I MONTAGNARDI avevano inventato contro i Girondini l'accusa di federalismo. I Girondini se n'erano sempre difesi, e veramente non si può dire che la loro
diffidenza verso Parigi sia giunta fino a favorire lo smembramento della Repubblica.
I moti del 2 giugno, invece, erano un vero colpo di Stato delle autorità parigine contro i rappresentanti dei dipartimenti, ed è quindi naturale che la prima conseguenza di ciò fosse un'insurrezione di tutte le province contro la capitale.
Dei ventinove deputati dei quali fu decretato l'arresto, dodici, fra cui Brissot, fuggirono subito, altri otto, fra cui Barbaroux, Lanjuinais e Pétion riuscirono a fuggire nel corso del mese. Alcuni loro colleghi, non compresi nel decreto di arresto, lasciarono Parigi per raggiungerli e organizzare con essi la resistenza. Da un capo all'altro della Francia, l'indignazione si scatenò unanime contro la Comune.
Sessantanove Direttorii di dipartimento protestarono, e quasi tutte le città
dell'Ovest, del Centro e del Mezzogiorno si associarono alla protesta. L'Est e il Nord, minacciati dall'invasione e occupati dalle truppe, erano obbligati al silenzio. Ciò nonostante, nel primo momento, due distretti della Marna, la Meurthe, Nancy, una parte dei Vosgi e dell'alto Reno e molte sezioni di Strasburgo inviarono ordini del giorno di protesta. Nella stessa Parigi, 75 deputati ne sottoscrissero uno.
La rivolta delle province fu, a seconda dei luoghi, diversa nel tono e nelle modalità.
Pressappoco, però, i principii erano gli stessi; la Convenzione non era più libera, quindi i suoi decreti non avevano più forza di legge; era necessario abbattere la tirannia parigina, e, nel frattempo, costituire una Convenzione provvisoria. A Caen, a Bordeaux e a Telone, i rappresentanti in mis-
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sione furono arrestati; a Nimes vennero chiusi i Circoli e imprigionati i partigiani di Marat. Montpellier ingiunse a tutti i deputati di presentarsi nelle loro circoscrizioni per render conto della loro condotta da vanti alle Assemblee primarie. Nantes dichiarò che la Convenzione sconfinava continuamente dai suoi poteri, e protestò contro l'istituzione dei rappresentanti in missione. Il Giura reclamò la riunione a Bourges dei deputati supplenti. La Nièvre nominò un comitato locale di sicurezza.
La Normandia e la Bretagna si confederarono, dandosi un'assemblea comune.
Buzot, deputato dell'Eure, costituì a Evreux il centro del movimento, e vi organizzò un piccolo esercito, del quale prese il comando Felice Wimpfen. Dalla Senna al Giura, tutta la Francia si era sollevata, e sembrava che la Comune dovesse cadere da un momento all'altro.
Ma era soltanto un'apparenza. Sia nei dipartimenti come a Parigi, il partito girondino non aveva basi. Taine lo ha pienamente dimostrato.
Il paese, nel complesso, era rimasto attaccato alla Monarchia costituzionale e si disinteressava delle proteste della Convenzione. Tutto quello che esso rimproverava ai Montagnardi, il regicidio, cioè, le persecuzioni, le ingiustizie e le crudeltà,
rimproverava pure, e nella stessa misura, ai Girondini. Forse aveva un po' più di stima nella loro dirittura e nel loro valore. Ma ciò non bastava per difenderli nel momento del pericolo. Il movimento fu di una certa gravità là dove assunse
carattere realista, e precisamente a Lione, dove era diretto da un emigrato, il conte di Précy (quivi venne ghigliottinato il montagnardo Chalier), e a Tolone, dove gli ammiragli Trogoff e Chaussegros chiamarono gl'Inglesi in aiuto. Nel resto della Francia, tutto si ridusse a un'offensiva verbale, al «grido disperato di uno Stato Maggiore senza esercito». A tutta prima, si credette che fosse la voce della Francia, quella, ma era soltanto la voce dei comitati elettorali e dei loro eletti. Inoltre, quei sindaci, procuratori. amministratori di ogni rango, erano molto esitanti e indecisi.
