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Il ruolo del giudice ordinario e la giurisdizionalizzazione del diritto antitrust

CAPITOLO I. ORIGINI E NATURA DELL’ISTITUTO

3. L A NATURA DELL ’ ISTITUTO DEL DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA

3.3 Il ruolo del giudice ordinario e la giurisdizionalizzazione del diritto antitrust

Ferma la conclusione di natura preliminare di cui al precedente paragrafo, non possiamo fare a meno di segnalare che, accanto alle difficoltà di inquadramento sistematico della disposizione in commento sopra segnalate, la scarsa effettività della disposizione in commento nei suoi primi anni di vita, ha riacceso le critiche mosse dai fautori della natura concorrenziale dell’abuso di dipendenza economica ed ha posto le premesse per la modifica effettuata nel febbraio 2001 al testo dell’art. 9 l. subfornitura.

In particolare, nell’ambito di tali critiche, si è assistito al formarsi di un’opinione comune, peraltro espressa anche in relazione ad altri recenti interventi normativi, quali le discipline in materia di ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali e affiliazione commerciale, secondo la quale la scarsa effettività della disposizione trovasse, e trovi, la sua causa prima nella inadeguatezza, strutturale e culturale, dell’autorità giudiziaria ordinaria ad occuparsi di abusi di dipendenza economica84.

Prescindendo dal prendere posizione su una tale opinione, a cui, tuttavia, non si può far a meno di riconoscere un certo grado di fondatezza, non possiamo negare che l’Antitrust abbia una competenza più specifica e poteri istruttori e sanzionatori più penetranti rispetto all’autorità giudiziaria ordinaria in materia di abusi di impresa, nonché una maggiore rapidità nella definizione delle istruttorie. A ciò occorre anche aggiungere che le imprese che si ritengono vittime di illeciti antitrust trovano maggior convenienza e facilità nel rivolgersi all’Antitrust piuttosto che all’autorità giudiziaria ordinaria, e ciò sia

84

In tal senso G. De Nova, La subfornitura: una legge grave, in Riv. dir. priv., 1998, pag. 449; nonché C. Osti, op. cit., pag. 43. Riteniamo opportuno segnalare che in merito all’opinione che rinviene la motivazione dell’esiguo numero delle decisioni giurisprudenziali in materia di abuso di dipendenza economica nella inadeguatezza culturale dei giudici ordinari ad affrontare temi di stretta attinenza economica ed industriale, R. Natoli, op. cit., pag. 18, osserva: “…mancano, allo stato attuale degli studi sulla l. subfornitura, indagini

empiriche che si siano occupate della c.d. moral suasion indotta dalla normativa del ’98: non si è in grado di dire, cioè, se per caso, a prescindere dallo scarso contenzioso, non vi sia almeno una quota di operatori economici che s’è spontaneamente adeguata alle prescrizioni della legge in commento, rendendo più equi e trasparenti i rapporti d’impresa”.

perché la prima agisce sì su impulso di parte, ma poi procede autonomamente nella propria attività istruttoria, con ciò sollevando la parte denunziante da un’attività probatoria spesso assai complessa, sia perché l’Antitrust gode di poteri sanzionatori che generano, o comunque dovrebbero generare, un maggior effetto deterrente.

A fronte, però, di tale innegabile maggiore competenza e capacità per così dire “fisiologica” dell’Antitrust, si deve riconoscere che l’esiguità delle risorse di quest’ultima sembra consigliare che le stesse vengano indirizzate verso le situazioni economiche di maggior allarme anticoncorrenziale – ed in quest’ottica crediamo si debba leggere l’inciso dell’art. 9, comma 3 bis, l. subfornitura che riconosce competenza all’Antitrust “qualora

ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato” -, come, d’altronde, sembra accadere per l’antitrust europeo, il

quale ripone grande fiducia nella capacità dei giudici di “processare” il mercato.

È stato questo, infatti, l’approdo della lunga marcia della modernizzazione del diritto della concorrenza comunitario, iniziata con il Libro bianco del 1999 ed in via di conclusione con l’entrata in vigore, il 1° maggio 2004, del Regolamento CE n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato CE85.

Così come rilevato nel Libro bianco, le risorse della Commissione non consentono più di far fronte alla mole crescente di notifiche inviate da imprese che danno vita ad accordi potenzialmente integranti intese anticoncorrenziali, né la stessa Commissione potrebbe proficuamente indirizzare i suoi sforzi in questa direzione, perché ciò produrrebbe uno scarso controllo sulle intese che davvero meritano un’attenzione approfondita.

Partendo, pertanto, dalla considerazione dell’avvenuta diffusione della cultura della concorrenza nell’Unione Europea, il ruolo di controllore della natura anticoncorrenziale

85

In merito a tale regolamento si veda A. M. Calamia, La nuova disciplina della concorrenza nel diritto

delle attività delle imprese può essere svolto dai giudici ordinari nazionali, i quali devono svolgere “sotto questo aspetto un ruolo complementare rispetto a quello delle autorità

garanti della concorrenza degli Stati membri”86.

