• Non ci sono risultati.

Il ruolo dell'elettore: la democrazia dal pubblico, del pubblico e per il pubblico

«La categoria degli elettori presenta un vantaggio abbastanza grande rispetto a tutte le altre, dal punto di vista della scienza politica: essa è facilmente valutabile» (Duverger 1951, trad. it. 1961, 136). Sostanzialmente si tratta dei cittadini che «votano per i candidati proposti dal partito alle elezioni nazionali o locali» (ivi, 135). Da questa prospettiva, l'elettorato costituisce l'elemento principale per considerare la forza o la debolezza di un partito all'interno di una competizione elettorale. Le dinamiche tra membership e leadership, analizzate precedentemente, presuppongono un rapporto necessario – anche se quantitativamente intermittente – con l'electorate che nei partiti contemporanei ribalta l'idea che i primi possano sempre e comunque controllare il comportamento dei secondi. Infatti, proprio dalla prospettiva del comportamento elettorale, bisogna considerare sostanzialmente due tipologie di fattori: di breve e di lungo periodo (Bellucci e Segatti 2010). I fattori di lungo periodo, ossia «l'identificazione di partito, la collocazione sociale dell'elettore, il suo sistema di valori, il contesto nel quale

87 «In altri termini, non sono il congresso, o la élite di medio livello, o gli attivisti ad acquisire

potere, bensì gli iscritti ordinari, i quali sono allo stesso tempo più docili e più propensi a sostenere le politiche (e i candidati) proposti dalla leadership del partito e dal partito nelle cariche pubbliche. Si tratta di una delle tendenze più evidenti […]: può essere che un partito compiutamente democraticizzato sia più esposto al controllo da parte del partito nelle cariche pubbliche» (ibidem).

88 In sostanza, il primo approccio si concentra sulle conseguenze sistemiche dell'organizzazione

politica, il secondo sulla leadership. La conclusione è identica: «la vera democrazia intrapartitica rende difficili ai partiti gestire efficacemente il governo a livello sistemico» (Hazan 2002, trad. it. 2006, 191), nonostante il secondo approccio individua nei processi di democratizzazione il tentativo di controllare la base da parte della leadership.

vive» (ibidem, 13), si scontrano con quelli di breve, come «la percezione e la valutazione del rendimento del governo in carica, l'immagine del leader di partito, le tematiche oggetto della competizione elettorale, l'impatto della campagna elettorale» (ibidem).

L'elettore, come ci ricorda Duverger, quantitativamente definibile nel numero di voti orbitanti intorno al partito, diventa una categoria più complessa se lo si osserva da una prospettiva relativa alle scelte di voto. «Al modello tradizionale di derivazione socio-psicologica – giocato sull'appartenenza di gruppo, di partito, territoriale – si affianca (e si contrappone) una famiglia di modelli diversi tra loro, ma accomunati tutti dall'attenzione alle dinamiche di natura cognitiva ed emozionale che governano la decisione degli elettori in quanto individui (Clarke et al. 2004)» (ivi, 14). La matrice individuale esiste anche nel modello socio- psicologico anche se assorbita da dinamiche condivise, al contrario l’appartenenza sociale resta sullo sfondo lasciando spazio ad un comportamento elettorale basato su scelte di policy, sull'immagine dei candidati e sulla valutazione dell'attività istituzionale (Dalton 1996). Il cuore della trasformazione diventa proprio l'idea, ormai consolidata, della diminuzione dell'influenza delle dinamiche sociali89 come conseguenza sul comportamento elettorale. In breve la letteratura rimanda a due macrospiegazioni90. Da una parte, già ampliamente analizzate in precedenza, le trasformazioni della struttura partitica in forme elettorali, professionali e cartellizzate (Panebianco 1982; Katz e Mair 1997) dove si registra «una attenuazione del sentimento di appartenenza/identificazione col partito» e un aumento della «quota di elettori con "legami deboli", che basano la scelta di voto su fattori diversi, maggiormente legati all'azione del partito nelle varie policy, e in quella complessiva di governo, e all'appeal del leader» (Bellucci e Segatti 2010, 15). Dall'altra i cambiamenti sociali ed economici legati ai processi di modernizzazione delle democrazie contemporanee. Si tratta sostanzialmente di fattori legati all'aumento e al miglioramento delle condizioni reddituali, oltre che

89 Per Franklin (1992) le dinamiche di mobilità sociale, in qualche modo, hanno reso più flebili i

marcatori di confine tra una classe e l'altra, rendendo l'appartenenza di classe un legame sempre più debole.

