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ETICA DELLA CURA: ORIGINE, SVILUPPO E PROSPETTIVE A PARTIRE DALLA RIFLESSIONE DI CAROL GILLIGAN

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Academic year: 2021

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INDICE.

INTRODUZIONE. ………..4

1. NASCITA DELL’ETICA DELLA CURA:

CAROL GILLIGAN

. ……….... 9

1.1. Premesse generali per la nascita di un’etica della cura...9

1.2. Con Voce di Donna: descrizione dell’opera………..14

1.3. I conflitti morali a partire dalla decisione di abortire……25

1.4. Responsabilità, Cura ed Etica Femminista………36

2.

COSTITUZIONE DI UNA MORALITA’ DELLA CURA…………...

40

2.1. Sarah Ruddick e il pensiero materno…………...………..40

2.2. Indicazioni per una nuova teoria morale: Virginia Held...57

2.3. Riformulazione dei concetti morali tradizionali…………66

2.4. Etica della cura come etica pubblica: Joan Tronto………72

3.

L’ETICA DELLA CURA E LE ALTRE TEORIE MORALI: CRITICHE

E DIFFERENZE

………83

3.1. Le teorie morali consequenzialiste: confronto tra

utilitarismo ed etica della cura……….…...83

3.2. Le teorie morali deontologiche: confronto tra etica della

giustizia ed etica della cura……….93

3.3. Etica delle virtù e comunitarismo: confronto con l’etica della

cura……….99

3.4. Aspetti di criticità nella prospettiva etica dell’aver

cura………109

CONCLUSIONE………..118

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4

INTRODUZIONE.

Questo lavoro di tesi nasce dalla volontà di conoscere ed analizzare nello specifico l’origine e lo sviluppo di una teoria etica relativamente nuova e che si fonda su

paradigmi radicalmente differenti da quelli che siamo stati abituati a conoscere.

Questa teoria, che viene definita etica della cura, pone l’attenzione sulla relazionalità e la conseguente responsabilità nei confronti dell’altro, anche e soprattutto quando

dobbiamo affrontare scelte di carattere morale. La sua nascita, inserendosi in un contesto prettamente femminile ha fatto sì che venisse etichettata come etica femminista e questo ha determinato il suo limitato successo tra i pensatori della moralità. A partire da questa constatazione, mi propongo di descrivere la nascita e lo sviluppo dell’etica

della cura analizzando la riflessione di quella che viene riconosciuta universalmente come una delle sue fondatrici, la psicologa americana Carol Gilligan. L’obbiettivo che mi pongo è però, anche quello di spiegare il perché l’etica della cura non possa essere ridotta ad un’ etica femminista e che vantaggi avrebbe la discussione contemporanea

sulla moralità a prestare ascolto alle intuizioni proprie di questa teoria e a riconoscere l’importanza di categorie e disposizioni troppo spesso sottovalutate.

Gilligan, dopo aver collaborato nelle ricerche di alcuni suoi colleghi psicologi sullo studio dello sviluppo morale, si rese conto degli errori impliciti nei procedimenti da loro utilizzati a partire dal campione di indagine. Ella realizzò che il campione, essendo quasi esclusivamente maschile, falsava i risultati producendo una visione dello sviluppo morale che non rispecchiava la totalità del reale.

Gilligan, dunque, diede il via alle sue ricerche spinta dalla volontà di capire perché la voce delle donne fosse così scarsamente ascoltata e presa in considerazione negli studi

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5 sula moralità e continuò, effettuando una serie di studi su ragazze e ragazzi di diverse età, mettendo in luce le differenze dei rispettivi approcci nelle scelte morali.

Gilligan scopre l’esistenza di una voce e delle disposizioni tipicamente femminili che portano le donne a maturare nella consapevolezza della propria relazionalità e a sviluppare così un forte senso di responsabilità. L’Autrice, attraverso i suoi studi,

intravede una reale differenza di genere e, a differenza di alcuni suoi predecessori, non utilizza questa differenza per delegittimare la moralità femminile ma, al contrario, coglie in essa la possibilità di rappresentare la realtà nella sua interezza.

Il lavoro di Gilligan da me analizzato, parte da tre studi, ognuno dei quali, vedremo, metterà in luce una particolarità dell’evoluzione della moralità femminile.

Questi studi indagheranno: lo sviluppo dell’identità, il conflitto morale di fronte alla

decisione di abortire e il senso di responsabilità.

Nel primo capitolo cercherò di analizzare, nel dettaglio, questi studi.

Tra i tanti resoconti presentati da Gilligan, ho cercato di selezionare quelli, a mio parere, più illuminanti per la comprensione delle dinamiche che stanno alla base di alcuni comportamenti morali. I concetti che emergono con più frequenza, vedremo, saranno quelli di egoismo ed altruismo, identità e connessione: nell’analisi di queste categorie

troveremo la causa della differenza di genere, una causa che ha la sua radice in parte, nel processo di crescita del bambino fino all’età adulta.

Da una parte, gli studi di Gilligan metteranno in luce le differenze tra i ragazzi e le ragazze di fronte ad uno stesso dilemma morale e all’interno di un più generale processo di sviluppo dell’identità, dall’altro lato, l’attenzione di Gilligan sarà concentrata sui conflitti che emergono nell’animo femminile quando ci si trova di fronte ad una

decisione difficile come quella di abortire. Questo approfondimento sarà interessante perché dimostrerà l’influenza e l’importanza del conflitto, che sia con se stessi o con gli

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6 altri ( con ciò che gli altri si aspettano da noi) nella determinazione di un comportamento morale.

L’etica della cura fa proprie le disposizioni alla relazionalità, all’attenzione, e alla

responsabilità, che sono state riscontrate nelle ragazze dagli studi di Gilligan, proponendosi come un nuovo possibile paradigma di riferimento per l’azione morale. Il lavoro dell’Autrice apre la strada ad una serie di successivi studi ed approfondimenti,

soprattutto da parte di studiose, che hanno arricchito la prospettiva della cura di una moltitudine di sfumature, ognuna degna di attenzione.

Nel secondo capitolo mi propongo, infatti, di analizzare i lavori di tre diverse studiose che hanno, ognuna a suo modo, offerto interessanti intuizioni per garantire all’orizzonte

concettuale della cura una maggiore ampiezza.

La prima è Ruddick, che partirà dalla descrizione del rapporto materno per descrivere i principi che un rapporto di cura per essere tale deve rispettare. Attraverso l’analisi della sua opera capiremo in che modo il rapporto madre-figlio può essere considerato il modello delle relazioni di cura, su quali valori si basa e quali sono i suoi limiti.

Il rapporto materno si rivelerà di importanza primaria non solo in quanto è prima di tutto nel rapporto che l’individuo acquisterà la propria identità, il proprio carattere e la

propria personalità, ma anche in quanto, questo rapporto non vuole limitarsi alla relazione genitrice e figlio ma può essere esteso a tutti coloro, uomini o donne, che decidono di fare proprie determinate disposizioni.

L’aver messo in luce l’imprescindibilità della relazionalità, che nel rapporto materno è

esplicata in tutte le sue forme, è un momento essenziale che meritava di essere approfondito.

La seconda studiosa a cui farò riferimento sarà Held. L’apporto offerto da Held sarà determinante perché offrirà delle direttive per la costituzione di un’etica della cura

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7 dell’esperienza, metterà al centro, per la prima volta, la concretezza a discapito dell’astrattezza nella formulazione di una teoria che vuole presentarsi come morale.

Inoltre, Held esaminerà una serie di aspetti che hanno reso la prospettiva della cura qualcosa che possiamo definire un “affare privato”, dimostrerà per quale motivo essa

non lo è e quali apporti potrebbe, invece, apportare se divenisse un paradigma di carattere “ pubblico”.

A questo si collega la prospettiva della terza autrice presa in esame, Tronto.

Tronto analizza tre aspetti che hanno condizionato enormemente la riflessione contemporanea sulla moralità, sono aspetti che lei definisce “ confini morali” e che

devono essere superati se si vuole fare un passo in avanti nella comprensione del comportamento umano. Tra l’altro, questa Autrice descriverà in maniera sistematica la pratica della cura soffermandosi, sia sui protagonisti dell’azione di cura individuandone compiti e peculiarità che sui valori propri della cura cioè sulle disposizioni che è indispensabile fare proprie se si vuol sostenere una relazione di cura.

