Rose cammina per molto tempo, terrorizzata dalla sensazione di poter incontrare Norman da un momento all’altro, stanca e con i piedi piagati decide di prendere un taxi per farsi portare al terminal degli autobus.
Rosie segnò l'inizio della sua nuova vita dal momento in cui i numeri nella finestrella del tassametro passarono da $2.50 a $2.75 e scomparve la dicitura TARIFFA BASE. Non sa- rebbe stata più Rose Daniels, se non l'avessero costretta, non solo perché Daniels era il suo nome e pertanto era pericoloso, ma perché lo aveva buttato via. Sarebbe stata di nuovo Rosie McClendon, la ragazza scomparsa all'inferno a diciotto anni d'età. Ci sarebbero stati forse momenti in cui sarebbe stata costretta a usare il suo nome da sposata, ma anche allora avrebbe continuato a essere Rosie McClendon nella mente e nel cuore.
Sono veramente Rosie, pensò mentre attraversavano il Trunkatawny Bridge, e sorrise mentre le volavano nella mente come una coppia di fantasmi le parole di Maurice Sendak e la voce di Carole King. E sono Rosie Vera.402
Come Dolores Claiborne, un’altra donna maltrattata dal marito, anche Rose torna al suo cognome da nubile e, traendo spunto dalla canzone di Maurice Sendak, ora vedrà se stessa come Rosie, non più come Rose. Anche se le loro vite e le loro reazioni sono una l’opposto dell’altra, queste protagoniste femminili sono molto simili: entrambe anche se in modo diverso reagiscono alla violenza del marito. Non bisogna pensare che Dolores sia più coraggiosa o più forte di Rose solo perché ha reagito rompendo in testa a Joe un bricchetto del latte intimandogli di non picchiarla più; il coraggio di Rose è insito nelle azioni che compie dal momento in cui apre la porta di casa per andarsene, non si può nemmeno immaginare quanta forza d’animo e coraggio ci vogliano per ricominciare a vivere e soprattutto per affrontare il mondo dopo che si è stati reclusi in casa per tutto quel tempo. Una volta arrivata al terminal dei bus, infatti, Rose è molto spaventata dalla moltitudine della folla in transito, del resto «dopo che per quattordici anni non aveva praticamente visto altri che suo marito e i colleghi che talvolta invitava a casa a pranzo, soffriva di qualcosa di più di un principio di agorafobia403». Dopo aver preso in mano il controllo della situazione, la prima cosa che fa è sbarazzarsi della carta di credito del marito gettandola nei rifiuti: vuole lasciarsi tutto alle spalle inoltre, conoscendo Norman, sa che la cercherà, quindi si sbarazza di qualsiasi possibile indizio.
Rose compra un biglietto per il primo bus che la porti il più lontano possibile da Norman e sceglie una grande città in modo che sia più difficile un’eventuale ricerca.
A differenza degli altri romanzi di King, in cui ogni luogo ha un nome preciso e una descrizione particolareggiata, Rose fugge dalla sua città nativa per arrivare a circa milletrecento chilometri di distanza, in una località anonima, priva di punti di riferimento o descrizioni precise. Infatti, camminando per ore alla ricerca del centro per donne maltrattate, dice che i quartieri sono tutti uguali, così come i palazzi. L’autore, mantenendo questi luoghi anonimi e privi di punti di riferimento, desidera probabilmente che ogni
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Stephen King, Rose Madder, cit. p. 22. 402
Ivi, p. 29. 403
lettrice che si trovi nella situazione della protagonista, possa sentirsi più coinvolta e meno lontana, che possa, insomma, immedesimarsi in Rose e attingere a un po’ del suo coraggio. Durante il lungo viaggio Rose prova a dormire ma la paura di Norman la tormenta anche nel sonno, all’arrivo, essendo le tre del mattino, decide di aspettare che faccia giorno per non correre pericoli. L’attesa è lunga e il tempo scorre lentamente, così decide di mangiare qualcosa, all’uscita dalla tavola calda nota un cartello luminoso che indica uno sportello di assistenza viaggiatori e decide di chiedere aiuto.
