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Il ruolo del Business Plan nelle operazioni di expansion: un caso di studio

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

IL RUOLO DEL BUSINESS PLAN

NELLE OPERAZIONI DI EXPANSION

Analisi di un caso di studio

Candidato:

Di Nasso Davide

Relatore:

Prof.ssa Mariani Giovanna

Anno Accademico: 2014/2015

Tesi di Laurea Magistrale

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Alla mia Principessa

Alla mia Famiglia

E a Mia

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SOMMARIO

1) IL BUSINESS PLAN NEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE ... 4

2) IL BUSINESS PLAN COME STRUMENTO TRASVERSALE... 12

2.0 Introduzione ... 12

2.1 Supporto nelle operazioni di expansion... 12

2.2 Il Business Planning nelle start-up... 16

2.3 Supporto in altre operazioni di finanza straordinaria ... 18

3) GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL BUSINESS PLAN ... 20

3.0 Introduzione ... 20

3.1 Modalità di predisposizione del Business Plan: elementi comuni ... 21

3.2 Il contenuto del Business Plan: elementi specifici ... 23

3.2.1 La “Fattibilità Esterna” ... 23

3.2.2 La “Fattibilità Interna”... 26

3.2.3 La “Fattibilità Patrimoniale, Economica e Finanziaria” ... 28

3.3 Il ruolo delle “Appendici” ... 29

4) IL CASO DI STUDIO: IL GRUPPO ALPHA... 35

4.0 PREMESSA ... 35

4.1 L’EXECUTIVE SUMMARY: Obiettivi e Caratteristiche ... 35

4.2 LA FATTIBILITÀ ESTERNA ... 36

4.2.1 Il settore di appartenenza ... 36

4.2.2 Analisi della domanda... 48

4.2.3 Analisi dell’offerta ... 54

4.3 LA FATTIBILITÀ INTERNA... 59

4.3.1 Analisi dell’impresa ... 59

4.3.2 Analisi della tecnologia ... 64

4.3.3 Analisi della struttura organizzativa ... 68

4.4 LA FATTIBILITÀ PATRIMONIALE, ECONOMICA E FINANZIARIA... 70

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5) CONCLUSIONI ... 93

6) RINGRAZIAMENTI... 94

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1) IL BUSINESS PLAN NEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE

Le più recenti esperienze in materia di business planning hanno evidenziato come la fase di predisposizione di questo documento abbia preso sempre più terreno nel corso dell’ultimo decennio. Il motivo per cui la pianificazione aziendale è cresciuta a tali livelli di importanza è da ascrivere anche alla positiva correlazione che è stata riscontrata nelle operazioni di successo in cui tale procedura è stata predisposta. Infatti, un simile processo, da verificare in cicli di uno, due e cinque anni, consente di definire priorità strategiche, obiettivi, vision, valutazioni della situazione interna ed esterna, analisi dei fattori critici di successo, iniziative specifiche per i prodotti/servizi offerti e strumenti di misurazione delle performance. La pianificazione è d’obbligo per il successo in qualsiasi tipo di attività; un documento a ciò preposto, anche se informale, è uno strumento necessario affinché il gruppo di comando mantenga la dovuta attenzione sugli obiettivi aziendali e sappia gestire le operazioni quotidiane ad essi correlate (ASQ, Jan2016; Niemand, 2013). Esistono diversi modi di affrontare il processo di pianificazione ed ognuno di questi presenta caratteristiche ed elementi specifici tali per cui è doveroso porsi il dubbio su come voler procedere in merito:

1. attraverso un processo di “Break Even” è possibile ottenere un primo screening tra diverse alternative al fine di testare le assumptions direttamente sul mercato. Obiettivo di questo documento è quello di verificare la vitalità del business, il suo costo è di norma molto contenuto (sui 100 € circa) ed è per questo che ben si presta per un’analisi superficiale dell’attività, magari adatto per quelle imprese che comunque hanno già conoscenza del mercato, della concorrenza, del prodotto e della struttura organizzativa necessaria. Il documento si compone in media di una pagina e richiede circa un giorno per la sua stesura (Cafferky, et al., 2014). 2. attraverso un processo di “Going Concern” è possibile redigere una prima serie

di documenti previsionali al fine di rivedere ed estendere le assumptions di base. Questo documento ha come obiettivo quello di verificare la flessibilità del progetto, un costo che inizia ad essere rilevante (fino a 1.500 € circa) ed è indicato per quelle aziende che, per quanto abbiamo una piena padronanza degli elementi propri del loro business, non hanno una strategia ben definita da seguire e non

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riescono a leggere con chiarezza le dinamiche di mercato. Il documento si compone dalle 3 alle 5 pagine e richiede circa tre giorni per la sua stesura (Antonelli, et al., 2012).

3. attraverso uno “Studio di Fattibilità” è possibile redigere documenti previsionali suddivisi per scenari al fine di verificare la fattibilità del progetto al variare dello scenario di riferimento. Questo documento ha come obiettivi sia quello di definire il mercato potenziale sia quello di offrire un’analisi più approfondita sugli aspetti sopra citati, ha un costo abbastanza elevato (tra 1.500 € e 5.000 € circa) ed è per questo che è adatto a quelle imprese che non hanno elevata profondità di analisi e necessitano di essere indirizzate sulla maggior parte degli aspetti decisionali. Il documento si compone in media di 10 pagine e richiede all’incirca 30 giorni per la sua predisposizione (Carriero, et al., 2010).

4. attraverso il “Business Plan” è possibile redigere un progetto dettagliato e corredato di un piano finanziario al fine di verificare la strategia di base e svilupparla dentro i possibili scenari stimati. Questo documento si prefigge l’obiettivo di predisporre un piano industriale, finanziario ed operativo per il lancio di un business per il quale il team decisionale deve definire ogni aspetto, strategia compresa (è per questo che vengono analizzati più scenari). Avendo un costo elevato (oltre i 10.000 € circa), è indicato per quelle imprese che si affacciano su business o aree di mercato completamente sconosciute e per le quali manca quell’acuta sensibilità di analisi che rappresenta il punto di forza di un’azienda moderna. Il documento si compone dalle 25 alle 30 pagine e richiede dai 40 ai 60 giorni per il suo completamento (Mariani, 2012a).

È quindi chiaro che non sempre il Business Plan è la risposta giusta per un processo di pianificazione: infatti bisognerebbe soffermarsi sulle finalità che si intendono perseguire sulla base delle informazioni che si possiedono, dal momento che il ricorso a questo genere di documento deve essere valutato non solo per la capacità di analisi e la visione d’insieme che vengono messe a disposizione, ma anche per i tempi e i costi del progetto che potrebbero renderlo più inefficace di quanto preventivato. In linea generale il plus informativo che questo documento è in grado di apportare al processo di pianificazione si riassume (Mariani, 2012a):

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 nel poter predisporre la pianificazione fin dai suoi primissimi passi;

 nel bagaglio informativo e culturale che viene raccolto e che resta in possesso dell’imprenditore;

nella definizione puntuale del fabbisogno finanziario, della sequenza e del timing delle azioni da dover svolgere lungo l’intero processo.

L’elemento che quindi contraddistingue questo documento rispetto agli altri è proprio il bagaglio di informazioni che resta a completa disposizione dell’organo di comando e che dovrà essere utilizzato in corso d’opera; sul punto in questione la dottrina si è scissa in due filoni di pensiero, uno dei quali (Kuehn, et al., 2009; Brinckmann, et al., 2010; Lewitt, et al., 1988; Sahalmn, 2007; Timmons, et al., 2007; Lee, et al., 2004) lo ritiene sostanzialmente inutile per l’imprenditore, specialmente nelle fasi di avvio dell’attività produttiva, poiché il Business Plan ingesserebbe il pensiero creativo e duttile dell’imprenditore e gli assorbirebbe tempo prezioso che dovrebbe essere dedicato ad aspetti più qualificanti e sostanziali per un’impresa in start-up (ad esempio creazione della supply chain, espandere il proprio mercato, individuare la clientela e via dicendo). Il secondo (Borges, et al., 2013; Armstrong, 1982; Karlsoon, et al., 2009; Pinch, et al., 2003; Howells, 2002), invece, ne promuove la validità, soprattutto dal punto di vista della comunicazione che si può istaurare con i diversi interlocutori; in quest’ottica il Business Plan diventa un documento strategico, che legittima l’esposizione del business all’esterno e che permette importantissimi step di autoanalisi, scheduling e monitoring sulle attività stesse (Mariani, 2012a; Schaefer, 2011; Gendrom, 2004; Carriero, et al., 2010; Ford, et al., 2008; O’Connor, 1998). Entrambe le tesi hanno elementi validi a sostegno che ne avvalorano il messaggio e lo spunto di riflessione che sottendono. Per tentare di dare prova pratica della validità del Business Plan, come afferma il secondo filone di pensiero sopracitato, si andrà ad analizzare più avanti un caso teorico riguardante un gruppo fittizio operante nel settore dell’e-mail marketing.