Per scrupolo o per vigliaccheria, non osarono impegnarsi a fondo. Nonostante fossero al colmo dell'indignazione, vollero restare uomini di sinistra. Temevano la Comune, ma temevano maggiormente
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di passare per realisti. Sbolliti i primi calori, essi si accostarono nuovamente a Parigi, cercando un accomodamento onorevole, che permettesse loro di non rimetterci la sciarpa e il mandato.
L'insurrezione delle province fu tuttavia la causa indiretta dell'assassinio di Marat per opera di una pronipote di Corneille, Carlotta Corday. Carlotta Corday abitava a Caen presso la zia, la signora Bretteville. Era una giovane piena di buonsenso, seria e dolce. Realista nell'animo, ella aveva assistito allo scoppio della rivolta, aveva letto i proclami incendiari dei proscritti e aveva capito subito che tutto sarebbe finito in fumo. Il 7 luglio, Wimpfen, passando in rivista la guardia nazionale di Caeu, chiese volontari per marciare su Parigi. Soltanto diciassette uomini uscirono dai ranghi.
Calma e sublime come una eroina da tragedia, Carlotta Corday decise di mostrare ai suoi compatrioti quel che può fare una giovane donna risoluta a sfidare la morte.
Col suo Plutarco sotto il braccio, ella lasciò Caen il 9 e arrivò a Parigi con la
diligenza il giorno 11. Il 12, cercò invano di avvicinare Marat alla Convenzione, ma il 13, col pretesto di comunicargli notizie sulla situazione in Normandia, ella riuscì a entrare al numero 20 di via dei Cordiglieri, dove Marat abitava insieme con una certa signorina Evrard, di vent'anni più giovane di lui. Costretto a prendere
continuamente bagni di zolfo, Marat, quando ricevette Carlotta Corday, era ancora nella vasca da bagno. Egli domandò i nomi dei deputati rifugiati a Caen, e mentre li annotava in un taccuino, sotto dettatura, Carlotta gl'immerse il coltello nella regione del cuore. Marat morì quasi subito, e Carlotta Corday fu ghigliottinata sei giorni dopo.
Ella aveva commesso il delitto con inconcepibile sangue freddo, e mostrò eguale fermezza di carattere di fronte al Tribunale e alla ghigliottina. «Ho ucciso un uomo», diss'ella ai giudici, «per salvarne centomila». A un pittore che aveva
ottenuto il permesso di entrare nella sua prigione per farle il ritratto, ella ripeté, con la stessa calma, che, lungi dal pentirsi del proprio gesto, se ne congratulava con se stessa, sicura di aver contribuito al benessere della Francia, liberandola da un mostro. La Convenzione partecipò in corpo alle esequie
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di Marat, che fu sepolto in una grotta artificiale alle Tuileries. Il suo cuore fu sospeso alla volta del Circolo dei Cordiglieri, e, disse il ministro Carat,
«cinquantamila effigi di lui furono erette per tutta la Repubblica».
Il Comitato di Salute Pubblica si era lasciato sorprendere dai Girondini, ma non tardò a riprendersi, e la Montagna manovrò con abilità per dividere i suoi avversari.
Il capoluogo del dipartimento dell'Eure fu trasferito da Evreux a Bernay, i dipartimenti della Loira e di Vaucluse furono creati in modo da opporre Saint-Etienne a Lione e Avignone a Marsiglia. Ai contadini venne accordata la divisione dei beni comunali; ai funzionari fu migliorato il trattamento; i piccoli borghesi furono esentati dal prestito forzoso. In 15 giorni, fu decretata una nuova
Costituzione, che dava a tutti i cittadini ogni possibile garanzia contro le eventuali iniziative del Governo.
