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Il ruolo della leadership: gli effetti sistemici dei media dalla rappresentanza alla

Per quanto riguarda la leadership, la letteratura tende ad inquadrare strategicamente il suo ruolo all'interno di una duplice dimensione funzionale dell'organizzazione politica (Blondel 1987), «intesa sia come posizione organizzativa formale sia come relazione d'influenza volta a guidare e a farsi seguire, a dirigere e a coordinare uomini, risorse e apparati in vista di una impresa collettiva» (Raniolo 2013, 74). La leadership, dunque, sia come elemento organizzativo e gerarchico sia come processo di comunicazione. Osservando la leadership dalla prima prospettiva, sostanzialmente, emerge il bisogno di organizzazione, necessario e tecnico di una proiezione oligarchica dove l'associazione non è altro «che un martello nelle mani del suo presidente» (Michels, 1909, trad. it. 1971, p.31). In realtà è l'intera direzione dei partiti ad assumere una dimensione gerarchica all'interno della quale «si forma una vera e propria classe di capi, una casta più o meno chiusa, un "cerchio interno" dall'accesso difficile» (Duverger, 1951, trad it. 1970, 203). Questa proiezione

sfugge alla dinamica burocratica soltanto in presenza di forti elementi carismatici identificabili nella disponibilità di un «eroe» (Weber 1917-19, trad. it. 1971). Il carisma in genere urta contro la resistenza reale o piuttosto strutturale dell'apparato diventando una minaccia, soprattutto finanziaria, per l'organizzazione. Sembra quasi che parte della leadership operi nel tentativo di contenere la dinamica carismatica, pur non privandola della sua funzione organizzativa e comunicativa. L'«eliminazione del carisma riesce di solito facile all'impresa di partito, e riuscirà sempre facile in America anche nel caso di una realizzazione delle presidential primaries su base carismatica plebiscitaria, appunto perché la continuità dell'impresa specialista in quanto tale rimane superiore all'incantamento emotivo degli eroi» (ibidem, 19). Questo elemento interno alla leadership pone la divisione tra «capi ufficiali e capi reali» (Duverger, 1953-54, trad. it. 1971, 127), ovvero che all'interno delle leadership di partito, alcune volte, le figure reali corrispondono a quelle ufficiali e altre no. Ad esempio «il presidente del comitato, che tiene i discorsi, che riceve i fiori e gli applausi non è assolutamente colui che dirige e tira i fili» (ibidem). Questa «dissociazione» comporta la creazione di «eminenze grigie» che si rapportano al potere in relazione al controllo della leadership. In realtà, il rapporto con questa dinamica include e considera una forte capacità di legittimazione interna che proiettata all'esterno – ovvero al sistema politico – «la natura carismatica» della leadership (Blondel 1969, trad. it. 1971, 168). Infatti, «la funzione dei leaders con un seguito nazionale […] conduce a una forma di rappresentanza nell'ambito dei partiti […] [nei quali] il vincolo è costituito dalla fiducia nella capacità del leader di assicurare un destino migliore al partito e alla nazione» (ibidem).

Da un punto di vista del rapporto tra leadership e partito, forse, l'elemento più interessante nella trasformazione organizzativa dei partiti è appunto l'elemento della legittimazione. Già Kirchheimer (1966) nell'elaborazione della funzione reale del partito pigliatutto rispetto all'azione politica individuava nella «partecipazione vicaria degli elettori» (Kirchheimer 1966, trad. it. 198) uno degli elementi più importanti su cui si concentrava, sia il partito sia il pubblico, in relazione al problema della «selezione dei dirigenti» (ibidem). Infatti, «la scelta

