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Rivoluzione metalmeccanica (2)

Nel documento Le relazioni di prossimità nel lavoro 4.0 (pagine 105-112)

di Marco Bentivogli

Non è retorica parlare di “accordo storico” per il contratto dei metalmeccanici. Storico, non solo perché il testo contiene alcune novità di grande rilievo rispetto agli ultimi decenni di contrattua-listica, ma soprattutto per il suo carattere di “eccezionalità” ri-spetto al contesto in cui è maturato. Non solo crisi, deflazione, ma anche un atteggiamento di timore e osteggiamento da parte di molti individui che hanno sperato che l’unità, come in altre occa-sioni, avrebbe portato risultati solo simbolici e di retroguardia.

Mi si scuserà per il paragone, ma a me questo risultato ricorda uno dei risultati più belli della nostra storia, quello del 1973, in un contesto analogo di crisi e con la capacità di giocare le soluzioni sulle innovazioni. Tra le altre, puntiamo sulle nuove 150 ore digi-tali, e su un nuovo modello di inquadramento. Due straordinarie conquiste di allora.

Negli anni della crisi il settore metalmeccanico ha lasciato sul ter-reno 300mila posti di lavoro, il nostro apparato industriale ha perso il 25% del suo potenziale produttivo, il quadro macroeco-nomico ha conosciuto, a causa della deflazione, un’evoluzione – ma sarebbe meglio dire un’involuzione – che ha messo in crisi

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certezze radicate tra gli imprenditori e che ha richiesto idee nuo-ve e strategie dinuo-verse anche ai sindacati.

Dopo 10 mesi di pregiudiziali poste da Federmeccanica, che na-scondeva dietro la parola “rinnovamento” una logica protezioni-sta, non è stato, questa volta, il conflitto a caratterizzare la svolta finale del negoziato. Il contratto nazionale cambiava ruolo senza dare spazio alla contrattazione decentrata.

Se è vero infatti che all’epilogo si è giunti dopo più di un anno, un periodo segnato da frizioni al tavolo negoziale e conseguenti proteste da parte nostra (le ore di sciopero sono state 20), alla fi-ne siamo riusciti a far comprendere a Federmeccanica che lo schema dietro al quale si era inizialmente barricata – quello dei minimi di garanzia, che sterilizzava gli aumenti per la stragrande maggioranza dei lavoratori (eccezion fatta per un 5%) – avrebbe significato di fatto mandare in soffitta il contratto nazionale e in-debolire la contrattazione decentrata, incamminandosi verso un sistema ad un solo livello. Questo era per noi inaccettabile e, in definitiva, pericoloso per la stessa Federmeccanica. I due livelli contrattuali sono un’opportunità con la frammentazione azienda-le e la taglia dimensionaazienda-le media. L’incapacità, da venti anni a questa parte, di superare le sovrapposizioni tra i due livelli, ha prodotto un’ambiguità protetta dagli “anche” che nascondono l’incapacità di scegliere una strada alla volta. Questa ambiguità ha indebolito negli anni sia il contratto nazionale che lo sviluppo della contrattazione aziendale e territoriale.

Su quest’ultimo aspetto gli osservatori territoriali avranno un nuovo compito: rivitalizzare il territorio promuovendo la diffu-sione della contrattazione di secondo livello. I dati della produtti-vità sono disastrosi sotto i 20 dipendenti e ancor peggio sotto i

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10. Le medio-grandi hanno, invece, livelli molto vicini a quelle nord-europee. O si capisce che la contrattazione territoriale può essere una partita condivisa proprio per i miglioramenti organiz-zativi e di produttività o lasceremo imprese e lavoratori ancora soli e ad un destino di scarsa sostenibilità industriale e sociale.

Con l’accordo siglato la settimana scorsa abbiamo quindi salva-guardato il contratto nazionale, la cui funzione d’ora in poi sarà quella di fornire un quadro regolatorio omogeneo e di garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni. Abbiamo al contempo evita-to sovrapposizioni con la contrattazione di secondo livello, il cui ruolo diviene centrale per la produttività in azienda, vale a dire nel luogo dove la ricchezza si produce, e per la valorizzazione delle competenze e delle professionalità dei lavoratori.

Per la Fim e per la Cisl si tratta, in un certo senso, di un ritorno a casa. Fin dal congresso di Ladispoli del 1953 abbiamo considera-to la contrattazione di secondo livello il faro della nostra azione sindacale poiché è solo nelle aziende che si sperimenta, è solo nelle aziende che si innovano i processi produttivi e si creano le condizioni per la crescita del capitale umano.

A proposito di capitale umano, va sottolineato che il nuovo con-tratto, con l’introduzione del diritto soggettivo alla formazione (24 ore annuali o, in alternativa, 300 euro a disposizione dei lavo-ratori delle aziende che non svolgono corsi), senz’altro uno dei suoi capitoli più innovativi, fa un balzo deciso in avanti, si muove cioè verso il superamento definitivo della logica fordista, che ha contraddistinto la fabbrica nel Novecento, e dei rapporti gerar-chici che ne erano il corollario.

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Si va insomma in direzione della smart factory, del modello di Indu-stry 4.0, che promette in breve tempo di riconfigurare i rapporti tra lavoratori e imprese fuori dallo schema del conflitto in un’ottica nuova di partecipazione e responsabilità.