L’analisi di Tronto, vedremo, è indirizzata non soltanto agli studiosi della moralità ma

anche ai costitutori di un universo politico che deve essere adattato se non addirittura costruito su dei nuovi presupposti. Questi presupposti saranno intimamente connessi con la constatazione che la promozione della relazione di cura può e deve essere garantita e per far sì che questo accada saranno indispensabili mezzi e strutture che incentivino tale pratica.

Ho deciso di trattare queste tre autrici perché tutte e tre affrontano la prospettiva della cura in maniera differente dall’altra: ognuna porrà l’accento e l’attenzione su aspetti

tutti importanti ed ugualmente fondativi dell’etica dell’aver cura. Questa diversità di approccio sarà però risolta dalla volontà condivisa da tutte e tre e , più in generale da tutti i pensatori della cura, di creare un terreno fertile per far emergere la voce di questa nuova prospettiva.

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8 Infine, nell’ultimo capitolo ho deciso di affrontare gli aspetti critici della teoria etica

della cura. Per fare questo, ho reputato opportuno innanzitutto provare a confrontare l’etica della cura con alcune tra le teorie morali tradizionali.

Una caratteristica dei sostenitori dell’etica della cura è, infatti, quella di opporsi e di

criticare molteplici aspetti delle teorie morali tradizionali; ho dunque voluto capire fino a che punto queste critiche avevano dei fondamenti validi ed in che misura un dialogo tra le diverse teorie potesse, al contrario, essere costruttivo.

In seguito porrò l’etica della cura di fronte ai suoi aspetti problematici e di fronte alle

più importanti critiche a cui questa teoria è stata sottoposta.

L’obbiettivo non è quello di trascurare, quindi, gli aspetti poco chiari di questa teoria

ma di capire in che modo essa possa arrivare ad assumere quella dignità morale di cui ora sembra essere , in parte, mancante.

Ho cercato di delineare una prospettiva che potesse mettere in discussione alcuni aspetti della teoria etica della cura e che potesse così donare alla stessa una serietà e legittimità morale tale da farla includere nella discussione contemporanea sulla moralità.

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1. NASCITA DELL’ETICA DELLA CURA: CAROL GILLIGAN.

1.1. Premesse generali per la nascita di un’etica della cura.

Nel corso degli studi sulla moralità, ma non solo, si è sempre prestata poca attenzione al pensiero delle donne. Questo scarso interesse può essere valutato come la naturale conseguenza della limitata considerazione che la donna assumeva nella vita politica e sociale. Le motivazioni del ruolo marginale di quest’ultima sono state a lungo considerate a partire da una loro particolare costituzione anatomica, una naturale inferiorità intellettiva.1 L’aspetto interessante è come tale inferiorità veniva data per scontata, non veniva problematizzata e si è dunque cristallizzata nel corso dei secoli fino a quando, soprattutto a partire dal 1800, grazie ad una maggiore libertà di azione e riflessione si inizia a dimostrare l’infondatezza di tali considerazioni.

Un apporto importante in tale senso è stato dato da John Stuart Mill che con The Subjection of Women 2analizza e dimostra l’infondatezza delle concezioni che hanno portato la donna ad essere ascritta al rango di essere inferiore.

Nel suo saggio Mill si concentrava in particolar modo sul ruolo che la donna meritava di assumere all’interno della società, della cultura o anche della politica e a questo non

può non essere collegata la denuncia dello scarso peso che viene dato alla voce femminile in tutti quei contesti che pervadono la nostra quotidianità in cui la moralità assume un ruolo predominante.

Nel 1982, quando Carol Gilligan pubblica In a Different Voice3, lo studio sulla moralità aveva parametri di riferimento differenti da quelli che la nostra autrice

1 Anche il Rousseau dell’Emilio ( 1762) aveva infatti tematizzato questa differenza. Le donne non

avevano la stessa capacità razionale e morale degli uomini e quindi a loro era attribuita unicamente la scienza dei mezzi e non quella dei fini. Per esse era impossibile immaginare di creare qualcosa autonomamente e di istituire delle leggi ed il loro compito diventava esclusivamente quello di adeguarsi alle leggi già esistenti oltre che rendere serena la vita degli uomini.

2 J.S. MILL, The Subjection of Women,1869 ( Trad.it J.S. MILL, L’asservimento delle donne , in J.S.MILL e

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10 propone. Diversi studi avevano dimostrato come nel prendere decisioni morali, l’uomo seguiva principi di una razionalità astratta che pretendeva di essere universale e questo significava presupporre l’esistenza di principi migliori di altri che potevano sempre, in ogni occasione essere da guida nelle scelte morali. Tali principi erano l’autonomia e la giustizia. Ciò escludeva a priori l’importanza che può avere nel prendere una decisione l’analisi del contesto, la responsabilità dei soggetti agenti, la fiducia, l’attenzione e tutti

quei concetti che sono indispensabili per una azione morale pienamente consapevole. Carol Gilligan rileva però come tali risultati provengono da una serie di ricerche, che partono da Freud ed arrivano a Kohlberg in cui l’unico punto di vista preso in considerazione è quello maschile. La prospettiva delle donne, invece, è completamente trascurata tranne rari casi in cui viene accennata ma solo come approfondimento o come curiosità di scarsa rilevanza ai fini delle ricerche.

Proponendo un’analisi dello sviluppo della moralità dal bambino all’adulto che si concentri solo sugli individui di sesso maschile, il risultato sarà una visione unilaterale e non perfettamente comprensiva della realtà. Questo è quello che Gilligan criticherà al suo maestro e collaboratore Lawrence Kohlberg ed è da qui che nascerà in lei la presa di coscienza della necessità di far emergere l’esistenza ed il valore della voce femminile ossia di una voce differente.

Gli studi di Kohlberg4 presi in considerazioni dall’autrice sono quelli sulla moralità iniziati dallo psicologo nel 1958 e continuati per tutto il periodo della sua vita. Tali studi partono dall’analisi delle reazioni di 72 bambini ad un dilemma morale. Il dilemma

presentato da Kohlberg era questo:

In Europa una donna era vicina alla morte per una rara forma di cancro. C'era una medicina che i dottori ritenevano potesse curarla: era una forma di radio che il farmacista aveva recentemente scoperto. La medicina era costosa da preparare ed

3 C. GILLIGAN, In a Different Voice, 1982 ( Trad. It C.GILLIGAN, Con Voce di Donna,

Feltrinelli,Milano,1991).

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11 inoltre il farmacista caricava 10 volte il costo di preparazione. Egli pagava 200$ per il radio e chiedeva 2000$ per una piccola dose di medicina. Il marito della donna malata, Heinz, andò in giro a chiedere in prestito denaro, ma raccolse soltanto 1000$, metà del costo. Recatosi dal farmacista gli disse che sua moglie stava morendo e gli chiese di

pagare meno la medicina o di dare la differenza successivamente. Ma il farmacista disse: No, io ho scoperto la medicina e ho intenzione di guadagnarci. Così Heinz si

disperò e rubò la medicina. Avrebbe dovuto farlo?

A seconda della risposta che i bambini davano a questo dilemma, Kohlberg individuò 3 livelli in cui suddividere lo sviluppo morale : pre-convenzionale, convenzionale, post-convenzionale. Ognuno dei tre livelli viene diviso in due stadi. Kohlberg presenta così una teoria sui sei stadi dello sviluppo morale.

Capire la strutturazione di tali stadi ci sarà indispensabile per meglio comprendere le posizioni di Gilligan; essi sono:

 PRE-CONVENZIONALE

1° Stadio. Giusto significa obbedire alle regole evitando così punizioni.

2° Stadio. Giusto significa fare quelle azioni che possono soddisfare i nostri interessi ma significa anche permettere agli altri di fare lo stesso.

Nei primi due stadi del livello pre-convenzionale abbiamo, quindi,una concezione della giustizia basata su una finalità strumentale;

 CONVENZIONALE.

