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sacro tanto per i musulmani, che per gli indù e per i buddhisti. I primi lo considerano

sacro tanto per i musulmani, che per gli indù e per i buddhisti. I primi lo considerano l'impron-ta di Adamo, primo profel'impron-ta dell'Islam, per gli Indù rappresenl'impron-ta l'impronl'impron-ta dell'Essere Supremo Shiva e per i Buddhisti è quella di Buddha. Pare sia meta di pellegrinaggio anche da parte di alcuni cristiani per i quali può appartenere sia ad Adamo sia a San Tommaso. Cfr. Dunn, The

Adventures of Ibn Battuta, cit., pp. 294-295.

53 Seguendo il regime dei monsoni, Ibn Battuta deve essere partito da Calicut non più tardi di maggio per dirigersi verso le Maldive, questo perché in giugno e luglio, nel periodo dei mon-soni estivi, il porto di Calicut doveva essere chiuso. Se avesse aspettato fin dopo l'estate con il placarsi dei monsoni estivi e l'arrivo di quelli invernali da nord, non avrebbe poi trovato nessu-na nessu-nave disposto a trasportarlo fino nel golfo del Bengala. In ogni caso si tratta di unessu-na data pre-sunta, in quanto Ibn Battuta non lascia nessuna indicazione precisa. Ivi, p. 296.

54 Ibn Battuta usa il toponimo Sudkawan, sulla cui identificazione esistono opinioni contra-stanti: alcuni propongono Satgaon, sul ramo più occidentale del delta del Gange, mentre Gibb e altri propendono per Chittagong, all'estremità est dello stesso delta. Cfr. Gibb e Beckingham,

The travels of Ibn Battuta, cit., p. 868, nota 3; Yule, Cathay, cit., p. 136, nota 2; Tresso, Ibn Battuta, cit., p. 674, nota 63.

55 Probabilmente lo Shah Jalal, uomo santo/guerriero, originario del Turkestan e morto nel 1347, che avrebbe partecipato alla conquista del Sylhet, convertendone la popolazione all'Islam. Cfr. Tresso, Ibn Battuta, cit., p. 676; Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, cit., p. 320.

Nel porto di Samudra, Sumatra nord-occidentale, Ibn Battuta attese l'ar-rivo dei Monsoni estivi per poter salpare verso nord-est, ossia verso l'impero mongolo. Nel marzo 1346 iniziò il suo viaggio. Seguendo le stime, giunse a Quanzhou nel giugno del 1346, dopo quasi quattro mesi di navigazione con due tappe intermedie, non facilmente identificabili. Le due città menzionate nella Rihla sono Qaqula56 e Kailucary. La prima potrebbe trovarsi sia sulla costa orientale dell'isola di Malacca e dunque essere stata visitata nel tragitto Sumatra Cina, sia su quella occidentale, come sostiene Tibbetts,57 perciò tap-pa nel percorso tra la Birmania e Sumatra. Per quanto riguarda la seconda, l'identificazione è ancor più enigmatica: il porto di Kailucary, come descrive Ibn Battuta, si trova nel regno Tawalisi.58 Kailucary è una delle città più va-ste e preziose del regno. Essa è governata da una donna guerriero, che rical-ca nel dettaglio le peculiarità di quei misteriosi "regni delle donne", diffusi nelle fonti letterarie medievali cinesi, europei e arabe.59 Presumibilmente si tratta di un porto lungo la costa dell'Indocina, nell'attuale Vietnam, per esempio nel regno di Champa, come sostiene Yamamoto Tsaturo, o Tonchi-no, come ipotizzano Defremery e Sanguinetti.60Yule riporta il regno di

56 Secondo le descrizioni di Ibn Battuta qaquli sarebbe il nome di un particolare aloe indiano, molto pregiato, prodotto appunto nella città porto di Qaqula. Seguendo i dati forniti dal viag-giatore maghrebino Qaqula dovrebbe identificarsi con una città dell'isola di Giava. Si raggiun-gerebbe con ventuno notti di navigazione da Sumatra. Tresso, Ibn Battuta, cit., pp. 687-688.

