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La prima parte della dissertazione ha messo in luce i concetti del sapere musicale elaborati e adoperati da filosofi e letterati al fine di arricchire la conoscenza dell’uomo. In questa seconda parte si esamineranno alcune fonti musicali, teoriche e storiche, per cercare di capire come il sapere musicale venga in esse pensato e organizzato e per vedere se e come i concetti discussi nella prima parte del nostro lavoro siano utilizzati.

Il primo capitolo di questa sezione sarà dedicato in particolare alla discussione di tre opere: A Treatise of Musick, Speculative, Practical and Historical di Alexander Malcom (Edimburgo, 1721); The art of Musick di John Frederick Lampe (Londra, 1740) e l’Essay on Musical Expression di Charles Avison (Londra, 1752). Il trattato è stato per lungo tempo il genere letterario che più d’ogni altro è riuscito a contenere e riassumere in sé l’enciclopedia dei saperi. Col progredire e l’approfondirsi delle singole conoscenze disciplinari, esso è andato specializzandosi in àmbiti più definiti, con la produzione di trattati di medicina, di matematica, ecc. Tuttavia, a differenza dei semplici manuali, i prodotti di questo genere sembrano aver mantenuto una sorta di “aspirazione all’universalità”, tenendo viva la connessione delle singole discipline con una forma di sapere più generale. Se è vero che «una costante del trattato di musica è il suo rapporto con la cultura»,1 mediante l’esame dei tre

esemplari prescelti cercheremo di individuare quali siano gli aspetti e i tratti della cultura settecentesca che i nostri autori ritengono importante includere nelle proprie trattazioni sulla musica.

Il secondo capitolo si occuperà di un differente genere di discorso sulla musica, ossia il discorso storico. Le celebri opere di Sir John Hawkins e Charles Burney saranno esaminate alla luce del rinnovato interesse settecentesco per il passato storico e inserite all’interno del processo di formazione della storiografia moderna,

1 Paolo GOZZA, La musica come scienza matematica e la sua influenza teorica sull’immaginario artistico,

in «Storia della scienza»,vol. IV (Medioevo, Rinascimento), Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 2001, pp. 992-1003.

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sulla traccia delle idee sviluppate da Arnaldo Momigliano a partire dagli anni ’50, che vedono nel dialogo fra le figure dello storico e dell’erudito un momento saliente per la costituzione di un nuovo modo di pensare il passato.2 Nel nostro orizzonte una

discussione di queste due opere seminali e ben note sembra necessaria da più punti di vista. Sebbene esista una letteratura specifica sui due autori, pochi sono stati i tentativi di collocarne le opere in un contesto culturale di ampio respiro.3 Un testo

che, a tutt’oggi, tenta ancora di rispondere a questa necessità è l’ormai lontano

Philosophies of music History di Warren Dwight Allen del 1939 (ripubblicato in forma

leggermente modificata nel 1962), nel quale, tuttavia, le due storie della musica che ci interessano vengono discusse quasi come un genere a parte, avulse da un discorso che tenga conto del concetto di ‘storiografia’ nel Settecento in generale. In àmbito francese una discussione approfondita sulla storia della musica tra Seicento e Settecento si ha nello studio di Philippe Vendrix del 1993, il quale tenta anche di rendere conto dei «facteurs de l’intérêt historique» nei secoli designati. 4

Un secondo, e permanente, fattore d’interesse per un rinnovato studio delle storie di Hawkins e Burney può inoltre essere identificato nel costante bisogno della musicologia contemporanea di interrogarsi sulla natura della storiografia musicale. Il dibattito iniziato verso la fine degli anni Sessanta,5 e proseguito fino agli anni

Ottanta con gli studi di Dahlhaus, Wiora e Treitler, hanno aiutato a delineare le problematiche e a definire i concetti di una disciplina dai contorni sfuggenti.

