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Scuola a forte processo immigratorio

Il paese era stato interessato da un massiccio flusso immigratorio soprattutto per la presenza di un grosso residence di circa 500 appar-tamenti, denominato Hotel House, dove, fallito lo scopo per cui era stato costruito, si erano insediati tantissimi immigrati provenienti da ogni parte del mondo (si calcolava all’interno una presenza di oltre 2000 persone, appartenenti a circa 40 nazionalità diverse. I gruppi più significativi provenivano dall’Albania, dall’Algeria, dall’Argentina, dal Bangladesh, dalla Cina, dall’India, dal Marocco, dalla Macedonia, dalla Nigeria, dal Pakistan, dalla Romania, dalla Russia, dal Senegal, e dalla Tunisia). Una volta che questi si erano stabilizzati nel lavoro, dif-fuso in un raggio di circa 50 Km, provvedevano man mano a ricon-giungersi con le loro mogli e i loro figli. Oltre a quello dei famigliari, molti immigrati incoraggiarono anche l’arrivo di parenti ed amici e fu questo uno dei motivi per cui i bambini stranieri, dalla scuola dell’in-fanzia alla scuola secondaria di 1° grado, ben presto rappresentarono il trenta per cento della popolazione scolastica. Spesso Porto Recana-ti era considerata da molRecana-ti immigraRecana-ti luogo di transito per alcuni me-si prima di trasferirme-si in città più grandi, come nel caso di coloro che lavoravano nella ristorazione, per cui era frequente che mentre diversi alunni erano costretti a lasciare la scuola, altri invece chiedevano l’i-scrizione in ogni momento dell’anno.

La percentuale dei ragazzi che venivano iscritti a scuola con un do-cumento degli studi effettuati nel paese d’origine era praticamente nulla, nel caso provenissero da regioni povere o scosse da sommovi-menti politico-sociali.

Il residence dove la maggior parte degli stranieri si stabiliva era isola-to e malvisisola-to dalla popolazione locale perché, malgrado le energie

pro-fuse dai vari livelli istituzionali e dalle associazioni di volontariato, ten-deva ad essere un facile ricettacolo di illegalità. Inoltre la sua posizione rispetto al centro abitato e la struttura a 17 piani, se da un lato favori-vano il mantenimento dell’identità culturale di appartenenza perché si viveva porta a porta con gente della stessa etnia, dall’altra portavano ad una chiusura alla vita sociale e all’integrazione per molte donne e per i bambini che non avevano possibilità di agevoli spostamenti per man-canza, tra l’altro, di marciapiedi illuminati e percorsi sicuri.

Tutto questo rendeva anche difficile la collaborazione delle famiglie per il rispetto delle regole riguardanti i minori, cioè le entrate, le usci-te, le firme per le autorizzazioni.

Nello stesso stabile, data la convenienza del costo degli affitti, era-no andate a vivere anche numerose famiglie provenienti da varie regio-ni, in prevalenza dell’Italia meridionale, i cui figli presentavano pro-blemi simili a quelli dei compagni stranieri. Una presenza così nutrita non poteva non porre seri interrogativi alla scuola anche perché l’iscri-zione degli alunni stranieri, come già sottolineato, si snodava lungo tutto il corso dell’anno. Quando si usa l’espressione “alunni stranieri”

va tuttavia precisato che essa costituisce una generalizzazione non ade-guata giacché vanno considerate non solo le differenze di personalità e di condizioni socio economiche, ma anche le diverse provenienze na-zionali e culturali.

I problemi principali riguardavano la non conoscenza della lingua italiana da parte degli alunni, il loro vissuto e il loro inserimento nelle classi in rapporto all’età. I ragazzi che arrivavano, inoltre, a volte erano stati scolarizzati nei loro paesi d’origine, a volte non avevano frequen-tato alcun tipo di scuola. Emergeva così l’esigenza di una scuola come luogo di integrazione, di inclusione, delle identità plurali, del conflitto regolato e dunque della mediazione, frutto di una riflessione attenta su alcuni aspetti salienti quali la continuità/discontinuità, la seconda-rietà, l’operatività. Ci si poneva anche il problema molto serio di far sì che quella moltitudine di nuove presenze potesse raggiungere un gra-do di integrazione tale da permettere di non restare nell’isolamento, causa prima delle facili manipolazioni.

Gli sforzi fatti dalla scuola davano risultati verificabili e nello stesso tempo erano capiti sia dagli alunni, sia dai genitori. Due episodi pos-sono chiarire meglio di ogni altro discorso il rapporto che si era in-staurato nei confronti dell’utenza straniera e il livello di attenzione nei confronti della scuola.

Una volta si è presentato a scuola un marocchino per iscrivere cin-que figli e, poiché non conosceva l’italiano e parlava solo arabo, si era fatto accompagnare, per avere un interprete, da un suo connazionale da tempo residente in Italia. Cercava di far capire la situazione sco-lastica dei figli e si scusava per le difficoltà che essi avrebbero potuto creare alla scuola. Mentre si procedeva alla illustrazione delle modali-tà seguite per l’accoglienza, l’inserimento nelle classi e l’integrazione degli alunni stranieri, l’interprete ha interrotto il discorso per dire che essi sapevano già benissimo quello che la scuola faceva per i loro figli.

Nel prosieguo della conversazione, si era notato che, nella domanda di iscrizione per i cinque alunni, quel genitore aveva barrato la casella ri-guardante la scelta dell’insegnamento della religione cattolica. Di fron-te all’obiezione su un possibile errore nella compilazione della doman-da dovuto alla non conoscenza della lingua italiana, arrivò la risposta che la scelta era stata fatta volutamente per rispetto a noi italiani. L’in-terprete inoltre aggiunse che se i figli dell’amico, come stavano facen-do i suoi, avessero conosciuto la religione cattolica, sarebbero poi stati musulmani più bravi.

Due famiglie, sia per la ricerca di un lavoro più rimunerativo che per ricongiungersi ad alcuni loro parenti, si erano trasferite rispetti-vamente a Prato e a Brescia. Dopo alcuni giorni sono stati costretti a tornare a Porto Recanati perché i figli volevano frequentare “la loro scuola”.

Altro elemento positivo era anche la progressiva diminuzione de-gli insuccessi scolastici sfociati in una bocciatura. Nell’anno 2006/07 sono stati soltanto tre e riguardavano alunni che non erano in grado di scrivere e leggere neanche in lingua madre o che mostravano caren-ze particolarmente gravi. Tutto questo era stato possibile in quanto la scuola si era messa in una posizione di dialogo con tutte le componenti

interessate alla formazione dei giovani e di “costruttrice di ponti “ tra le diverse sensibilità e culture.