nella regione di scarica l’ampiezza del segnale è perciò praticamente costante e quindi indipendente dalla quantità di ioni iniziali direttamente prodotti dalla particella incidente sul rivelatore.

I rivelatori a gas che operano in ciascuno dei tre regimi descritti sono rispettivamente le camere a ionizzazione, i contatori proporzionali e i contatori Geiger-Müller. A seconda delle esigenze di misura, ciascuno di questi rivelatori ha delle specificità che ne rendono preferenziale l’impiego in condizioni diverse nella dosimetria in radioprotezione. In pratica nessun rivelatore è costruito per operare in tutti i tre regimi operativi. Il funzionamento ottimale del rivelatore esige infatti, per ciascun regime operativo, l’impiego non solo di gas specifici ma anche di specifiche forme e dimensioni del rivelatore. Nel seguito sono descritte le caratteristiche principali dei tre tipi di rivelatore a gas e le loro applicazioni più usuali nella dosimetria in radioprotezione.

Le camere a ionizzazione

Le camere a ionizzazione impiegate per la dosimetria in radioprotezione sono costituite da rivelatori il cui volume è variabile da qualche decina di centimetri cubi fino ad alcuni decimetri cubi. La necessità di volumi relativamente grandi rispetto ad altri tipi di rivelatori deriva dall’esigenza di avere una sensibilità adeguata anche per le misure di campi di radiazione di bassa intensità, quali quelli derivanti dal fondo ambientale, con cui si ha tipicamente a che fare nell’ambito della radioprotezione. Le camere a ionizzazione hanno infatti una sensibilità intrinseca che è molto bassa rispetto ai rivelatori costituiti da materiali solidi di pari volume, poiché i coefficienti di interazione dei gas (cfr. cap. 3) sono, a parità delle altre condizioni, di circa tre ordini di grandezza

inferiori a quelli dei solidi. Le non piccole dimensioni che in genere caratterizzano i dosimetri per radioprotezione basati su camere a ionizzazione possono limitare la loro maneggevolezza. Questa limitazione è però bilanciata dal vantaggio di avere un rivelatore il cui segnale è molto stabile in quanto poco influenzato dalle variazioni del potenziale di polarizzazione. Ciò risulta evidente dall’analisi della curva in figura 8.7 in corrispondenza del regime operativo di “camera a ionizzazione” nella regione di quasi saturazione dove di norma operano questi rivelatori. Questa circostanza rende possibile l’uso di generatori di tensione (pile o alimentatori) anche non eccessivamente stabili e quindi meno sofisticati e poco costosi. Le camere a ionizzazione per la dosimetria in radioprotezione sono costruite con forme e dimensioni diverse. Due dei più frequenti schemi costruttivi sono mostrati in figura 8.8 e riguardano camere a ionizzazione a geometria sferica e camere con elettrodi piani e paralleli. La misura del segnale prodotto da questo tipo di dosimetri è nella prevalenza dei casi eseguita mediante un circuito integratore di corrente il cui schema di principio è mostrato in figura 8.9. Il circuito integra la corrente I generata dalla camera a ionizzazione e la corrispondente carica q accumulata nel condensatore Cq in un dato

intervallo di tempo compreso fra t₁ e t₂ è data da:

ò

= 2 1 t t Idt q (8.8)

Figura 8.8 - Schemi di camere a ionizzazione con forme diverse. Nelle camere a geometria sferica l’elettrodo collettore (un conduttore a forma di barretta cilindrica o filiforme) è situato in posizione centrale entro il volume delimitato dall’elettrodo di forma sferica cui è applicata la tensione di polarizzazione. Nelle camere a elettrodi piani e paralleli il volume sensibile è delimitato dai due elettrodi costituiti da conduttori con superficie piana