57 Tibbetts al contrario di Cordier ritiene che la descrizione di questa città, Qaqula, compaia in un posto errato della Rihla, in quanto è molto probabile che Ibn Battuta l'abbia visitata dopo essere ripartito dalla Cina e non prima. Ciò richiamerebbe l'attenzione su Ibn Juzzayy, il lettera-to a cui il viaggialettera-tore affidò i suoi racconti e che intervenne nell'opera per renderla più fluida e scorrevole. Verosimilmente Ibn Juzzayy al fine di evitare sovrapposizioni ritenne opportuno riunire alcune descrizioni di luoghi visitati più volte o in occasioni differenti, senza considerare la reale cronologia dell'itinerario. G.R. Tibbetts, A study of the Arabic texts containing material on

South-East Asia, Leiden, 1979, pp. 97-98. Henry Cordier, Histoire Generale de la Chine, 4 voll., Pa-ris, 1920, cit. in Yule, Cathay, cit., vol. IV, p. 157.

58 Il regno di Tawalisi si raggiunge dopo sessantuno giorni di navigazione dall'isola di Gia-va, di cui gli ultimi trentasette attraverso il Mare Calmo. Secondo quanto affermato da Ibn Bat-tuta stesso, cfr. Tresso, Ibn BatBat-tuta, cit., p. 691.

59 Rispetto a questa principessa e alla storia che la riguarda, i dubbi sono numerosi. Proba-bilmente si tratta di uno dei vari aneddoti sull'esistenza di un paese governato e abitato intera-mente da donne. Anche Marco Polo parla di un'isola "Femele", alla quale si recano saltuaria-mente gli abitanti uomini della vicina isola "Malle". Cfr. Marco Polo, Il Milione, a cura di Valeria Bertolucci Pizzorusso, con indici ragionati di Giuliano Cardona, Adelphi, Milano, 1975; Dunn,

The Adventures of Ibn Battuta, cit., p. 320, nota 34; Tresso, I Viaggi, cit., p. 692. Per approfondimen-ti riguardo la letteratura cinese si veda Paul Pelliot, Notes on Marco Polo, Paris, Imprimerie Na-tionale, 1963, vol. II, sotto la voce nüguo ྣഭ, pp. 671-725.

60 La localizzazione di questa città rimane ancora molto discussa. Si veda Gibb e Beckin-gham, The travels of Ibn Battuta, cit., p. 884, nota 25 e l'articolato studio di Tatsuro Yamamoto, On

lisi presso l'arcipelago Sulu, nelle Filippine meridionali.61 Purtroppo la de-scrizione di questi luoghi è così confusa che la loro ubicazione resta un mi-stero. Ibn Battuta giunse quindi a Quanzhou nel giugno 1346 dopo 17 giorni di navigazione da Tawalisi. Nel Fujian ebbe la fortuna di incontrare di nuo-vo uno dei delegati cinesi conosciuto a Delhi. Fu proprio questo gentiluomo che fece in modo che Ibn Battuta potesse inviare la sua lettera in qualità di ambasciatore del sultano dell'India all'imperatore cinese Togham Temur (nome postumo Shundi, 1333-67) e quindi ricevere l'invito ufficiale a recarsi nella capitale. Nell'attesa della risposta dell'imperatore, Ibn Battuta inizia il suo peregrinare nell'Impero Yuan, del quale ci lascia numerose impressioni e aneddoti in parte veritieri.

