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Tra le studiose che hanno dato un contributo fondamentale alla costituzione e alla conseguente analisi di una moralità della cura, si colloca la filosofa statunitense Sarah Ruddick, la quale è considerata da molti, insieme a Gilligan e Virginia Held, tra le principali fautrici della nascita di questa nuova moralità che tanto si differenzia dalle precedenti.

Nel 1989 Ruddick pubblica Mathernal Thinking: Toward a Politics of Peace24, in cui decide di concentrarsi in maniera specifica sul ruolo della maternità con l’obbiettivo di svincolarlo da tutte le credenze ad esso legate e considerandolo, per la prima volta, un lavoro ossia una vera e propria prassi che merita di essere approfondita ed analizzata con specifici metodi di indagine.

L’intuizione di considerare il rapporto tra la madre e il figlio come modello per un’ipotetica società futura che vuole essere regolata da relazioni di cura è importante

perché, se da una parte valorizza il valore della pratica materna che fino a quel momento era stata considerata come una pratica “naturale”, non meritevole di ulteriori attenzioni ; dall’altro, evidenzia come per poter fondare una nuova moralità, ciò che deve essere

presa in considerazione è l’azione, la pratica, la concretezza delle situazioni e non, come era stato fatto fino a quel momento dalle teorie morali tradizionali, la pura astrattezza di un modello teorico neutro che doveva fungere da modello.

Ora, se è evidente che una teoria morale deve comprendere l’aspetto teorico, come ci suggerisce la parola stessa, è anche vero che la moralità, riferendosi al comportamento e

24 S.RUDDICK, Mathernal Thinking: Toward a Politics of Peace, Beacon Press, Boston, 1989. ( Trad. It. S.

RUDDICK, Il pensiero materno. Pacifismo, antimilitarismo non violenza: il pensiero della differenza per una nuova politica, red. Edizioni, Como, 1993. )

41 alle valutazioni dell’uomo nel mondo, non può trattare con indifferenza il ruolo dell’azione.

Ruddick conosce bene questa importanza tanto che nelle prime pagine del suo libro afferma:

Le teorie nascono e sono sottoposte a verifica dalle prassi, attività collettive umane distinte in base agli scopi che le identificano, e a seconda delle richieste cui è sottoposto chi, adottandole, vi si dedica. Le mete e gli obbiettivi che definiscono una prassi sono così centrali ed ‘essenziali’ che senza di loro essa non potrebbe nemmeno

esistere.25

Questa precisazione risulta fondamentale per comprendere il lavoro dell’autrice che , altrimenti, potrebbe sembrare poco adatto a realizzare gli obbiettivi prefissatisi. Tali obiettivi si concretizzano nella certezza dell’autrice che il lavoro di cura, in particolar

modo quello materno, possa presentarsi come l’archetipo di una società basata sul rispetto e sulla fiducia nelle relazioni.

Una società che riprenda in grande i valori che il rapporto madre- figlio esplica in piccolo è una società improntata alla non violenza. Il lavoro di Ruddick vuole assumere, quindi, connotati socio-politici e dimostrare la possibilità concreta di un mondo volto al pacifismo e la possibilità che tale mondo si realizzi solo se ci si allontana dalla prospettiva unicamente maschile per dare spazio anche alla voce femminile.

Tralasciando gli aspetti socio-politici che non sono il punto nodale di questo lavoro, tutta la prima parte del libro di Ruddick è dedicata alla descrizione del lavoro materno. Ruddick parte dalla considerazione dell’unicità di ogni madre: la madre deve essere considerata un essere umano come gli altri, con le proprie caratteristiche e le proprie inclinazioni e quindi non deve essere valutata solo a partire dal proprio ruolo di madre.

42 Ciò che le madri condividono è però qualcosa di importante ossia la dedizione quasi totale ad un'altra persona, al proprio figlio, biologico o meno, ma non solo. 26

Questa capacità di dedicarsi ad un altro individuo non è qualcosa di ‘naturale’ come si è

voluto far credere.

