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3) GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL BUSINESS PLAN

3.3 Il ruolo delle “Appendici”

Come anticipato in precedenza, un ruolo importante viene anche ricoperto dalle cosiddette Appendici d’approfondimento, all’interno delle quali vengono inserite informazioni aggiuntive che arricchiscono la trattazione di maggiori dettagli senza tuttavia appesantire la lettura principale né distogliere l’attenzione del lettore dal vero punto focale. Gli elementi di cui è buona norma fornire un maggiore dettaglio sono sintetizzabili nei seguenti argomenti chiave:

1) politiche finanziarie adottate;

2) supporto di eventuali private equity investors; 3) definizione del rischio finanziario ed economico; 4) valutazione e valorizzazione del capitale economico; 5) curriculum vitae dei dirigenti;

6) analisi della concorrenza;

7) proiezioni delle vendite per mercati e linee di prodotto; 8) ricerche di mercato svolte internamente o conto terzi; 9) analisi dei profitti per linea di prodotto.

Si ricorda che tale sezione rappresenta un approfondimento e non un ulteriore argomento di analisi e studio. Pertanto le informazioni fornite, dopo essere state filtrate dal soggetto Redattore in modo che siano non solo utili per il lettore ma anche direttamente connesse con l’argomento principale, serviranno per illustrare aspetti secondari dell’argomento di riferimento (Mariani, 2012a). Per esempio la struttura finanziaria della società avrà una sua sezione nella trattazione principale ma nell’appendice potranno essere inseriti altri dettagli come le politiche di finanziamento, di investimento e sui dividendi, le scadenze, i tassi di interesse e le commissioni passive connesse ai debiti, i giorni di dilazione concessi e quelli ottenuti, il ricorso al mercato dell’equity e molto altro ancora.

1- Politiche finanziarie adottate

Esse si dividono tra le politiche di finanziamento, di investimento e quelle dei dividendi (Smith, et al., 1991; McCobb, 2014; Baker, 2009; Frankfurter, et al., 2003). Riguardo alle prime due, è necessario individuare la giusta proporzione tra capitale proprio e debito (politica di finanziamento) che alimenti la creazione di valore (politica di investimento) da parte dell’impresa. Tale scelta deve essere fatta sulla base di elementi oggettivi, che sono le imposte (tanto in termini fiscali quanto di oneri finanziari), i costi di fallimento, le prospettive del mercato, le asimmetrie informative, l’età e la dimensione aziendale (le grandi imprese infatti hanno maggiori benefici dal credito rispetto a quelle medio piccole). Per quello che riguarda il terzo tipo di politica, la scelta di come impiegare gli utili prodotti negli anni ed accantonati a riserve disponibili di capitale spetta solo in capo al soggetto economico, il quale deve avere piena consapevolezza degli effetti interni ed esterni che andrà a produrre un tipo di politica piuttosto che un’altra; la compagine sociale può infatti optare per:

 la distribuzione degli utili prodotti negli esercizi precedenti, e nel qual caso i soci ne beneficeranno a “danno” dei creditori sociali i quali vedranno ridursi le proprie garanzie oltre ad assistere ad un’uscita di cassa che avrebbe potuto ripagare parte del debito. Inoltre, se la società ha strumenti di equity quotati sui mercati finanziari, lo stacco di dividendi comporta l’abbattimento del valore unitario delle azioni, con innegabili riflessi sull’immagine della società e sulla negoziabilità dei titoli stessi; infine si riducono le risorse da impiegare nell’impresa sotto forma di autofinanziamento proprio;

 il mantenimento degli utili prodotti a patrimonio, con conseguenze diametralmente opposte a quelle elencate al punto precedente.

2- Supporto di Private Equity Investors

Oggi esistono numerose imprese che si dedicano al finanziamento delle imprese fin dalle primissime fasi di sviluppo delle stesse; tra queste i Venture Capitalists occupano una grande posizione assieme alle figure dei Business Angel (Anderson, 2000) e delle Merchant Banks (Bruns, 2004). Per questi soggetti il fatto di poter derivare informazioni sulla fattibilità dell’operazione, in termini economico-finanziari, come quello di tracciare le implicazioni gestionali che ne possono scaturire e gli effetti sul livello di