La dottrina che si è interessata all’argomento della pianificazione aziendale ha definito il Business Plan come quel documento che motiva, analizza, valuta ed, infine, riassume l’attività che si desidera intraprendere o lo sviluppo che si vuole imprimere ad un’impresa già esistente (Mariani, 2012a; Sarasvathy, 2001). Già da questa definizione si dà evidenza di come, attraverso il Business Plan, si possa costruire in modo puntuale

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l’intera operazione, definendone le singole fasi dal punto di vista temporale e specificando le risorse necessarie al raggiungimento dei vari obiettivi; l’importanza strategica di questo documento risiede, pertanto, proprio nella sua inestimabile valenza informativa, esprimibile tanto all’esterno quanto all’interno dell’impresa.

Il primo a dover usufruire del Business Plan è proprio l’imprenditore o il team preposto alla redazione dello stesso dal momento che, tra le sue funzioni principali, c’è proprio quella legata all’autovalutazione, intesa in questo ambito come “studio di fattibilità”. Con ciò si vuol fare riferimento ad un processo di indagine approfondita finalizzato all’ottenimento di informazioni complete, alla descrizione puntuale di tutto il progetto, all’analisi dettagliata di ogni aspetto rilevante ed alla redazione delle analisi strategiche e dei piani operativi. Nel tentativo di definire in modo più preciso cosa si intenda con valore comunicativo interno del Business Plan, la dottrina principale (Borello, 1999) ritiene che il valore interno di questo documento si concretizzi nell’insieme di vantaggi per merito dei quali, trovandosi ad analizzare nel dettaglio tutte le attività necessarie per il suo business prima che questo sia effettivamente sviluppato, l’imprenditore ha la possibilità di:

1) identificare eventuali difficoltà altrimenti imprevedibili con analisi superficiali; 2) simulare diversi interventi di adattamento a seconda dei possibili scenari;

3) individuare, infine, le soluzioni più adeguate ai vari problemi che potrebbero insorgere (Karlsoon, et al., 2009).

Inoltre il Business Plan, mirando alla condivisione delle scelte imprenditoriali con tutti gli interlocutori interessati (Baccarani, 2009; Lumpkin, et al., 1998), è in grado di diffondere un profondo senso di fiducia verso il progetto (Baccarani, 2009; Hormozi, et al., 2002): tutto questo è possibile non solo perché si riesce a cogliere appieno la visione globale, ma soprattutto perché si è in grado di rilevare preventivamente le fasi critiche del processo, i momenti di interazione tra i vari step ed i vari obiettivi da perseguire. Ovviamente questo risultato può essere raggiunto solo se le informazioni a disposizione sono le più aggiornate, e sulla base di queste ultime è necessario che tutto il business venga riconsiderato nelle sue parti critiche: immaginiamo che un’impresa operante nel settore della gioielleria voglia intraprendere il business legato a prodotti in lega di titanio; se le analisi iniziali prevedevano un progetto che creasse valore per l’azienda,

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un’informazione nuova, come l’aumento del costo del titanio alla produzione, la riduzione della domanda da parte del pubblico o eventuali disposizioni normative che limitano il commercio di questo materiale, deve essere tempestivamente integrata nel modello per arrivare a definire la reale capacità del business di produrre valore. In altre parole, durante la fase di stesura del Business Plan, il soggetto redattore deve porsi una serie di domande critiche a cui deve cercare di dare la risposta più adeguata, la quale, non prestandosi mai a definire fattispecie statiche o immutabili, deve essere tempestivamente integrata con le informazioni più aggiornate e veritiere al fine di riallineare il modello con la nuova situazione che è andata via via delineandosi (e questo si tradurrà nel modificare la strategia, il target di mercato, il segmento di clientela, le operazioni pianificate o quelle in svolgimento). Da quanto finora detto, è facile capire quanto il Business Plan possa essere importante anche per le imprese già avviate (Going Concern), dal momento che il cospicuo insieme di informazioni di cui possono usufruire, e che deriva dal loro background storico, permette loro di edificare le assumptions e le diverse ipotesi di sviluppo in maniera ancora più dettagliata e analitica. Rispetto quindi ad un’impresa in fase di avvio, un’entità da tempo attiva sul mercato che utilizza il Business Plan come strumento di pianificazione ha modo di metabolizzare ancora più velocemente le linee strategiche e le attività operative dell’iniziativa, per poi utilizzare lo stesso come strumento di report e di riscontro a consuntivo; risulta, pertanto, uno strumento dinamico e pro-attivo, dal momento che la sua predisposizione viene fatta non tanto per seguire gli eventi, quanto per prevederli al fine di adottare in tempi rapidi e contenuti le strategie più idonee. Quanto finora detto prescinde dalla indiscutibile capacità di ampliare notevolmente le potenzialità comunicative relative al progetto che si intende sviluppare: quando tutto questo si traduce in un documento chiaro, preciso e trasparente, esso è in grado di rendere credibili le strategie operative, finanziarie ed organizzative dell’impresa agli occhi dei terzi soggetti esterni superando in concreto il problema delle asimmetrie informative (Mariani, 2012a). L’importanza comunicativa del Business Plan viene posta al centro del lungo dibattito di cui si accennava nelle prime parti di questo capitolo, uno scontro tra coloro che lo ritengono uno strumento pressoché inutile per l’imprenditore (soprattutto nella fase di avvio dell’impresa) e coloro che invece ne sostengono la validità: questi ultimi si suddividono

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a loro volta in quelli che valorizzano la veste conoscitiva interna (Kuehn, et al., 2009; Brinckmann, et al., 2010; Lewitt, et al., 1988; Sahalmn, 2007; Timmons, et al., 2007), in quelli che lo vedono come un mero strumento di comunicazione esterno (Hormozi, et al., 2002; Baccarani, 2009; Carlesi, 1999; Lee, et al., 2004) ed, infine, in coloro che apprezzano entrambi questi aspetti congiuntamente (Karlsoon, et al., 2009; Mariani, 2012a). A sostegno delle proprie idee, la parte della dottrina contraria all’utilizzo di questo documento (Perry, 2001; Liao, et al., 2006):

 ritiene che il Business Plan sia uno strumento privo di utilità, soprattutto per le imprese in fase di start up per le quali il lavoro di pianificazione siffatto potrebbe addirittura ingessare la spinta virtuosa e creativa dell’imprenditore, sottraendogli tempo prezioso che invece dovrebbe essere utilizzato in modi più proficui (Bewayo, 2010; Lewitt, et al., 1988);

 sottolinea come il Business Plan, essendo un documento che si basa su stime e previsioni, non possa che fornire una idea vaga del reale futuro dell’attività, e questo comporterebbe un’eccessiva fiducia nel progetto non solo da parte di terzi ma anche da parte dell’imprenditore stesso;

focalizza l’attenzione sul time consuming di cui la redazione del Business Plan avrebbe bisogno, soprattutto se confrontata con realtà time sensitive dove ciò che conta non è tanto la pianificazione quanto la reattività (Lee, et al., 2004);

 evidenzia il gran quantitativo di costi espliciti ed impliciti nel dedicare tempo e risorse alla fase di pianificazione del business.

Sul versante opposto, il secondo filone di pensiero attribuisce al Business Plan un ruolo fondamentale nella creazione di valore “conoscitivo”, intendendo con ciò la capacità di fornire le linee guida per la gestione di un business di successo nei confronti di tutti i soggetti, tanto esterni quanto interni all’azienda: i primi infatti recepiscono tutta una serie di informazioni che altrimenti resterebbero a loro ignote, mentre i secondi potrebbero ricorrere ad esso come strumento di learning-by-doing.

