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Il ruolo della judicial review al crocevia tra giustizia e politica

IL DIBATTITO SULLA LEGITTIMAZIONE DELLA CORTE SUPREMA

7.2 Il ruolo della judicial review al crocevia tra giustizia e politica

Abbiamo evidenziato il valore costituzionale autorevole dei dicta della Corte Suprema, gli effetti vincolanti generalizzati delle sue sentenze che sono in grado di determinare un impatto consistente nell‟organizzazione e nel funzionamento dell‟ordinamento giuridico costituzionale (nell‟equilibrio fra i poteri del governo federale e fra Federazione e Stati), nonché, da un certo momento in poi, anche nell‟individuazione e connessa garanzia dei diritti fondamentali. Abbiamo anche messo in chiaro il carattere sostanzialmente, e in parte inevitabilmente, discrezionale e politico, più che squisitamente tecnico-giuridico, dell‟attività interpretativa da essa esercitata attraverso l‟utilizzo strumental-strategico nonché contaminato ideologicamente, delle diverse tecniche di giudizio e delle differenti teorie dell‟interpretazione costituzionale. Evidenziate le contraddizioni insite nel carattere antimaggioritario e nella carente e incerta legittimazione democratica della funzione di judicial review, esercitata da un corpo di giudici nominati, sciolti da vincoli di responsabilità diretta nei confronti dell‟elettorato, i quali possono ugualmente porre le proprie scelte al di sopra e contro quelle formulate dalle maggioranze votate attraverso i circuiti della rappresentanza popolare, ed espresse tramite i meccanismi democratici della produzione normativa, possiamo ora tentare di proporre alcuni tentativi di riconciliazione e riavvicinamento della funzione di judicial review con il principio democratico a fondamento del sistema costituzionale.

Il paradosso di un corpo di giudici non eletti, dalla legittimazione quindi alternativa a quella politica e democratica ordinaria, di natura tecnico-giuridica e di tipo sapienziale o elitario-aristocratico, in grado di controllare e, se e quando ritiene necessario e opportuno, derogare in maniera definitiva (ad eccezione della strada emendativa formale) alle preferenze espresse dal corpo degli eletti, sulla base della valutazione di

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un‟insanabile contrasto normativo fra una norma, oggetto specifico del controllo (sempre concreto e incidentale) e the Supreme law of the Land, del cui rispetto è massimo interprete e guardiano, anima un dibattito attuale, acceso e diffuso ormai, con le dovute singolarità, anche in ambito europeo, dove si sviluppa il fenomeno complesso

del costituzionalismo multilivello376.

Si tratta, infatti, di una discussione incentrata sull‟osservazione critica dei diversi aspetti

di questa problematica relazione377, di una disputa che si è riprodotta, con le inevitabili

specificazioni, anche nel contesto delle varianti del sindacato di costituzionalità realizzate in ambito europeo continentale che, seppur espressione di una diversa e peculiare cultura giuridica (romanistica e di Civil Law), cerca, con pari interesse ed impegno, di avvalorare oppure sciogliere la polemica sul rapporto ambiguo fra politica e diritto (costituzionale) e quindi anche, in alcuni casi, di avanzare delle interpretazioni del controllo giudiziale di costituzionalità conciliabili o quanto più compatibili con il principio democratico.

Il fatto che, in concreto, la Corte Suprema crei diritto378, un diritto superiore da essa

stessa amministrato379 , realizza i presupposti di un governo dei giudici sovraordinato al

governo degli eletti, che non può che smascherare e denunciare l‟ipocrisia dissimulata nella pretesa, formalmente proclamata come regola, di doversi sempre astenere dalle questioni politiche di spettanza esclusiva del circuito maggioritario per non sconfinare nelle competenze costituzionalmente riservate agli organi politici competenti e compromettere gravemente, in tal modo, il principio fondamentale della separazione dei poteri e delle funzioni dello Stato a garanzia di un governo limitato e bilanciato nelle sue espressioni di comando.