rischio, diventa decisivo sia per la fase decisionale che per quella di comunicazione (Ford, et al., 2008; Stutely, 2008; Borello, 2009; Carriero, et al., 2010; Parolini, 2011). Il modo in cui viene erogato tale sostegno non è limitato al solo comparto finanziario, ma spesso e volentieri viene fornito know-how di spessore che possa fornire supporto nelle varie fasi della vita aziendale (personale, gestione del network, delle relazioni, analisi di mercato). Nel rapportarsi con un Venture Capitalist è bene predisporre alla perfezione l’Executive Summary del Business Plan che si andrà a presentare al fondo, poiché già da quello l’interlocutore rileverà gli elementi di interesse che potrebbero portarlo ad affiancarsi al progetto: l’analista del fondo cercherà determinati driver all’interno del documento, e sulla base di essi si farà un’idea sul valore esprimibile dal progetto (tra i quali si ricordano la qualità del team, l’analisi del prodotto, del mercato, della dimensione e del posizionamento competitivo, lo studio delle risorse necessarie, l’analisi del piano tecnico, di marketing e di quello organizzativo e infine la rischiosità e l’aderenza dei dati al vero). Al riguardo, alcuni testi (Litchblau, 2011; Zinkhan, 1990) sottolineano che un potenziale investitore cerchi in un’impresa le cosiddette “6 C”:

1) Character 2) Credit 3) Capital

4) Capacity 5) Collateral 6) Conditions

Le “6 C” sono un criterio, esportato dalla prassi bancaria, secondo il quale un finanziatore, prima di concedere un prestito ad un altro soggetto, dovrebbe valutarne alcune caratteristiche fondamentali, che sono rappresentate proprio dagli elementi di cui sopra. In particolare, quando si parla di:

1. Character si fa riferimento alla reputazione personale ed imprenditoriale del futuro debitore;

2. Credit si fa riferimento alla cosiddetta “Credit History”, ovvero alla storia dei rapporti creditizi intessuti fino al momento della valutazione;

3. Capital si fa riferimento alla quantità di rischio che il debitore è intenzionato ad assumere riguardo al motivo per cui chiede a prestito del denaro. Se il prestito rientra nell’attività di impresa, il finanziatore farà caso alla quantità di denaro che il debitore impiegherà per lo svolgimento del proprio business;

il finanziamento è connesso all’attività d’impresa, il finanziatore verificherà che questa sia in grado di produrre abbastanza cash flows sia per rifinanziare il circolante sia per rimborsare il prestito;

5. Collateral si fa riferimento alle garanzie, di solito reali, utilizzate per tutelare il finanziatore dall’eventuale futura insolvenza del debitore;

6. Conditions si fa riferimento alle condizioni finanziarie esistenti al momento dell’erogazione del finanziamento (come il tasso di interesse prevalente, gli importi medi richiesti, le condizioni generali del mercato creditizio).

3- Definizione del rischio finanziario ed economico

Il Business Plan può essere visto come un modello da utilizzare per valutare gli investimenti in condizioni di incertezza (Mariani, 2012a). L’analisi parte dall’individuazione delle due tipologie di rischio che il progetto dovrà affrontare in futuro, ovvero:

1) il rischio operativo, che esprime la variabilità del reddito operativo al variare dei volumi di vendita, risulta legato tanto a fattori endogeni (gestione caratteristica, politiche di investimento, strutture dei costi, diversificazione, numero fornitori) quanto a fattori esogeni (andamento mercato, variabilità domanda) ed è connesso sia al prodotto in quanto tale (materie prime, ciclo produttivo, qualità, leggi) sia all’impresa in generale (evoluzione tecnologica, governance, risorse umane, personale, successioni, etica aziendale, ambiente);

2) il rischio finanziario, che esprime la probabilità che l’impresa non possa onorare gli impegni di rimborso presi con i finanziatori nei modi, nei tempi e negli importi concordati, risulta legato alla struttura finanziaria dell’impresa, alla struttura dei tassi di interesse, alla redditività degli investimenti e della moneta nonché alle decisioni finanziarie prese per il medio e per il breve periodo, visto che si impatta con il primo sulla sostenibilità della struttura scelta mentre, con il secondo, sulla liquidità dell’impresa (che non deve mai essere inferiore ai livelli minimi imposti). Quando si parla di rischiosità finanziaria, dunque, si intende far riferimento alla volatilità del driver in esame, la quale è a sua volta determinata dal rischio di tasso (variazioni nella struttura dei tassi di interesse), dal rischio di cambio (se le poste sono espresse in valuta estera) e dal rischio di credito (che è il cosiddetto “leverage” finanziario).