Essere madre è qualcosa di diverso dal semplice partorire un figlio. Quest’ultimo evento

può essere considerato come il corso più o meno spontaneo della natura ma , come è evidente, si può partorire un figlio senza essere una madre, senza cioè compiere tutte quelle azioni che sono necessarie alla sua sopravvivenza ed al suo inserirsi nel mondo. Già solo questa presa di coscienza basterebbe, probabilmente, a dimostrare l’infondatezza di tutti quei teorici della moralità che hanno voluto rappresentare la donna come ineluttabilmente destinata all’essere madre.

Dimostrare che la maternità è qualcosa di intenzionale significa dimostrare che i valori che regolano la relazione madre-figlio sono valori conquistati ed applicati con fatica e che sono dunque meritevoli di attenzione.

La pratica materna, così come la intende l’Autrice è composta, in particolare da tre tipi di richieste : protezione, crescita, e approvazione sociale.27

Queste tre azioni, riguardano tre particolari momenti, spesso distinti ma altrettanto spesso collegati, che una madre ha il compito di compiere nel rispetto del suo ruolo.

 La protezione. Essa è la prima richiesta che una madre si trova a dover soddisfare e, com’è evidente, essa è probabilmente anche la più istintiva. L’atteggiamento protettivo è infatti qualcosa che ci accomuna anche alla

maggior parte dei mammiferi i quali percepiscono come necessità primaria il prendersi cura dei propri cuccioli.

26 Per Sarah Ruddick il lavoro materno con i seguenti onori ed òneri può essere ricoperto da tutti coloro

che si interessano e si dedicano alla crescita del bambino: i padri, le maestre dell’asilo, gli istruttori sportivi e via dicendo.

43 Per quanto riguarda l’aspetto tipicamente umano, esso nasce dalla

realizzazione da parte di una madre della vulnerabilità del proprio figlio. La vulnerabilità del bambino, richiede attenzione e le cure necessarie per la sua salvaguardia. Se è vero che tali cure si differenziano a seconda delle culture e dei luoghi geografici di appartenenza ( che si differenziano, a loro volta, tra luoghi più o meno disagiati), resta il fatto che una madre che dimostra non curanza e indifferenza alle richieste di protezione del figlio non può essere considerata una madre.

La protezione è quindi l’essenza stessa della maternità.

 La crescita. Essa si presenta come un aspetto maggiormente specifico della pratica materna. Per le madri, la necessità di badare alla crescita nasce dalla realizzazione della complessità dell’essere umano e quindi

del bambino. Dal momento della nascita e durante il suo sviluppo, il bambino impara a conoscere gran parte delle cose del mondo e sviluppa sensazioni, sentimenti, emozioni e inclinazioni spesso contrastanti. Questo specifico susseguirsi di stati d’animo contrastanti ha spesso

bisogno di una guida. La madre si dovrebbe presentare proprio nelle vesti di una guida: come un insegnante che aiuta a discernere le cose importanti. Questa specifica mansione materna non da tutti è considerata come fondamentale per lo sviluppo del bambino che, nella maggior parte dei casi, riesce a sopravvivere anche senza qualcuno che lo indirizzi. In effetti, in luoghi in cui gli uomini faticano addirittura a trovare mezzi di sostentamento, la protezione e il conseguente preoccuparsi di procurare cibo o non far ammalare i propri piccoli, è l’unico vero aspetto

importante della pratica materna. Nonostante questo però, Sarah Ruddick non ha dubbi sul fatto che anche quei bambini che sono sicuramente più

44 svantaggiati, coltivano in sé una propria complessità e un proprio esplicitarsi di valori che meriterebbe attenzione.

Rispetto all’importanza della crescita, è importante precisare che le

risposte delle madri sono differenti e non tutte riescono a semplificare questo processo nei propri figli.