dei candidati per una legittimazione popolare come titolari di uffici pubblici appare così la funzione più importante dell'attuale partito pigliatutto» (ivi, 199). Come detto in precedenza, la leadership presenta un continuum tra una valenza strutturale legata alla posizione di vertice e una valenza comunicativa-direttiva legata alle qualità personali dei leader (Barnard 1938, trad it. 1970; Selznick 1957, trad. it. 1984). In sostanza, la leadership diventa «l'arte di essere indispensabili» (Ansell e Fish, 1999) che non si trasforma in automatico nell'essere necessari, ma ricopre una funzione importante rispetto alle dinamiche strumentali e situazionali (Blondel 1987); strumentali in quanto capaci di incidere sulle «risorse politiche in mano al leader al fine di raggiungere i suoi scopi […] risorse economiche, ma anche organizzative e istituzionali, come il controllo di un partito o di apparati burocratici e, sempre di più, dei mass media» (Raniolo 2013, 98)39. Da questa dinamica è possibile «distinguere tra un leader che usa le risorse organizzative strategicamente e un leader come risorsa, che cioè è esso stesso un fattore cruciale per la genesi e l'azione di un movimento o partito» (ivi, 98-99). Per quanto riguarda l'aspetto situazionale, si tratta del rapporto congiunturale tra leadership e contesto storico-economico, dove l'insorgenza di criticità permette alla leadership carismatica di emergere e diventare politicamente indispensabile (Burnes 1978). Spesso in queste trasformazioni il partito assume tratti di personalizzazione o addirittura forti caratterizzazioni personali (Calise 2000) dove il partito diventa propriamente del leader. Tra dinamica carismatica e dinamica personale esistono però delle relazioni che pongono il partito in una descrizione tipologica. Infatti Ansell e Fish (1999) individuano quattro partiti personali40:

a) il partito di patronage41, dove la leadership assume un ruolo all'interno di una struttura collegiale e sostanzialmente con funzione distributiva, legata

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«Anzi oggi il rapporto tra carisma e immagine sembra essere rovesciato – la seconda crea il primo –con una ricaduta notevole anche sui costi della politica» (ibidem).

40 «I due studiosi affrontano la questione a partire dalla canonica tripartizione del potere legittimo

di Weber – potere tradizionale, razionale-legale e carismatico – che trovano incompleta perché mancante di un quarto tipo di potere che chiamano "potere personalistico non carismatico"» (Raniolo 2013, 100).

41 Tra questi, i due studiosi inseriscono anche la Democrazia cristiana per un lungo periodo della

a incentivi verso fazioni interne e caratterizzata da un leader che assume un atteggiamento paternalistico;

b) il partito carismatico42, dove la leadership è legata ad un ruolo trasformativo di promozione e mutamento sociale e a uno stile di tipo messianico con un attaccamento da parte dei seguaci di tipo fanatico; c) il partito quasi carismatico43, che presenta una leadership capace di

rappresentare una dottrina politica ben precisa dove l'ideologia e la dimensione programmatica costituiscono il rapporto con il suo target elettorale. In questa tipologia di partito, il leader diventa a tratti audace, preservando il controllo della sua fazione politica e un'influenza diretta sulla membership;

d) il partito personalistico non carismatico44, che presenta un leader capace di mediare per preservare la tenuta interna di un'organizzazione che diventa la principale fonte di identificazione politica (Raniolo 2013, 102). Il leader ufficiale in genere è moderato e lontano da un’efficacia mediatica esterna, rispetto alle doti di dialogo interne nei confronti di tutte le aree di partito.

La tipologia di Ansell e Fish presenta alcuni problemi di connessione tra la dimensione metodologica e quella empirica (Raniolo 2013). In realtà il rapporto tra leadership e personalizzazione pone sempre il problema dell'inquadramento teorico del «partito personale» (Calise 2000; Günther e Diamond 2003). Per Raniolo (2013) – citando il lavoro di Bosco e Morlino (2007) – il dato più importante consiste nell'incapacità di sostituzione della leadership in seguito ad una sconfitta elettorale. Nello specifico si può parlare di partito personale quando: «1) il leader rappresenta il principale, se non l'unico, oggetto di identificazione degli aderenti e dei simpatizzanti, 2) all'interno del partito non ci sono altri leader in grado di contestargli il ruolo e le scelte, le opposizioni interne vengono per lo più espulse, 3) i poteri del leader di nomina e di indirizzo degli organismi interni

42 Attribuito soltanto al Partito nazista di Hitler. 43

Ad es. il Partito conservatore britannico, durante il periodo Thatcher, oppure il Partito repubblicano nel periodo Reagan.