Questa donna, che per quattordici anni è stata vittima delle percosse del marito e prigioniera di ciò che avrebbe dovuto essere il suo nido d’amore, si ritrova catapultata in un mondo di cui conosce solo ciò che ha visto alla televisione: il mondo fittizio di film e telefilm e quello filtrato dei telegiornali. Ora è in una grande città e non ha idea di come muoversi.
Fece un passo verso il cerchio di luce. C'era un uomo seduto dietro il vetro, vide, un uomo di mezza età con pochi capelli e occhiali con montatura di corno. Leggeva un giornale. Fece un altro passo nella sua direzione, ma si fermò di nuovo. Non ci stava andando davvero, giusto? Che cosa, in nome di Dio, gli avrebbe detto? Che aveva abbandonato suo marito? Che aveva preso il largo portando con sé nient'altro che la borsetta, la carta di credito che gli aveva soffiato e gli abiti che aveva addosso?
Perché no? le chiese Pratica-Razionale, e la sua voce totalmente priva di comprensione la colpì come uno schiaffo. Visto che hai trovato il fegato di piantarlo in asso, ora non avresti il fegato di affrontarne le conseguenze?404
Rose cerca la speranza di un nuovo inizio, il cerchio di luce che irradia dallo sportello nella stazione buia e sporca è ciò che vi si avvicina di più, anche se il suo Super-Ego dissente, l’istinto di sopravvivenza la consiglia bene: il volontario è Peter Slowik, un uomo facoltoso che vive aiutando le persone.
Lei gli raccontò tutto quello che poteva, già giunta alla conclusione che non avrebbe potuto affidarsi alla bontà del prossimo se avesse avuto reticenze nel riferire la verità sul proprio conto, vuoi per orgoglio, vuoi per vergogna. L'unico aspetto importante di cui non gli parlò, perché non sapeva come esprimerlo, era quanto si sentiva disarmata, quanto totalmente impreparata per il mondo.405
La donna perduta racconta la sua storia, il filantropo, ben comprendendo la situazione, la indirizza a un ricovero per donne maltrattate chiamato Figlie e Sorelle. Conoscendo il significato dello sguardo perso della sua interlocutrice, Slowik, in modo goffo ma sincero, la consola dicendo qualsiasi cosa sarà meglio della situazione precedente. Poco dopo l’alba, Rose esce dal terminal e si dirige verso la sua nuova vita ma, stanca e poco pratica della città, si perde. Dopo circa quattro ore di cammino giunge finalmente a destinazione, ha male ai piedi, alla testa e ovviamente alla schiena, che ha sopportato sin troppo durante le percosse coniugali, suona il campanello e una voce chiede se può esserle d’aiuto, Rose si mette a piangere.
«Spero che qualcuno possa», rispose, asciugandosi le guance con la mano libera. «Mi spiace, ma sono tutta sola in questa città, non conosco nessuno e ho bisogno di un posto dove
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Ivi, p. 42. 405
restare. Se siete al completo, capisco benissimo, ma potrei almeno entrare a sedere da qualche parte per un po' e magari bere un bicchier d'acqua?»406
Così Rose ritorna a vivere, viene accolta grazie alla raccomandazione di Peter Slowik, dopo un buon pasto e un po’ di riposo, viene condotta dalla direttrice, Anna Stevenson, una donna molto bella, altera ed elegante, che gestisce il centro fondato dai genitori.
«Tecnicamente, questo è un ospizio, una locanda sovvenzionata con denaro privato. Puoi restare per otto settimane e anche questo è un termine di tempo arbitrario. Siamo molto flessibili qui alle Figlie e Sorelle.»407
Una volta ascoltato il racconto di Rose, Anna le spiega l’andamento delle giornate al rifugio. La struttura aiuta le donne che vi si rifugiano in tutti i modi, in realtà, col progredire del romanzo, ci si rende conto che il vero soccorso che giunge a queste donne maltrattate è costituito dai rapporti che si instaurano fra loro, dalla comprensione reciproca per ciò che hanno dovuto sopportare e dall’acquisita consapevolezza che nessun maltrattamento subito è avvenuto per colpa loro: imparano ad amarsi e ad essere amate.