3° Stadio. Giusto significa essere persone corrette nei confronti degli altri. Preoccuparsi di rispettarli ed , in senso generale,essere buoni. Ma vuol dire anche impegnarsi a soddisfare le aspettative che gli altri hanno su di noi. Si riconosce la reciprocità e quindi

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12 diventa importante comportarsi bene nei confronti degli altri per permettere agli altri di fare lo stesso con noi.

4° Stadio. Giusto significa mantenere l’ordine sociale e contribuire al benessere della comunità.

A questo livello troviamo così un adeguamento alle convenzioni della società. La giustizia diventa il modo per meglio inserirsi in questo contesto e per mantenere buoni i rapporti con gli altri e con l’autorità di riferimento;

 POST-CONVENZIONALE.

5° Stadio. Giusto è percepire il desiderio di rispettare le leggi perché si è stipulato un contratto sociale ma è anche comportarsi bene con gli altri e considerare importanti i diritti altrui tanto quanto i propri.

6° Stadio. Giusto diventa ora riconoscere l’esistenza di principi validi universalmente: le leggi della società diventano valide solo se basate su questi principi.

A quest’ultimo livello è situata un’idea di giustizia differente, che si distanzia dal buon vivere in società fino a comprendere delle norme universali e astratte. Emerge l’importanza di leggi morali non particolari che possono anche non essere scritte ma che ci portano ad agire secondo coscienza.

Se ci si sofferma a questa strutturazione dello sviluppo morale, le donne vengono considerate come impossibilitate a raggiungere il più alto livello della moralità in quanto ferme agli stadi convenzionali. L’inserirsi in un contesto relazionale, il

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13 dell’altro sono caratteristiche considerate fondative dell’essere donna e sarà valutato

quindi impossibile per loro raggiungere una moralità che le estrapoli da tale contesto. È evidente che una teoria di questo genere tenda a svalutare questo tipo di moralità in quanto viene inserita in un livello prettamente convenzionale e rischia di relegare la donna ancora di più ad un ruolo marginale, un ruolo che assume un valore solo se finalizzato ad una dimensione domestica o comunque privata.

Da una visione simile si distanzia Carol Gilligan che ascrive a Kohlberg la colpa, in primo luogo, di aver descritto una teoria che parte da un campione esclusivamente maschile, ma che vuole presentarsi come universale e anche, e soprattutto, quella di aver relegato la moralità a una serie di ragionamenti logici, di stadi, di livelli e di non aver tenuto in seria considerazione tutte le sfumature che un comportamento morale deve presupporre.

Fin dalle prime pagine del suo libro, però, l’autrice tiene a precisare che la visione da lei proposta non vuole essere di carattere femminista in cui le ragioni delle donne vengono considerate migliori delle altre, ma al contrario vuole mettere sullo stesso piano entrambi i punti di vista che esistono nel mondo e da cui non si può prescindere. Soltanto non trascurando nessuna visione sarà possibile descrivere con precisione cosa si può intendere per sviluppo morale e quali sono le motivazioni che guidano la scelta.5

5 << La voce che descrivo, tuttavia, non si caratterizza per il sesso, bensì per il tema. Il collegamento con

la donna è frutto dell’osservazione empirica, in quanto è soprattutto nelle voci delle donne che ho rintracciato lo sviluppo di questo tema. Ma tale collegamento non ha valore assoluto, e il contrappunto di voci maschili e femminili, che risuona nel mio libro, vuole semplicemente sottolineare la distinzione tra due modalità di pensiero e mettere a fuoco un problema interpretativo, più che costituire una generalizzazione circa l’uno o l’altro sesso.>> ( C.GILLIGAN, op.cit. p. 10 )

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1.2. Con voce di donna. Descrizione dell’opera.

Con voce di donna nasce con la volontà di far emergere un punto di vista diverso che vada a convivere con quello maschile senza volerlo sostituire.

Il testo parte dalla descrizione degli studi che hanno portato Carol Gilligan a formulare la sua teoria. L’autrice cita infatti tre studi che si sono rivelati fondamentali per cogliere quelle sfumature che erano state trattate con indifferenza fino a quel momento.

Nel dettaglio, gli studi si proponevano di:

1. Indagare lo sviluppo del senso morale negli anni della giovinezza, prestando attenzione alle scelte e ai conflitti che costruiscono l’identità

del singolo. Questo studio è stato condotto su ragazzi universitari che sono stati intervistati due volte a distanza di 5 anni.

2. Indagare il dissidio interiore che regola la decisione sull’aborto. In questo caso vennero intervistate 29 donne dai 15 ai 33 anni nel primo trimestre di gravidanza ( quando stavano valutando la decisione di abortire) e alcune anche a un anno di distanza.

3. Indagare il rapporto tra diritti e responsabilità attraverso un’indagine volta a far emergere le diverse concezioni di sé e della moralità, i conflitti che guidano le scelte e i dilemmi morali. Lo studio venne condotto su un campione totale di 144 soggetti, maschi e femmine appartenenti a cicli di età differenti, dall’infanzia all’età adulta. Esso si presenta come il tentativo di verificare le ipotesi formulate nei due studi precedenti.

E’ proprio da quest’ultimo campione che emerge l’interessante punto di vista di due

bambini di 11 anni, una maschio ed una femmina, al dilemma proposto.

Il dilemma è quello di Heinz, proposto da Kohlberg sulle sue ricerche sullo sviluppo morale ed è utile al fine di capire il modo diverso dei due bambini nell’intendere il

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15 problema. Il dilemma è questo: Heinz ha fatto bene a rubare il farmaco per salvare la vita di sua moglie malata? Le regole che guidano il giudizio morale e la risposta a questo tipo di dilemma possono essere diverse, ma ad essere diverso è anche il modo in cui è possibile leggere la domanda.

Carol Gilligan mette a paragone le risposte di Jake ed Amy, mettendone in rilievo le disparità. Jake non ha dubbi sul fatto che rubare il farmaco fosse la scelta giusta: infatti il diritto alla vita della moglie di Heinz è più importante del diritto di proprietà del farmacista. Il modo in cui Jake risolve il dilemma è quindi mettendo in lotta due diritti e decidendo quale è primario e quale no. Per Amy invece la risposta non è così semplice ed automatica. La bambina mostra incertezza e difficoltà nel rispondere al quesito che poi risolverà in maniera particolare. Amy, infatti, evidenzierà l’illegalità del rubare e proporrà dunque una serie di misure per evitare il furto. Ella metterà l’accento sulla scarsa umanità del farmacista e sulla possibilità che la comunicazione di Heinz con quest’ultimo possa riuscire a fargli cambiare idea. Inoltre afferma che rubare il farmaco

possa causare dei conflitti anche tra Heinz e sua moglie che potrebbe non approvare l’azione. Amy immagina addirittura la possibilità che la moglie guarisca, ma che Heinz

venga arrestato e quindi riflette sulle difficoltà in cui verrebbe a trovarsi la donna se dovesse ripresentarsi il male e si ritroverebbe da sola.

È già evidente come i due bambini pongono il quesito seguendo dettami differenti. Jake infatti, anche quando gli viene fatto presente che rubare il farmaco significa comunque infrangere la legge, risponde che il giudice assolverà Heinz perché le motivazioni che hanno guidato la sua azione sono importanti e assolute. Anche prendendo in considerazione dunque il problema della legalità la risposta di Jake ha sempre a che fare con una lotta tra diritti. Il bambino, infatti, vive e concepisce le scelte morali come una scelta tra diritti, che sono riconosciuti come universalmente disposti in maniera gerarchica per cui, generalmente, nessuna sfumatura e nessuna

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16 problematizzazione può mettere in discussione la giustizia di una scelta piuttosto che di un’altra. Per Amy il discorso è ben diverso. Più che soffermarsi sull’azione in sé del rubare il farmaco per salvare una vita, ella si sofferma sull’importanza di salvaguardare

i rapporti in cui è inserita tutta la nostra esistenza. Si sforza di trovare un modo per risolvere il conflitto che possa lasciare intatti gli equilibri.