44 Il Partito cristiano democratico di Helmut Kohl, il Partito socialista francese di François

sono massimi, 4) allo stesso tempo non esistono, o sono deboli, meccanismi statutari di responsabilizzazione» (Raniolo 2013, 103). Da questo punto di vista, la proiezione monocratica spinge i partiti personali verso implosioni interne dovute a problematiche esterne che direttamente o indirettamente colpiscono il loro leader. «L'Italia degli ultimi due decenni presenta al riguardo un significativo doppio problema di leadership: se nel centrosinistra è evidente un difetto di leadership (del suo riconoscimento interno e delle relative risorse politiche e istituzionali), nel centrodestra il problema sta all'opposto nell'eccesso di leadership, che diventa un fattore di blocco del partito e del più ampio sistema» (ibidem).

Le domande a cui cercheremo di rispondere – come cambia il ruolo dei leader? Come cambiano le caratteristiche relative alla loro legittimazione pubblica? – ci riportano sostanzialmente al concetto espresso nella prima parte del capitolo, ovvero come «alle aristocrazie di ieri sono succedute le "cachistocrazie" di oggi, i "governi dei peggiori"» (Revelli 2013, 52). La mutazione presuppone la fine di un legame di fiducia, oltre che di gratitudine che le masse deponevano «verso personalità che in nome loro parlano e scrivono, che si sono create la fama di difensori e consiglieri del popolo, che spesso hanno sofferto come suoi esponenti e che mentre la massa restava al suo posto indisturbata e tranquilla a compiere il suo quotidiano lavoro hanno dovuto sovente sopportare persecuzioni, carcere ed esilio per amore delle idee comuni» (Michels 1911, trad. it. 1966, 112). La leadership perde quindi due elementi funzionali al fine del suo riconoscimento, ovvero la «credibilità» e la «legittimità» (Sennett 1977, trad. it. 2006) che, nella dimensione post-moderna, collocano il ruolo della leadership, di attore del dibattito pubblico e di decisore collettivo, in una posizione di scollamento rispetto alla gente comune (Lasch 2001). «Senza più orizzonti comuni entro cui orientarsi, dopo che le classi e gli aggregati sociali sono stati liquefatti […], con un rapporto esattamente opposto a quello del tardo Ottocento e del primo Novecento, quando mobile era la massa mentre le élite istituzionali rappresentavano il punto fermo, la continuità nella trasformazione […] con l'infausto esito che la virtù ha abbandonato le élite, il loro carattere si è deteriorato e corrotto, e il discredito è la paga ricevuta per la loro mancanza di responsabilità» (Revelli 2013, 56-7).

Circa trenta anni fa Pasquino (1983, ora in 1985) scriveva: «probabilmente, il cambiamento più importante imposto dai nuovi media ai partiti di massa concerne la leadership. L'antica tensione fra il leader degli iscritti e dei militanti, vale a dire il prodotto specifico della struttura del partito e dei suoi processi di selezione interna, e il leader degli elettori, si presenta oggi maggiormente acuita dall'esigenza di tenere conto dell'influenza dei mezzi di comunicazione di massa nel plasmare immagini e scelte per l'elettorato» (Paquino 1985, 107). Dopo trenta anni e senza una visione particolarmente profetica, il ruolo dei media è cresciuto smisuratamente sia nella dimensione sociale sia in quella politica. I media non sono diventati delle organizzazioni politiche sostituendo i partiti e i governi45, ma, in qualche modo, si sono incanalati nel loro flusso la loro presenza necessaria al fine di garantirne, quantomeno, il normale funzionamento sistemico. Il potere dei media – paradossalmente assente dal punto di vista giuridico e formale (McQuail 1994) – ha trovato, negli effetti e nelle influenze proprie della mediatizzazione, la principale categorizzazione empirica. Da questa prospettiva, infatti, gli effetti sistemici dei media – già accennati nel primo capitolo – possono essere raggruppati in due tipologie (Mazzoleni 2004, 95):