90 In realtà, in relazione al comportamento elettorale bisognerebbe prendere in considerazione

anche i fattori legati all'offerta politica e quelli relativi alle istituzioni elettorali (Bellucci e Segatti 2010).

intellettuali, come i livelli di istruzione, ma anche e soprattutto ad un processo di individualizzazione che ha reso l'elettore più autonomo nelle scelte (Dalton, Flanagan e Beck 1984) e libero di captare informazioni all'interno di un sistema mediatico sempre più rilevante (Mazzoleni e Sfardini 2009), capace di sottrarre risorse ai partiti – per Sartori già «mezzi di comunicazione» – e creare un meccanismo di giudizi collegato al medium stesso. Per Pogunkte e Webb (2005), quindi, l'individualizzazione del voto e la personalizzazione della politica risulterebbero due dinamiche strettamente connesse.

Tornando ai due modelli – socio-psicologico (Lazarsfeld et al. 1944; Lipset e Rokkan 1967; Campbell et al. 1960) e della scelta razionale (Downs 1957; Popkin 1991; Pappi 1996) – Bellucci e Segatti (2010) ricostruiscono perfettamente la loro ricerca intorno alla loro contrapposizione. L'analisi parte dal riconoscimento di un trend comune nelle democrazie consolidate in relazione al comportamento elettorale. Tra questi, sicuramente la diminuzione della partecipazione al voto, la trasformazione del rapporto tra elettori e partiti (volatilità, infedeltà, ecc), il consolidamento di un voto tematico (issue voting), importanza dei candidati (candidate-centered politics), l'individualizzazione e il carattere eterogeneo dei singoli elettorati (Le Duc, Niemi e Norris 2002). Mentre nel primo modello l'elettore risultava incapsulato (Bartolini e Mair 1990; Bartolini 2000) in una dinamica sociale e in un processo di identificazione (Campbell et al. 1960), il secondo modello – in realtà si tratta di una serie di analisi – trae origine dalla «razionalità individuale» legata all'utilità attesa (Von Neumann e Morgestern 1947). In realtà, è con Downs (1957) che il modello razionale del comportamento elettorale assume una valenza di «prossimità». In sostanza «le preferenze degli elettori circa le alternative di policy contenute nei temi discussi nelle campagne elettorali (issues) definiscono lo spazio elettorale nel quale i partiti competono. L'elettore sceglie il partito/candidato che propone l'alternativa più vicina (prossima) a quella da lui preferita» (Bellucci e Segatti 2010, 22). L'elettore diventa quindi un attento osservatore razionale che valuta l'offerta in relazione alla propria e personale domanda. Il limite al modello91 dell'elettore totalmente consapevole e razionale, legato a fattori di breve periodo e totalmente svincolato

91 Evidenziate da Stokes (1963) fino a Bartolini (2002), passando per Merrill e Grofman (1999)

dall'incapsulamento, trova uno sviluppo nel modello «dell'elettore che ragiona» (Popkin 1991; Pappi 1996; Sniderman et al. 1991) che, teoricamente, tende a collocarsi tra i due. L'elettore in questo caso è «un attore sociale il quale, in un ambiente distante dalla vita quotidiana (quale quello politico) e di cui dispone solo di informazioni vaghe e imprecise, riesce comunque a formulare una scelta attraverso l'impiego di scorciatoie cognitive ed euristiche» (Bellucci e Segatti 2010, 23) 92.