Ciò su cui mette l’accento Gilligan è quindi anche il modo diverso con cui Amy recepisce la domanda. Per lei il quesito : farebbe bene Heinz a rubare la medicina? ha senso solo se ci si riferisce alle modalità e agli strumenti a nostra disposizione per di risolvere il problema. Amy si sofferma sul concetto di rubare e sulla possibilità di trovare delle alternative. Mentre Jake si è soffermato sull’idea di giustizia, data la

circostanza, nel compiere o meno un furto. 6

I due bambini, possiamo dunque affermare, rispondono ai dilemmi morali, viaggiando su due binari differenti e questo lo si capisce meglio quando, su richiesta dell’intervistatore , descrivono la propria personalità.

Jake si descrive precisando le proprie abilità e le proprie convinzioni, mentre la descrizione di Amy è differente: non mancano riferimenti alle proprie capacità, ma queste vengono messe in relazione con il mondo, con un contesto di interdipendenza in cui ognuno deve aiutare e far affidamento sull’altro. Questo concetto emerge ancora di più quando ai due bambini vengono poste delle domande sulla responsabilità ( che ricordiamo, era proprio ciò che questo terzo studio di Gilligan voleva indagare).

Ai bambini viene posto il quesito : quando c’è un conflitto tra la responsabilità verso se stessi e la responsabilità verso gli altri, come si fa a scegliere?7 Per Jake “ bisogna

guardare per un quarto agli altri e per tre quarti a se stessi”, dunque chi conta nel

prendere decisioni deve essere il proprio io, ma non si può prescindere dal considerare gli altri. Quindi, quando decidiamo di fare qualcosa dobbiamo ascoltare solo noi stessi,

6 C.GILLIGAN, op.cit. pp. 33-40. 7 Ivi, pp.43-44.

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17 ma non dobbiamo dimenticare che viviamo in una società in cui per convivere è necessario il rispetto anche dei bisogni altrui. Per Amy invece, il quesito, si pone subito come un conflitto tra responsabilità: quella verso noi stessi e quella verso gli altri. Se con questi si è stretto un patto bisogna rispettarlo ma se il rispettarlo significa fare del male a noi stessi bisogna riflettere maggiormente.

Nel decidere quale azione compiere bisogna chiedersi : quale delle due farebbe meglio a te stessa? Quale farebbe bene agli altri? Quale azione farebbe soffrire un numero minore di persone?

La responsabilità, dunque, è un soppesare le varie alternative in cui noi abbiamo lo stesso peso degli altri. Essere responsabili verso se stessi vuol dire conoscersi bene e non fare qualcosa che potrebbe ledere il nostro benessere; essere responsabile verso gli altri vuol dire essere qualcuno su cui contare ed essere sempre attenti alle esigenze altrui. Il prendersi cura di sé e degli altri diventa così il fondamento della responsabilità e quindi principio guida nelle scelte morali.

È facile notare, anche qui, come i due bambini seguono ragionamenti differenti. Jake riduce il tutto a un calcolo logico matematico per decidere quanto bisogna tener conto di sé e quanto degli altri; trova delle regole per guidare il proprio comportamento, che possano limitare gli effetti dannosi sugli altri, ma che non trascurino i desideri e le esigenze del proprio io. Per Amy, invece, se stessa e gli altri hanno lo stesso valore. Ciò significa che se qualcuno conta su di noi nel fare una cosa, noi dobbiamo farla, anche se questa cosa a noi non porta benefici. La responsabilità verso gli altri è questo estendere le motivazioni di un comportamento ad individui diversi da noi, è inserirsi in una trama fitta di relazioni in cui siamo tutti collegati e in cui è dunque impossibile agire egoisticamente.

Troviamo già a questo punto la spiegazione di una delle critiche che Gilligan aveva rivolto a Kohlberg. Nei sei stadi in cui Kohlberg aveva diviso lo sviluppo morale si

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18 privilegiavano quelli che erano i caratteri, come abbiamo visto tipicamente maschili, della logicità e del calcolo razionale mentre venivano del tutto trascurati quelli della contestualità narrativa delle donne. Già dall’esempio di Jake ed Amy, Gilligan riesce a dare una prima motivazione per allontanarci da questa concezione della moralità presentandoci i concetti di separazione e connessione come entrambi fondamentali anche se apparentemente opposti nella formulazione di un giudizio.

La connessione è quello da cui parte Amy, è il carattere insito in lei da cui si deve discostare quando vuole far emergere il proprio sé; la separazione è il presupposto di Jake e da cui deve prescindere quando vuole inserirsi in un contesto interpersonale. Si configura, quindi, come importante uno studio che parta da questi due concetti e dalla loro combinazione per dimostrare che la voce delle donne e quella degli uomini devono farsi sentire all’unisono essendo entrambi basilari per la costituzione di una morale che

rispecchi la realtà e non solo una parte di essa.

Importante per capire bene quanto questa differenza tra separazione e connessione sia fondativa nella personalità, rispettivamente, dell’uomo e della donna è interessante un ulteriore studio citato da Gilligan e condotto con lei da Susan Pollak.

Lo studio era stato condotto sulla base di storie scritte in precedenza come esercitazione da un gruppo di studenti di un corso di psicologia sulla motivazione. Questa ricerca parte dalla presentazione di una situazione all’apparenza pacifica da cui gli studenti dovevano trarre una storia. I primi risultati mostrarono come dall’immagine di un uomo ed una donna su un panchina, il 21% degli 88 studenti maschi avesse immaginato una storia di violenza, mentre nessuna delle 55 ragazze aveva concepito episodi di questo genere. Questo primo esito fu indispensabile per spingere le due studiose a proseguire nella ricerca. Vennero così presentate agli studenti (maschi e femmine) 4 serie di figure, due delle quali mostravano un uomo e una donna in stretto contatto (un uomo e una donna seduti su una panchina e due trapezisti in cui l’uomo è appeso al trapezio per le

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19 gambe e la donna tiene le mani dell’uomo restando sospesa a mezz’aria); le altre due

mostravano situazioni impersonali( un uomo seduto alla scrivania di un ufficio e due donne con un camice bianco in un laboratorio).

I risultati furono sorprendenti ed evidenziarono ancora una volta la differenza tra i sessi : il 25% degli uomini si immaginò storie di violenza nelle situazioni di affiliazione; il 16% delle donne nelle situazioni impersonali di conseguimento del successo.8 Esplicativa a tal proposito è l’interpretazione della scena dei due trapezisti.

Gli uomini immaginavano con facilità storie in cui l’uno lasciasse cadere l’altro, magari

per vendicarsi di qualcosa o di qualcuno. Le donne al contrario, difficilmente immaginavano un esito così tragico e questo perché alla scena così com’era stata presentata dalle esaminatrici, aggiungevano una rete. Questa rete aveva il compito di dare protezione ai due trapezisti e di salvaguardarli se uno dei due avesse rischiato di cadere. Dunque le donne, pur di preservare i rapporti aggiungono un ulteriore elemento. Questo elemento, la rete, possiamo considerarlo come fondamentale da più punti di vista. Infatti la rete in quella scena ha il significato del prestare attenzione all’altro, proteggerlo, non metterlo in pericolo e prendersi cura di lui. Allo stesso modo,in senso più ampio, la rete può essere interpretata come un paradigma significativo del modo in cui le donne si rappresentano il loro vivere nel mondo. La rete, cioè, come trama di rapporti e di relazioni che ci lega l’un l’altro e che ci rende impossibile immaginare un’esistenza che prescinda dall’altro. Proprio per questa importanza che viene data a

questo essere incatenati alla vita altrui è necessario per la donna prestare ascolto alle sue esigenze, avere a cuore i suoi desideri, prendersi significativamente cura di lui. Ritornando al test, non è difficile considerare, com’è stato per il caso di Jake ed Amy

8 I dati nel dettaglio: << Il 25% dei maschi scrisse storie di violenza soltanto nelle figure che

rappresentavano situazioni di affiliazione, il 19% su entrambe le serie e il 7% soltanto sulle situazioni di conseguimento del successo. Per contro, le ragazze vedevano la violenza nelle situazioni impersonali di conseguimento del successo più spesso che in quelle di affiliazione: il 16% aveva scritto storie di violenza sulle immagini di conseguimento del successo e il 6% su quelle di affiliazione>> ( C.GILLIGAN. op.cit. p. 48)

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20 che gli uomini e le donne vivono in modo diverso la connessione e la separazione. Emerge in questo caso che per gli uomini una situazione di pericolo si verifica più facilmente quando l’uomo è messo in relazione con qualcun altro, quando non è l’unico

artefice della propria vita e quando dunque, deve subire la connessione.