I Girondini sostenevano che la Montagna opprimeva il paese? Ed ecco che la Costituzione assicurava a tutti il libero esercizio del culto, la libertà del lavoro, la illimitata libertà di stampa, il diritto di reclamo e di riunione, il diritto all'assistenza, il diritto al lavoro, e, come coronamento di tutto ciò, il diritto all'insurrezione: «La legge deve proteggere la libertà pubblica e individuale contro l'oppressione di coloro che governano ... Quando il Governo viola i diritti del popolo l'insurrezione
rappresenta per il popolo e per ogni sua categoria il più sacro dei diritti e il più
indispensabile dei doveri». I Girondini sostenevano che la Montagna voleva istituire il comunismo? Ed ecco che la Costituzione riconosceva il diritto di proprietà senza alcuna limitazione, definendolo un diritto «che spetta ad ogni cittadino di godere e di disporre a proprio talento dei suoi beni e delle sue rendite, del frutto del proprio lavoro e della propria industria». I Girondini sostenevano che la Montagna era una consorteria che teneva prepotentemente la rappresentanza nazionale? Ed ecco che la Costituzione decretò la rielezione annuale del corpo legislativo e il referendum per la legislazione finanziaria civile e penale. Potevasi sperare di meglio? E poiché la normalità legale era stata ristabilita e gli abusi erano stati repressi, non sarebbe stato un delitto rifiutarsi di
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deporre le armi della rivolta? Tutti coloro che si erano pentiti di essersi lasciati trascinare nella rivolta stessa, colsero subito l'occasione per sottomettersi.
Le defezioni cominciarono fin dai primi di luglio. Un dipartimento trascinava l'altro. Le amministrazioni sconfessavano il loro precedente atteggiamento e si scusavano. I Circoli si ricostituivano. Il dipartimento del Puy de Dame che aveva arruolato un battaglione per combattere la Montagna, lo spedì invece contro la
Vandea. Al primo scontro, l'armata di Wimpfen si disperse. Il sindaco di Bordeaux, Saige, inviò a Parigi una deputazione, supplicando che la Convenzione dimenticasse
«un errore momentaneo», e facesse grazia «ai fratelli traviati». Quando Tallien rientrò in città con i 1800 uomini dell'esercito rivoluzionario, fu ricevuto dai 12 mila uomini della Guardia Nazionale, che si lasciarono sbaragliare e disarmare senza il minimo gesto di resistenza. Saige, in ricompensa della sua sottomissione, fu subito condannato a morte, e 881 suoi concittadini seguirono la sua sorte, senz'altra formalità. La città fu sottoposta ad una commissione militare, presieduta da un pregiudicato, certo Lacombe, che spogliò i ricchi e affamò i poveri.
La Costituzione, s'intende, era soltanto una trappola. I Giacobini, quando ne ebbero ottenuto l'effetto voluto, si affrettarono a disdirla, e in tale occasione fu recitata una nuova commedia. Le Assemblee primarie, nominate per ratificare l'atto
costituzionale, avevano designato cinque o seimila commissari, incaricati di comunicare a Parigi le decisioni che sarebbero state votate. Nella loro immensa maggioranza, quei delegati erano favorevoli alla Costituzione, ma avrebbero dovuto, inoltre, chiedere che il nuovo regime fosse applicato immediatamente e che le
elezioni avessero luogo al più presto possibile. Il momento era decisivo per la Montagna. Difatti, se i commissari fossero giunti a compiere la loro missione, tutto il lavoro che la Montagna aveva fatto per dieci mesi allo scopo d'impadronirsi del potere sarebbe stato vano. Ma i Giacobini sapevano giocare con gli elettori...
Ed ecco in viaggio i cinquemila, tutte candide anime assorte in sogni di fraternità, A qualche lega da Parigi,
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le loro vetture sono fermate per la visita dei bagagli e il riconoscimento delle carte.