Il comportamento elettorale permette di aggregare questi cittadini-elettori in alcune tipologie. Oltre la nota tripartizione proposta da Parisi e Pasquino (1977) – sulla quale ritorneremo più avanti – tra voto identitario, di scambio e di opinione93, altri tentativi di classificazione si sono succeduti in Italia – Corbetta 1981; Biorcio e Diamanti 1987; Biorcio e Natale 1989; Sani 1994, 2007; Baldassarri 2005 – tenendo in considerazione due dimensioni analitiche: da una parte i comportamenti e gli atteggiamenti, dall'altra il singolo attore e il suo rapporto con gli altri attori socio-politici come i partiti (Sani 2010)94.

Sani (2010) individua in rapporto alla dinamica «tra cittadini e sfera politica» due aspetti: «la prima è quella che si potrebbe definire come la dimensione «coinvolgimento-estraneità», dove «coinvolgimento» vuol dire interesse e partecipazione, mentre «estraneità» significa distanza, marginalità, apatia o indifferenza nei confronti della sfera politica. […] La seconda componente riguarda le emozioni, o i sentimenti che la politica suscita nei cittadini, emozioni che possono naturalmente avere una valenza positiva o negativa più o meno forte » (ibidem, 40-1). In base a queste due dimensioni e la proposta di suddivisione dell'elettorato in gruppi (Sani 2007) in relazione all'interesse, alla partecipazione, alle conoscenze e ai sentimenti rispetto alla politica, è possibile individuare tre classi di cittadini: «Civis Nobilis», «Civis Communis» e «Civis Marginalis». «Se il Civis Nobilis si avvicina alla figura del cittadino modello descritto nei libri di

92

Cfr. Lau e Sears 1986; Lupia, McCubbins e Popkin 2000.

93 Di conseguenza un elettorato: di «appartenenza», tendenzialmente stabile, poco influenzabile dai

programmi contingenti dei partiti e legato a subculture e cleavages; di «opinione», variabile e legato ai programmi proposti dai partiti durante la campagna elettorale; di «scambio», molto variabile in quanto legato al soddisfacimento di benefici di natura particolaristica degli elettori.

94 Legnante (1998) distingue le tipologie del momento elettorale in base al voto e agli elettori in

relazione alla dinamica con il partito, e in base alle motivazioni e ai cittadini per quanto riguarda il voto come azione individuale e/o politica.

educazione civica ed è caratterizzato da tratti che lo rendono protagonista della vita politica (elevati livelli di interesse per la cosa pubblica, grado di informazione, esposizione ai flussi della comunicazione politica), il Civis Marginalis è invece il più lontano dal modello di cittadino ideale, dato il suo distacco dalla vita politica in termini di interesse, partecipazione, atteggiamenti e conoscenze. Un vero e proprio golfo separa i due gruppi designati con le etichette di Civis Nobilis e Civis Marginalis, mentre la terza categoria, quella del Civis Communis, si colloca all'incirca a metà strada tra i due gruppi polari» (ibidem, 41- 2)95.

Tornando alla tripartizione proposta da Parisi e Pasquino (1977) – che individua tendenzialmente un rapporto tra l'elettore e la scelta di voto – il voto di opinione risulta, in proporzione, secondario rispetto al voto di appartenenza (identitario) e al voto di scambio. Infatti, in quel contesto, «le elezioni non apparivano certo come uno strumento con il quale gli elettori italiani riuscivano a esprimere (punire o premiare) un giudizio sull'operato del governo. A molti di essi veniva chiesto di confermare nella scelta di voto le loro identità» (Bellucci e Segatti 2010, 27). Proprio sull'identificazione, il dibattito scientifico non ha trovato una convergenza soprattutto per quanto riguarda il suo declino96 che uniformemente ha raggiunto un livello di attenuazione in tutte le democrazie consolidate, ma che si è diviso tra una valutazione della dimensione di appartenenza ad un gruppo (Greene 1999; Bartle e Bellucci 2009) come self-identity (Campbell et al. 1960) e piuttosto un'idea di atteggiamento e predisposizione (Clark et al. 2004). Da una parte gli orientamenti individuali legati all'appartenenza di gruppo e sostanzialmente ad un concetto di identità sociale (Campbell et al. 1960), dall'altra l'atteggiamento che in qualche modo «presuppone insieme maggiore volatilità e dipendenza dal contesto politico ed economico, come qualsiasi altro atteggiamento» (Bellucci e Segatti