«Lo sapevo!» sbottò Anna. «Sono anni e anni che lavoro con donne che sono state ripiegate, annodate, inchiodate e mutilate e so quanto iperbolico può diventare il masochismo che sviluppano. Fa parte della sindrome della donna maltrattata non meno della dissociazione e della depressione. Ricordi quando esplose Challenger, la navetta spaziale?»408
Non sei stata tu a fare Norman.
«È un aspetto della sindrome che non ho capito per molto tempo», confessò Anna, «ma adesso credo di capirlo benissimo. Qualcuno deve essere imputato di quello che non va, altrimenti tutto il dolore, la depressione e l'isolamento non avrebbero senso. Si rischierebbe di impazzire. Meglio colpevoli che pazzi. Ma è ora che tu superi questa fase, Rosie.»409 Il punto di vista della direttrice del rifugio Figlie e Sorelle, anche se personaggio di un romanzo, esprime a pieno ciò che accade anche nella realtà. Queste donne subiscono abusi, soprattutto al sicuro delle mura domestiche, ma, nonostante tutto, continuano a sentirsi in colpa per ciò che i partner, violenti e recidivi, continuano a fare anche fuori casa. Il senso di colpa è dunque insito in questi soggetti perché, a causa di debolezza e dipendenza create da ciò che sono costrette a subire, sentono di doversi caricare di qualsiasi peccato di cui il loro molestatore si macchi.
La Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano (CADMI) è un luogo di ascolto, di relazione e di aiuto per le donne in difficoltà a causa di violenza fisica, psicologica, sessuale, economica.
Uscire dalla violenza si può, con la pratica della relazione fra donne
Nel corso degli anni si è sviluppata una relazione importante con donne di tutte le età e condizioni sociali che mette in luce un fenomeno sottovalutato e ancora poco conosciuto: la violenza all’interno della famiglia da parte di mariti, conviventi, fidanzati e altri familiari.410 406 Ivi, p. 52. 407 Ivi, pp. 55-56. 408 Ivi, p. 235. 409 Ivi, p. 236. 410 http://www.cadmi.org/
Per chi non ha mai subito soprusi, non è facile comprendere quanto qualsiasi tipo di violenza possa svilire l’animo umano. In Italia ci sono molti centri d’accoglienza, la presentazione della struttura sopra riportata rappresenta, in linea di massima, la linea guida ideale. I termini utilizzati rappresentano la chiave di volta per entrare in un mondo ai margini della società, per queste donne avere qualcuno che le ascolti e che capisca ciò che, loro malgrado, hanno dovuto passare, unito a nuove relazioni, libere da vincoli di dovere, crea la base dell’aiuto di cui necessitano. Lo slogan «Uscire dalla violenza si può, con la pratica della relazione fra donne411» è il concetto base cui riferirsi. L’esistenza di questi rifugi, il termine più consono da utilizzare, è una certezza per ogni donna maltrattata e un passo avanti nel mondo che, spesso a torto, ci si permette di definire civilizzato anche se, ormai entrati in pieno nel ventunesimo secolo, razzismo, discriminazione sessuale, e violenza non cessano di esistere. Per una donna maltrattata deve essere appagante sentirsi dire che non è più sola e che tutto ciò che ha dovuto sopportare è ormai finito.
La mancanza di risposta all’ultima domanda che Anna rivolge a Rose dimostra quanto Norman abbia annientato la vita e la personalità della moglie: per trovare un lavoro una volta rimessasi in salute, la direttrice chiede quali sono le sue attitudini, a Rose non ne viene in mente nessuna, ha solo fatto la donna di servizio gratuitamente per il marito, non trovando sue particolari propensioni da riferire a questa donna che la sta aiutando, Rose si arrabbia.
«Sì!» proruppe lei, sconcertata dall'acredine che sentì vibrare nella propria voce, ma incapace di soffocarla o almeno stemperarla. «Oh, sì! So spolverare, so lavare i piatti, so fare i letti, so passare l'aspirapolvere, so far da mangiare per due, so andare a letto con mio marito una volta la settimana. E so prenderle. Questa è un'altra cosa in cui sono abile. Non c'è qualche palestra nei paraggi dove stanno cercando uno sparring partner?»