2 In particolare si veda Arnaldo MOMIGLIANO,Ancient History and the Antiquarian, «Journal

of the Warburg and Courtauld Institutes», 13, 1950, pp. 285-315, ripubblicato in Contributo alla storia

degli studi classici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1979, pp. 67-106; e il più tardo ID., Le radici

classiche della storiografia moderna, Firenze, Sansoni, 1992 (1990) [in particolare il cap. III ‘L’origine

della ricerca antiquaria’, pp. 59-83].

3 Su Burney, lo studio principale di riferimento resta Kerry S. GRANT, Dr. Burney as Critic and

Historian of Music, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1983.

4 PhilippeVENDRIX, Aux origines d’une discipline historique. La Musique et son Histoire en France

aux XVIIe et XVIIIe siècles, Genève, Droz, 1993 (cfr. in particolare il cap. II, pp. 65-94).

5 Cfr. W. WIORA, Musikgeschichte und Universalgeschichte, «Acta Musicologica», XXXIII, 1961,

pp. 84-104; Studies in Music History: Essays for Oliver Strunk, a cura di H. S. Powers, Princeton, Princeton University Press,1968; Die Ausbreitung des Historismus über die Musik, a cura di W. Wiora, Regensburg, Bosse, 1968; Perspectives in Musicology, a cura di B. S. Brook, E. O. D. Downes e S. V. Solkema, New York, Norton, 1972; C. DAHLHAUS, Grundlagen der Musikgeschichte, Koln, Hans Gerig, 1977; G. KNEPLER, Geschichte als Weg zum Musikverständnis: Beiträge zur Theorie, Methode und der

Musikgeschichtsschreibung, Leipzig, Reclam, 1977; W. WIORA, Ideen zur geschichte der Musik, Darmstadt,

Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1980; L. TREITLER, Music and the Historical Imagination, Harvard,

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Tuttavia, nel confrontarsi con le storie della musica del Settecento, il lettore che abbia familiarità con tali testi rischia di trovarsi spiazzato. Cercare di comprendere come si siano andate costituendo le storie della musica nel Settecento, e a quali tradizioni si richiamino, potrebbe essere utile al musicologo contemporaneo per considerare con maggior attenzione la natura storica delle categorie di cui fa uso, senza attribuire loro una dimensione ontologica. La contestualizzazione storica dei concetti di cui facciamo uso può essere un buon metodo per evitare le Scilla e Cariddi del realismo e del nominalismo, riconoscendo che termini quali ‘storia’ e ‘musica’ non rinviano sempre ad un medesimo significato e, dunque, non sono categorie ‘atemporali’, senza tuttavia incorrere nell’eccesso opposto, rinunciando a tracciarne caratteristiche generali all’interno di precisi àmbiti storici e geografici.6

Nel definire il compito della storia della musica, Guido Adler – riconosciuto come il fondatore della disciplina ‘musicologia’ – scrive:7

Die Aufgabe der Musikgeschichte ist die Erforschung und Darlegung des Entwicklungsganges der tonsetzerischen Produkte; ihr Objekt sind die tonkünstlerischen Erzeugnisse und zwar ihre Entstehung und Ausbildung, ihre Zusammensetzung in Gruppen je nach der Zusammengehörigkeit und Unterscheidbarkeit, ferner die Abhängigkeit, Eigenentfaltung und die Einflußsphäre jeder tonkünstlerischen Persönlichkeit.

Al centro di questo modello di storia della musica si trova, dunque, il prodotto musicale, l’opera. La storia della musica tra Otto- e Novecento è concepita in primo luogo come una storia delle ‘opere musicali’. Come si vedrà nell’ultimo capitolo del nostro lavoro, le storie settecentesche di cui ci occuperemo muovono da presupposti diversi.

6 Sulla declinazione di questi due modi di relazionarsi ed intendere le categorie nell’àmbito

degli studi di musicologia storica cfr. Leo TREITLER, Music and the Historical Imagination, cit. (in

particolare il cap. IV, ‘On Historical Criticism’, pp. 79-94).

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Capitolo I

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