Quei bravi provinciali, che si credevano personaggi importanti, s'accorgono che contano ben poco di fronte ad un semplice agente di polizia della Comune. Non sono loro risparmiati né le perquisizioni né gli interrogatori né le indagini. Nel frattempo, essi apprendono che il Comitato di Salute Pubblica ha loro proibito i conciliaboli e le riunioni, e che gli agenti che abbiano redatto verbali negativi vengono arrestati. I commissari cominciano a capire ... A Parigi, giunti alle porte, trovano alcuni ispettori che li conducono alla podesteria, sequestrano loro i
permessi di permanenza, li accompagnano a domicilio e li guardano a vista. Subito cominciano i divertimenti. Essi vengono fatti assistere agli spettacoli più adatti per accendere il loro "patriottismo", cioè, la ghigliottina, il Tribunale rivoluzionario, le sezioni, i Giacobini, la Convenzione. Nel contempo, non manca qualche buona tragedia sanculotta, come Bruto, Guglielmo Tell, e anche qualche arringa di personalità comunali. Il 10 agosto, grande cerimonia e spettacolosa cavalcata con carri trionfali, turiboli, altari, urne mortuarie, fasci, trombe, colpi di cannone e picche. Presso le rovine della Bastiglia, Hérault di Séchelles, presidente della Convenzione, e gli 83 delegati più anziani (uno per ciascun dipartimento) bevono alla sorgente della Rigenerazione, rappresentata dalla statua d'una robusta donna, dai cui seni sgorgano due getti d'acqua. In piazza della Rivoluzione (già piazza Luigi
XIV) egli appicca il fuoco ad una piramide di scettri e di corone, da cui sfuggono tremila uccelli liberati. Agli Invalidi, il corteo sfila attorno ad una montagna artificiale, ove si vede la statua dell'Ercole popolare nell'atto di schiacciare l'idra della reazione. Al Campo di Marte, infine, tutti si prosternano di fronte all'altare della Patria, sul quale è posta la Costituzione, rinchiusa in un'arca come le tavole della legge al tempo degli ebrei. Il giorno 11 vien condotta in gran pompa alla
Convenzione, che la riceve con amore e decide l'inizio delle operazioni elettorali nel più breve tempo possibile. Ma il 12, i commissari, addomesticati ed entusiasmati al colmo, supplicano l'Assemblea di non privare la Francia della sua energia e dei suoi lumi. La Convenzione si
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arrende a questa dolce violenza, e l'arca della Costituzione vien riposta dietro il banco del presidente, e là rimarrà per sempre. Il colpo era fatto, la resistenza
girondina schiacciata, la Convenzione montagnarda consacrata da quegli stessi che avrebbero dovuto decretarne la fine.
Dopo ciò, l'ultimo atto del dramma precipitò rapidamente. Il 3 ottobre vennero arrestati, sugli stessi banchi dell'Assemblea, i deputati che avevano sottoscritto l'indirizzo di protesta in occasione del 2 giugno; vennero condotti alla Force, e là rimasero sei mesi, sotto lo spettro della ghigliottina, fra la vita e la morte. Il 7, senza alcun’altra formalità all'infuori della semplice constatazione della sua identità, il girondino Gorsas fu decapitato. Il 24, cominciò il processo dei 21, accusati d'aver voluto ristabilire la Monarchia, d'aver organizzato il sollevamento della Vandea, d'aver complottato il tradimento di Dumouriez e provocato gli assassinii di Marat e di Lepeletier.
Poiché si temeva la loro eloquenza, Robespierre e i Giacobini chiesero alla Convenzione di abolire nella procedura del Tribunale tutte quelle «forme che impediscono la libertà della coscienza e fuorviano la convinzione». Così fu deciso che, dopo tre giorni di dibattimento, i giurati ne avrebbero ormai avuto abbastanza per chiudere l'istruzione del processo, dichiarando la loro convinzione. Il decreto fu portato immediatamente al Tribunale. La sera stessa, i giurati interruppero
gl’interrogatori, e pronunziarono una condanna a morte generale. «Brava gente, non perdetevi in bagattelle», scrisse loro Hébert. «Occorrono proprio tante cerimonie per mandare all'altro mondo alcuni scellerati che il popolo ha già giudicati?».