95 In realtà di fronte alla mediatizzazione della politica o, meglio ancora, di fronte alla

rappresentazione mediatica del dibattito pubblico, dove i politici si affrontano e si scontrano, i cittadini per Sani (2010) rispondono in maniera diversa. «C'è chi segue lo spettacolo o (come dice qualcuno) il teatrino della politica, con interesse, c'è chi lo fa in maniera sporadica e distratta, e chi proprio non se ne occupa. Tuttavia, che siano spettatori interessati, appassionati o distratti, raramente i cittadini delle democrazie vivono le vicende politiche del loro paese senza schierarsi a favore o contro questo o quel protagonista. Anche se sono vissute da chi è ai margini della scena, quasi sempre le vicende politiche sono imbevute di valenze di parte. Alcuni dei protagonisti, o le idee che essi propugnano, suscitano approvazione, mentre altri stimolano reazioni critiche, di disapprovazione, di rifiuto e, a volte, anche di repulsione» (ibidem, 42-3).

2010, 31). Il ruolo dei sentimenti in rapporto alla prossimità ad un partito, o in qualche modo «la vicinanza dell'elettore a una determinata forza politica» (Sani 2010, 46) si avvicina alle due prospettive di «appartenenza» e «identificazione» appena descritte. Questo sentimento di prossimità permette all'elettore di non dover esprimere un voto ex novo a ridosso del momento elettorale e di collocarsi all'interno di uno schieramento politico ben preciso o quantomeno circoscritto. L'elemento di semplificazione permette, inoltre, un approccio diretto alla scelta durante la competizione elettorale priva di forti elementi di contrasto e di momenti di esitazione. Questa modalità di voto può essere definita di «partito», ma assume le connotazioni di un «voto di area» nel momento in cui concentra un raggruppamento di elettori «che pur non dichiarandosi vicini a un partito, hanno una sorta di punto di riferimento politico nella propria collocazione su questo o quel segmento del continuum sinistra-destra» (ibidem). Infine, lontano dalla prossimità ad una determinata forza politica si registra il «voto ai leader» costruito il più delle volte «dalle immagini e dai giudizi sui principali protagonisti della vita politica» (ivi, 47).

Questa tipologia di voto richiama, in qualche modo, il contesto della competizione elettorale e in maniera particolare i giudizi intorno ai quali l'elettore sviluppa la propria scelta. Ma di che giudizi si tratta? Per Bellucci e Segatti (2010) sostanzialmente bisogna far riferimento a tre ambiti:

a) il primo riguarda le dinamiche prettamente economiche e in qualche modo il rendimento politico dell'incumbency, legati alla «coesione dei partiti/coalizioni, credibilità, competenza» (ibidem, 33). Si tratta della dimensione dell'accountability, ovvero la capacità dell'elettore di sviluppare un giudizio nei confronti dell'operato dell'incumbent e su questo decidere se punire o meno la compagine governativa97. In questo rapporto, il fattore economico sembrerebbe sempre di più correlato all'espressione del voto elettorale. La creazione di giudizi e valutazioni e di conseguenza l'espressione del voto risulterebbero strettamente connesse alla situazione

economica nazionale (Lewis-Beck 1988; Bellucci 2006; Duch e Stevenson 2008);