Per le donne, invece, il pericolo sussiste quando esse si trovano da sole, dietro una cattedra, in un ufficio o in un laboratorio come se perseguire il successo fosse per lei motivo di distacco definitivo dagli altri e quindi una situazione non auspicabile. Esse, al contrario, vivono con tranquillità tutte le scene di affiliazione; inseriscono, come abbiamo visto, nelle figure una rete, inventano dunque un elemento in più pur di preservare l’altro e farlo sentire al sicuro. Per l’uomo è invece impossibile andare contro

le regole e inserire qualcosa che non era stato proposto dai suoi esaminatori.

Da cosa nasce questo diverso modo di rappresentarsi sé e gli altri? Esso è sicuramente la conseguenza di un processo che nasce dall’infanzia.

Nel corso del suo sviluppo infatti, l’uomo è portato a ricercare una propria autonomia e a vedere dunque, nella separazione dall’altro qualcosa di inevitabile. Soltanto concentrandosi sulle proprie capacità ed abilità sarà possibile per l’uomo conseguire il

successo. Questo modo di rappresentare se stesso diventa causa della formazione della sua personalità ed anche del suo modo di concepire le scelte morali. Costruendosi un mondo soltanto intorno al proprio io, l’individuo è infatti generalmente portato a non considerare come necessario e importante il rapporto con le altre persone che diventano semplicemente qualcuno da rispettare in quanto parte della nostra società. Il vivere in società, viene assicurato da regole che non hanno solo il compito di garantire la pace all’interno della comunità. Tali regole, infatti, di cui l’individuo maschile non può far a

meno, diventano strumento per separarlo dall’altro, per impedire all’altro di intromettersi nella costituzione della propria vita, per preservarsi dalla delusione.

(19)

21 L’esperienza della separazione primaria del bambino dal genitore, così come la descrive Freud, si perpetua nell’individuo adulto rendendolo diffidente nei confronti dell’altro e

rendendo necessario il regolare i rapporti per mezzo di regole, le quali, nel corso del tempo, si dispongono fino a formare una vera e propria gerarchia di valori nella vita del singolo . Questa gerarchia pone ai vertici l’autonomia e la giustizia, la rigidità delle norme e la loro astrattezza. Tale rigidità rende ceco l’uomo di fronte alle situazioni ed ai

contesti, come abbiamo visto nel caso di Jake. Prendere una decisione vuol dire così estrapolare dei diritti dai dati a propria disposizione e distribuirli gerarchicamente. La scelta diventa così un semplice calcolo razionale.

Per le donne invece la situazione è differente. Esse vivono dalla propria infanzia il rapporto come imprescindibile. A partire dall’attaccamento nei confronti della madre fino ad arrivare ad inserirsi in una fitta trama di relazioni, difficilmente esiste nella vita delle donne un momento in cui si tenda a sottovalutare l’importanza dell’altro.9

Dagli studi effettuati da Gilligan emerge che anche le aspirazioni delle bambine sul mestiere da voler fare da grandi sono indicative: lo scienziato o il medico, ad esempio. Le motivazioni sono collegate all’utilità sociale di queste professioni: aiutare gli altri,

agevolare la loro vita e contribuire al loro benessere. La donna immediatamente si rende conto di quanto è importante la relazione con l’altro che diventa qualcuno su cui far affidamento, ma anche qualcuno di cui prendersi cura. La connessione non è qualcosa che spaventa ma qualcosa che contribuisce alla formazione della personalità; è impossibile per la donna immaginarsi come individuo isolato ed è impossibile prendere una decisione che non tenga conto degli altri. Ecco che quindi anche l’agire morale

9 Freud vede questo come un fallimento evolutivo della donna. In Alcune conseguenze psichiche della

differenza anatomica tra i sessi, Freud sostiene che la forza e il perstere dell’attaccamento della bambina alla madre sono da considerarsi un deficit nello sviluppo. Poiché la formazione del Super-Io, cioè della coscienza morale viene legata alla paura della castrazione, diventa qualcosa di tipicamente maschile. Freud arriva a sostenere che la donna << mostra un minor senso di giustizia dell’uomo, minor inclinazione a sottomettersi alle grandi necessità della vita, che troppo spesso si lascia guidare nelle sue decisioni da sentimenti di tenerezza e di ostilità>>. ( S.FREUD, Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, 1925 )

(20)

22 subisce questo suo modo di rappresentarsi. Come abbiamo visto con Amy, le donne tendono a cercare soluzioni alternative, sono attente al contesto, sono consce dell’importanza di preservare i legami che costituiscono il loro equilibrio. Immaginarsi

come isolate e irrelate causa in loro sensazioni di incertezza che come abbiamo visto le porta ad immaginarsi scene di pericolo. Anche l’aggressività e la violenza saranno quindi percepite in maniera differente a seconda che siano causate dalla paura della connessione o della separazione.

Ricordiamo, ancora una volta, che questa differenza non viene presentata come una differenza tra i due generi, tra il maschio e la femmina. Caratteristiche proprie dell’agire morale femminile possono infatti essere condivise da alcuni individui maschi e viceversa le donne possono avere una moralità basata su norme e diritti tipicamente maschile. La capacità della Gilligan sta proprio nell’aver letto questa differenza nello sviluppo

morale, non come un deficit, ma come una differenza.10. Una moralità intesa come cura dell’altro da una parte, ed una moralità legata alla comprensione dei diritti dall’altra.

Ma è proprio in quanto tali differenze non sono così nettamente causate dal genere che esiste il conflitto. È infatti probabile, soprattutto nel corso dello sviluppo e quindi della formazione della personalità, che arrivi un momento in cui l’individuo si trova a dover ascoltare le sue singole voci interne, spesso divergenti e questo lo pone in uno stato di crisi.

Per descrivere questa crisi nata dal conflitto, Gilligan si serve delle riflessioni di Claire. Claire è una studentessa all’ultimo anno di università che ha partecipato allo studio sull’identità morale. Questo studio si proponeva di descrivere gli stadi che

portavano alla nascita dell’identità e che spesso veniva raggiunta solo attraversando momenti di conflitto interiore ed è per questo che i partecipanti a questo studio

10 V.FRANCO, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio , Donzelli Ed., Roma, 1996,

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23 venivano intervistati anche a 5 anni di distanza. Claire, la prima volta che venne intervistata, attraversava una fase in cui iniziava a farsi viva in lei la percezione che la sua personalità era totalmente influenzata dagli altri ossia dalle aspirazioni che i suoi amici e parenti avevano su di lei. Questa presa di coscienza la portò a concentrarsi sul proprio io e sulla propria autonomia fino a rivelarle quanto i suoi desideri di differenziassero da quelli degli altri. La compresenza di queste differenti visioni portò in lei un conflitto che durante l’intervista diventò volontà di non etichettarsi.

Da un lato aveva il suo io che stava iniziando ad emergere, dall’altro lato aveva l’immagine di sé che aveva avuto da sempre e che era indissolubilmente legata a quella

che le avevano attribuito gli altri. Claire inizia a realizzare quanto fosse importante una propria autonomia per riuscire a dare agli altri attenzione, ascolto e appoggio e allo stesso tempo, quanto fosse importante una fitta rete di relazioni per far emergere le abilità e le capacità che costituiscono la propria individualità.

Al dilemma di Heinz, che Gilligan ripropone negli studi, Claire risponde senza incertezze che l’uomo dovrebbe rubare il farmaco e gli argomenti proposti sono

analoghi a quelli di Amy. Anche lei sottolinea infatti l’importanza della comunicazione e della responsabilità sociale che abbiamo nei confronti dell’altro. Essendo tutti inseriti in una contestualità, che ci rende imprescindibilmente collegati all’altro, è impossibile giustificare un uomo, il farmacista, che neghi ad un altro il diritto alla vita. Compare, come vediamo, anche il linguaggio dei diritti ma totalmente interconnesso con quello della responsabilità. Intervistata 5 anni dopo, Claire descrive con ampiezza il conflitto che aveva vissuto e sottolinea che la sua risoluzione è stata resa possibile grazie ad un nuovo modo di considerare la connessione. Quest’ultima non è più vista come qualcosa che nasce dalla separazione ma un qualcosa di primario in noi.