Dopodiché sì, che scoppiò in lacrime.412
In realtà Anna ha una soluzione per lei, l’associazione è convenzionata con un albergo che dà a queste donne la possibilità di fare le cameriere ai piani, guadagnarsi da vivere e liberarsi dalla schiavitù mentale che le opprime, essere indipendenti e avere un lavoro è per loro un grande passo verso la libertà. Conclusi tutti i discorsi, Anna Stevenson fa superare a Rose il primo vero ostacolo di questo lungo cammino.
«Ho ancora tre cose da dirti», aggiunse Anna. «Sono importanti, quindi voglio che ti concentri e mi ascolti attentamente. Lo farai?»
«Sì», rispose Rosie. Era affascinata dal terso sguardo blu di Anna Stevenson.
«Primo, prendere la carta di credito non fa di te una ladra. I soldi erano tanto tuoi quanto suoi. Secondo, non c'è niente di illegale nel riprendere il tuo nome da nubile... ti appartiene e ti apparterrà per tutta la vita. Terzo, puoi essere libera se lo vuoi.»
La osservò in silenzio con quegli straordinari occhi azzurri, sopra le loro mani strette insieme.
«Mi capisci? Puoi essere libera se lo vuoi. Libera dalle sue mani, libera dalle sue idee, libera da lui. Lo vuoi? Vuoi essere libera?»
«Sì», sussurrò Rosie in un tremito di voce. «Lo voglio più di qualunque altra cosa al mondo.»
Anna Stevenson si protese sopra la scrivania e le posò un bacio sulla guancia. Contemporaneamente le strinse con forza le mani. «Allora sei venuta nel posto giusto. Ben arrivata a casa, cara.»413
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Ibidem. 412
Per quanto riguarda la sua guarigione sia mentale sia fisica, a un mese dal suo arrivo al rifugio Figlie e Sorelle, Rose ha fatto molti progressi: ha legato con le sue compagne di sventura, una in particolare, Pam; vive giorno per giorno ed ha imparato a godere delle piccole cose.
In quel momento non avrebbe scambiato con nessuno il suo posto nel grande disegno delle cose. Nelle settimane trascorse da quando aveva lasciato Norman, Rosie aveva acquisito una sensibilità speciale per i piaceri piccoli: leggere per mezz'ora prima di appoggiare la testa al guanciale, chiacchierare con alcune delle altre donne di film e spettacoli televisivi mentre lavavano i piatti della cena, prendersi cinque minuti di pausa per sedersi e mangiare una banana.
Era anche bellissimo sapere che cosa accadrà dopo, e avere la certezza che non vi era incluso qualcosa di improvviso e doloroso. Sapere, per esempio, che mancavano solo due camere da rigovernare e che poi lei e Pam avrebbero potuto scendere con il montacarichi di servizio e uscire dalla porta sul retro. Sulla via per la fermata dell'autobus (ora era capace di distinguere senza difficoltà fra le Linee Arancione, Rossa e Blu) si sarebbero probabilmente fermate all'Hot Pot per un caffè. Cose semplici. Piaceri semplici. D mondo sarebbe stato bello. Le pareva di averlo saputo da bambina, ma se l'era scordato. Ora lo stava reimparando ed era una lezione dolcissima.414
Rose la sera si corica tranquilla, senza pensieri né paura. È perfettamente conscia del fatto che il percorso di guarigione sarà lungo, ma vive e respira ogni istante della sua nuova vita. Le sue riflessioni fanno, in certo qual modo, pensare a un processo di disintossicazione. Questa affermazione non è poi così lontana dalla verità, Rose deve liberare la sua mente e il suo cuore dalla paura, dai sensi di colpa, dal dolore e, soprattutto da Norman.
Il terzo capitolo del romanzo, propriamente intitolato Provvidenza, racconta come, in un solo pomeriggio, Rose riesca per puro caso a cambiare definitivamente la sorte della sua vita. Una volta uscite dal lavoro, l’amica Pam non si sente bene, desidera solo andare a casa - per queste donne perdute il centro Figlie e Sorelle è soprattutto il calore e l’affetto di una casa -, e la sprona ad andare a bere da sola l’abituale caffè. Dopo aver parlato con Pam della possibilità di intrecciare, in futuro, un’eventuale nuova relazione, Rose continua ad osservare la fede ed il preziosissimo anello di fidanzamento che porta ancora alla mano sinistra. Persa nei suoi pensieri, si trova ad indugiare di fronte ad un negozio di prestiti e pegni che fa anche compravendita di gioielli, prende coraggio ed entra.