Secondo questo filone di pensiero gli elementi positivi del Business Plan riguardano:  il ruolo di “segnalatore di direzione”, come se fosse una bussola, una roadmap;  il compito di legittimare le azioni dell’imprenditore in chiave prospettica;

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 il ruolo attivo svolto nel processo di revisione e pianificazione aziendale;

 la creazione del valore con lo stimolo di due driver, cioè esperienza e conoscenza;  lo stimolo alla legitimacy, che è la raccolta del consenso (Karlsoon, et al., 2009);  l’impatto positivo sulle performance economiche e finanziarie, soprattutto se

l’impresa non è dotata di dimensioni rilevanti.

Risulta evidente quindi che il Business Plan, secondo questa accezione, apporti numerosi contributi al processo di creazione di valore. Infatti:

1) alcuni testi anglosassoni (Shane, et al., 2004; Bracker, et al., 1986) affermano il contributo positivo del Business Plan sulle performance aziendali soprattutto se è redatto a scopo valutativo e se i dati riportati sono utilizzati in chiave operativa; 2) la pianificazione incide positivamente sulle performance dell’azienda dal momento che il dinamismo del documento permette all’imprenditore di testare le sue idee e di correggere tempestivamente gli errori;

3) è possibile riscontrare un impatto positivo sull’efficienza operativa in termini di qualità e quantità, facendo sempre riferimento agli obiettivi da raggiungere (Miller, et al., 1994; Robinson, et al., 1983).

Abbracciando questo filone di pensiero, è opinione condivisibile ritenere che lo scopo del Business Plan sia quello di formulare per il team imprenditoriale le ipotesi di fattibilità del progetto, svilupparle ampiamente e, infine, trasmettere ai diversi interlocutori interessati le informazioni necessarie per consentire loro di esprimere un giudizio completo su quattro aspetti fondamentali (Mariani, 2012a):

1) Fattibilità imprenditoriale del progetto; 2) Fattibilità sul piano esterno;

3) Fattibilità sul piano interno;

4) Fattibilità Economica / Finanziaria / Patrimoniale.

Dal momento che chi redige il documento ha anche la responsabilità del soggetto decisionale, è bene che venga predisposto da soggetti interni all’azienda, siano essi il team imprenditoriale promotore, il management oppure l’imprenditore stesso; un soggetto esterno, per quanto riesca a calarsi nella realtà aziendale, resterà comunque un consulente, e proprio questo sarà il limite del suo contributo alla fase di pianificazione.

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Con questo si vuole sottolineare che, per quanto sia fondamentale il supporto di soggetti preparati e competenti nelle proprie materie (finanza, marketing, personale, area vendite), l’impronta e la linea da seguire devono essere date dall’organo decisionale e di controllo poiché solo quest’ultimo è in grado di calare le prospettive e le assumptions dei professionisti all’interno del caso concreto.

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2) IL BUSINESS PLAN COME STRUMENTO TRASVERSALE

2.0 Introduzione

Un elemento di cui è fondamentale sottolineare l’importanza è quello legato alla duttilità di questo documento, utilizzabile in situazioni ben diverse tra loro ed ognuna caratterizzata da finalità e vincoli ben specifici. Pertanto nelle pagine seguenti si analizzerà il Business Plan dal punto di vista della sua importanza informativa; uno dei suoi principali compiti, infatti, non è solo quello di comunicare con i terzi le caratteristiche del progetto ma anche quello di migliorare i sistemi di report interni, di scheduling e di controllo di gestione. Verranno analizzate di seguito le specificità del processo di pianificazione all’interno delle diverse possibili situazioni aziendali, approfondendo in modo più dettagliato le caratteristiche connesse alle imprese in fase di expansion [§2.1], essendo strettamente connesse con il caso affrontato, accennando brevemente gli aspetti legati alle imprese di nuova costituzione [§2.2] e, infine, analizzando sommariamente i casi residuali di pianificazione in caso di IPO e di turnaround [§2.3].

2.1 Supporto nelle operazioni di expansion

Un’impresa che si trova in questa fase può contare su una mole di informazioni molto più ampia rispetto ad una impresa di nuova costituzione, migliorando così il processo di stima e riducendo il livello di incertezza complessivo; la possibilità di analizzare il trend storico dei risultati permette, infatti, di verificare fin da subito la coerenza delle previsioni con l’effettiva sostenibilità del progetto (Mariani, 2012a). In particolare:

 dal punto di vista della Fattibilità imprenditoriale, le informazioni storiche servono come prova a sostegno della validità del team al comando e delle strategie che decide di intraprendere;

 dal punto di vista della Fattibilità esterna, le informazioni storiche permettono uno screening più profondo della concorrenza e del mercato, fino quasi ad intuire i trend del prossimo futuro sulla base degli eventi precedenti;

 dal punto di vista della Fattibilità interna, le informazioni storiche avvantaggiano l’impresa da momento che gli input relativi alle risorse tecniche, agli investimenti aggiuntivi, al network di riferimento e via dicendo sono già a disposizione;

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 dal punto di vista della Fattibilità economico-finanziaria, le informazioni storiche e la struttura finanziaria adottata dall’impresa svolgono un ruolo fondamentale, ma a questi si dovranno poi aggiungere la definizione puntuale del fabbisogno finanziario ed una stima il più veritiera e coerente possibile con il valore creato per gli azionisti (Mariani, 2012a; Bigelli, et al., 2004; Weber, et al., 2012; Lumpkin, et al., 1998).

Nelle acquisizioni/fusioni di imprese, l’impresa “bidder”, ovvero quella che attiva il processo, deve svolgere molteplici valutazioni. Al fine di definire con precisione il prezzo dell’acquisizione, essa dovrà infatti quantificare: il livello di risorse di cui avrà bisogno per sostenere l’operazione, il valore che si ipotizza verrà creato con il progetto ed il rischio complessivo. In questi frangenti il Business Plan ricopre un ruolo fondamentale perché permette di verificare la cosiddetta compatibilità finanziaria, che rappresenta la verifica della sostenibilità, nel medio-lungo termine, dell’impegno finanziario assunto per avviare il progetto. A seguire verrà analizzato il ruolo ricoperto dal Business Plan all’interno di una possibile operazione di M&A, studiandone il contenuto, le modalità espositive e le finalità da perseguire.

Innanzitutto il documento deve contenere una serie di informazioni sulle unità target e sugli eventuali partners, indicando pro e contro dell’operazione insieme ai differenziali rispetto ad uno sviluppo autonomo delle due realtà aziendali. Questo comporta lo studio delle aree di complementarietà e di sovrapposizione in modo da far emergere le sinergie che si possono realizzare: queste ultime ricoprono un ruolo di primaria importanza in un’operazione di finanza straordinaria poiché esse rappresentano il plusvalore che da questa si genera rispetto alla somma delle singole unità coinvolte. In un certo senso le sinergie, se positive e opportunamente sfruttate, si traducono in una serie di benefici (operativi, finanziari e fiscali) in grado di sbaragliare la concorrenza e di portare ad ottimi risultati in tempi davvero contenuti.

È inoltre una buona abitudine procedere alla raccolta di tutte le informazioni quali-quantitative ritenute indispensabili tanto per la definizione del processo decisionale, degli strumenti guida e di quelli di controllo, quanto per la riformulazione in tempi rapidi delle strategie in base ai possibili scenari ipotizzati. Riguardo a quest’ultimo punto, è bene fornire ogni elemento circa le strategie perfezionabili ed i costi di integrazione,

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avendo ben presente che sulle prime è necessario mantenere il più stretto riserbo a seconda degli interlocutori cui il documento è rivolto.

Sul piano della Fattibilità imprenditoriale, nel Business Plan si dovrà evidenziare la presenza del know-how necessario per imbastire il progetto: in sostanza si deve focalizzare l’attenzione sui punti di forza e di debolezza dell’impresa nonché sulle competenze chiave (la cosiddetta S.W.O.T. Analysis); si dovrà anche ricorrere a strumenti in grado di valutare l’attrattività del business ricorrendo ad apposite matrici che determinano, in seconda analisi, anche il posizionamento sul mercato dell’impresa non solo rispetto al principale competitor ma rispetto alla concorrenza in generale. Sul piano della Fattibilità interna, le scelte ricadranno sul mantenimento o meno dell’assetto originario in relazione a tutti quei fattori che determinano la struttura organizzativa dell’impresa (supply chain, fattori produttivi, marketing e via dicendo); trovandosi in un’operazione di M&A si dovranno, per forza di cose, tenere in considerazione anche gli aspetti dell’impresa controparte per poter definire con precisione le aree di complementarietà, di sovrapposizione e quegli aspetti da cui possono scaturire delle sinergie.