La Cina mongola secondo Ibn Battuta

Ibn Battuta giunse in Cina nel pieno periodo di declino della dinastia Yuan, l'imperatore Togham Temur nel settembre 1368 abbandonò Pechino per rifu-giarsi nelle steppe, sfuggendo al nuovo imperatore Ming, Hongwu. La dina-stia Yuan fu cosmopolita, aperta e tollerante nei confronti delle diverse etnie e religioni, ma non seppe arginare il malcontento crescente della classe contadi-na. I decenni in cui Ibn Battuta visitò la Cina furono caratterizzati da un'infla-zione galoppante e una crescente tensione nelle campagne che l'amministra-zione mongola non era più in grado di controllare. L'insoddisfal'amministra-zione venne incanalata dai maggiori esponenti delle numerose società segrete. Il più lun-gimirante fu proprio Zhu Yuanzhang, figlio di poveri contadini della Cina centrale, che fondò la dinastia Ming.62 Ibn Battuta descrive la Cina meridionale come uno dei Paesi più fiorenti e ricchi che abbia mai visitato. Nonostante le rivolte e le tensioni interne, la Cina è ancora in grado di sorprendere i mercanti e i dotti musulmani per la propria magnificenza e vastità.

La sezione della Rihla riguardante la visita in Cina, seppure nella sua brevità e imprecisione, è ricca di molti dettagli sui prodotti autoctoni e sull'intensità degli scambi commerciali. Ibn Battuta, come in tutta la sua

61 Come sostiene Dunn, se Ibn Battuta percorse la normale rotta, dalle coste della Malacca fino alla Cina meridionale, una tappa presso l'Indocina meridionale o lungo le coste della Ma-lacca sarebbe stata comprensibile e molto probabile, come afferma anche Tibbetts. Ma la descri-zione di Tawalisi risulta arricchita di molteplici particolari derivanti da altri contesti. Cfr. Dunn,

The Adventures of Ibn Battuta, cit., p. 321. E' particolarmente interessante constatare che lo studio-so e traduttore cinese Li Guangbin prende in considerazione studio-soltanto l'arcipelago Sulu, nelle Filippine meridionali, ricalcando Yule.

62 Per una trattazione più approfondita della dinastia Yuan si veda Sabattini, Santangelo,

ra, utilizza numerose similitudini e metafore, così è possibile rintracciare "lo zucchero paragonabile a quello egiziano", "i meloni che ricordano quelli di Khwarizm", "il grano migliore che ho visto al mondo".63 Il capitolo è suddi-viso in varie sezioni, ognuna concernente una peculiarità e vari aneddoti: il commercio della porcellana, che egli sostiene è presente fino in Maghreb, i galli cinesi, così grandi da scambiarli per struzzi, la diffusione della carta moneta, introdotta dalla dinastia Yuan per facilitare gli scambi e ridurre le difficoltà della classe mercantile, l'aneddoto riguardante la rapidità con cui i pittori cinesi possono ritrarre uno straniero e diffonderne le sembianze. Nei suoi racconti sulla sicurezza e la comodità del viaggio in Cina, Ibn Battuta conferma quanto fosse efficiente la politica di sviluppo dei trasporti della dinastia Yuan.64 Il settore economico che ebbe maggior sviluppo fu proprio il commercio, specialmente dopo la riunificazione di tutta la Cina nel 1279. I mercanti 65 erano liberi e godevano di una parziale esenzione dalle tasse. Grazie alla Pax Mongolica e alla fitta rete di comunicazione organizzata da-gli Yuan ogni mercante o viaggiatore ne poteva godere, sfruttando le nume-rose stazioni terrestri e fluviali,66 che si estendevano per tutto il territorio da nord a sud. In queste stazioni era possibile rifornirsi di cavalli, carri, portan-tine, battelli e vettovaglie.