L’uomo è dunque prima di tutto “in relazione” ed è nella relazione che è possibile far

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24 connessione e quindi tra noi e gli altri nasce anche l’etica della responsabilità. Per Claire la moralità diventa “ la tensione costante di qualcosa di più ampio di cui siamo parte e quell’entità autonoma che siamo noi.”11

(23)

25 1.3.

I conflitti morali a partire dalla decisione di abortire.

A questo punto della trattazione, Carol Gilligan analizza l’importanza del ruolo della crisi nella crescita morale. Il ruolo della crisi, in effetti, non è solo importante ma fondamentale per garantire l’esprimersi e la lotta delle diverse caratteristiche della

nostra personalità: le nostre inclinazioni, desideri e convinzioni sono infatti spesso contrastanti e nel decidere a chi dare ascolto è necessaria, molte volte, la nascita di un conflitto. Questa fase, solitamente, si presenta nello sviluppo dall’infanzia all’età adulta

in cui la nostra personalità e le nostre inclinazioni assumono dei connotati più definiti. Ma non sempre le crisi sono legate solo ad una fase della vita. Molte altre volte infatti, esse emergono quando ci troviamo di fronte a un problema, a quello che in termini morali potremmo chiamare dilemma. È proprio a partire da questo genere di dilemma che Gilligan decide di affrontare il senso e il ruolo della crisi.

Ciò che studia e analizza è, nello specifico, lo scontrarsi di valori, sentimenti e convinzioni contrastanti da cui sono attraversate le fasi che portano alla decisione di abortire. Prima di soffermarci sui risultati che emergono da tale studio è importante mettere l’accento non soltanto sull’evidente importanza di una scelta di questo genere

ma sulla possibilità stessa della scelta. Fino a qualche decennio prima, infatti, il problema non si sarebbe posto: la donna aveva il compito e l’obbligo di non poter decidere sugli esiti di un possibile rapporto e dunque l’arrivo di un figlio era

semplicemente da accettare. La natura aveva deciso così. Le donne erano state elette come le destinatarie di un dono che non potevano permettersi di rifiutare. L’intera crescita personale e morale ma anche culturale e sociale delle donne era collegata a questo loro ruolo. Esse maturavano sapendo di dover tacere le loro aspirazioni, qualora ve ne fossero state, ma anche le loro paure e il loro non sentirsi all’altezza e sopprimevano , dunque, qualsiasi tipo di volontà che non potesse convivere con la realtà

(24)

26 di crescere un figlio. Il problema, infatti, non si poneva al momento della gravidanza, non soltanto perché non era considerato legale abortire, ma anche perché per loro non era possibile immaginare un futuro differente. Qualità distintive dell’essere donna erano

così il prendersi cura responsabilmente della famiglia e di un figlio praticando una quasi totale abnegazione del proprio sé. Tutto ciò era considerato, come ho detto, del tutto automatico e non era necessaria quindi alcuna problematizzazione.

Con la legalizzazione dell’aborto, introdotta in America nel 1973, le cose cambiano radicalmente. Nel 1982, anno della stesura di Con Voce di donna, probabilmente era ancora presto per riconoscerne il grande contribuito sull’emancipazione femminile ed

anche sulla costituzione di una nuova società. Forse, però, è anche perché era così presto che è interessante notare gli esiti che la possibilità nel prendere una decisione così importante ebbe sullo sviluppo e sulla crescita femminile.

Lo studio è stato condotto su 29 donne di un’età che andava dai 15 ai 33 anni e più che

essere incentrato sull’aborto in sé era incentrato sul rapporto tra giudizio morale ed azione. Esso non si proponeva di dare un giudizio o di descrivere il perché le donne decidono di abortire, ma di indagare il modo in cui le donne si rappresentavano il conflitto. Le parole e i relativi concetti che emersero con più frequenza erano egoismo e responsabilità. Il conflitto morale verteva dunque tra due modi opposti di rappresentare se stessi e gli altri. In particolare le donne si chiedevano quanto fosse egoistico prendere una determinata decisione o quanto fosse da irresponsabili prenderne un’altra.

L’intera gamma delle motivazioni, che possono portare un individuo a prendere una

scelta morale si riducevano in questo caso a due ed il perché è evidente. Come abbiamo visto già in parte, infatti, le donne basano la propria vita e la propria moralità sul principio dell’imprescindibilità dei rapporti e sulla responsabilità che ogni singolo ha

nei confronti dell’altro. Le scelte, di qualsiasi tipo, diventano così un modo come un altro per riconfermare tale convinzione. Gli studi della nostra autrice fanno emergere

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27 però come il processo che porta ad una decisione specificatamente morale come quella di abortire attraversa tre fasi:

 La prima fase è caratterizzata dall’emergere di un sentimento di grande attenzione nei confronti del proprio sé, che è basato sull’idea che la sopravvivenza sia il bene primario. Nel vivere questa fase, si arriva ad un momento in cui questa attenzione viene criticata in quanto considerata egoistica e inizia un momento di transizione che porterà all’emergere di una

nuova fase.

 La seconda fase sarà caratterizzata dall’atteggiamento opposto. L’attenzione è totalmente incentrata sull’altro, che diventa il centro a cui rivolgere continui atteggiamenti di cura. In questa fase la percezione dell’importanza del proprio sé viene eclissata dall’emergere della coscienza dell’interdipendenza e quindi dell’importanza del fare del bene agli altri, a prescindere da noi.

 La terza fase è il risultato di una nuova visione del rapporto, un rapporto che diventa finalmente maturo in cui all’importanza dell’altro è affiancato il ritorno ad uno sguardo su stessi. La conseguenza è un nuovo ideale di rapporto in cui si riconosce l’imprescindibilità che ha, ciascun protagonista, all’interno di ciascun tipo di legame. La cura e l’attenzione incondizionata all’altro lascia il posto alla cura responsabile dove la responsabilità diviene principio guida delle azioni e delle scelte.12

Com’era già stato per l’analisi dei precedenti studi, Carol Gilligan a questo punto si sofferma sulla descrizione di alcuni singoli casi. Trovo che sia indicativo iniziare soffermandoci sul caso di Ellen.

Ellen è una violinista, che aveva basato tutta la sua vita sulla propria professione e sull’indipendenza, ma all’età di 29 anni intraprende una relazione con un uomo sposato

(26)

28 e scopre di essere incinta. La gravidanza non si presenta come del tutto inaspettata in quanto i due avevano deciso di non usare contraccettivi per non introdurre qualcosa di artificiale in un rapporto che voleva essere, al contrario, ideale. Proprio mentre inizia a rendersi conto dell’imprudenza di una decisione del genere e soprattutto di quanto

questa decisione implicasse il suo perdersi di vista e lasciarsi gestire completamente dal corso degli eventi e della natura, Ellen si trova a dover affrontare la gravidanza. I conflitti che ne emergono rispecchiano in qualche modo la sua personalità.

Da un lato, interrompere la gravidanza le sembra immorale, perché è l’interruzione artificiale di ciò che la natura le ha dato la possibilità di creare, dall’altro lato però, continuare la gravidanza da sola le sembra impensabile. Il dilemma è quindi tra la responsabilità morale che sente di dover avere ed un istinto alla propria sopravvivenza, che esclude la possibilità di mettere al mondo una nuova vita. Conclude che l’aborto è il

minore dei due mali in quanto provocherebbe da parte sua una minor sofferenza ed è qui evidente, quindi, la presenza del primo stadio. È lei stessa ad ammettere l’egoismo della sua decisione:

“ E’ perché si tratta di difendere la mia vita che mi sembra una scelta egoistica, credo. […] Perché penso innanzitutto alla mia sopravvivenza, invece che alla sopravvivenza del rapporto o del bambino, che è un altro essere umano. Sto ponendo delle priorità e

metto al primo posto il mio bisogno di sopravvivere.”