a) gli effetti mediatici, ossia gli effetti che riguardano principalmente gli aspetti mediali della comunicazione politica, come la spettacolarizzazione, la costruzione dell'agenda politica e la frammentazione dell'informazione politica;

b) gli effetti politici, che in qualche modo riguardano direttamente il sistema politico, ossia la personalizzazione, la leaderizzazione e la selezione delle élite politiche.

La nostra prospettiva di ricerca si concentra principalmente sugli effetti politici – anche se in alcune parti del lavoro empirico si farà riferimento alla tipologia dei mediatici – come effetti direttamente collegati alla sfera dell'azione e all'interazione tra le varie componenti del sistema politico (Mazzoleni 2004, 101). In questa dialettica sistemica sicuramente la personalizzazione del potere ha

45 Interessante il rapporto tra media e politica che per Cerbino (2013) nell'america latina emerge

trovato nel meccanismo elettorale presidenziale – come osserva Duverger (trad. it. 1991) per esempio con il caso statunitense – o quantomeno predisposto al ruolo monocratico elettivo46, un elemento di inevitabile centralizzazione e concentrazione della leadership47. Oltre alla predisposizione del sistema politico di riferimento, il rapporto con l'elettorato da parte dei candidati presuppone un passaggio obbligato e funzionale al consenso «attraverso la mediazione del sistema della comunicazione politica» (Mazzoleni 2004, 102).

Questa dimensione della personalizzazione come osserva Manin (1995, trad it. 2010) non corrisponde ad una vera e propria degenerazione del sistema politico, in quanto per sua natura la democrazia rappresentativa implica direttamente nell'elemento «personale» la sua necessaria forma di istituzionalizzazione. «I rappresentanti erano – e sono – persone, che agiscono esercitando un grado più o meno ampio, di autonomia personale. Perché il rappresentante "non è il portavoce dei suoi elettori ma il loro fiduciario". Le basi della rappresentanza, dunque, affondano nella fiducia. Un legame che si può tradurre in diversi modi: consenso, appartenenza, identità, riconoscimento. Fede. E si può realizzare attraverso diversi canali: partiti, associazioni oppure, in seguito, i "meriti dei media" (per citare Alessandro Pizzorno). Dove, alla fine, il destinatario e l'attore resta sempre una "persona"» (Diamanti 2010). Le elezioni diventano il mezzo per scegliere degli «individui noti» a cui affidare in un rapporto fiduciario il compito della rappresentanza. Questi individui stabiliscono un rapporto cognitivo con il proprio elettorato dettando, in base alla propria «salienza», un vincolo contestuale alla scelta elettorale. «I vincoli cognitivi hanno un effetto simile a quello prodotto dai vincoli della situazione di scelta. Di per sé, le elezioni favoriscono gli individui che sono salienti (e quindi distinti o diversi) per via di una caratteristica che le persone giudicano favorevolmente: in altre parole, gli individui considerati

46 In realtà il sistema elettorale interagisce fortemente con il sistema partitico e come osserva

Sartori (1997) in comparazione con gli Usa e l'Inghilterra, entrambi uninominali a un turno, ma con un diversa influenza da parte della «videopolitica». Infatti risulta «fortissima nelle votazioni americane e modesta in quelle inglesi. La ragione è […] che il sistema partitico è debole, debolissimo in America, mentre resta forte, fortemente strutturato, nel Regno Unito» (ibidem, 103).