Nel descrivere lo splendore e lo sfarzo del palazzo imperiale, la versatili-tà, la fluidità e la varietà degli scambi commerciali, Ibn Battuta percepisce nella sua pienezza il circuito economico mondiale in cui la Cina è inglobata durante questo secolo. E' testimone del cosmopolitismo degli Yuan, che in-tensificarono scambi, non solo commerciali, ma anche culturali, scientifici, con ogni popolazione sottomessa: arabi, turchi, persiani e addirittura vene-ziani (Marco Polo, che fece parte della classe dei Semuren).67 Ciò che non si rintraccia nella sua opera è la profondità del divario tra classe

63 Defremery, Sanguinetti, Voyages d'Ibn Battuta, cit., pp. 254-264; Tresso, Ibn Battuta, cit., pp. 695-700.

64 Sabatini, Santangelo, Storia della Cina, cit., p. 464.

65 La popolazione durante l'impero Yuan era suddivisa in quattro categorie: i Mongoli, ossia la classe dirigente privilegiata; i semuren, la categoria più multietnica, in quanto raggruppava numerose etnie differenti: dagli uiguri, ai persiani, turchi e europei; gli hanren, gli abitanti della Cina settentrionale; i manzu o nanren, ossia i barbari del Sud o in generale gli abitanti della Cina meridionale, i sudditi dell'impero Song conquistato dagli Yuan. Ivi, pag. 457; Bernardini, Guida,

I Mongoli, cit., pp. 141-142.

66 Tresso li definisce fondaco. Tresso, Ibn Battuta, cit., p. 700.

67 In realtà, la già menzionata classe dei semuren comprendeva diverse etnie centro-asiatiche, spesso di religione musulmana, che ricoprivano la carica di funzionario per privilegio eredita-rio. Questo garantiva la supremazia delle etnie dominanti, limitando l'ingresso di altri gruppi, soprattutto dei Cinesi del sud.

religiosa68 e classe contadina che caratterizzò la fine dell'impero Yuan. Il re-gime fiscale imposto era differente e totalmente a danno dei contadini, i qua-li non godevano di nessuna esenzione. Ibn Battuta, con molto entusiasmo, elenca i numerosi prodotti di cui la Cina era esportatrice, ma non si cura di individuare i reali produttori ed esecutori dei lavori manuali.69 Ciò non deve sorprendere, in quanto, egli è figlio diretto della classe degli eruditi, avvezzo a trattare esclusivamente con persone del suo rango, senza la reale capacità di entrare in contatto con gli strati più bassi del popolo. Gli argomenti di cui tratta sono, dunque, riflesso della sua esperienza sociale e culturale. Sebbene come pio musulmano egli non nutrisse nessun disprezzo per i poveri, tutta-via non gli accadeva di avere contatti con i contadini o con i più poveri, semplicemente perché non ne sentiva la necessità e non avrebbe saputo in-terfacciarsi con essi.70

Il cosmopolitismo di Ibn Battuta e la multi-etnicità dell’Impero Yuan

La peculiarità principale di tutta la Rihla è la tendenza cosmopolita del racconto in chiave musulmana. Ibn Battuta tentò sempre di individuare fa-miglie musulmane in ogni luogo in cui si recò. Fu ospitato sempre da suoi colleghi giuristi musulmani. Per Ibn Battuta il cosmopolitismo consiste nella diffusione della fede islamica fin negli angoli più distanti dalla culla araba. Egli vive il cosmopolitismo non in chiave universalistica, il suo intento non è quello di tracciare le differenze tra le varie popolazioni musulmane che vi-vono ai margini del dar al Islam, ma piuttosto quello di tracciare una linea che unisce tutti coloro che credono nella fede islamica, indipendentemente dalle differenze.71 Presumibilmente la scarsità dei dettagli da lui forniti ri-guardo le città cinesi è dovuta proprio a questa profonda "mancanza" da

68 Anche i vari esponenti delle diverse religioni godevano dei medesimi privilegi dei mer-canti. L'epoca mongola è, infatti, caratterizzata da una generale tolleranza religiosa, o meglio da una tendenza ad assecondare il culto di tutte le fedi che potessero avvantaggiare il qa'an (l'im-peratore). Proprio per questo coloro che facevano parte di un gruppo religioso avevano mag-giore possibilità di elevarsi nella gerarchia sociale. Bernardini, Guida, I Mongoli, cit., p. 171.