b) il secondo ambito riguarda le issues che assumono sostanzialmente un valore determinate nella percezione di un partito in rapporto all'elettore. Le issues si dividono in due grandi categorie: position e valence issues. Le position issues sono principalmente legate ad elementi di policy caratterizzati da una collocazione partitica ed elettorale su di un asse che ne prevede una più o meno applicazione, ad esempio «più o meno tasse, più o meno immigrazione» (Bellucci e Segatti, 33). Le valence issues (Stokes 1963; 1992), invece, sono tematiche che, in qualche modo, interessano positivamente l'intero elettorato, ad esempio «benessere, sviluppo economico, pace, ecc.» (Bellucci e Segatti, 33). Su questa ripartizione si gioca il rapporto nella costruzione dei giudizi tra elettorato e forze politiche. La maggiore predisposizione dei leader e dei partiti alla realizzazione di tali issues corrisponde da parte dell'elettorato ad una maggiore propensione nell'attribuzione valoriale positiva o negativa rispetto alla forza politica proponente98;

c) infine, la leadership, legata inevitabilmente agli elementi precedentemente discussi, come la personalizzazione. In realtà per King (2002), Curtice e Holmberg (2005) l'immagine del leader determina una bassa influenza rispetto alle scelte del voto, ma la stessa variabile diventa determinante, ad esempio per Costa Lobo (2006) in partiti modello catch-all. Anche nel caso italiano, l'immagine del leader è diventata sempre più importante (Sani 2002), anche se sempre più legata alla dimensione temporale e a fattori negativi (Barisione 2006; Barisione e Catellani 2008).

Queste considerazioni sul comportamento elettorale costituiscono il punto di partenza rispetto alle problematiche che saranno affrontate successivamente all'interno del lavoro di ricerca, in particolare rispetto alla dimensione dell'elettore

98 Interessante anche il riferimento alla issue-ownership (Budge e Farlie 1983), ovvero la proprietà

delle tematiche. In breve «gli elettori hanno priorità di policy che sono tradizionalmente associate a determinati partiti» (Bellucci e Segatti 2010). Dunque, la sinistra tradizionalmente è associata a determinate tematiche, così come la destra e difficilmente, in base a questo modello è possibile dei cambi repentini di issues.

che diventa un elemento chiave nel passaggio da una democrazia dei partiti ad una democrazia del pubblico. La questione sollevata da Diamanti (2012) riguarda la dinamica contemporanea in relazione alla possibilità che una democrazia rappresentativa possa esistere senza i partiti, lì dove i partiti stessi «contano molto meno dei leader. E dove i leader dei partiti dispongono di un livello di fiducia molto scarso» (ibidem). Le primarie, in qualche modo, evidenziano nel dibattito generale, al netto degli elementi inclusivi, una componente negativa legata di conseguenza al comportamento elettorale successivo. L'immagine aggressiva della competizione durante la campagne per le primarie e la reciproca delegittimazione tra i candidati potrebbe in qualche modo influire sul processo di fiducia generale verso partiti e leader.

Il rapporto tra democrazia e partiti, per certi aspetti, rappresenta il tema centrale del dibattito contemporaneo nell'ambito delle scienze sociali, in particolar modo, la contrapposizione che più suscita discussione riguarda la relazione logica del «tutto o niente». Nel senso che l'idea di una democrazia senza partiti pone questi ultimi automaticamente in una contraddizione funzionale che vede le organizzazioni politiche necessarie al modello di sistema democratico. In realtà, come abbiamo visto nel processo di trasformazione ciò non è propriamente vero in quanto «il nesso tra la democrazia e la "forma-partito" così come essa si è strutturata nell'ultimo sessantennio non è affatto così esclusivo e indissolubile» (Revelli 2013, 103). Infatti, il monopolio del partito novecentesco è una semplice conseguenza allo sviluppo della democrazia in età moderna. Allo stesso modo la sua crisi, la fine del suo monopolio, coincide sostanzialmente con una mutazione della forma partito, che si indebolisce, che modifica la sua struttura nel profondo, rinunciando ad una orizzontalità a vantaggio di una verticalità che trasferisce in alto la gestione, il controllo e le strategie (ibidem). In sintesi il partito, come lo conoscevamo, ha smesso di svolgere quel ruolo all'interno della democrazia rappresentativa, certamente ancora caratterizzata da elezioni libere, competitive, corrette e periodiche, oltre che strutturata in parlamenti e governi, tuttavia mutata nella sua logica di legittimazione e nella sua natura funzionale.

