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“MARGINALISMO” E “VALORE” NELLA LINGUISTICA DI SAUSSURE

4. Perché Saussure non può essere Mar

A partire dal suo testo fondamentale Il linguaggio come lavoro e come

mercato (1968), Ferruccio Rossi-Landi (1921-1985) ha delineato una relazione omologica13 tra il linguaggio – inteso come la capacità umana di generare,

scambiare e interpretare segni verbali – e il lavoro – inteso nella duplice accezione marxiana di processo lavorativo e lavoro astrattamente umano.

Una delle ipotesi fondamentali di Rossi-Landi è che da questo parallelismo possa derivare un’ulteriore omologia: quella tra “valore economico” e “valore linguistico”. Più precisamente, Rossi-Landi ritiene possibile individuare una

logica comune ai processi di generazione del valore linguistico e ai processi di

generazione del valore economico: un’omologia tra i messaggi verbali e le merci. In sintesi, in base a una logica simile a quella per cui il lavoro – marxisticamente inteso – genererebbe valore economico, l’uso pratico-comunicativo del

linguaggio genererebbe ciò che Saussure definisce “valore linguistico”. Rossi-

Landi propone così una lettura critica del Cours de linguistique générale: la sua tesi è che in Saussure manchi “una teoria del lavoro linguistico, che sola potrebbe dare un fondamento alla sua teoria del valore linguistico” (Rossi-Landi 2003: 85).

Di recente, Francesco Aqueci (2010) ha criticato questa impostazione di Rossi-Landi, sostenendo che il suo modello del messaggio-merce sarebbe

referenzialista e caratterizzato da uno “scrupolo empiristico” (ivi: 81). Per

questo motivo, Aqueci ritiene più corretto adottare il modello saussuriano dei “puri” valori linguistici.14

13 Il termine “omologia” deriva dalle scienze biologiche e designa una corrispondenza di ordine genetico e strutturale fra due specie diverse (v. Rossi-Landi 1977: 72, nota 25). Per un approfondimento mi permetto di rimandare a Borrelli (2019).

L’ipotesi di Aqueci è che Marx e Saussure pervengano “autonomamente ad una comune metodologia che ha il valore come condizione trascendentale di ogni concreto atto linguistico e di ogni concreta transazione economica” (Aqueci 2010: 137).

Secondo Aqueci, l’omologia tra Marx e Saussure si potrebbe ricavare a partire da questo parallelismo: Saussure ritiene che la logica del valore linguistico preveda lo scambio di “cose dissimili (idea per parola)” (ivi:85) e l’equiparazione di “cose simili (parola con parola)” (ibid.). Omologamente, Marx ritiene che la logica del valore economico preveda lo scambio di “cose dissimili (tela per abito)” (ibid.) e l’equiparazione di “cose simili (le quantità di lavoro sociale astratto)” (ibid.)

Aqueci fonda questo parallelismo su due passi del Capitale: uno in cui Marx afferma che “ogni merce sarebbe un segno perché come valore esse sono

involucri cosali [sachlich] del lavoro umano speso in esse” (Marx 2011: 103); un

altro in cui Marx afferma che la “determinazione degli oggetti d’uso come valori è prodotto sociale [degli uomini] come lo è il linguaggio” (ivi: 85).

Secondo Aqueci, nel secondo passaggio Marx starebbe affermando il ruolo di “quella conoscenza sociale spontanea che è il lavoro astratto o tempo di lavoro incorporato nelle merci” (ibid.). Il problema di questa argomentazione è che Marx non intende affatto la categoria di “lavoro astrattamente umano” come una “conoscenza sociale spontanea”. Nella determinazione del “lavoro astrattamente umano” – che Marx definisce “sostanza di valore” – non entra in gioco alcun processo cognitivo o linguistico.15 A questo proposito, Hans

Georg Backhaus (2009) ha dimostrato – in una lettura critica ormai considerata esemplare (cf. Bellofiore Redolfi Riva/Bellofiore 2015) – che l’interpretazione del “lavoro astrattamente umano” in chiave “psicologistica” o “soggettivistica” sia in palese contraddizione con l’impostazione marxiana.