 L’approvazione sociale. L’ultima richiesta è rappresentata dall’intento delle madri di far convivere bene il proprio figlio con la comunità sociale di appartenenza. E’ chiaro che questa non è una richiesta esplicitata dai

figli, ma un bisogno o comunque una volontà della madre. Sappiamo che la personalità e l’essenza stessa della vita di un essere umano prendono forma all’interno di una società specifica. È impossibile considerare i

successi e gli insuccessi di un individuo senza collocarlo in un particolare contesto a sua volta formato da particolari relazioni. Generalmente la madre tende ad allevare il proprio bambino nella consapevolezza che un domani sarà inserito proprio in quel determinato contesto e nella necessità che egli venga accettato da quest’ultimo. I valori e gli ideali di questo contesto sono spesso condivisi dalla madre che può essere ella stessa una fautrice della costituzione di tali ideali ma questi possono anche, al contrario, essere differenti dai valori in cui crede la madre. In questo caso ella si troverà ad essere in conflitto con se stessa. Allevare il proprio bambino in conformità ai propri ideali o a quelli del resto della società? Se a questo aggiungiamo che la madre è nella maggior parte dei casi una donna, ci renderemo conto che quelli che lei considera aspetti fondamentali della vita, saranno scarsamente ascoltati dalla società e quindi il conflitto diventa quasi inevitabile. L’approvazione sociale è però generalmente importante perché riguarda

45 il lavoro della madre nell’educare il figlio al rispetto delle regole e dei presupposti di una società.

Queste tre richieste diventano importanti solo in culture che riconoscono la fragilità e la vulnerabilità del bambino. Per esistere una buona madre, deve esistere un figlio e quest’ultimo deve essere riconosciuto in tutta la sua essenza.

In alcune epoche storiche il prendersi cura dei figli non era un qualcosa di così spontaneo ed automatico come appare oggi: Ruddick sottolinea, infatti, che alcuni studi dimostrano che in passato era cosa abituale maltrattare e/o sfruttare i figli.

In situazioni del genere la pratica materna non ha luogo, il lavoro di madre perde i suoi connotati e l’essenza stessa della maternità appare svuotata dei suoi requisiti

fondamentali. Il diventare una madre è quindi inevitabilmente collegato con l’intenzionalità di esserlo, con il riconoscimento del figlio come individuo meritevole di attenzione e di cura e con l’impegno nell’accompagnarlo nel mondo, attraverso la

protezione, il sostegno nella crescita e l’educazione all’inserimento nella società.

La pratica materna si configura quindi come quello che potremmo definire il lavoro delle madri e come tutti i lavori si pone degli obiettivi da raggiungere. Il fatto stesso di porsi obbiettivi rende la pratica materna il frutto, non di qualcosa di casuale, ma di un impegno, di sforzi che possono portare sia alla soddisfazione che al fallimento.

Tutto ciò rende la pratica materna il frutto di un pensiero, il pensiero materno, che negli ultimi anni sta acquistando dei connotati importanti.

Sarah Ruddick, ancora una volta non manca di sottolineare la somiglianza del lavoro materno con altre pratiche che , al contrario, sono sempre state considerate degne di attenzioni e meritevoli di approfondimenti:

“Come lo scienziato che stende la relazione sul suo esperimento, il critico che lavora su un testo, o lo storico che valuta dei documenti, una madre che si prende cura dei figli è

46 attinenti agli obiettivi che si prefigge, piuttosto che altre: accetta determinati criteri per valutare la verità, l’adeguatezza e l’attinenza delle sue risposte; e dà molta importanza

alle scoperte e alle conclusioni cui arriva e in base alle quali può agire”28.

Ciò che sta contribuendo a rendere il pensiero materno qualcosa di concreto è sicuramente il coraggio di molte studiose del settore, ma anche delle singole madri che attraverso la discussione e la critica reciproca riescono ad affermare il proprio compito in una maniera sempre più comprensiva.

L’essere madre resta comunque una pratica difficile perché come tutte le pratiche pone spesso, chi la compie, in situazioni di conflitto. Ciò che contribuisce ad ampliare il conflitto è il fatto che il ruolo di madre ha a che fare totalmente con la relazione con un’altra persona e si inserisce in un contesto sociale spesso difficile. Non è soltanto la

relazione madre-figlio a descrivere il lavoro materno, ma anche la relazione madre- mondo e figlio-mondo.