Uno dei condannati, Valazé, si pugnalò seduta stante; gli altri venti, fra cui
Vergniaud, Brissot e Gensonné, furono ghigliottinati l'indomani. L'esecuzione durò trentotto minuti (31 ottobre). Otto giorni dopo, la signora Roland fu essa pure decapitata. Morì stoicamente, come gli antichi eroi ch'ella aveva tanto ammirati.
I Girondini che erano riusciti a salvarsi incontrarono poi una morte ancor più
disgraziata. Inseguiti come bestie, passando, travestiti, da un nascondiglio all'altro, 283
costoro finirono per essere presi, uccisi o ridotti al suicidio. Lidon si fece saltare le cervella, Condorcet s'avvelenò, Roland si pugnalò, Rebecqui fu trovato annegato nel porto di Marsiglia, Buzot e Pétion furono rinvenuti in una landa, divorati dai lupi, a Saint-Emilion, Valady venne decapitato a Périgueux, Déchezeau a Rochefort,
Guadet, Barbaroux e altri tre, a Bordeaux, gli ex-ministri Lebrun e Clavière, a Parigi.
Restavano da sottomettere Lione, Tolone e la Vandea.
L'assedio di Lione cominciò il 9 agosto, il bombardamento ebbe inizio il 22, ma la piazza fu investita completamente alla metà di settembre. Précy riuscì a fuggire in una sortita dell'8 ottobre. L'indomani, la città si arrese. Tolone, occupata dagli Inglesi, resistette a Dugommier fino al 19 dicembre.
Se i Montagnardi non fossero stati soltanto una fazione. «si sarebbero mostrati umani, se non per vera umanità, almeno per calcolo». La moderazione usata da Roberto Lindet era stata utilissima per la sottomissione della Normandia. Caen, la città di Carlotta Corday, ed Evreux, la città di Buzot, si erano sottomesse senza colpo ferire. Ma a Lione e nel Mezzogiorno, i Circoli vivevano soltanto per la vendetta. Il 12 ottobre e il 24 dicembre, la Convenzione decretò che «la città di Lione sarebbe stata distrutta, tutte le abitazioni dei ricchi demolite; sarebbero rimaste soltanto le case dei poveri, le abitazioni dei patrioti assassinati o proscritti, gli edifici di uso industriale, i monumenti consacrati all'umanità e alla pubblica istruzione». Similmente, a Tolone, «le case del centro sarebbero state rase al suolo;
si sarebbero lasciate in piedi soltanto le costruzioni necessarie al servizio di guerra e marina, delle sussistenze e degli approvvigionamenti». «Il nome di Tolone sarà soppresso; quel comune, d'ora innanzi, si chiamerà Porto La Montagna». «Il nome di Lione sarà cancellato dal novero delle città della Repubblica; l'aggregato delle case superstiti assumerà il nome di Città Redenta. Sopra le rovine di Lione, una colonna s'innalzerà ammonitrice: Lione fece la guerra alla Libertà, Lione non esiste Più». Couthon e Dubois-Crancé, che avevano diretto l'assedio e s'erano accontentati di ordinare soltanto una trentina di esecuzioni capitali, furono richiamati in capo 284
a 15 giorni e sostituiti con due amici di Hébert, Fouché e Collot-d'Herbois, il primo un prete spretato, e il secondo un istrione di quart'ordine.
I due proconsoli, appena arrivati, organizzarono in onore di Chalier, dio e martire della religione rivoluzionaria, una cerimonia a un tempo odiosa e grottesca, di cui Luigi Madelin ha fatto un'impressionante descrizione.