Il conflitto di cui è vittima è quindi tra moralità e sopravvivenza essendo incapace di percepire la sua attenzione alle proprie priorità come un prendersi cura di se stessa. L’evolversi del conflitto è illustrato dal caso di Sarah. Questa giovane donna di 25 anni

si trova a dover affrontare un secondo aborto. Il primo, in quanto il fidanzato l’aveva lasciata, era stato vissuto come purificatore. Ma il secondo aveva un peso diverso. L’uomo era sempre lo stesso ma lei era cambiata. Nonostante aveva iniziato a vedere

(27)

29 tutte le cose che non andavano nel suo rapporto, motivo per cui dare ascolto al compagno che le intimò di abortire, la decisione aveva un peso più profondo.

Ora, a differenza di prima, lei inizia a sentire la responsabilità delle sue decisioni e la seguente responsabilità che avrebbe dovuto avere nei confronti del bambino. Questo periodo, corrisponde ad un periodo di profonda crisi in questa donna, che si trova a dover soppesare i motivi a favore ed i motivi contrari ad un ipotetico aborto.13

Sarah decide di non tenere il bambino in quanto i motivi a favore le si rivelarono come egoistici e ideali. Ma la cosa che occorre analizzare in questo processo decisionale sono proprio le fasi della scelta. Sarah passa alla terza fase, che sarà poi quella decisiva, solo dopo essersi resa conto che ad essere importante non sono solo i desideri degli altri (oltre il fidanzato, anche i suoi genitori non avrebbero accolto con serenità una gravidanza), ma anche i suoi: essendo l’artefice della sua scelta ha compiuto un’azione pienamente responsabile adempiendo non soltanto agli obblighi morali verso gli altri, ma anche e soprattutto a quelli verso se stessa. In un primo momento, dunque vi è una fase egoistica in cui l’attenzione è rivolta esclusivamente alle proprie esigenze.

A seguire, Sarah presta ascolto alla voce altrui e sente di doverli ascoltare in quanto il suo concetto di bontà è legato al concetto di sacrificio di sé a favore degli altri. Nell’ultima fase Sarah si rende conto che non sarebbe giusto per lei avere un bambino e

non sentirsene responsabile. La crisi personale che la attraversa le fa apparire come imprescindibile sistemare la sua vita prima di metterne al mondo una nuova.

13 << Ecco, le motivazioni a favore della maternità erano: l’ammirazione di cui avrei goduto a essere una

ragazza madre, una martire, tanto coraggiosa, e l’amore adorante che mi avrebbe tributato questo bellissimo bebè. E il senso di focolare domestico, più di quanto non ne abbia mai avuto: a questo in fondo si riducevano, a poco più di un sogno. Contro la continuazione della gravidanza : avrebbe accelerato la fine, che pure sembra inevitabile, della relazione con il mio uomo ; mi avrebbe costretta a dipendere dall’assistenza pubblica; i miei genitori mi avrebbero odiato fino alla fine dei miei giorni ; avrei perso l’ottimo lavoro che ho; avrei perso la mia indipendenza. E poi l’isolamento. E mi sarei trovata nella necessità di chiedere aiuto a un sacco di gente. La considerazione contro l’aborto è che mi sentirei in colpa, mentre a favore dell’aborto c’è che avrei la possibilità di gestire il deterioramento del rapporto con il padre del bambino in modo più cosciente e con un maggiore senso di responsabilità verso di lui e verso me stessa.>> ( In C.GILLIGAN, op.cit. p. 97)

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30 La cosa su cui vale la pena riflettere è che l’esito della decisione non sarebbe cambiato ed in effetti non cambia. Sarah decide di abortire. A cambiare sono le motivazioni che la rendono protagonista della scelta. In caso contrario, la donna, si sarebbe fatta trascinare dagli eventi, si sarebbe adeguata ad una posizione che non era la sua e ne avrebbe avuto come risultato la mancata crescita personale. Infatti un aspetto, che emerge dagli studi di Gilligan, è l’importanza che viene data alla crisi per la formazione di una propria personalità morale. La crisi, nel caso delle donne studiate da Gilligan, aveva la durata che avrebbe dovuto avere la gravidanza. Nella maggior parte dei casi, dopo nove mesi di depressione, trascuratezza psico-fisica e rabbia, le donne attraversavano una rinascita a seguito della quale si scoprivano diverse rispetto al passato e con dei valori guida sicuramente più definiti.

Attraverso il conflitto e il susseguirsi di giudizi contrastanti emerge un Io a cui fino a quel momento non si era prestato ascolto.

“Sarah trasforma la metafora del suo sviluppo come cerchio in quella di una spirale, giacché chiudere il cerchio vuol dire tornare al punto di partenza, mentre nella spirale si ritorna sì a quello stesso punto, ma a un livello più alto; c’è stato cioè un progresso,

ed è questo che ho l’impressione di aver fatto.”14

Anche il caso di Ruth è indicativo. Ruth, 29 anni, ha già un figlio e deve decidere se accettare o meno una seconda gravidanza. Il dilemma nasce in lei dalla sua ambizione a finire una scuola di specializzazione e la responsabilità che sente di dover avere, anche nei confronti degli altri di non abortire. L’attenzione è posta sul conflitto che emerge tra il ruolo di una persona di potere che vuole conseguire il successo e quello di una persona che pone come principio guida della propria esistenza la cura verso gli altri. Ruth si trovò a dover ammettere a se stessa di essere una persona ambiziosa, mentre fino a quel momento aveva considerato l’altruismo e la sensibilità come le sue caratteristiche principali. Il problema si pone, quindi, nei termini del senso di colpa per

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31 l’ammissione di essere in un modo piuttosto che in un altro e della sofferenza che questa

nuova immagine di sé può causare agli altri. Questi termini, senso di colpa e sofferenza, sono gli stessi che utilizzerà anche per rispondere al dilemma di Heinz che le viene proposto dalle esaminatrici. Per Ruth, infatti, si tratta di una decisione angosciosa ed ancora una volta notiamo che la decisione non verte tra due diritti ossia il diritto alla vita o il diritto alla proprietà, ma verte sulla sofferenza che verrà inevitabilmente causata a due esistenze, quella di Heinz e quella della moglie.

L’inevitabilità del furto non è neanche messa in discussione; ciò cui viene prestato attenzione è solo il fatto che, da una parte, Heinz, rubando il farmaco, farebbe del male a se stesso perché verrà messo in prigione e dall’altro lato se decidesse di non rubarlo, farebbe del male alla moglie lasciandola morire. La decisione è una decisione tra due sofferenze, tra due azioni che causeranno comunque angoscia e che avranno lo stesso identico risultato di separare l’unione dei due sposi. Uno dovrà vivere lontano dall’altro

e questo non potrà che causare patimento. La colpa Ruth la attribuisce alla società, che per il modo in cui è costituita e per le sue leggi sulla proprietà rende possibile il verificarsi di conflitti, che per il solo fatto di porsi, esprimono una violenza innaturale. Questo determinato conflitto è vissuto da Ruth come ingiusto proprio perché non è la scelta tra due diritti ma la difficile ed inevitabile scelta tra due mali.

Si impone così una prospettiva di guardare alle situazioni morali, ancora una volta divergente da quella udita tradizionalmente ed è proprio a questa divergenza, a questa voce differente a cui vale la pena prestare ascolto. Essa ci permette di guardare alle situazioni contestualizzandole, ci permette di eliminare quel senso di astrattezza, che un’ etica dei diritti presuppone e ci permette, dunque, di permeare la realtà in maniera

differente. La voce di cui parliamo è una voce nuova non in quanto si è modificata rispetto al passato ma in quanto, per la prima volta, inizia a farsi sentire in maniera libera, sincera e senza i filtri a cui spesso è stata condannata. Questo è stato reso

(30)

32 possibile anche grazie alle modalità di tali ricerche. Si è rivelato utile, infatti, non solo il semplice presentare situazioni di conflitti reali o ipotetici, ma anche la continua stimolazione da parte delle esaminatrici ad esprimere il proprio sé.

Le domande proposte erano di questo tipo: come ti descriveresti? Cos’è per te la responsabilità? Come faresti coincidere due esperienze contrastanti? Tentando di trovare risposte a queste domande i ragazzi e le ragazze palesavano il proprio modo di ragionare, le proprie incertezze e soprattutto i conflitti che ne erano alla base.