Sul piano della Fattibilità esterna il punto di partenza rimane un’approfondita analisi del mercato: riuscire a cogliere i driver del valore, le leve competitive e le criticità che caratterizzano il settore potrebbe avvantaggiare notevolmente l’impresa nei confronti della concorrenza. Ovviamente tutto questo non può prescindere da una segmentazione del mercato di riferimento condotta a partire da dati messi a disposizione da fonti ufficiali riconosciute; a questo punto si deve determinare il posizionamento competitivo dell’azienda in relazione ai bisogni dei clienti, sia attuali che potenziali; infine si procede a identificare la quota di mercato prospettica usando come punto di partenza la quota attuale.

Sul piano della Fattibilità economico-finanziaria, il Business Plan dovrà focalizzare l’attenzione sui flussi prospettici, sul fabbisogno finanziario e sull’implementazione delle strategie di sviluppo elaborate dal vertice aziendale. In questo modo sarà possibile ottenere il valore stand alone dell’impresa target da cui far poi discendere, a cascata, le possibili proposte di prezzo e di finanziamento della M&A stessa. Quello che deve essere maggiormente tenuto sott’occhio è il fabbisogno a breve legato alle dinamiche

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del circolante, perché la problematica più insidiosa in questo genere di operazioni è rappresentata dalla possibilità di trovarsi in una carenza di liquidità tale da non riuscire a far fronte agli impegni correnti. Si dovrà poi passare a stimare i flussi differenziali che l’operazione promette di realizzare (ovvero i flussi incrementali attesi a seguito della M&A) e per fare ciò bisogna saper identificare e quantificare le sinergie sviluppabili in concerto con l’impresa target a seguito dell’operazione. Le sinergie possono essere di quattro tipi, ovvero: operative, che si traducono in un aumento dei cash flows operativi a seguito di maggiori volumi, economie di scala / scopo / integrazione e via dicendo; finanziarie, che determinano un incremento dei cash flows netti a seguito di minore rischiosità, diversificazione delle fonti, accesso a mercati finanziari più favorevoli ed economici; fiscali, che dipendono tanto dalla possibilità di godere di scudi fiscali aggiuntivi rispetto alla sola deducibilità degli oneri finanziari quanto anche dalla normativa fiscale; infine quelle legate ad opzioni future, che sono collegate non tanto ai flussi ottenibili quanto ad elementi strategici che però permetteranno all’impresa di scalzare la concorrenza in breve tempo. Ovviamente le sinergie richiedono dei costi per essere attivate e di questi è necessario avere cura per capire il limite di economicità di una determinata sinergia (Mariani, 2012a; Deutsch, et al., 2011; Marafioti, 2005; Baccarani, 2009). Qualora il Business Plan sia redatto per uno specifico investitore, è corretto inserire anche ulteriori informazioni come benchmark di mercato, le possibili way-out così come i ritorni potenziali.

Infine bisognerà soffermarsi sul Profilo di rischio dell’operazione, inteso come variabilità dei ricavi (rischio di mercato), leva operativa e leva finanziaria. Su questo punto specifico è bene che vi si soffermi a lungo l’attenzione del redattore poiché un eventuale investitore darà molto peso alla rischiosità finanziaria dell’operazione; la sua valutazione, pertanto, dovrà tenere in considerazione alcuni ratios ritenuti davvero significativi (come il Debt/Eq, FCFO/Debt, MOL/Sales, EBITDA Margin, e tutti gli indicatori del circolante). Altro aspetto importante da non sottovalutare è il mix delle fonti di finanziamento, il quale deve essere consono al progetto che si sta imbastendo: pur trattandosi di imprese già operanti, e quindi con un ventaglio di possibilità più ampio di quello disponibile per una start-up, vi sono alcune problematiche che potrebbero ostacolare la buona riuscita del progetto (si pensi al caso in cui un investitore esterno

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apporti solo fondi, ovvero si inserisca nella definizione delle strategie dell’impresa, oppure si pensi a progetti di “cluster venture” o sviluppo a rete, o ancora si pensi ai cosiddetti “bridge financing” finalizzati alla quotazione in borsa), elementi che rendono necessario predisporre una due diligence accurata. Per quanto attiene al rischio di progetto, invece, si dovranno considerare altri indicatori utili come l’IRR (o tasso interno di rendimento), il BEP (o punto di pareggio dei costi con i ricavi) o ancora il NPV (o valore attuale netto) (Mariani, 2012a; Weber, et al., 2012; Piana, 2012).

2.2 Il Business Planning nelle start-up

Uno degli elementi più critici delle start-up è legato al problema dell’improvvisazione, termine con cui si indica la situazione in cui l’imprenditore non segue una linea di condotta omogenea e coerente con il business per la mancanza di una corretta pianificazione. Le fasi d’avvio di una qualsiasi impresa, da predisporre fin dai primissimi momenti, ancora prima che l’impresa venga alla luce, sono rappresentate brevemente di seguito e di esse si descrivono gli elementi peculiari e caratteristici: a. Early Stage → nella “Seed Phase” nasce l’idea imprenditoriale e lo scopo è quello

di effettuare ricerche e approfondire i temi cruciali;

→ nella “Start-up Phase” si procede alla creazione dell’impresa, allo sviluppo del prodotto, al contatto con il mercato (pur non facendone ancora parte integrante);

→ nella “First Stage” l’impresa lancia i prodotti sul mercato senza ottenere profitti (Mariani, 2012a; Wilson, 2013).

La Early Stage è di cruciale importanza in quanto tutte le decisioni qui assunte condizioneranno fortemente il futuro dell’azienda.

b. Later Stage → nella “Second Stage” si mantiene stazionario il livello di profitto della fase precedente ma l’attenzione si sposta sul capitale circolante; → nella “Third Stage” si assiste alla crescita dell’impresa e al raggiungimento (a volte anche al superamento) del Break Even Point; → nel “Bridge Loan” si maturano le posizioni ed i risultati conseguiti per andare verso una possibile IPO o quotazione in borsa (Schwienbacher, 2013; OECD, 2015).

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Il valore conoscitivo del Business Plan per le start-up è di gran lunga più importante di qualunque altro scopo per il quale il documento è stato redatto: da un punto di vista interno infatti serve tanto come strumento di autovalutazione per il soggetto economico, dal momento che grazie ad esso è possibile intervenire tempestivamente su eventuali errori che hanno generato degli scostamenti dagli obiettivi fissati, quanto come strumento con cui diffondere il messaggio imprenditoriale e creare senso di appartenenza nel gruppo di lavoro.

Per i contenuti, invece, sul piano della Fattibilità Imprenditoriale verranno valutate le capacità individuali che i singoli componenti del team dovranno apportare per realizzare il progetto, mentre gli elementi più critici saranno la definizione del mercato potenziale e del bisogno da soddisfare. Sul piano della Fattibilità Esterna, si dovrà investire in due diligence, mappare la concorrenza e definire la posizione raggiungibile nel mercato di sbocco. Gli elementi critici della Fattibilità Interna saranno la valutazione del rischio e dei punti di forza, la definizione della capacità produttiva, il profilo organizzativo, quello di marketing e, infine, quello legato alla produzione. Per concludere, sul piano della Fattibilità Economico-Finanziaria sarà fondamentale analizzare a priori il timing ed il volume atteso dei flussi, predisporre diversi scenari e tentare di assumere decisioni che non impattino negativamente sulla rischiosità del progetto (Mariani, 2012a).