In genere quando si ha a che fare con le cose del mondo, si ha a che fare con qualcosa che non dipende direttamente da noi. La madre, infatti, ha a che fare con strutture e sovrastrutture che spesso non aiutano il suo lavoro, ma anzi lo rallentano e lo rendono complicato. Tutte queste situazioni, compresa la difficoltà a comunicare con i figli , rendono la madre un essere spesso preso dall’angoscia e soprattutto dalla sensazione di

non essere abbastanza, di essere inadatta e di poter fare sempre meglio.

Questa inquietudine è data probabilmente da quella che Ruddick identifica come la figura della Buona Madre 29e che dovrebbe fungere da modello descrivendo l’esatto

modo in cui una madre dovrebbe comportarsi. E’ chiaro che in un contesto del genere,

la madre rischia di sentirsi oppressa in quanto, spesso, nel corso del suo lavoro può provare ira, rabbia, risentimento e altri sentimenti che la Buona Madre non proverebbe.

28 Ivi, p.37 29 Ivi, p. 46.

47 Dall’altra parte però esiste anche un Cattiva Madre30 che è quella dietro cui spesso le madri tendono a nascondersi per legittimare alcuni comportamenti non completamente corretti nei confronti del figlio. Questo modello, dietro la cui ombra le madri spesso si celano, le rendono forti soltanto apparentemente perché in fondo non affrontare i propri errori direttamente a lungo andare rischia di rendere deboli e pieni di sensi di colpa. Le madri possono però essere aiutate in questo dal riconoscimento che l’individualità

del figlio non è totalmente nelle loro mani. Elle spesso credono di essere le artefici di tutto ciò che riguarda il proprio figlio e in questo si addossano colpe e prendono meriti che spesso non hanno. Al contrario, realizzare che vi è qualcosa di naturale e di innato nella costituzione dell’individuo può aiutare le madri a sentirsi meno colpevoli e non

fare del figlio una propria realizzazione.

L’opera della natura è quindi in questo fondamentale, tanto per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, quanto per quelle caratteriali. In questo contesto, in cui le madri realizzano di non poter controllare pienamente tutto ciò che capita a un figlio il loro senso di impotenza, come abbiamo visto, aumenta ed è fatto accrescere ancora, dal fatto che la loro impotenza è anche sociale.

Spesso la madre si trova a dover fare i conti con una società in cui non ha nessuna voce in capitolo, soprattutto in quanto donna. Tutto ciò è peggiorato dal fatto che le donne non sono ancora minimamente aiutate dalla società nel poter essere madri e, insieme, donne che lavorano e quindi nel loro stesso essere madri non sono indipendenti ma, dipendenti dalle decisioni prese dai mariti o dai compagni.

Nel caso in cui si tratta di donne sole, il discorso è lo stesso. Le politiche economiche e sociali rendono la donna totalmente vittima di un sistema che non riconosce l’importanza della sua presenza.31

30 Ivi, p. 47. 31 Ivi, p.50.

48 Al contrario, però, se ci si sofferma sulla prospettiva dei figli, è chiaro riconoscere quanto le madri siano considerate il centro del potere. I figli, infatti, vedono le madri come coloro che gestiscono la casa, che si prendono cura di loro, che prendono le decisioni importanti della loro vita e che si interessano di tutte le cose che li riguardano. Questa disparità di concezioni è talmente ovvia da essere evidente a tutti coloro che si soffermano a riflettere sulla posizione della madre dentro e fuori le mura domestiche. Anche per i figli risulta, dunque, difficile affrontare questa ambivalenza del potere materno e possono restare decisamente delusi.

Le madri possono però ovviare a questa situazione rendendosi pienamente protagoniste del loro ruolo, riconoscendo la desiderabilità del potere materno e impegnandosi per trasferirlo anche nel rapporto con il mondo. Questo impegno le madri lo stanno portando avanti con fatica ma con buoni risultati e, anche se gli ostacoli sono molti, è già palese quanto, rispetto a qualche decennio fa, la voce delle donne stia assumendo il proprio valore all’interno della società.