Nel circuito schematizzato in figura 8.9 la corrente I genera una tensione d’ingresso Vi e una tensione di uscita Vu. Se il guadagno A

dell’amplificatore è molto elevato – con il rapporto A/(1+A) prossimo a 1 – se la resistenza intrinseca, Ri, del condensatore Cq è molto elevata e

se la capacità di ingresso Ci del circuito (comprensiva delle capacità

parassite) è trascurabile rispetto alla capacità posta in controreazione,

Cq, si può assumere valida la relazione: q ≈ Cq·Vu (8.9) In queste ipotesi il segnale di uscita Vu del circuito è proporzionale a q, e quindi alla fluenza di energia della radiazione incidente sulla camera a ionizzazione. Nei circuiti come quelli di figura 8.9 sono utilizzati amplificatori operazionali con guadagno molto elevato (tipicamente non inferiore a 10⁴) e si ha anche di norma Cq >> Ci. La durata della misura è fissata dal tempo di apertura, ta, dell’interruttore S che può essere sia

azionato manualmente sia programmato per aperture e chiusure cicliche. In alternativa alla misura di carica, ottenuta tramite la (8.9), il circuito può eseguire una misura di corrente, se ad esso sono associate ulteriori componenti circuitali (ad es. un resistore in controreazione anziché un condensatore) in grado di fornire il rapporto I = q/ta. Figura 8.9 - Schema di base di un integratore di corrente associato a un rivelatore che, nel caso considerato, è una camera a ionizzazione (CI). Quando l’interruttore S è chiuso la carica q generata nella camera a ionizzazione (CI) dà luogo a una corrente I e quindi a una tensione Vi e Vu, all’ingresso e all’uscita dell’amplificatore, rispettivamente. Se il guadagno A dell’amplificatore è molto elevato si può assumere che il segnale di uscita Vu sia direttamente proporzionale a q e quindi alla fluenza di energia della radiazione incidente su CI. Se il condensatore in controreazione Cq è sostituito da un resistore, Ri, il segnale di uscita Vu è proporzionale alla corrente anziché alla carica

Gli integratori di corrente utilizzati nei dosimetri per radioprotezione sono di norma forniti di una batteria di condensatori di capacità Cq

variabile. Ciascun condensatore viene automaticamente inserito quando si preseleziona il valore massimo di carica che di volta in volta si deve misurare.

Le correnti I dovute alla carica generata da camere a ionizzazione esposte a radiazione ambientale sono in genere molto basse. Nei campi di radiazione meno intensi e per camere di volume non molto elevato queste correnti possono essere particolarmente piccole, anche dell’ordine di 10⁻¹⁴ A. Per queste misure può essere critico il rumore di fondo del sistema rivelatore-circuito di misura.

Come molti altri rivelatori, la camera a ionizzazione può essere utilizzata anche in modalità per misure di impulsi. In questa modalità, a differenza di quanto avviene in un circuito integratore di corrente, ogni singola interazione della radiazione incidente sul rivelatore dà luogo a un impulso la cui ampiezza è proporzionale all’energia della particella che ha generato l’evento. In figura 8.10 è mostrato il circuito equivalente del primo stadio di elaborazione del segnale di una camera a ionizzazione che opera in regime impulsivo. A questo primo stadio sono poi connessi i circuiti (non mostrati in figura) dedicati al conteggio degli impulsi ed eventualmente alla misura della loro ampiezza. Il segnale del rivelatore è misurato dalle variazioni di differenza di potenziale, VR, ai capi della

resistenza R. In assenza di cariche di ionizzazione all’interno della camera, ai capi della resistenza R, si misura la tensione di polarizzazione V₀. Quando una particella carica passa attraverso la camera, le coppie di ioni che si formano si spostano sotto l’influenza del campo elettrico verso gli elettrodi della camera, riducendo la tensione rispetto al valore iniziale V₀. Figura 8.10 - Circuito equivalente per la rivelazione dei singoli impulsi di tensione dovuti alla carica prodotta in una camera a ionizzazione (CI) a seguito di ciascuna interazione della radiazione incidente sul rivelatore. La forma e la durata degli impulsi dipendono dal tempo di raccolta delle cariche e dalla costante RC del circuito, mentre la loro ampiezza dipende dalla quantità di carica prodotta a seguito di ciascuna interazione e quindi dall’energia della particella che ha interagito. Non sono mostrati nello schema i moduli elettronici necessari all’amplificazione e al conteggio degli impulsi