Nella definizione del fabbisogno finanziario iniziale (pari agli investimenti necessari per l’avvio del progetto) dovrà anche conteggiarsi il successivo fabbisogno finanziario legato alle dinamiche del circolante. Il primo impatterà sulla gestione in modo stabile, mentre il secondo sarà influenzato dalle politiche con clienti e fornitori e da quelle di magazzino adottate dall’imprenditore: si dovrà pertanto considerare un livello di liquidità tale da coprire le esigenze transazionali e precauzionali che potrebbero sorgere. Inoltre è bene considerare le fonti di finanziamento in modo che il canale del credito resti sempre accessibile, in modo da potervi ricorrere a seconda delle esigenze. Per le start-up i costi del credito potrebbero essere elevati non solo in termini di oneri finanziari ma anche di collateral che gli istituti di credito potrebbero richiedere a fronte del finanziamento da concedere. Per questo per le start-up è consigliabile farsi affiancare da parchi scientifici o da incubatori di impresa perché questi soggetti riescono a mettere l’impresa sotto una luce diversa, più rassicurante, agli occhi dei finanziatori esterni, così

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da riuscire a spuntare condizioni molto più vantaggiose rispetto a quelle che di norma verrebbero siglate in assenza di queste figure istituzionali (Mariani, 2012a).

2.3 Supporto in altre operazioni di finanza straordinaria

A proposito delle altre due fattispecie, ovvero Il ruolo comunicativo nelle IPO e Il ruolo del Business Plan nel Turnaround management, l’argomentazione sarebbe prolissa ed esulerebbe dalla trattazione principale, pertanto si forniscono le informazioni più rilevanti rimandando a fonti più specifiche per la disquisizione sulle stesse.

Le uniche osservazioni utili ai fini del presente testo riguardano la specificità del Business Plan nelle operazioni di turnaround poiché in esse tale documento assume una veste nuova rispetto a quelle affrontate finora. Posto che la maggior parte delle imprese si trovano a dover affrontare, lungo il corso della loro vita, una fase critica in cui si rende necessario un intenso processo di rinnovo, il processo di pianificazione permette di muoversi in anticipo anche in questi frangenti in modo da riuscire a spingere nuovamente l’impresa sulla cresta dell’onda, individuando nuovi business e nuovi mercati potenziali. La stabilità infatti non è una delle condizioni di successo delle aziende moderne poiché la rapidità con cui cambiano il mercato, il livello tecnologico e i gusti dei consumatori non permette ad un’impresa di mantenere lo status quo per lunghi periodi di tempo: in altre parole, con le operazioni di “turnaround” si definisce un tipo particolare di ristrutturazione che, attingendo contestualmente dal re-engineering e dall’innovation process, è finalizzata a dare nuova linfa vitale ad un business ormai in crisi. Il processo comincia con l’individuazione dello stato di crisi della target, contesto che non è sempre di così facile lettura anche se in presenza di indicatori sintomatici quali il calo della redditività, della quota di mercato o del prezzo dei titoli in circolazione. Schematizzando il più possibile, le fasi del processo dovrebbero essere quattro:

– individuare le necessità del cambiamento; – individuare gli ostacoli al cambiamento; – realizzare il cambiamento;

– valutare il cambiamento.

Ciò che cambia in un Business Plan finalizzato al turnaround rispetto ad uno di tipo tradizionale è circoscrivibile:

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– all’individuazione delle cause della crisi;

all’identificazione del business model da ottenere; – alle azioni da implementare per risolvere la crisi; – ai tempi (di solito non oltre i 2 anni) ed ai costi; – alle probabilità di successo.

L’interrogativo che bisogna porsi in primo luogo è legato alla definizione dello stato di crisi, a come questa possa essere prevista, misurata e, soprattutto, se e come essa possa essere risolta (Guatri, 1986). Esistono molteplici studi finalizzati alla previsione della crisi (Guatri, 1995; Altman, 2000; Altman, et al., 2007; D’Annunzio, et al., 2004; Hui, et al., 2008; Lee, et al., 2004) ed al suo superamento. Le modalità di soluzione della crisi sono numerose e tra queste il turnaround, inteso come difesa e ricostruzione del valore dell’impresa e come recupero sostenibile nel tempo della capacità di reddito aziendale, si trova davanti un mercato in cui il numero di aziende che versano in situazioni di sofferenza, insolvenza o fallimento risulta in crescita (Candelo, 2005; Mariani, et al., 2011; Mariani, et al., 2012). Una delle primissime azioni da intraprendere una volta che il piano è avviato, infatti, è quella di operare tagli strategici ai costi in modo da fermare l’emorragia di liquidità; l’elemento “strategico”, in questo frangente, consiste nell’individuare quei costi che sono necessari per la sopravvivenza dell’impresa stessa, dei quali, pertanto, non è possibile fare a meno. Inoltre è importante tenere sempre sotto stretta osservazione le scadenze degli incassi/pagamenti, così come la possibilità di dilazionare gli stessi (uno stipendio, per esempio, non può essere rimandato se non si vuole correre il rischio di perdere il personale) (Mariani, 2012a).

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3) GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL BUSINESS PLAN

3.0 Introduzione

Il caso che verrà proposto è incentrato su un ipotetico gruppo operativo intenzionato ad incrementare il suo valore, investendo consistenti risorse nel proprio business, al fine di concludere al termine del progetto un’importante acquisizione con un’altra realtà fittizia che si dimostri attratta dalle potenzialità di questa compagnia. In particolare, con il termine M&A si individua un’ampia gamma di attività che hanno come elemento comune l’obiettivo di accrescere il valore di uno o più business già esistenti (Conca, 2010; Datta, et al., 2013; Sadarsanam, 2003; Arnold, 2013), talvolta finalizzate alla sopravvivenza stessa di una o di più imprese coinvolte (Depamphilis, 2012). Solitamente presentano trend fluttuanti in corrispondenza degli andamenti del sistema economico (Martynova, et al., 2009) e la loro predisposizione tiene conto di aspetti squisitamente strategici, di quelli procedurali e di tutte le problematiche relative. La redazione di un Business Plan in una simile fattispecie è pertanto finalizzata a determinare se il progetto sarà in grado di creare valore o se invece lo distruggerà (King, et al., 2004; Laabs, et al., 2010; Kwoka, et al., 2010; Gomes, et al., 2013): attraverso questo strumento, infatti, si cerca di analizzare in profondità i principali driver di valore, così da evitare l’insorgenza di problematiche e cogliere le opportunità che il progetto cela al suo interno. Diverse ricerche in merito hanno messo in luce questo duplice aspetto, soprattutto nell’ottica di una futura acquisizione: le M&A possono produrre effetti positivi sul valore di mercato delle imprese target qualora l’expansion a monte sia stata condotta seguendo un processo rigoroso, ma possono altresì generare sostanziali perdite sul piano contabile e un elevato tasso di fallimento nel caso opposto (Agrawal, et al., 2000; Cartwright, et al., 2006). Tra le cause principali di fallimento di operazioni di M&A emergono non solo gli errori di valutazione del management, che tenderebbe a sottostimare i costi di integrazione ed a sovrastimare le sinergie, ma anche la presenza di un piano strategico inappropriato o carente (Marafioti, 2005). Per questi motivi la predisposizione del Business Plan riveste un ruolo cardine nell’ambito della conoscenza interna e della comunicazione all’esterno dei piani di sviluppo dell’azienda e delle performance attese dallo sviluppo del progetto (Mariani, 2012a).