Dall’osservazione di tali dinamiche comunitarie sembra possibile trarre due ordini di considerazioni. La prima è che le risorse operative devono essere ben calibrate, e perciò bilanciate sulla diversa gravità dei singoli casi concreti: ciò che, nel caso di specie, induce a sgravare la Commissione – ovverosia l’organo comunitario istituzionalmente competente per l’applicazione del diritto antitrust – di tutti quegli oneri che possono essere assolti da altri soggetti. La seconda considerazione attiene al fatto che il legislatore comunitario ritiene di poter preporre proprio i giudici ordinari nazionali alla tutela diffusa dell’assetto concorrenziale del mercato, con ciò sostanzialmente rispondendo alle critiche di coloro che rinvengono anche nella scarsa competenza culturale dei giudici ordinari in campo economico la ragione per contestare la collocazione sistematica della disposizione sull’abuso di dipendenza economica87.

Il ruolo maggiormente centrale che il legislatore comunitario, ed il legislatore italiano con l’istituto in commento, nonché con altre disposizioni di recente emanazione, hanno voluto riservare ai giudici ordinari, sembra, inoltre, segnare il progressivo ravvicinamento con il sistema nordamericano88, in cui non si è mai dubitato della capacità dei giudici ordinari di svolgere un ruolo primario nella lotta contro i monopoli89.

86

Così il Considerando n. 7 del Regolamento CE n. 1/2003.

87

In tal senso R. Natoli, op. cit., pag. 20.

88

Si veda R. Natoli, op. cit., pag. 21: “…a mano a mano che l’antitrust comunitario entra nella fase

«costituzionale», liberandosi dalle incrostazioni extraconcorrenziali che ne hanno segnato fino a non molto tempo fa il percorso, esso si avvicina sempre di più nella fisionomia all’originaria matrice nordamericana, connotata invece storicamente da esclusive finalità di tutela della concorrenza”. Si vedano altresì: F. Ghezzi, Verso un diritto antitrust comune? Il processo di convergenza delle discipline statunitense e comunitaria in materia di intese, in Riv. soc., 2002, pag. 499.

89

Rileva A. Genovese, Il risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust: l’esperienza

americana, in Riv. Soc., 1992, pag. 682: “…il ricorso a meccanismi di controllo diffuso del rispetto di norme poste a tutela di interessi collettivi di speciale importanza, nei paesi anglosassoni, è comune a diversi settori dell’ordinamento, ed ha solide tradizioni. E l’incentivo fornito a ciascun operatore del mercato a farsi garantire dell’interesse pubblico al corretto svolgimento della concorrenza nel limite del suo interesse privato coincidente, vale, ancora una volta, come esaltazione dei principi del liberismo americano più ortodosso”.

Sulla scorta di tale ultima osservazione sembra possibile sostenere che vi sia un errore di impostazione nelle opinioni di coloro che affermano la natura “concorrenziale” o “civilistica” dell’istituto dell’abuso di dipendenza economica sulla base dell’organo deputato, o che dovrebbe essere deputato, a conoscere ed eventualmente sanzionare le fattispecie rilevanti in materia.

Analizzando, viceversa, il bene giuridico che il legislatore ha inteso proteggere con la disposizione in materia di abuso di dipendenza economica, ci sembra più corretto ritenere che esso debba riconoscersi nell’esigenza di salvaguardia della concorrenza nel mercato tramite la tutela dell’imprenditore dipendente, sia che a provvedere a tale salvaguardia sia l’Antitrust ovvero il giudice ordinario. Ciò che cambia, e non potrebbe essere diversamente, sono i mezzi di tutela e le risorse utilizzate. L’Antitrust, invero, sarà chiamata in causa se la gravità della minaccia richiede l’intervento di forze particolarmente qualificate, mentre basterà il solo intervento del giudice ordinario là dove la minaccia sia di entità minore e possa dunque essere sventata senza la necessità di mettere in capo le risorse altamente specializzate della prima.

Sebbene, infatti, esista un rapporto di corrispondenza biunivoca tra regole generali di funzionamento complessivo del mercato ed interventi su singole operazioni economiche, ciò non comporta la conseguenza che di ogni singola operazione, di ogni micromercato, debba occuparsi l’Antitrust, senza, per contro, poter sostenere che ciò di cui non si occupa l’Antitrust non possa produrre effetti anticoncorrenziali.

Al contrario deve ascriversi alla discrezionalità propria del legislatore, di cui eventualmente si potrà contestare la scelta, l’individuazione dell’organo ritenuto più idoneo a combattere le minacce anticoncorrenziali delle imprese.

Fermo tale indiscutibile potere di scelta, e ribadendo che l’attribuzione al giudice ordinario della competenza a conoscere l’abuso di dipendenza economica non possa essere contestato sulla base della presupposta incapacità culturale dei giudici italiani ad occuparsi

di questioni antitrust, in una prospettiva, almeno formale, di economicità delle risorse90, da un lato, e di evoluzione del ruolo della giurisprudenza dall’altro91, riteniamo che tale scelta sia sostanzialmente corretta, in quanto l’attribuzione di tale competenza all’Antitrust, sebbene supportata da fondate motivazioni, avrebbe rischiato di paralizzare l’attività di quest’ultima a tutto scapito della tutela di situazioni di rischio di alterazione dell’intero mercato o di parte rilevante di esso.

3.4 Il divieto di abuso di dipendenza economica quale fattispecie antitrust