Il modello rappresentativo moderno si pone storicamente prima dei tentativi socialisti e marxisti di riproporre una forma di democrazia diretta99. La forma contemporanea, infatti, risale alla matrice liberale dell'Inghilterra del ‘700 dove, per Constant la libertà degli antichi di partecipare direttamente agli affari pubblici, si distingueva dalla libertà dei moderni100, ovvero il principio liberale della libertà all'interno di uno Stato moderno distante dalla sfera privata e caratterizzato appunto da un sistema di rappresentanza in grado di gestire la politica dei territori vasti101. Nell'inquadramento moderno il rapporto tra la rappresentanza e l'elettorato si è sviluppato in base a due coordinate102: la prima inquadra l'elettore direttamente impegnato nella scelta dei rappresentanti, dove il partito, come organizzazione, non è ancora strutturato; la seconda presuppone i partiti come mediatori tra elettori e rappresentanti, dove i primi votano direttamente il partito e

99

Quando si parla di democrazia si pensa subito al modello di democrazia che esisteva nelle polis greche o nella Roma antica, dove a decidere sulle questioni pubbliche erano gli stessi cittadini riuniti in assemblea. Si trattava, tuttavia, «di un regime che oggi designeremmo come autoritario» (Cotta et al. 2001, 81). In realtà, in epoca contemporanea è Rousseau a sottolineare l'importanza di una «politica assembleare» dove il popolo può incontrarsi e discutere rispettando il principio sovrano della «volontà generale», ovvero la concezione del bene comune generato pubblicamente. Proprio per Rousseau la rappresentanza costituiva un'alienazione della sovranità, alla quale, in qualche modo, si poteva sopperire, nei grandi Stati moderni, attraverso la figura del «delegato», diverso dal rappresentante, in quanto legato ad un mandato imperativo dato dall'elettore. Oltre Rousseau, è soprattutto la tradizione marxista e socialista ad insistere sulla necessità di un governo assembleare, basti pensare ai riferimenti alla Comune di Parigi del 1871 a cui Marx si riferisce. Il voto saltuario e a intermittenza costituisce un limite evidente rispetto alle opinioni del popolo adeguatamente rappresentate dal sistema di delegazione diretta. Oggi, con l'istituto del referendum, si assiste a diversi tentativi di democratizzazione verso una dimensione diretta, ma ancor di più è lo sviluppo delle reti telematiche a generare interesse e attenzione. Rodotà (2004) a tal proposito ha parlato di «democrazia continua» nel tempo e nello spazio, che andrebbe al di là delle modalità di democrazia diretta classica, consentendo a tutti di partecipare direttamente in qualunque momento e da qualunque luogo.

100 La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, esposta in una celebre conferenza

parigina del 1819.

101

Per Dahl (1971, trad. it. 1980) gli elementi necessari per «una democrazia su vasta scala» sono: 1) rappresentanti eletti: 2) elezioni libere, eque e frequenti; 3) libertà di espressione; 4) pluralità di fonti di informazione; 5) autonomia di associazione; 6) cittadinanza inclusiva.

102 All'interno del modello rappresentativo si distingue una rappresenta corporativa (o di ceto) e

una rappresentanza moderna. Nella prima, tipica del Medioevo, il criterio di base è la presenza di organi abilitati alla rappresentanza solo di un determinato ceto (si vota non come individuo, ma come appartenente ad un determinato ceto). La seconda, invece prevede un individuo in quanto cittadino, privo di correlazione con il proprio status sociale, in grado di nominare dei rappresentanti responsabili degli interessi dell'intera nazione. Questa forma prevede una doppia