Il pensiero materno, come abbiamo visto, sta prendendo forma e sta plasmandosi in conformità a quella che è la pratica materna. Quest’ultima è sicuramente composta da

momenti ed esperienze che differiscono da caso a caso ma è anche vero che vi sono alcune costanti che identificano pienamente il rapporto madre-figlio.

Una delle costanti di tale rapporto è la tendenza da parte delle madri al controllo. Il controllo in realtà è una pratica molto diffusa all’interno di una vasta gamma di

relazioni. La tendenza al controllo, alla vigilanza è il risultato della razionalità di un uomo che vuole essere sempre presente e cosciente di ciò che gli si sviluppa intorno. Sebbene spesso il controllo possa tramutarsi in dominio e coercizione, in genere è una pratica utile per non farsi sovrastare dagli eventi.

Le madri, nello specifico, trascorrono la maggior parte del loro tempo a controllare che i figli si comportino in un determinato modo, facciano ciò che lei ha chiesto loro di fare,

49 si tengano lontani dai pericoli e tante altre cose. Quest’atteggiamento “ossessivo” per il

controllo rischia però di essere nocivo per il bambino e per la madre stessa: per il bambino, perché un atteggiamento del genere rischia di essere un limite per lo sviluppo della propria individualità. Inoltre un bambino che cresce percependo sempre un alone di vigilanza sul proprio comportamento è un bambino che cresce impaurito e soprattutto, non libero. Per le madri invece, il problema rischia di essere il senso di delusione quando si renderà conto che il mondo e tutte le cose naturali sono anche soggette al caso ed è impossibile, quindi, controllare tutti gli eventi. Il suo desiderio di controllare tutto, rimarrà, inevitabilmente deluso.

Per cercare di evitare che un atteggiamento sano di vigilanza sfoci in un comportamento ossessivo, le madri sono dotate di un valore importantissimo per Sarah Ruddick, che parafrasando Iris Murdock32, definirà umiltà. L’umiltà è la capacità delle madri di

realizzare la propria non onnipotenza, di rendersi conto dell’importanza che assume il rispetto dell’individualità del figlio e il comprendere la natura stessa della maternità :

proteggere il proprio bambino nella consapevolezza che egli non è una propria proprietà ma che, al contrario, appartiene al mondo. L’umiltà quindi, se vissuta con

responsabilità, è ciò che fa di una madre una buona madre e si configura come uno dei valori che possono essere definiti come universalmente necessari per il rispetto di ogni tipo di relazione.33

Ruddick identifica, ancora, un altro valore ugualmente importante che è la serenità. La serenità è l’attitudine ad interiorizzare le cose secondo il principio dell’accettazione.

Nel mondo, infatti, sono tante le cose su cui noi possiamo agire per modificare il nostro vivere quotidiano, ma sono anche tante quelle che, al contrario, sono soggette al caso o al corso naturale degli eventi.

32 I.MURDOCK, Sovereignty of good, Schocken, New York, 1971.

33 L’umiltà non deve, però, mai sfociare in un sentimento che neghi ogni tipo di controllo. Smettendo

completamente di esercitare il controllo, la madre potrebbe venir meno, ad esempio, ad una delle richieste che le sono poste in quanto madre ossia la protezione( S.RUDDICK, op.cit. p.97).

50 A queste ultime è necessario adeguarsi e per farlo, l’atteggiamento della serenità è

imprescindibile. Essere sereni significa, quindi, non problematizzare ogni situazione, riconoscere la propria impotenza e non sentirsi amareggiate per questo. Questo valore dona alle madri una forza inestimabile che permette loro di affrontare ostacoli e difficoltà, spesso gravissime con maggior semplicità. Le madri serene trasmettono serenità al proprio figlio aiutandolo così all’inserimento in un mondo spesso

complicato.34

Ruddick, nel corso della sua dissertazione non manca, poi, di far rifermento alla dicotomia tra il pensiero astratto e quello concreto. Durante l’allevamento è infatti, possibile alla madre sviluppare e conoscere un tipo di pensiero concreto.

Ricordiamo che questa dicotomia è stata messa in rilievo anche e forse per la prima volta da Carol Gilligan cui la stessa Ruddick fa riferimento. Abbiamo visto, infatti, nel