A riprova del carattere discrezionale (e necessariamente politico) delle valutazioni fatte in sede interpretativa dalla Corte Suprema, basti considerare la deroga al principio generale dello stare decisis che permette alla Corte di sovvertire alle proprie stesse decisioni.

La Corte può infatti ribaltare completamente i propri precedenti con sufficiente facilità, senza incontrare limiti di sorta; questo ovviamente consente di effettuare delle

376 Sul tema vedi P. Scarlatti, “Costituzionalismo multilivello e questione democratica nell’Europa dopo Lisbona”, in Rivista telematica giuridica dell‟Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n.1, 2012. 377

Sul rapporto fra potere giudiziario e potere legislativo vedi E. Ceccherini, “La funzione del giudice nel

crescente processo di osmosi fra ordinamenti: spunti di riflessione”, in Revista general de derecho comparado, 8, 2011, pp.1-29.

378 Già a partire dalla data di nascita della funzione della judicial review individuata nella sentenza Marbury v. Madison del 1803, il Chief Justice Marshall riconobbe nel potere giudiziario il compito di “to say what the law is”.

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necessarie correzioni di sentenze “cattive” o datate, favorendo l‟aggiornamento e l‟evoluzione della Costituzione affinché risulti costantemente al passo con i tempi e al riparo dai rischi di pietrificazione e inapplicabilità delle sue disposizioni. Conseguentemente, tale possibilità, sempre percorribile, di modificazioni tacite e informali della Costituzione, per via giurisprudenziale, favorisce lo sviluppo dell‟ordinamento secondo gli adattamenti e approfondimenti di significato richiesti dalle trasformazioni della società nel suo complesso.

Non si può ignorare, però, per altro verso, come la deroga al vincolo del precedente, valida esclusivamente per la Corte Suprema, segnali in maniera marcata la reversibilità, relatività e soggettività delle sue sentenze. La precarietà delle decisioni della Corte emerge dalla provvisorietà degli esiti del proprio operato, sempre soggetto a futuri ripensamenti. Nonostante, quindi, si richieda alla Corte di agire da soggetto super partes, di natura arbitrale, che si limiti ad un ragionamento giuridico, obiettivo e neutrale, per accogliere le sue decisioni, accettarne il peso e, soprattutto, per permettere al principio del legittimo affidamento di configurarsi, la maggioranza dei giudici supremi (5 voti a 4) può sempre decidere di rovesciare, sostanzialmente in assoluta libertà, i giudizi precedentemente resi, ammettendone, anche solo implicitamente, l‟erroneità, parziale o completa.

La convertibilità anche netta dei giudizi resi dalla Suprema Corte pone d‟altronde seri problemi sulla tenuta del principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento, a seguito del venir meno della garanzia delle sentenze passate in giudicato.

La parzialità e correggibilità delle scelte effettuate dalla Corte, che demolisce completamente ogni pretesa d‟infallibilità dei giudici e imparzialità e neutralità tecnico- giuridica oggettiva dell‟attività di judicial review, emerge non solo dall‟utilizzo dell‟overruling ma anche dalla possibilità di esprimere e pubblicizzare opinioni personali da parte di singoli giudici attraverso la redazione di dissenting opinion e concurring opinion.

Tramite l‟istituto della dissenting e concurring opinion380, d‟altra parte, la Corte

Suprema riuscirebbe a superare le obiezioni di non democraticità o di carenza di legittimazione, introducendo il confronto dialettico e pubblico del pluralismo di opinioni presenti in seno alla Corte. Si tratta, quindi, di strumenti che adottano il valore della democrazia deliberativa e inclusiva a proprio fondamento, in quanto le minoranze

380 M. Gorlani, “La dissenting opinion nella giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti: un modello importabile in Italia?”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2012.