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3.1 Modalità di predisposizione del Business Plan: elementi comuni

Il Business Plan rappresenta un documento complesso il cui compito è quello di andare al cuore delle problematiche più rilevanti per un’impresa che si apre ad un nuovo business o a nuovi mercati. Tenendo a mente questa caratteristica, insieme alla grande valenza informativa che esso offre, è obbligatorio descrivere accuratamente le parti che lo compongono. Gli elementi caratteristici di un qualunque Business Plan, indipendentemente dalla sua finalità pertanto (Mariani, 2012a), sono:

1) la COPERTINA: essa per quanto non sia caratterizzata da contenuti rilevanti, rappresenta il primo elemento che impatta sul lettore; per questo essa deve contenere una serie di informazioni iniziali da cui il lettore può attingere già delle nozioni importanti (chi è il redattore, la menzione che si tratta di un “Business Plan”, a quale impresa si riferisce, il logo / il marchio / la sede / i contatti dell’impresa, se il documento è quello definitivo o se potrebbe subire modifiche); 2) l’INDICE DEI CONTENUTI: per quanto non appaia rilevante, molti analisti cominciano a farsi un’idea dei contenuti del Business Plan proprio dagli argomenti che sono elencati nell’indice; inoltre, esso permette una fruizione più agevole del documento svolgendo il ruolo di guida per la sua consultazione; 3) le APPENDICI: contengono tutti i documenti che potrebbero essere utili agli

analisti per approfondire la valutazione (i curriculum dei promotori, l’elenco dei fornitori, diagrammi e molte altre informazioni ancora) senza tuttavia appesantire la trattazione principale visto che da questa rimangono fisicamente separate. Per rendere il Business Plan un documento dotato di un certo spessore, esso deve essere redatto seguendo tre principi fondamentali, che sono la Coerenza (tutte le assunzioni devono seguire uno schema logico preciso), l’Attendibilità (i dati devono essere supportati da fonti attendibili) e la Sostenibilità (la strategia delineata deve poi essere effettivamente in grado di condurre l’impresa ai risultati previsti) (Mariani, 2012a; Angiola, et al., 2012; Di Diego, et al., 2013). Questi capisaldi garantiscono al Business Plan delle basi solide su cui essere costruito, tutti elementi che agli occhi dei terzi si traducono in un maggiore grado di fiducia e credito verso quanto viene riportato al suo interno, nonostante il suo contenuto non possa mai essere considerato come elemento certo a priori.

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La parte introduttiva di ogni Business Plan prende il nome di EXECUTIVE SUMMARY (Abrams, 1993; Cross, et al., 1998; Handley, 2006): quest’ultimo deve contenere in modo sintetico le informazioni basilari del progetto, dal momento che rappresenta un’anteprima dei contenuti che verranno affrontati nei capitoli successivi. Essendo una sintesi estremamente ridotta, esso dovrà fare perno sugli elementi chiave del business (caratteristiche distintive dell’azienda, il bisogno che si vuole soddisfare, la mission e la vision) oltre che focalizzare l’attenzione dei lettori sugli elementi principali del progetto (punti di forza/debolezza, opportunità/rischi, adeguatezza della gestione). L’obiettivo dell’Executive Summary è proprio quello di acquisire un lettore intenzionato a creare un rapporto di partnership, offrendogli con questo primo estratto una serie di informazioni essenziali per delineare i contorni del progetto; per questo motivo dovrebbe essere un fascicolo che non superi le 2/3 pagine, descritto con un linguaggio semplice tuttavia mai banale (cosiddetto linguaggio “friendly”), in modo da convincere l’interlocutore a procedere nella lettura.

Nonostante venga proposta all’inizio del Business Plan, questa sezione dovrà essere redatta a pianificazione conclusa perché solo in quel momento il redattore avrà tutti gli elementi necessari per poter selezionare quelli più adatti allo scopo informativo sopra descritto: infatti le informazioni contenute nell’Executive Summary sono già presenti nella trattazione principale del documento, ma qui devono essere semplicemente riportate in modo conciso affinché il messaggio centri il bersaglio in breve tempo. Parlando da un punto di vista strettamente contenutistico, mentre un’impresa di nuova costituzione dovrà fornire informazioni più di tipo qualitativo (afferenti alla sfera delle competenze, conoscenze, abilità e del know-how impiegato dal momento che la fiducia richiesta al lettore non può fondarsi né su dati storici né tantomeno su elementi consolidati), una realtà già esistente dovrà focalizzare l’attenzione anche su aspetti di tipo quantitativo (come valore e dimensione dell’esperienza acquisita, ricchezza dei cosiddetti intangible, punti di forza, risorse progettuali, assets da impiegare, collaborazioni esistenti o partnership da istaurare) e non potrà non concludere, infine, con la situazione economico-finanziaria dell’impresa nell’ultimo triennio. L’esigenza di esporre in maniera esaustiva e completa gli aspetti economico-finanziari del progetto (redditività, BEP, utili netti prospettici, rischiosità, fabbisogno finanziario), pertanto, è

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un elemento di primaria importanza, complementare rispetto agli elementi qualitativi fino a qui citati, visto che anche quelli rientrano nella sfera di valutazione di un potenziale partner.

3.2 Il contenuto del Business Plan: elementi specifici 3.2.1 La “Fattibilità Esterna”

Descritti quindi in breve gli elementi comuni di ogni Business Plan, questo tipo di documento si apre ad una disamina accurata di quella che prende il nome di “Fattibilità Esterna” (Bove, 2012; Di Diego, et al., 2013; D'Onofrio, 2013; Handley, 2006; Zimmerer, 2005); in questa sezione prende avvio la parte strategica del Business Plan. Infatti l’analisi di mercato è solitamente caratterizzata da una forte componente valutativa a proposito di numerosi fattori, quali il potenziale di vendita, l’andamento del settore, il clima competitivo, le fonti normative ed il profilo del consumatore, ed è proprio su ognuno di questi aspetti che il documento deve soffermarsi attentamente per definire con precisione gli obiettivi che il business vuole raggiungere. Analizziamoli singolarmente:

1. Analisi del mercato

Si deve ricordare che la cura e lo sviluppo del mercato di sbocco dovrebbero essere la prima preoccupazione dell’imprenditore, ed è per questo che non sarebbe proficuo delegare a terzi la pianificazione strategica di questa fase cruciale; il Business Plan deve essere utilizzato in primis dall’imprenditore per prendere consapevolezza delle reali potenzialità del proprio progetto.

Il primo punto su cui è fondamentale fare chiarezza è definire il bisogno che il prodotto/servizio vuole soddisfare (Arnold, 2013): questa precisazione permette fin da subito di mettere in risalto i punti di forza e i punti di debolezza della business idea, dal momento che l’identificazione del bisogno comporta necessariamente il doversi soffermare su quali clienti possano avere tale necessità e su come raggiungerli (da intendersi su come farli avvicinare al prodotto).

Si procede poi a definire il piano di produzione all’interno del periodo di tempo preso a riferimento (non più di 7 esercizi) (Berry, 2006); questa fase è tutt’altro che semplice e richiede un grande sforzo per il soggetto redattore che dovrà riuscire a calare la

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pianificazione produttiva all’interno dell’andamento futuro del mercato di riferimento, delle strategie dei competitors attuali e potenziali, delle evoluzioni normative, fiscali, sociali e politiche che si potrebbero realizzare. A volte non basta essere portatori di idee innovative ritenute vincenti sulla carta, perché il mercato in cui tale idea dovrà poi essere inserita il più delle volte offre sbarramenti e problematiche che, se non tenute in debita considerazione, rischiano di far fallire l’intero progetto (per quanto di valore).

L’analisi di mercato implica, innanzitutto, avere una visione globale d’insieme e, poi, il saper procedere a progressive segmentazioni fino a che non si identificano con precisione i clienti, i competitors, gli ostacoli da superare, e tutto quello che è rilevante conoscere prima di lanciarsi sul progetto: al termine di questo processo si potrà pervenire quasi in automatico alla definizione del potenziale di vendita (Sutton, 2012). Pertanto, tale scrematura deve essere affrontata attraverso l’utilizzo di ogni risorsa, partendo da quelle più economiche per poi arrivare a considerare, nel caso in cui alcuni dati siano difficili da reperire, il costo da sostenere per l’utilizzo di banche dati, dossier di professionisti ed eventuali altre fonti protette.

Una volta ottenuti i dati, è necessaria una loro rielaborazione al fine di selezionare le informazioni che meglio rappresentano la situazione in esame e che meglio permettono all’imprenditore di avere un quadro d’insieme nitido, coerente e realistico (Peffers, et al., 2003).

2. Analisi del settore

Dall’analisi del mercato generale si passa all’analisi del settore di appartenenza, fase cruciale tanto per l’impresa in sé (soprattutto se è una realtà going concern), quanto per i potenziali investitori i quali affrontano le caratteristiche dell’ambiente in cui l’impresa dovrà operare: verrà posto l’accento su dimensioni, rigidità, crescita, attrattività, presenza di sbarramenti all’ingresso o all’uscita, economie realizzabili, sinergie possibili ed il confronto con imprese che hanno raggiunto una posizione di leadership.