L’analisi del livello di rischio può servirsi dei seguenti strumenti:

1) Break Even Point, strumento semplice e di facile utilizzo che determina il livello minimo di produzione affinché l’impresa pareggi i costi con i ricavi: il superamento di tale punto/obiettivo è visto di buon occhio da parte dei finanziatori esterni, soprattutto se di private equity. Infatti promuovere un progetto che mira ad aggredire una quota di mercato che promette livelli soddisfacenti delle vendite rispetto a quelli minimi calcolati con la Break-Even Analysis, lascia intendere che l’operazione possa autofinanziare quanto meno la dinamica del circolante;

2) Indicatori Economici, Finanziari e Patrimoniali, invece, sono ottimi strumenti di analisi che devono essere accuratamente studiati dal management al fine di identificare nel minor tempo possibile potenziali tensioni interne. Infatti, nessun indicatore da solo è in grado di definire le caratteristiche del progetto (ovvero, se è remunerativo, rischioso, diversificabile o liquido), ma lo studio combinato di questi, unito ad ulteriori informazioni interne di cui il management dovrebbe disporre, può delineare con un buon grado di approssimazione la situazione in cui l’intero progetto si può trovare. Alcuni indici fondamentali sono il “Rapporto di indebitamento” (Debiti / Capitale Investito), “Indebitamento finanziario” (Debiti Finanziari / Totale Debiti), “Indebitamento finanziario a breve” (Debiti Finanziari a breve / Totale Debiti Finanziari), “Turnover” (Sales / Capitale Investito), “Struttura del secondario” (Totale Capitale Permanente / Totale Attivo Immobilizzato), “Quoziente secondario di tesoreria” (liquidità + liquidità differita + rimanenze / Passivo a breve), “Quoziente primario di tesoreria” (liquidità / Passivo a breve), ROE, ROI, ROS, “Oneri Finanziari / Margine Operativo Netto” , “Rigidità della gestione” (Valore Aggiunto / Fatturato), “Ciclo del circolante”, “Giorni di dilazione media ai clienti”. Tutti gli elementi fin qui raccolti dovranno essere combinati per ottenere una visione più chiara e nitida della cosiddetta Dinamica Finanziaria, ovvero il modo in cui si uniscono le politiche di investimento con quelle di finanziamento, perché è da queste che si origina la cassa. L’analisi di questo elemento è di cruciale importanza poiché permette non solo di quantificare i cash flows prodotti, ma anche di collocarli temporalmente in modo da poter allineare al meglio le uscite con le entrate ed evitare così tensioni di liquidità (Mariani, 2012a).

Infine, le informazioni di natura quantitativa dovranno essere corredate da indicazioni di tipo qualitativo sulla presenza di altri tipi di possibili rischi che potrebbero annullare gli effetti sinergici, come ad esempio i rischi di tipo organizzativo e culturale che incidono a fondo nelle operazioni cross-border (Mariani, 2012a). A tale proposito, l’investitore potrebbe essere interessato ad un approfondimento sul rischio di default, analizzando il rischio di insolvenza attraverso vari modelli predittivi, quali lo Z-score di Altman ed evoluzioni successive (Altman, 2000; Altman, et al., 2007; Poddighe, et al., 2006; Mariani, 2012b). Il differenziale di rischio prodotto dall’operazione sulle strutture coinvolte rappresenta un elemento discriminante nella valutazione del N.P.V. (Net Present Value) e, ai fini conoscitivi, l’analisi s’incentra sul grado di indebitamento dell’azienda bidder, pre e post operazione, e sul costo del debito, tutti elementi che emergono tipicamente dall’analisi per indici inclusa nel Business Plan (Zanetti, 2000).

4- Valutazione e valorizzazione del capitale economico.

A completamento di questa sezione, si può inserire nel Business Plan una breve ma accurata valutazione dell’investimento fatta tramite i metodi estratti dal Capital Budgeting come il VAN o il TIR. Questi due strumenti possono anche essere utilizzati come indicatori della redditività del progetto. Il VAN (acronimo per Valore Attuale Netto) indica il valore prodotto dal progetto al netto dell’investimento iniziale: si procede attualizzando i cash flows futuri con un tasso di sconto coerente per poi confrontare il valore ottenuto con quanto si è investito nel progetto al tempo T0. Il TIR (acronimo per Tasso Interno di Rendimento) rappresenta invece il tasso composto annuale di ritorno effettivo che un investimento genera e, in termini tecnici, rappresenta il rendimento del progetto: quando il TIR risulta maggiore del M.A.R.R. (acronimo per Minimum Attractive Rate of Return), ovvero il tasso di rendimento normalmente ottenuto dall’azienda, il progetto produce ulteriore valore e viene pertanto intrapreso (Mariani, 2012a; Lang, et al., 1993). L’utilizzo delle “Appendici” serve proprio per non appesantire la trattazione principale con la descrizione dettagliata della sensitivity che ha portato alla stima di quello specifico valore, senza tuttavia eliminare quegli aspetti nozionistici che il potenziale lettore potrebbe essere interessato ad approfondire.

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