Fu così possibile per Gilligan e i suoi collaboratori realizzare l’importanza di una serie di studi che descrivessero il processo di maturazione all’età adulta, seguendo percorsi

mai esplorati. Precedentemente avevamo l’immagine di una età adulta in cui si definiva pienamente la subordinazione dei rapporti rispetto all’individuazione ed era questo il

paradigma di riferimento. Come per gli stadi morali di Kohlberg, diventava impossibile per la donna raggiungere il pieno sviluppo in quanto questa subordinazione in essa,nella maggior parte dei casi non avveniva. Negli stadi morali di Kohlberg, la maturità morale propria delle donne sarebbe stata relegata al massimo al 4° stadio, che prevedeva l’interiorizzazione di regole che convenzionalmente garantivano la pacifica convivenza.

Questa visione era però parziale: era sfuggita agli studiosi, consapevolmente o meno, la possibilità di una crescita che fosse onnicomprensiva di questi due sguardi differenti, ma meritevoli entrambi di attenzione.

Durante il passaggio alla prima età adulta, succede ciò che succede durante i conflitti. Da una parte si percepisce come importante la separazione dagli altri e quindi la costituzione di una propria identità, dall’altra parte si subordina questo tipo di

atteggiamento a quello che consiste nel proteggere il senso della connessione e quindi il rapporto con gli altri.

Gli studi sugli studenti universitari hanno dimostrato, ancora una volta il differente modo di rappresentarsi.

(31)

33 Durante il corso delle interviste, le donne dell’età di 27 anni, per descrivere se stesse,

anche se avevano raggiunto un importante ruolo lavorativo usavano aggettivi come ‘ materna’, ‘adottata’, o si descrivevano in base al rapporto con il loro uomo.15

Per loro era così impossibile pensare al proprio Io senza inserirlo in una fitta trama di relazioni in assenza delle quali l’Io stesso non esisterebbe. L’identità era quindi definita in base ad un contesto di cura e di attenzione verso l’altro. Per gli studenti maschi, la situazione era differente. Loro si descrivevano con aggettivi che avevano a che fare con il loro successo professionale o con la loro personalità. Il rapporto con gli altri non era citato e se era citato veniva messo sullo sfondo.16 Dunque la separazione è il valore primario rispetto alla connessione che è vissuta in superficie: l’identità è preferita all’alterità che non è considerata imprescindibile. L’altro è vissuto come disgiunto da se

stesso, quasi come fosse qualcosa che non li riguarda direttamente e si tende così a dimenticare la completa interconnessione cui siamo assoggettati. La maturità è il risultato di un conflitto, del presentarsi dello stesso dilemma per entrambi i modi di concepirlo. Quando però ci si sofferma sul modo di affrontare un dilemma morale, ci rendiamo conto come tali due prospettive non sono così lontane.

Hilary, una donna, che ha partecipato allo studio di Gilligan, è un avvocato che si trova in possesso di un documento che potrebbe risolvere la disputa in favore della parte avversa e non sa se renderlo pubblico o meno. Riconosciamo fin da subito quanto possa essere universalmente condiviso e frequente un conflitto tra responsabilità verso gli altri e responsabilità verso noi stessi ed il nostro lavoro. Per Hilary fu il crollo dei valori in base ai quali lei regolava il suo agire morale che erano, in particolare, il rispetto ed il non fare del male agli altri. In una situazione di questo genere non era infatti possibile

15 Alcuni esempi di descrizione che sono illuminanti a questo proposito si trovano in C.GILLIGAN,op. cit.

p.161.

(32)

34 non far del male a nessuno. Inoltre si rivelò come fondamentale per la donna la sua volontà di rendersi pienamente responsabile della risoluzione di tale conflitto.

Dopo aver riflettuto a lungo e aver analizzato i singoli dati a sua disposizione, Hilary si rese conto che la sua ingiunzione ‘non fare del male agli altri’ doveva comprendere

anche se stessa. Il principio della cura, su cui la sua moralità si basava, dovette estendersi fino alla presa di coscienza che l’attenzione verso noi stessi è fondamentale

anche per inserirci nella rete di rapporti in cui siamo inevitabilmente calati. Per evitare che la cura diventi autoabnegazione e quindi diventi un automatismo più che una scelta responsabile, è imprescindibile includere nella cerchia dei valori eletti a principi guida delle nostre azioni, l’importanza dell’identità tanto quanto quella dell’intimità.

Nel conflitto emerge quindi l’importanza tanto di un’etica dei diritti quanto di un’etica della cura per la formulazione di una scelta morale pienamente responsabile. È questa diversità che vuol far emergere Carol Gilligan e non l’adeguatezza dell’una a discapito dell’altra.

L’etica della cura nasce sì dalla realizzazione che uomo e donna vivono la scelta in maniera differente, ma si propone di svincolarsi da questa differenza di genere. In effetti le due visioni sono perfettamente conciliabili ed anzi una conciliazione di questo genere è ciò a cui un’etica, che vuole rispecchiare tutta la realtà, deve auspicare. I valori dell’uguaglianza, della giustizia e dell’affermazione del proprio sé, che l’etica dei diritti comporta sono importanti proprio per bilanciare la tendenza all’alienazione del sé che un’etica improntata sulla cura potrebbe causare. La giustizia deve diventare dunque giustizia distributiva in cui l’uguaglianza assume valore, non nel senso che sono tutti

uguali, ma in quello che sono tutti ugualmente meritevoli di attenzione.17

(33)

35 Le differenze, che l’etica delle norme tende ad eliminare, devono essere non soltanto prese in considerazione ma fatte emergere, perché sono la dimostrazione dell’alterità del singolo e quindi del diverso apporto che ciascuno può dare a questo mondo.

Il testo di Gilligan si conclude rispettando i propositi iniziali. Mette in rilievo l’esistenza di una voce differente la quale deve essere ascoltata se si vuole costruire un modello di comportamento morale che rispecchi senza parzialità la realtà di cui siamo parte.

(34)

36 1.4.

Responsabilità, Cura ed Etica Femminista

.

Lo spingere ad un nuovo sguardo sulla moralità, di cui Carol Gilligan è stata promotrice ha avuto grande impatto nella tradizione contemporanea. Prima di affrontare le critiche, interne (tra le filosofe femministe) ed esterne ( tra l’etica della cura e le altre teorie morali) , che analizzerò nei prossimi capitoli, voglio soffermarmi nello specificare alcuni concetti. Innanzitutto, abbiamo visto, quanto sia stato importante il concetto di responsabilità nella fondazione di un’etica della cura. Prendersi cura dell’altro presuppone la responsabilità nei suoi confronti, così come prendersi cura di

noi stessi parte dalla percezione della responsabilità che abbiamo di salvaguardare la nostra individualità. Il concetto di responsabilità qui individuato prescinde, quindi, dal significato giuridico di colpevole ed imputabile e comprende tutte quelle specificazioni prettamente morali che l’essere responsabile comporta come l’impegnarsi a non ledere i

diritti degli altri ed aiutarli nel raggiungimento del loro benessere.18 Un’idea del genere nasce dalla consapevolezza dell’interdipendenza e presenta come atto pienamente egoistico ed illegittimo comportarsi come esseri isolati. Bisogna stare attenti a non concepire la responsabilità come un sostituirsi all’altro, in quanto essa deve essere

esercitata non come forma di potere, ma come attenzione reciproca e limitazione delle

proprie intenzioni lì dove queste si presentino come dannose per gli altri. Una delle modalità per rendere concreta l’azione responsabile è proprio l’inclinazione

alla cura. L’etica della cura nasce, è ormai chiaro, da una maggiore attenzione che viene

18A mettere in luce l’importanza di tale concetto ed anche il collegamento che tale concetto ha con la

cura è stato Hans Jonas. << La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere , diventando apprensione nel caso in cui venga minacciata la vulnerabilità di quell’essere.>> ( in H.JONAS. Il principio responsabilità, Einaudi, Torino, 1990, p. 285). Per evitare fraintendimenti è necessario chiarire due punti. Innanzitutto è da premettere che Jonas collega il concetto di responsabilità a quello di tecnologia e di futuro dell’umanità, quindi ad un ambito più esteso di quello dell’interdipendenza e poi che la responsabilità come cura, come abbiamo visto, è concepita da Jonas alla stregua di un dovere, di un imperativo categorico nei confronti di tutto ciò che si presenta come vulnerabile.

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