Per quanto riguarda la dimensione della domanda (Giri, et al., 2005) che l’impresa ha intenzione di sviluppare con il proprio business, il modo migliore per determinarla parte in primis dalla definizione della domanda globale del settore per poi individuare con precisione i driver economici critici che determinano cambiamenti notevoli nello scenario di riferimento; analizzando questi parametri è possibile determinare dei range

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abbastanza affidabili di domanda potenziale che il mercato può esprimere in un dato arco temporale. È possibile anche ricorrere a due sistemi empirici per determinare in modo approssimato la dimensione della domanda, e sono il:

metodo “Bottom - up”, attraverso cui il potenziale di vendita dell’impresa è determinato, quasi a priori, sulla base dell’ammontare di risorse che l’impresa è intenzionata ad impiegare (assets, personale), per poi incrociare tale dato con quello di mercato al fine di verificarne la coerenza.

metodo “Top - down”, con cui il potenziale di vendita è calcolato partendo dal dato generale di mercato (distribuzione dei competitors, trend, risorse impiegate) e formulando ipotesi il più realistiche possibili sulla quota di mercato che si ritiene si possa aggredire.

Importantissimo poi è “mappare” lo schema concorrenziale (pricing, qualità, profondità e ampiezza del portafoglio prodotti, servizi complementari, flessibilità), non solo quello attuale ma anche quello potenziale: per fare questo è bene definire le proprie potenzialità attraverso matrici S.W.O.T. e/o di posizionamento del prodotto. Attraverso questo strumento è possibile fin da subito avere un’idea chiara di quali siano le strategie che una società deve predisporre al fine di preparare il terreno tanto all’apertura verso le opportunità future quanto alla copertura dalle potenziali minacce. È pertanto fondamentale individuare i punti di forza e di debolezza presenti all’interno dell’azienda per rapportarli con le opportunità e le minacce situate al suo esterno: solo in questo modo il processo di pianificazione potrà essere flessibile a sufficienza da garantire all’impresa maggiori probabilità di successo o, se necessario, di sopravvivenza. Nell’analisi della concorrenza è fondamentale capire il modo con cui le imprese riescono ad attrarre la clientela, partendo ovviamente dalla leader per poi spostarsi sulle followers, in modo tale da carpire quali siano i fattori vincenti determinanti (Merenda, et al., 2013).

Infine, è altrettanto importante capire quali potrebbero essere i competitors potenziali per chiudere il quadro di riferimento del settore in cui l’impresa dovrà operare: i potenziali competitors sono imprese che per quanto operino in un mercato differente hanno la possibilità di espandere senza troppi sforzi il proprio core business, oppure aziende che entrano ex novo nel settore, o ancora realtà che realizzano prodotti/servizi che i clienti possono ritenere sostitutivi.

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3. Analisi dei consumatori

In questa fase finale è necessario tirare le somme di tutte le informazioni che sono state raccolte fino a questo momento: con i dati di cui l’imprenditore è entrato in possesso è possibile definire in modo analitico le fasce di potenziali consumatori cui il progetto dovrebbe essere rivolto. A prescindere da ciò, servono gli strumenti giusti per dialogare con il pubblico ed è per questo che l’imprenditore deve predisporre un articolato, flessibile e solido piano di marketing mix con cui attrarre la clientela basandosi su fattori quali sensibilità al prezzo, switching costs ed elasticità della domanda. Una strategia di successo guarda al consumatore come ad un partner inconsapevole, dalla cui analisi è possibile ricavare informazioni fondamentali per soddisfarne le esigenze. Si deve ricordare che ogni consumatore è un individuo a se stante e come tale ha propri bisogni e necessità che richiede che vengano soddisfatte in modo preciso e puntuale, per nulla standardizzato: proprio per questo motivo, l’analisi della clientela non deve mai mancare di definire in modo preciso il profilo del consumatore sulla base di alcuni parametri critici come età, sesso, reddito, cultura e abitudini (Lange, et al., 2007).

3.2.2 La “Fattibilità Interna”

Una volta analizzato il progetto dando rilievo agli elementi che si trovano all’esterno dell’impresa, il Business Plan dovrà focalizzare l’attenzione su quella che prende il nome di “Fattibilità Interna” (Justis, et al., 1979). Obiettivo di questa sezione è quello di far concentrare l’attenzione del lettore sulla struttura complessiva del progetto dal punto di vista della produzione e dell’organizzazione predisposti dal promotore al fine di raggiungere gli obiettivi di mercato fissati nella sezione precedente. In altre parole, in questa parte di documento si dettaglieranno tutti quegli elementi che attengono al reparto tecnico-produttivo, di commercializzazione, comunicazione, organizzazione interna e logistica. Si produrranno in questo modo dei sotto documenti (Piano Produttivo, Piano Organizzativo e Piano Marketing) che dovranno essere coordinati tra loro per mezzo di tempistiche coerenti e conformi. Esattamente come per la Fattibilità esterna, anche questa parte di Business Plan viene suddivisa in sotto argomenti, che sono:

Descrizione del Prodotto / Servizio

In questa parte è necessario dare maggiore profondità all’analisi dell’oggetto cui il documento si riferisce e che è stato descritto in estrema sintesi nell’Executive Summary,

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soprattutto se vi sono rilevanti aspetti tecnici e tecnologici per i quali il lettore richiede maggiori approfondimenti. In sostanza si cerca di rispondere alla domanda sul perché il prodotto dovrebbe avere successo rispetto a quelli dei concorrenti (Chakrabarti, 2015).

Piano Tecnico - produttivo

In questa parte sono presentate nel maggior dettaglio possibile le modalità di realizzazione del prodotto/servizio, le politiche produttive di make-or-buy (Dabhilkar, 2011), la parte della logistica ed ogni altro aspetto rilevante legato al processo produttivo (come, ad esempio, le fasi dedicate al controllo, alla manutenzione degli assets, alla gestione del magazzino e all’approvvigionamento delle risorse finanziarie) (Baumann, et al., 2014).

Piano Organizzativo

In questa sottosezione viene illustrato come sono stati divisi i compiti e i vari ruoli all’interno dell’organizzazione aziendale (governance, politiche del personale, mansionari, responsabilità, sistema gerarchico e di autorizzazione) (Shatrevich, et al., 2015). Ovviamente questo “piano” sarà fortemente influenzato dal tipo di progetto sottostante e dal tipo di impresa che lo predispone: una start-up avrà una struttura semplice centralizzata prevalentemente sull’imprenditore; viceversa una azienda già esistente potrebbe avere una struttura articolata, con diversi centri nevralgici di direzione e coordinamento e con svariati partner esterni che difendono i propri interessi sull’economicità aziendale (i cosiddetti Stakeholders).

Piano Marketing

In questa ultima sottosezione si definiscono le strategie che verranno utilizzate dall’impresa per attirare, educare e fidelizzare i futuri clienti; ovviamente tutto l’apparato di pianificazione dovrà essere strettamente monitorato con un’accurata analisi dei costi e dei flussi di cassa generati dalla fase di marketing. La scelta del canale distributivo infine completa l’analisi del “Marketing Mix” in modo da disporre di tutti i tasselli necessari per la pianificazione interna del progetto (canale distributivo, operatori di riferimento, mansionario, politiche commerciali, politiche di magazzino) (McLeod Jr., et al., 1982).

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3.2.3 La “Fattibilità Patrimoniale, Economica e Finanziaria”

Una volta che il Business Plan ha dimostrato che il progetto è realizzabile tanto da un punto di vista esterno quanto interno, è la volta di garantire ai lettori, nonché potenziali partner, la Fattibilità Patrimoniale, Economica e Finanziaria dell’intera operazione: tutte le informazioni fin qui riportate, infatti, sono funzionali a rappresentare il progetto sotto una veste numerica che sia credibile e affidabile agli occhi dei terzi. In generale il periodo delle previsioni, o l’arco temporale di analisi, non dovrebbe superare i 5 anni (meglio ancora se fossero 3) perché al di là di questo limite le assumptions prese come base di partenza del modello non sono più verificabili.