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godono della facoltà di manifestare liberamente, argomentare e motivare pubblicamente il proprio pensiero non in linea con l‟opinione di maggioranza, impegnarsi legittimamente al sostegno delle proprie tesi e aspirare a che diventino, in futuro, a loro volta maggioranza, secondo il criterio democratico dell‟alternanza.

L‟instaurazione per via giurisprudenziale della judicial review, mancando in Costituzione un'esplicita e diretta previsione di tale funzione, che venne infatti dedotta ed estrapolata logicamente da altre clausole (la Supremacy Clause) e comparse in maniera più nitida nelle riflessioni del Federalist, ha suscitato nella sfera politica e nell‟opinione pubblica una dura contestazione e solo gradualmente una relativa accettazione, finendo per consolidarsi nella judicial supremacy, il diritto della Supreme Court all‟ultima parola nelle questioni costituzionali381.

Il legislatore può riacquisire tale diritto, in caso di contrasti insanabili con la giurisprudenza costituzionale, attraverso la strada, sempre percorribile per quanto particolarmente difficoltosa e impegnativa, della revisione costituzionale con cui può riaffermare la propria volontà, precedentemente bloccata in forma di legge, in un emendamento formale, il solo strumento con cui può vincere la censura o contrarietà

della Corte e scavalcare le sue sentenze382.

E‟ possibile comunque valutare il maggiore o minore grado di disallineamento delle pronunce della Corte con gli orientamenti e le scelte fatte dalle maggioranze di turno, nel corso delle epoche, e scoprire che l‟atteggiamento della Corte non sia stato sempre di segno oppositivo rispetto ai poteri politici e che quindi il suo ruolo si sia dimostrato solo potenzialmente anti o contromaggioritario ma maggioritario nel concreto.

Attraverso un‟attenta analisi storica la dottrina statunitense è arrivata ad individuare dei veri e propri cicli di teoria costituzionale che hanno connotato, in forme solo tendenzialmente coerenti ed organiche, i pronunciamenti della Corte Suprema.

381 In tema di “diritto all‟ultima parola” cfr. L. Favoreau, “La légitimité du juge constitutionnel”, in Revue internationnelle de droit comparé, 1994, pp. 557 e ss; G. Zagrebelsky, “Principi e voti: la Corte costituzionale e la politica”, Einaudi,Torino, 2005; V. Ferreres-Comella, “Justicia constitucional y democracia”, Madrid, 1997, p. 42 ss.

382 Ricordiamo le quattro occasioni in cui il potere di revisione costituzionale ha funzionato in tal senso:

l‟XI emendamento che limitò gli effetti della sentenza Chisholm v Georgia (1793) in cui si decise che uno Stato potesse essere chiamato in giudizio da un cittadino di altro Stato, il XIV emendamento che superò

Scott v Sandford (1857) e il diritto costituzionale al possesso di schiavi, il XVI emendamento che abrogò Pollock v. Farmer’s Loan and Trust Co. (1895) dove si dichiarava incostituzionale un‟imposta sul reddito

salvo una previa distribuzione dei fondi fra i diversi Stati e infine il XXVI emendamento che superò la decisione Oregon v. Mitchell (1970) sul divieto fatto al Congresso di stabilire l‟età minima per il diritto di voto nelle elezioni statali.

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Si tratta di grandi teorie della Costituzione e della sua interpretazione che hanno fatto da

sfondo, teorico giustificante, alle diverse decisioni dei giudici383.

Differenti metodi ermeneutici hanno legittimato una lettura statica o evolutiva dei fini e dei valori posti a fondamento della Costituzione, espressione a loro volta di una visione progressista o conservatrice dei significati ritenuti incorporati nella Costituzione e di un atteggiamento attivista o improntato al self-restraint.

C‟è poi chi vede nel self-restraint la possibilità fattuale di veder mitigare il vizio antimaggioritario imputato alla judicial review, trascurando però il ruolo in ogni caso

incisivo e determinante anche delle virtù passive della Corte384.