Il diritto soggettivo alla formazione è da tempo uno dei punti qualificanti della visione della Fim, che lo considera il principale elemento di tutela del lavoro specie ora che la rivoluzione digitale bussa con prepotenza alle porte della nostra industria. Si partirà proprio da una campagna per il recupero del gap delle compe-tenze digitali dei lavoratori. Le nuove tecnologie alla base di Indu-stry 4.0 ci consegneranno non solo una fabbrica nuova ma anche un nuovo lavoratore, sempre più centrale nel processo produtti-vo, sempre più vicino a compiti di coprogettazione e sganciato dalla routine della catena di montaggio. Per il sindacato questa è un’opportunità ma anche una sfida. La fine dell’era della produ-zione di massa e l’affermarsi di un modello che associa beni e servizi in una logica “sartoriale”, che consentirà agli addetti di ge-stire i processi, almeno in parte, da remoto, quindi con una quota rilevante via via più rilevante di smart working a caratterizzare l’organizzazione del lavoro, impone anche a noi di pensare ad una rappresentanza nuova e “su misura”. In questo quadro va letta anche la sperimentazione che verrà avviata sull’inquadramento professionale, fermo agli anni Settanta, il cui scopo è quello di passare gradualmente da un sistema organizza-to rigidamente sulle mansioni ad uno calibraorganizza-to in modo più fles-sibile e moderno sulle fasce professionali.

Gli ultimi giorni di trattativa hanno poi portato alla revisione del meccanismo di decalage, che impediva il recupero pieno dell’inflazione, e hanno sminato il terreno dalla questione degli scatti di anzianità. Il risultato è un accordo che avvicina la

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trattazione alle persone e ai luoghi di lavoro, che rafforza la con-trattazione di secondo livello e lega strettamente produttività e aumenti nella forma di premi di risultato del tutto variabili. In questo modo si ha un’innovazione sul terreno della partecipazio-ne grazie all’introduziopartecipazio-ne dei comitati consultivi partecipazio-nelle grandi aziende, un passo che sancisce per la prima il coinvolgimento, ancorché a livello solo consultivo, nelle scelte strategiche.

L’obiettivo di mettere al centro della contrattazione le persone e le loro esigenze si riscontra anche nelle novità introdotte dal con-tratto in materia di welfare aziendale, completamente detassato.

Qui la scelta di puntare su una serie di flexible benefits (buoni ben-zina, spese scolastiche, carrello della spesa) per un importo signi-ficativo (100 euro nel 2017, 150 nel 2018 e 200 nel 2019) e com-pletamente detassato. Va ricordato che se si fosse deciso di ero-gare la stessa cifra sotto forma di salario di primo livello ai lavo-ratori in busta paga sarebbero arrivati solo 58 euro; mentre con la contrattazione di secondo livello la cifra sarebbe sì aumentata (a 85 euro) ma sarebbe rimasta comunque inferiore.

L’intesa rafforza inoltre sanità integrativa e previdenza comple-mentare. La prima verrà estesa a tutti i lavoratori, che si vedran-no azzerare il contributo al fondo mètaSalute, ed ai loro familiari.

In questo modo mètaSalute si avvia a diventare uno dei più gran-di fongran-di europei. La seconda, fondamentale per puntellare il red-dito dei lavoratori all’indomani del ritiro (soprattutto per i giova-ni, che secondo i nostri calcoli rischiano di percepire, specie nei casi di impiego discontinuo, assegni pari ad appena la metà dell’ultima retribuzione), viene anch’essa irrobustita grazie all’aumento dall’1,6 al 2% del contributo a carico delle imprese.

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In un passato anche recente non tutti erano convinti che fosse giusto avanzare su questa strada. Ma sarebbe ingiusto scrivere la storia guardando nello specchietto retrovisore. Per questo va da-to atda-to, anche a chi non ci credeva, di aver superada-to le pregiudi-ziali ideologiche del passato e di aver mostrato lungimiranza nel cercare di cogliere insieme agli altri sindacati un risultato fonda-mentale. L’unità è di certo un valore, ma è un valore se serve a costruire il futuro.

Nel caso dei metalmeccanici, poi, ha un significato ulteriore, per-ché chiude una lunga fase segnata da accordi separati e da pole-miche spesso assai aspre che hanno raggiunto l’apice con la vi-cenda Fiat, una vivi-cenda che per la categoria ha rappresentato uno spartiacque.

Ad ogni modo, l’unità ritrovata è anch’essa un fatto storico, pro-prio nel senso che abbiamo dato inizialmente a questo termine e ciò perché, in un contesto politico e sociale contraddistinto da frustrazione e altissima rissosità, ha impresso una svolta alle rela-zioni industriali e ha dato, secondo noi, anche un esempio che – quando ci sono le idee e il rispetto nei rapporti umani – si posso-no fare grandi passi in avanti, anche culturali.

Questo contratto, inoltre, con il suo ancoraggio a Industry 4.0, è già di per sé il nostro Patto della fabbrica. Starà poi alle Confedera-zioni e a Confindustria, nella trattativa che riprenderanno tra po-chi giorni, valorizzare gli spunti che ritengono più innovativi nel delineare i nuovi assetti della contrattazione.

Ora il contratto va fatto vivere nella gestione aziendale, condivi-so, custodendo lo spirito dell’ultima fase della trattativa, quello per cui tutti han capito che gli accordi e i risultati non sono mai

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l’annullamento di una parte sull’altra ma la ricerca di equilibri in avanti in cui a vincere sono tutti un po’.

© 2016 ADAPT University Press

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