Riprendendo gli elementi chiave riportati nelle varie sezioni fin qui affrontate, si è pronti a definire la Componente Strutturale del fabbisogno finanziario iniziale (che non può essere inferiore alla somma delle uscite necessarie per avviare l’attività da un punto di vista degli assets e delle immobilizzazioni) assieme alla Componente Corrente (che è rappresentata dalle risorse necessarie per alimentare il capitale circolante, di cui fanno parte il magazzino, i crediti a breve e la liquidità). L’analisi del circolante rappresenta un momento chiave nel processo di pianificazione, in quanto esso è influenzato tanto da fattori endogeni su cui la gestione incide in modo diretto, quanto da fattori esogeni (come il settore di riferimento, la dinamica competitiva, il clima normativo ed il canale distributivo) verso i quali è bene avere un atteggiamento propositivo e pro-attivo laddove possibile. Si capisce quindi che il redattore deve saper definire il mix delle fonti di finanziamento che è più congeniale con la struttura che l’impresa dovrà adottare, non solo per minimizzare il rischio ma anche per poter disporre delle risorse giuste nelle quantità e nei tempi richiesti dal progetto; le moderne teorie finanziarie sottolineano il trade-off esistente tra rischiosità di un progetto ed accesso al credito, tanto più se l’impresa da finanziare è costituita per lo più da assets intangibili. Inoltre è bene ricordare come le fonti debbano essere correlate temporalmente con gli impieghi (ovvero è bene coprire gli investimenti con fonti di finanziamento allineate con le tempistiche richieste). Tuttavia non è sufficiente il semplice bilanciare fonti ed impieghi da un punto di vista temporale ma è bene considerare gli aspetti correlati al loro costo: paradossalmente, risulterebbe più conveniente indebitarsi a medio-lungo termine piuttosto che ricorrere a forme più brevi per evitare tensioni di liquidità causata dalla

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dinamica del circolante, proprio perché l’onerosità collegata alle forme di finanziamento risulta molto meno aggressiva con il dilatarsi dei tempi di rimborso. Nel fabbisogno corrente, esistono due tipologie di necessità: di queste, la forma da tenere maggiormente sotto osservazione, è quella legata al livello minimo di risorse necessario per non compromettere l’operatività dell’azienda (il cosiddetto capitale circolante permanente).

3.3 Il ruolo delle “Appendici”

Come anticipato in precedenza, un ruolo importante viene anche ricoperto dalle cosiddette Appendici d’approfondimento, all’interno delle quali vengono inserite informazioni aggiuntive che arricchiscono la trattazione di maggiori dettagli senza tuttavia appesantire la lettura principale né distogliere l’attenzione del lettore dal vero punto focale. Gli elementi di cui è buona norma fornire un maggiore dettaglio sono sintetizzabili nei seguenti argomenti chiave:

1) politiche finanziarie adottate;

2) supporto di eventuali private equity investors; 3) definizione del rischio finanziario ed economico; 4) valutazione e valorizzazione del capitale economico; 5) curriculum vitae dei dirigenti;

6) analisi della concorrenza;

7) proiezioni delle vendite per mercati e linee di prodotto; 8) ricerche di mercato svolte internamente o conto terzi; 9) analisi dei profitti per linea di prodotto.

Si ricorda che tale sezione rappresenta un approfondimento e non un ulteriore argomento di analisi e studio. Pertanto le informazioni fornite, dopo essere state filtrate dal soggetto Redattore in modo che siano non solo utili per il lettore ma anche direttamente connesse con l’argomento principale, serviranno per illustrare aspetti secondari dell’argomento di riferimento (Mariani, 2012a). Per esempio la struttura finanziaria della società avrà una sua sezione nella trattazione principale ma nell’appendice potranno essere inseriti altri dettagli come le politiche di finanziamento, di investimento e sui dividendi, le scadenze, i tassi di interesse e le commissioni passive connesse ai debiti, i giorni di dilazione concessi e quelli ottenuti, il ricorso al mercato dell’equity e molto altro ancora.

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1- Politiche finanziarie adottate

Esse si dividono tra le politiche di finanziamento, di investimento e quelle dei dividendi (Smith, et al., 1991; McCobb, 2014; Baker, 2009; Frankfurter, et al., 2003). Riguardo alle prime due, è necessario individuare la giusta proporzione tra capitale proprio e debito (politica di finanziamento) che alimenti la creazione di valore (politica di investimento) da parte dell’impresa. Tale scelta deve essere fatta sulla base di elementi oggettivi, che sono le imposte (tanto in termini fiscali quanto di oneri finanziari), i costi di fallimento, le prospettive del mercato, le asimmetrie informative, l’età e la dimensione aziendale (le grandi imprese infatti hanno maggiori benefici dal credito rispetto a quelle medio piccole). Per quello che riguarda il terzo tipo di politica, la scelta di come impiegare gli utili prodotti negli anni ed accantonati a riserve disponibili di capitale spetta solo in capo al soggetto economico, il quale deve avere piena consapevolezza degli effetti interni ed esterni che andrà a produrre un tipo di politica piuttosto che un’altra; la compagine sociale può infatti optare per:

 la distribuzione degli utili prodotti negli esercizi precedenti, e nel qual caso i soci ne beneficeranno a “danno” dei creditori sociali i quali vedranno ridursi le proprie garanzie oltre ad assistere ad un’uscita di cassa che avrebbe potuto ripagare parte del debito. Inoltre, se la società ha strumenti di equity quotati sui mercati finanziari, lo stacco di dividendi comporta l’abbattimento del valore unitario delle azioni, con innegabili riflessi sull’immagine della società e sulla negoziabilità dei titoli stessi; infine si riducono le risorse da impiegare nell’impresa sotto forma di autofinanziamento proprio;

 il mantenimento degli utili prodotti a patrimonio, con conseguenze diametralmente opposte a quelle elencate al punto precedente.

2- Supporto di Private Equity Investors

Oggi esistono numerose imprese che si dedicano al finanziamento delle imprese fin dalle primissime fasi di sviluppo delle stesse; tra queste i Venture Capitalists occupano una grande posizione assieme alle figure dei Business Angel (Anderson, 2000) e delle Merchant Banks (Bruns, 2004). Per questi soggetti il fatto di poter derivare informazioni sulla fattibilità dell’operazione, in termini economico-finanziari, come quello di tracciare le implicazioni gestionali che ne possono scaturire e gli effetti sul livello di

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rischio, diventa decisivo sia per la fase decisionale che per quella di comunicazione (Ford, et al., 2008; Stutely, 2008; Borello, 2009; Carriero, et al., 2010; Parolini, 2011). Il modo in cui viene erogato tale sostegno non è limitato al solo comparto finanziario, ma spesso e volentieri viene fornito know-how di spessore che possa fornire supporto nelle varie fasi della vita aziendale (personale, gestione del network, delle relazioni, analisi di mercato). Nel rapportarsi con un Venture Capitalist è bene predisporre alla perfezione l’Executive Summary del Business Plan che si andrà a presentare al fondo, poiché già da quello l’interlocutore rileverà gli elementi di interesse che potrebbero portarlo ad affiancarsi al progetto: l’analista del fondo cercherà determinati driver all’interno del documento, e sulla base di essi si farà un’idea sul valore esprimibile dal progetto (tra i quali si ricordano la qualità del team, l’analisi del prodotto, del mercato, della dimensione e del posizionamento competitivo, lo studio delle risorse necessarie, l’analisi del piano tecnico, di marketing e di quello organizzativo e infine la rischiosità e l’aderenza dei dati al vero). Al riguardo, alcuni testi (Litchblau, 2011; Zinkhan, 1990) sottolineano che un potenziale investitore cerchi in un’impresa le cosiddette “6 C”:

1) Character 2) Credit 3) Capital

4) Capacity 5) Collateral 6) Conditions

Le “6 C” sono un criterio, esportato dalla prassi bancaria, secondo il quale un finanziatore, prima di concedere un prestito ad un altro soggetto, dovrebbe valutarne alcune caratteristiche fondamentali, che sono rappresentate proprio dagli elementi di cui sopra. In particolare, quando si parla di:

1. Character si fa riferimento alla reputazione personale ed imprenditoriale del futuro debitore;

2. Credit si fa riferimento alla cosiddetta “Credit History”, ovvero alla storia dei rapporti creditizi intessuti fino al momento della valutazione;

3. Capital si fa riferimento alla quantità di rischio che il debitore è intenzionato ad assumere riguardo al motivo per cui chiede a prestito del denaro. Se il prestito rientra nell’attività di impresa, il finanziatore farà caso alla quantità di denaro che il debitore impiegherà per lo svolgimento del proprio business;

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