C‟è infine chi contesta l‟esistenza stessa della counter-majoritarian difficulty sulla base di un‟analisi empirica che confermerebbe un tendenziale allineamento della condotta della Corte con gli altri attori costituzionali che a loro volta canalizzerebbero e

rifletterebbero gli orientamenti prevalenti della pubblica opinione385. Ma tale

interpretazione del ruolo della Corte Suprema, più defilato e modesto, deferenziale rispetto alle preferenze del governanti, meramente ricettivo nei confronti degli umori dell‟opinione pubblica, ne comprometterebbe, se non svuoterebbe completamente, il ruolo genuinamente arbitrale e di garanzia ad essa affidato, del rispetto delle regole fondamentali del funzionamento democratico dell‟ordinamento costituzionale, privando inoltre i diritti fondamentali, soprattutto rispetto alle minoranze svantaggiate e sottorappresentate, della necessaria tutela giustiziabile e rinforzata. Inoltre, l‟immagine di un controllo blando e moderato dovuto ad un tendenziale, quasi scontato, allineamento fra opinione della maggioranza e volontà della popolazione distorcerebbe la comprensione della realtà politica-istituzionale in cui la lotta e lo scontro di posizioni

383 S. Gerotto, “Premesse metodologiche ad una teoria del dialogo tra giudice costituzionale e legislatore”, Cluep, Padova, 2008.

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V. Barsotti, “L’arte di tacere. Strumenti e tecniche di non decisione della Corte Suprema degli Stati

Uniti”, Giappichelli, Torino, 1999. Viene sottolineato il valore eminentemente politico, discrezionale e

strategico, della case selection nelle mani della stessa Corte che nel processo di selezione dei casi, che si rivela un ulteriore mezzo di policymaking, è assolutamente libera di concedere o rigettare (in base alla

rule of four) la richiesta di certiorari, senza dover motivare tale scelta. Il constructive use of silence,

permette ai giudici di perseguire gli stessi fini politici a cui tendono, nella stessa misura in cui lo fanno quando, in base ad una serie di considerazioni contingenti di opportunità, decidono di accordare l‟esame e la piena decisione di una controversia.

385

R. A. Dahl, “Decision-making in a democracy. The Supreme Court as a national policy-maker”, in 6

J.Pub.L., 1957, p. 293. L‟Autore sostiene l‟esistenza di una “dominant national [lawmaking] alliance” di

cui la Corte farebbe inevitabilmente parte, considerando il limitato numero di casi di declaratoria di incostituzionalità di leggi federali in un lungo lasso di tempo. Questo, a detta dell‟autore e di altri studiosi, dimostrerebbe come mai la Corte si sia contrapposta troppo a lungo agli indirizzi politici dominanti nelle istituzioni rappresentative e abbia al contrario manifestato una tendenziale deferenza a quegli indirizzi che la configurerebbe nei fatti come istituzione maggioritaria.

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ed interessi plurali rappresenta un elemento imprescindibile e vitale della politica nonché il fondamento dei meccanismi democratici di composizione dei conflitti.

L‟istituto della judicial review in questo modo perderebbe ogni funzione democratica e di contrappeso effettivo rispetto al potere delle maggioranze politiche, il cui esercizio dovrebbe controllare e contenere nei limiti posti dalla Costituzione stessa a garanzia dei diritti e delle libertà degli individui.

Inoltre si demolirebbe ogni presupposto della tanto biasimata judicial supremacy,

preservando il primato degli eletti386 e in generale della politica sulla giustizia, della

legislazione sulla giurisprudenza, in ossequio al credo del legicentrismo, di fatto estraneo alla cultura giuridica, ancorata alla tradizione di Common law, degli Stati Uniti. Il costituzionalismo statunitense, nella sua connaturata tensione con la democrazia, è

condizionato e caratterizzato da un intreccio inestricabile tra diritto e politica387, una

commistione e ibridazione tra i due piani che può essere compreso solo con un‟analisi approfondita delle origini e della storia costituzionale degli Stati Uniti.