69 A questo divario tra classe contadina e classe mercantile-religiosa, va aggiunto quello tra Cina del nord e Cina del sud. Gli abitanti di quest'ultima zona erano esclusi da ogni carica pub-blica, e quando i problemi di tipo economico si complicarono, furono proprio le regioni del sud a subire un carico fiscale e sociale più elevato. Ivi, p. 158.

70 Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, cit., p. 370. E' interessante notare come Li Guangbin, al contrario, nella sua prefazione alla traduzione della Rihla, sostiene che Ibn Battuta seppe de-scrivere la quotidianità di ogni esponente delle diverse classi sociali: includendo anche i poveri e i contadini. Li, Yijing qiguanᔲຳཷ㿲, cit., p. 4.

parte dell'impero Yuan, l'unico impero in cui l'Islamismo è quasi del tutto sconosciuto. Per Ibn Battuta deve essersi trattato di uno shock culturale sen-za precedenti, che ha messo a dura prova la sua genuina curiosità per ciò che è diverso. E' doveroso puntualizzare che questo cosmopolitismo musulmano si muove di pari passo con la scarsa tendenza di Ibn Battuta a rapportarsi con personaggi non del suo rango. In entrambi gli atteggiamenti vi è un uni-co limite: quello culturale. Il uni-cosmopolitismo musulmano è sì privo delle forme estreme di provincialismo, ma risente della precisa e piena consape-volezza che ogni dotto musulmano viaggiatore ha della propria realtà socia-le.72 Ibn Battuta è un raffinato osservatore e un viaggiatore curioso, ma com-pì i suoi viaggi quasi esclusivamente nell'ambito culturale del dar al Islam, visse sempre con altri musulmani, che non solo avevano le sue stesse cre-denze religiose, praticavano i suoi stessi riti, ma condividevano anche i suoi valori morali e i suoi usi e costumi quotidiani, erano del suo stesso rango. D'altra parte, però, la Rihla di Ibn Battuta permette al lettore di muoversi in maniera trasversale attraverso una regione continua d'intercomunicazioni,73

legate da un unico fil rouge, quello islamico. È fondamentale dunque stac-carsi dallo studio convenzionale della storia come approfondimento di sin-gole nazioni o culture. Ibn Battuta va molto oltre, seguendo la conversione musulmana, mostra la rete d'interrelazioni tra popolazioni e civiltà diverse, oltrepassando ogni confine geografico e ponendosi come unica barriera quella religiosa.

Dubbi di autenticità e licenza letteraria

La confusione, a volte sconcertante, delle informazioni cronologiche e dell'itinerario, che Ibn Battuta seguì in Cina, ha condotto numerosi studiosi a dubitare che egli si sia recato personalmente in Cina nel nord. Se da una parte è opportuno segnalare che sono molto rari i passaggi in cui si ha la sensazione di leggere le esperienze di un vero "testimone oculare", e che egli dedica una porzione nettamente inferiore ad una delle tappe più lun-ghe e peculiari del suo viaggio, dall'altra è altrettanto fondamentale evi-denziare che la Rihla di Ibn Battuta è un'opera letteraria, completamente soggetta all'opinione e alle scelte personali del suo autore. Essa non ha nes-suna intenzione di assurgere al rango di trattato sul mondo musulmano o a quello di diario di viaggio scritto lungo il cammino. Qualsiasi licenza