Più precisamente, Backhaus critica la tesi della determinazione “inconsapevole” del valore attraverso il tempo di lavoro. Tali letture individuano la “condizione quasi-trascendentale dello scambio” (Backhaus 2009: 310) in

segno sia parte integrante del modello proposto da Rossi-Landi (v. Rossi-Landi 2011: 301-308), costituendo, inoltre, un punto di partenza fondamentale delle sue argomentazioni (v. Rossi-Landi 2003: 61-103).

15 La tesi di un’origine discorsiva del valore è stata sostenuta nell’ambito dei Discourse Studies da Fairclouhg e Graham (2002). Anche Garofalo (2014), per strutturare la sua “correzione” marxiana di Saussure, pone l’accento su un passo dei Grundrisse (Marx 1968: 71) in cui Marx sembra porre la categoria di “valore” come il risultato di un processo mentale. Il punto è che Marx si distacca radicalmente da questa linea argomentativa nel capitale (cf. Bellofiore 2013). Mi permetto di rimandare a Borrelli (2018a) per un approfondimento della lettura critica delle teorie sull’origine “mentale” o “discorsiva” del valore in Marx.

“improbabili atti di ‘equiparazione’ tra selvaggina e pesci” (ibid.) avvenute tra i pescatori e i cacciatori primitivi. A mio modo di vedere, Aqueci si pone in linea con queste argomentazioni nel momento in cui afferma che gli esseri umani “da sempre hanno intuito l’importanza del calcolo del tempo di lavoro” (Aqueci 2010: 139).

Backhaus attraverso la sua analisi critica sottolinea che se si dovessero seguire le implicazioni di questi modelli esplicativi, si giungerebbe ben presto al paradosso di ritenere plausibile l’assunto secondo cui gli esseri umani hanno dedotto – inconsapevolmente! – la categoria del lavoro astrattamente umano – e cioè la “sostanza di valore” – ben prima di Marx, addirittura in epoche preistoriche. In questa prospettiva – appunto, paradossale – il valore avrebbe la propria origine in un inconsapevole incontro di volontà (!), in un’inconsapevole

convenzione (!) o – peggio ancora – in un inconsapevole calcolo (!) tra gli attori

economici16.

A mio modo di vedere, anche la teoria di Rossi-Landi presenta degli aspetti problematici inerenti all’interpretazione della categoria di “lavoro astrattamente umano”. Come ho già provato a dimostrare (v. Borrelli 2018b), Rossi-Landi ritiene che il valore (del segno) debba essere inteso come misura immanente, cioè come quantità di lavoro (linguistico) erogato, riproducendo così un errore tipico della cosiddetta “teoria del valore-lavoro”.17

Il problema è che le recenti interpretazioni della teoria economica marxiana sembrano concordare sull’assunto secondo cui l’erogazione di forza lavoro – contrariamente a quanto affermato anche da Rossi-Landi – non sia misuratrice del valore, ma sia semmai una grandezza da misurare e che può essere misurata solo al momento dello scambio (per mezzo del denaro, definito da Marx misura

esterna del valore).18

5. Conclusioni

In questo contributo ho provato a mostrare come diversi autori abbiano ritenuto possibile individuare alcuni presupposti teorici che Saussure avrebbe mutuato da altri campi di ricerca; in particolare, dalla sociologia e dalla teoria economica. Ho cercato di mostrare come i “classici” di riferimento per questo confronto siano fondamentalmente tre: Durkheim, Pareto e Marx.

16 Sui paradossi argomentativi legati a qualsiasi lettura “convenzionalista” del valore (sia linguistico che economico) resta – a mio modo di vedere – esemplare la critica condotta da Rossi- Landi nel suo saggio “Sul pregiudizio contrattualistico” (1967), raccolto in Rossi-Landi (1972: 19-29).

17 Per una lettura critica del concetto di “teoria del valore-lavoro” si veda Fineschi (2001). 18 Per una approfondimento mi permetto di rimandare a Borrelli (2018b).

Se il parallelismo tra Saussure e Durkheim non sembra presentare particolari incongruenze o incompatibilità, sia il parallelismo tra Pareto e Saussure che il parallelismo tra Marx e Sasussure presentano alcuni aspetti critici, che sembrano fondarsi su degli errori di interpretazione. Tuttavia, questi ultimi due parallelismi continuano a presentare altrettanti spunti di discussione, che meritano senz’altro di essere sviluppati attraverso ricerche future.

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