Il processo di formazione delle decisioni giurisprudenziali si fonda infatti su una particolare combinazione di diversi elementi, giuridici e soprattutto extragiuridici, ovvero di fattori politici, economici, sociali, storici, nonché dei personali, e parziali, intendimenti dei singoli giudici, che mescolandosi in un tutto, influenzano il convincimento dei giudici e strutturano le argomentazioni a sostegno delle sentenze. Per queste ragioni tale processo decisionale, che fra l‟altro funziona a maggioranza, si avvicina non poco, nelle sue caratteristiche di base, al political process (difettando però della imprescindibile sottoposizione agli ordinari meccanismi di controllo e di responsabilità propri di una democrazia rappresentativa), e paventa il rischio di una “terza Camera”, capace di agire da contropotere e bloccare le scelte fatte dalle rappresentanze popolari, imponendo al loro posto la propria volontà, accantonando completamente, di fatto, qualunque riguardo alla dottrina della political question e

arrivando ad emettere anche sentenze manifestamente partigiane388, frutto

evidentemente non neutrale, di un insieme di ragioni pratiche, di opzioni politiche, di inclinazioni filosofiche e di scelte di valore personali degli interpreti. Ecco che il ruolo dell‟interpretazione delle norme viene in primo piano e dimostra di essere talvolta più

386 R. Hirschl, “Toward Juristocracy: the origins and consequences of the New Constitutionalism”,

Harvard University Press, Cambridge, Mass., 2004.

387 S.M. Griffin, “Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica”, op.cit., pp. 235-237. 388

Per fare solo uno degli esempi più eclatanti e significativi di pronunce viste come arbitrarie e di parte, ricordiamo Bush v. Gore, la sentenza più partigiana che la Corte abbia mai emesso. Vedi M.J. Klaeman, “Bush v Gore. Through the lens of constitutional history”, in California L. Rev., 2001, vol. 101, p.1725.

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importante, soprattutto negli effetti, della stessa norma scritta oggetto di interpretazione

nel giudizio389.

È questo che crea un rapporto, non di corrispondenza lineare ma più spesso di

asimmetria e contraddittorietà, fra la law in the books e la law in action390, al cuore della

corrente del realismo giuridico e della visione della living Constitution391.

È da segnalare anche un‟altra visione del rapporto fra giurisprudenza della Corte e politica che tende ad evidenziare il legame che molti Presidenti si sono impegnati ad istaurare con la Corte Suprema, preferendo trovare in essa un valido ed autorevole alleato piuttosto che un nemico da tenere a bada, attaccare o con cui competere in un gioco di forza in cui l‟esecutivo, soprattutto se si dovesse trovare nella sfavorevole ma sempre più frequente situazione di divided government, rischierebbe di soccombere. Sarebbe questa la strategia preferita da molti Presidenti che vorrebbero vedersi appoggiati da un orientamento benevolo della Corte rispetto alle proprie scelte d‟indirizzo politico, per far sì che queste acquisissero maggiore forza e immediata e più estesa accettazione all‟interno di un ordinamento estremamente frammentato a livello politico-istituzionale (indotta dalla struttura federale dell‟ordinamento, dalla separazione orizzontale del potere e dal sistema politico), nonché nella variegata società statunitense392.

Viene da più voci sostenuto, in ogni caso, il ruolo inevitabilmente politico, in differenti situazioni e non solo negli interstizi lasciati liberi dagli altri organi costituzionali, da legislatore costituzionale della Corte Suprema, che è in grado, quando, per diverse ragioni, lo ritiene opportuno, “di rovesciare la Costituzione come un calzino: irrigidendola oltremodo o integrandola con interventi paracostituenti, dilatandola per consentire di far entrare nel testo nuovi diritti o processi che il testo non ha previsto né

disciplinato393”.