72 Ibid.

teraria potrebbe, quindi, essere giustificabile in nome del gusto dell'auto-re.74 Nonostante l'ambiguità e la superficialità di questa porzione, nessun studioso ha dimostrato con assoluta certezza che Ibn Battuta non si sia re-cato personalmente in Cina del nord, egli potrebbe semplicemente aver scelto di dedicare meno spazio ad un Paese ai confini del Dar Al Islam. Un luogo nel quale l'Islamismo occupava un ruolo del tutto secondario, anzi marginale, in cui ritrovò con più difficoltà quella Legge Sacra di cui egli era portavoce. Ogni dubbio sull'autenticità delle descrizioni sulla Cina del nord è lecito, ma è essenziale sottolineare che Ibn Battuta stesso, all'inizio della porzione dedicata alla Cina, specifica come questa sia bellissima,75 ma non di suo piacimento, proprio perché sotto la ferula degli infedeli. E' dunque anche lecito pensare che abbia scelto di descrivere in modo meno assiduo e dettagliato un Paese quasi totalmente privo di fede religiosa. Ri-specchia pienamente il modello del nuovo viaggiatore musulmano, svi-luppatosi già dal X secolo grazie all’opera di Al Istakhri, autore del Kitab

Al Masalik wa l-mamalik (Libro delle vie e dei regni).76 Egli fa emergere la “geografia dei Masalik”, ossia le opere geografiche di rilevanza storica – so-ciologica, relative a luoghi visitati in prima persona. In esse si riscontra e si apprezza la nuova consapevolezza del viaggiatore musulmano dell’estensione dell’impero islamico e la curiosità per le vicende dell’uomo e per i risvolti concreti. Per la prima volta ci si discosta dalla visione tol e-maica del mondo, suddiviso in base ai climi77 e si adotta un nuovo criterio, quello delle province: l’impero islamico è suddiviso in province in base al-la lontananza dalal-la Mecca. In Ibn Battuta, sebbene al di fuori delal-la cerchia dei cartografi o dei geografi, si rivelano da una parte la genuina curiosità per le vicende umane e dall’altra la piena consapevolezza dell’impero mu-sulmano, entro il quale può muoversi senza preoccupazione alcuna.

74 Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, cit., p. 35.

75 Sanguinetti, Defremery, Voyages d'Ibn Batoutah, cit., vol. IV, p. 254 e segg.

76 Si veda André Miquel, "La geographie humaine du monde musulman, jusqu’au milieu du 11^ siecle", I, Paris, 1973, citato in Alessandro Maiello, “La descrizione del Sind in Istahri” in La

cartografia geografica nel progresso delle conoscenze sull’Oriente nell’Europa dei sec. XV-XIX, vol. 5, Napoli, 1991, a cura di Filippo Bencardino, p. 219 e seguenti. Il geografo musulmano Al Istakhri visse nel X secolo e viene considerato il pioniere di un nuovo modo di scrivere di geografia rela-tiva al mondo arabo-musulmano.

77 Joseph Needham, Science and Civilisation in China, Vol. 3, Mathematics and the sciences of the

Analisi comparata per l'identificazione del toponimo: ࡪẀ (⋹ᐎ) – Zayton

– Al Zaitun ﻥﻮﺘﻳﺰﻟﺍ

Partendo dall’analisi approfondita degli studi di Li Guangbin, dopo aver valutato le varie teorie degli studiosi occidentali, si tenterà di evidenziare alcuni fattori che portarono Ibn Battuta a scegliere determinati toponimi per descrivere la città cinese di Quanzhou.

Come già accennato, la prima tappa di Ibn Battuta in Cina fu Quanzhou, che egli chiama con il nome arabo Al Zaitun ﻥﻮﺘﻳﺰﻟﺍ. Della città loda subito tre peculiarità: i preziosi tessuti ivi prodotti, come il raso e il velluto, che porta-no il suo porta-nome e soporta-no di qualità superiore a quelli di Hangzhou e Pechiporta-no; lo splendore e le dimensioni del porto, che definisce il più grande al mondo;78

le numerose imbarcazioni di grandezze diverse. 79 Il toponimo che Ibn Battu-ta utilizza per nominare Quanzhou viene trascritto in cinese da Li Guangbin e da Ma Jinpeng con i caratteri CìtóngࡪẀ.80