Abbassò nuovamente gli occhi sul suo anello di fidanzamento e ricordò qualcosa che Norman le aveva detto non molto prima che si sposassero: Se ti va di uscire con quel coso al dito, giralo con la pietra nel palmo, Rose. Quello è un mezzo masso e tu sei solo una bambina.
Gli aveva domandato una volta (prima che lui cominciasse a insegnarle che era più prudente non fare domande) quanto era costato. Lui aveva risposto con una scrollata di testa e un sorrisetto indulgente, il sorriso che rivolge un genitore al figlio che vuole sapere perché il cielo è blu o quanta neve c'è al Polo Nord. Lascia stare, le aveva detto. Accontentati di sapere che c'era da scegliere tra il sassolino e una Buick nuova. Io ho deciso per il sassolino. Perché ti amo, Rose.415
Qui chiede al proprietario, Bill Steiner, di valutare l’anello. Suo malgrado, l’uomo le apre gli occhi: la pietra che Norman ha spacciato per un diamante preziosissimo è soltanto uno
413 Ivi, p. 61. 414 Ivi, p. 74. 415 Ivi, p. 79.
zircone e, assieme alla montatura, potrebbe valere duecento dollari al dettaglio, cinquanta dollari nel suo negozio.
Era giovane, giudicò, forse sotto i trent'anni. Aveva i capelli lunghi, quasi alle spalle, e indossava un gilet blu di seta sopra una comune maglietta bianca. Trovò l'abbinamento singolare ma molto elegante.
Notò un movimento a sinistra. Si girò da quella parte e vide un signore di una certa età che, acquattato sul pavimento, passava in rassegna pile di libri in edizione tascabile sotto un cartello con la scritta LA VECCHIA ROBA BUONA. Intorno a lui si apriva a ventaglio il soprabito che indossava e poco distante la sua cartella, nera, di quelle di una volta, che cominciava a disfarsi lungo le cuciture, aspettava paziente come un cane fedele.416
La reazione di Rose alla notizia e al tentativo di consolarla del negoziante, dimostra quanto, in questo mese di nuova vita, la donna sia migliorata: invece di prenderla male, Rose fa una battuta.
«Tutto bene?» s'informò il gioielliere. Sembrava sinceramente preoccupato e, a guardarlo da molto vicino, Rosie si fece l'idea che fosse più sui venticinque che sui trenta.
«Diamine, non lo so», sbottò. «Probabilmente sì.»
Prese comunque un fazzoletto di carta dalla borsetta per premunirsi nell'eventualità di una crisi di pianto: erano giorni in cui non sapeva mai quando ce n'era una in arrivo. O viceversa un bell'attacco di ridarella; aveva avuto anche quelli. Sarebbe stato un piacere se avesse potuto evitare l'uno e l'altro estremo, almeno quella volta. Sarebbe stato bello uscire da lì avendo addosso ancora uno straccio di dignità.
«Spero di sì», commentò il gioielliere, «perché guardi che è in buona compagnia. Mi creda. Non ha idea di quante signore, signore come lei...»
«Oh, la smetta», lo interruppe Rosie. «Quando avrò bisogno di sostegno, mi comprerò un reggiseno rinforzato.» Mai in vita sua aveva detto qualcosa di lontanamente simile a un uomo (la battuta era sfacciatamente allusiva), ma d'altra parte non si era mai nemmeno sentita così in tutta la sua vita... come se stesse camminando nello spazio o correndo vertigi- nosamente su una fune sospesa, senza rete sotto. E comunque non era perfetto? Non era l'unico epilogo giusto al suo matrimonio? Io ho deciso per il sassolino, lo sentì dire nella mente; la sua voce vibrava di sentimento, i suoi occhi grigi erano addirittura un po' umidi. Perché ti amo, Rose.417
Rose ripone in modo signorile l’anello nella sua borsa e si dirige verso la porta a passo