Dapprima, scortati da un battaglione di Giacobini armati d'asce e di picche, i rappresentanti percorsero la città con gran pompa, abbatterono le croci,
saccheggiarono le sacrestie, scacciarono dagli altari i sacerdoti costituzionari e proclamarono l'abolizione del "fanatismo". Sulle rovine dell'antico culto istituirono il nuovo.
Su un palanchino tricolore comparve il busto di Chalier. Fouché e Collot lo
seguivano. Subito dopo, veniva un asino coperto con una cappa, portante sulla testa una mitria, e, attaccati alla coda, un crocefisso, la Bibbia e il Vangelo; poi venivano un manipolo di sanculotti che portavano vasi sacri, calici e cibori, rubati alle chiese, e infine una folla di gente che urlava: «Abbasso gli aristocratici! Viva la Repubblica!
Viva la ghigliottina!».
La mascherata si fermò in Piazza des Terreaux. I rappresentanti s'inginocchiarono davanti al palanchino, e urlarono: «Dio salvatore!», intendevano riferirsi a Chalier,
«ecco la Nazione prosternata ai tuoi piedi che ti chiede perdono. Mani di Chalier sarete vendicati! Lo giuriamo per la Repubblica». «Ecco, Chalier, tu sei morto! Sei un martire della libertà; gli scellerati ti hanno ucciso! Il sangue degli scellerati è la sola acqua lustrale che possa placare i tuoi Mani giustamente irritati! Chalier,
Chalier, giuriamo sulla tua sacra immagine di vendicare il tuo martirio! Sì, il sangue degli aristocratici sarà l'incenso che noi adopreremo!».
Venne acceso un braciere, e furono bruciati un Vangelo e un crocefisso. L'asino fu fatto bere in un calice sacro. I realisti affermarono in seguito ch'era stato stabilito di fargli mangiare anche le ostie sacre, ma una pioggia torrenziale interruppe la
cerimonia.
A partire dal giorno dopo, su quel disgraziato «Comune redento» si abbatté una raffica di decreti, che apportarono la miseria e la schiavitù fin nelle più umili 285
dimore: requisizioni di scarpe e vestiti, tasse, confische dei beni, distruzione delle case, perquisizioni a domicilio; arresti. Che importava se le prigioni rigurgitavano di detenuti! Il Tribunale rivoluzionario avrebbe saputo ripulirle in breve, poiché il suo presidente, Parein, era un buon sanculotto. Costui tanto fece, che 1667 accusati furono inviati al patibolo. Alcune rivenditrici di pesce furono condannate a morte per avere mancato di rispetto ad alcuni membri della Società popolare, alcuni pompieri furono giustiziati per aver spento un incendio durante l'assedio. Si
ghigliottinava, si fucilava, si mitragliava. Il 4 dicembre, nella pianura des Brotteaux, 64 giovani, legati due per due, furono allineati entro trincee parallele, destinate alla loro sepoltura. Di fronte, i cannoni dell'esercito rivoluzionario. Su un palco rialzato i rappresentanti ... A un loro segnale, le micce vennero accese ai pezzi, e la fila dei condannati si abbatté come una pesante messe. La maggior parte, erano soltanto feriti. Alcuni soldati li finirono a colpi di sciabola. L'indomani, nuovo massacro. Ma questa volta i carnefici vollero fare una cosa più in grande, e 209 lionesi furono condotti al campo del supplizio. Avvenne un raccapricciante macello. Coloro che la mitraglia aveva risparmiato, vennero presi a sciabolate, mutilati, fatti a pezzi a colpi di ascia. «Qui, proviamo intime soddisfazioni, solide gioie», mandavano a dire a Parigi Collot e Fouché; e uno dei loro aiutanti, Achard, scriveva all'amico Gravier:
«Ancora teste! Ogni giorno, cadono teste! Che delizia avresti provata se avessi visto,
«Ancora teste! Ogni giorno, cadono teste! Che delizia avresti provata se avessi visto,