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Questa dinamica, in realtà, ha creato anche dei cambiamenti nella comunicazione politica del presidente, ovvero come sintetizza Tulis (1987) nel concetto di «presidenza retorica», ossia «un sistema di governo che fonda la propria legittimazione nella comunicazione diretta (retorica ma non necessariamente demagogica) tra il presidente e i cittadini» (Fabbrini 1999, 70).

superiori agli altri» (Manin 2010, 158). In sostanza, l'istituto della rappresentanza gioca automaticamente un ruolo decisivo nel rapporto con la persona, lasciando successivamente alla campagna elettorale la scelta, tra gli individui più «salienti», di una sola tipologia di persona.

Il rapporto fisiologico presente all'interno dell'idea di democrazia trova così nella maggiore individualizzazione e nella «personalizzazione della rappresentanza politica» (Pasquino 1993, 352) la natura dell'inesorabile spostamento verso l'esterno di quel «baricentro complessivo delle organizzazioni politiche» (Pasquino 2009, 17). In questo inquadramento, a maggior ragione, è proprio la modernità dello strumento televisivo ad aver rivoluzionato lo schema di «conduzione» come dinamica di personalizzazione e le modalità di ricezione all'interno di una percezione individuale e privata (Hart 1999). Il politico sveste i panni del partito e ancora di più del riferimento ideologico, trovando la costruzione di se stesso principalmente intorno alla sua figura e alle caratteristiche proprie della sua individualità (Van Zoonen 1998). La personalizzazione diventa quindi un riferimento per la cultura di massa e per la comunicazione, risultando determinante nella trasformazione e nel funzionamento della dinamica politica (Mazzoleni 2004, 102) e il rapporto elettoralistico legato alla dimensione delle campagne elettorali – invase dai codici della comunicazione personale – diventa un fattore di riduzione della centralità dei partiti e dell'ascesa della politica personalizzata. Il nome del candidato tende ad essere svincolato dall'organizzazione a cui è legato e «ciò che il candidato dice assume più rilevanza del programma del suo partito […] e l'immagine, in special modo fisica, del candidato diventa più importante di qualsiasi altra qualità o caratteristica del candidato stesso» (Pasquino 1990, 207-208)48.

Tra gli effetti politici il secondo in questione, ovvero la leaderizzazione o personalizzazione della leaderiship, rappresenta forse per prossimità la principale caratteristica connessa all'effetto della personalizzazione. La leadership personalizzata presuppone una sorta di democrazia plebiscitaria caratterizzata dalla presenza di un capo – «leader» di una democrazia personalizzata per Cavalli 1992 – «che si contrappone, per l'appunto, alla democrazia acefala» e burocratica

48 Basti pensare anche all' «esigenza di rispondere alla preferenza del linguaggio dei media per la

di weberiana memoria (Pasquino 2010, 65). Da questo punto di vista «la democrazia guidata da un leader è la forma che più si attaglia ai processi di modernizzazione avvenuti nell'Occidente, in particolare alla comunicazione di massa» (Mazzoleni 2004, 104). Allo stesso tempo la democrazia plebiscitaria del leader non implica una non responsabilità politica; infatti, ad un leader che emerge attraverso la competizione elettorale, corrispondono dei meccanismi che ne «valorizzano e ne esaltano le potenzialità di leadership […] e ne facilitino l'esercizio del potere» (Pasquino 2010, 66), come appunto il sistema politico e istituzionale49. Ciò implica una serie di requisiti importanti da tenere in considerazione, sintetizzabili in una tripartizione che Marletti (2003; 2007; 2008) individua come «l'attitudine e le doti personali che rendono efficace la leadership; la trasversalità del consenso rispetto agli schieramenti politici; il conflitto che oppone il leader agli apparati di partito e al ceto degli intermediari della politica» (Marletti 2009, 62). Inoltre, nel rapportarsi ai media e in particolare al successo di determinate esperienze contemporanee di leadership – es. De Gaulle, Reagan e Berlusconi50 –, un dato importante emerge nella capacità dei leader di usare (sfruttare) i mass media come una delle risorse strategiche (forse la più importante) per raggiungere direttamente il pubblico di elettori (Campus 2006), attraverso un flusso costante e verticale di informazioni legate alla persona e alle issues imposte dalla loro dinamica comunicativa.