Per quanto riguarda invece il tentativo di attribuire ai giudici un ruolo più compatibile con il principio democratico dell‟ordinamento, ricordiamo la teoria di Ely che imputa proprio al giudiziario e alla Corte Suprema in particolare il compito di custode della

389 D. Kennedy, “A Critique of Adjudication”, op.cit., p. 394.

390 Vedi R. Pound, “Law in Books and Law in Action”, 44 Am. L. Rev., 1910, pp. 12 e ss.; ID., “The Scope and Purpose of Sociological Jurisprudence”, in 25 Harv. L. Rev., 1912, p. 489.

391

D. A. Strauss, “The Living Constitution”, Oxford University Press, New York, 2010.

392 K.E. Whittington, “Political Foundations of Judicial Supremacy: the Presidency, the Supreme Court and Constitutional Leadership in U.S. history”, Princeton, NJ, 2007, p.295.

393 G. De Vergottini, T.E. Frosini, “Sul mito della Corte Costituzionale in-politica”, Editoriale in

“Giustizia costituzionale e politica”, Percorsi Costituzionali, n.2/3, 2010, cit. p.4. La citazione è particolarmente indicativa del ruolo determinante della giustizia costituzionale in uno Stato costituzionale e democratico, nonostante gli autori si riferiscano nello specifico alla Corte Costituzionale italiana.

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democrazia, soprattutto procedurale, e dalla Costituzione intesa come limite al prevalere

del potere delle maggioranze394 che possono creare casi di process failure, di

malfunzionamento del sistema democratico, e ridurre l‟esercizio delle libertà a danno di gruppi minoritari sfavoriti in quanto di fatto discriminati ed esclusi dai canali della partecipazione politica e dai processi deliberativi che appositamente la Corte Suprema

ha il compito di rendere inclusivi, paritari ed aperti395.

Attraverso una ricostruzione della giurisprudenza della Corte sarebbe possibile, secondo Ely, dimostrare come questa fosse stata una risorsa insostituibile per la stessa democrazia e superare quindi l‟accusa di difetto di legittimazione democratica diretta nella misura in cui l‟esito dei processi di interpretazione costituzionale fossero stati meritevoli di rispetto in termini di qualità ed effetti democratici (come ad esempio nei segregation cases).

La legittimazione del ruolo della Corte non si può quindi misurare con i medesimi criteri del potere politico ma soltanto a posteriori e in termini di giustizia dei risultati ovvero di prestazioni democratiche nel loro significato e soprattutto nei loro effetti concreti.

La Corte dovrebbe cioè assicurare una struttura dialogica e aperta nei confronti della politica e della società, farsi interprete e promotrice di una visione egualitaria e partecipativa a tutti i livelli dell‟ordinamento, sfruttare il suo ampio capitale di credibilità e autorevolezza a fini di giustizia sociale, di garanzia dei diritti fondamentali e di una condivisione delle scelte collettive a cui tutti i gruppi della società devono poter prendere parte e contribuire attivamente.

È a partire da queste premesse che la Corte può riuscire a comporre i valori confliggenti di una società sempre più eterogenea in una sintesi condivisa al massimo grado possibile. Solo in questa prospettiva potrebbe pretendere di limitare e correggere la democrazia per finalità democratiche, mantenere in questo modo una workable Constitution e assicurare una workable democracy396.

C‟è anche chi invece propone di superare la judicial supremacy e sciogliere definitivamente il nodo della countermajoritarian difficulty, richiedendo alla Corte

394 Viene immediato qui il richiamo ai timori espressi da Madison nel Federalist n. 51 sui pericoli di

tirannia della maggioranza.

395

J.H. Ely, “Democracy and Distrust; a theory of judicial review”, Harvard University Press., Cambridge (Mass.), 1980, pp. 105 ss. L‟autore elabora la sua teoria della judicial review a partire dalla

Footnote 4 a Carolene v. Products e individua nella tutela delle discrete and insular minorities e in

generale nella garanzia dell‟accesso e della partecipazione ai processi deliberativi pubblici i compiti fondamentali della Corte Suprema che ne legittimerebbero democraticamente il ruolo.

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