Il terzo elemento relativo agli effetti politici della mediatizzazione riguarda la selezione delle élite politiche, dove le primarie rappresentano un fenomeno importante che in qualche modo sembra «avere completato la parabola della personalizzazione della politica» (Pasquino 2009, 22). In questa dinamica di selezione mediatizzata si è registrato «un trasferimento dei meccanismi di reclutamento del ceto politico dalle macchine di partito ad agenti esterni al sistema partitico, che adottano criteri alieni e fuori controllo dei tradizionali selezionatori di partito» (Mazzoleni 2004, 106). Da questa prospettiva la logica di

49 «Con ogni probabilità, Weber avrebbe riconosciuto la sua democrazia plebiscitaria nelle

istituzioni e nella Costituzione della Quinta Repubblica francese piuttosto che nella Repubblica di Weimar» (Pasquino 2010, 66).

50 Interessante come per la Campus (2006) i tre leader oggetto della sua ricerca siano anche

selezione si aggancia ad un logica mediatica51 che sviluppa preferenze per «i personaggi telegenici, abili nella dialettica, pronti alla battaglia, e come i personaggi che ritengono di avere tali profili mediatici si sottopongono volentieri a questi dettami per acquisire un capitale di notorietà e per distanziarsi da altri concorrenti» (ibidem)52. Accade che questa trasformazione verso l'homo videns (Sartori 2010), «coloro che riescono a farsi eleggere non sono [più] i notabili locali, ma gli individui che padroneggiano meglio di altri le tecniche della comunicazione, per cui vengono chiamati «personalità mediatiche», […] una nuova élite di specialisti della comunicazione prende il posto dei militanti e degli uomini di apparati» (Manin 1995, trad. it. 2010, 281).

Tornando dunque a Manin, la valorizzazione del ruolo del leader e della comunicazione e la continuità della leadership contemporanea risultano variabili che, in qualche modo, tengono in vita la forma rappresentativa. In questa visione le primarie per la selezione dei leader e dei candidati «se utilizzate e congegnate seguendo una strategia integrativa, possono incrementare le prestazioni della democrazia rappresentativa» (Valbruzzi 2007, 30)53. In sostanza, «i partiti politici hanno guadagnato in leadership quello che hanno perduto in ideologia» (Mény e Surel 2000, trad it. 2001, 102), trasformando anche l'istituzionalizzazione del sistema politico verso forme monocratiche, come la presidenzializzazione (Poguntke e Webb 2005). Tuttavia, un elemento interessante tra leader ed elettori

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Esiste anche una sorta di effetto setaccio (winnowing effect) durante le primarie statunitensi, dove i media selezionano i candidati più mediatici, cercando di personalizzare la loro campagna e garantendo una copertura informativa. Questo effetto crea dei personaggi televisivi che consentono ai media di mantenere l'attenzione sulla fase iniziale della campagna elettorale, popolata da decine di candidati sconosciuti (Mazzoleni 2004).

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Il leader nel rapportarsi ai media diventano anche un «brand», dei marchi che garantiscono in qualche modo il prodotto elettorale. Barisione (2007) lo chiama «effetto leader», una serie di scorciatoie euristiche che riducono le complessità in relazione all'immagine del leader.

53 Da questa prospettiva la legittimazione della persona come leader e la sua, a volte sola e unica,

capacità di governare e comunicare consente di guardare alle primarie non solo come un «mito fondativo», Parisi le ha definite così pensando alla nascita dell'Ulivo (Diamanti 2011), ma nel caso