Capitolo V - Le Valutazioni ANAC sulla legge 190 e sui decreti attuativi
2. Le valutazioni dell’ANAC 2014-2015 178
2.4. Segue: il codice di comportamento e il “whistleblowing” 185
Riguardo un altro importante strumento di prevenzione, quale il codice di comportamento, l’Autorità, nel Rapporto del 2014, ha rilevato come nonostante il valore giuridico conferito agli stessi dal D.P.R. 62/2013, «ai fini dell’applicazione della responsabilità disciplinare», lo strumento in questione, nei primi anni di attuazione, ha presentato comunque dei limiti. Infatti, come evidenziato dall’ANAC, il D.P.R. 62, non è stato «particolarmente innovativo», dal momento che di fatto ha riprodotto «il complesso dei doveri già definiti nei precedenti Codici di comportamento nazionali», poiché «concepito come sommatoria dei doveri di comportamento minimi essenziali, nella prospettiva che i codici di comportamento di amministrazione avrebbero provveduto a individuare nuovi e ulteriori doveri (…)» (Ivi, p. 318).
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A riguardo, si veda anche il recente Atto di segnalazione n. 6 emanato dall’autorità il 23 settembre 2015, contenente delle proposte di modifica.
http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Atti/attiDiSegnalazion e/atto.segnalazione.n.6.2015.pdf
L’Autorità ha rilevato come, i Codici delle amministrazioni hanno riprodotto i contenuti del Codice nazionali senza particolari innovazioni, proponendo, dunque, di rivedere il ruolo di questi ultimi. (Ibidem).
Inoltre, altri limiti circa l’efficacia dello strumento in questione, riguardano «il tasso di attivazione della responsabilità disciplinare, (…) anormalmente basso», per cui l’Autorità ha richiesto un chiarimento nei rapporti tra i Codici di comportamento e sanzioni disciplinari, la cui definizione è di competenza dei contratti collettivi di lavoro pubblico. In questo senso, il suggerimento dell’ANAC al legislatore, è stato quello di «stabilire se mantenere l’attuale equilibrio tra fonti unilaterali e fonti negoziate», o se provvedere a «riportare a fonte unilaterale (legislativa o regolamentare) l’intera materia», e in ogni caso individuare «strumenti che semplifichino e incoraggino l’azione disciplinare da parte di dirigenti», così da attivare un livello di tolleranza “zero”, rispetto alla violazione di comportamenti che spesso vengono, appunto, “tollerati” (Ivi, p.319).
Oltre a questo, l’ANAC ha proposto di affiancare le amministrazioni nel valutare le tipologie dei doveri di comportamento, fornendo pareri «sulla gravità delle tipologie di violazioni al Codice nazionale»;; un compito che la legge 190 affidava all’Autorità, ma che ora, a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 69/2013, risulta non avere «un impatto significativo. Da ultimo, l’ANAC ha chiesto, rispetto all’esercizio dei poteri di vigilanza, di regolazione, di ordine e sanzionatori, in merito all’efficace adozione dei codici, una più chiara precisazione degli stessi. (Ibidem)
Infine, per quanto riguarda la figura del c.d. “whistleblowing”, nella determinazione n. 6 del 28 aprile 201511, che detta delle “Linee guida per la tutela
del dipendente che segnale illeciti”, ha rilevato tre aspetti problematici, meritevoli
di correzione legislativa.
Il primo riguarda il soggetto incaricato di ricevere le segnalazioni nell’amministrazione, che è stato individuato nel superiore gerarchico, ma che l’Autorità ritiene «il meno adatto ad occuparsi della segnalazione», dal momento che questa riguarda «le attività dell’ufficio assegnate al superiore gerarchico» (Ivi, p.321), suggerendo di incaricare, in questo senso, il RPC, giacché «il sistema di prevenzione della corruzione fa perno» su questa figura (Ibidem).
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Per un approfondimento riguardo la determinazione n.6, si veda
Il secondo aspetto riguarda «la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante», chiedendo, al fine di una maggiore tutela, la stipula di protocolli di impresa con le magistrature coinvolte, e comunque un chiarimento legislativo (Ibidem).
Da ultimo, riguardo la tutela del dipendente che segnala illeciti nell’ambito di enti di diritto privato in controllo pubblico e negli enti pubblici economici, l’Autorità ha richiesto una modifica della disciplina vigente, estendendo le disposizioni previste dalla legge 190, anche a questa categoria.
Conclusioni
La nuova escalation di casi di corruzione, degni della stagione di “Mani pulite”, che ancora una volta negli ultimi anni ha interessato diversi settori della PA, con particolare riferimento alla realizzazione di grandi opere e eventi strategici, ha riacceso i riflettori sulla preoccupante diffusione del fenomeno della corruzione nel nostro paese, e sulla efficacia delle misure di contrasto adottate a partire dal 2012.
All’indomani, e nonostante, l’approvazione di una riforma di un certo spessore, quale la legge 190 e dei suoi decreti attuativi, i casi EXPO, M.O.S.E. e il più recente “Mafia Capitale”, hanno nuovamente alimentato non solo le preoccupazioni interne, ma, ancora una volta, anche quelle di organismi sovranazionali. È il caso della recente fotografia fatta da Transparency International, che attraverso il Corruption Perception Index del 2015 ha collocato l’Italia al 61° posto alle spalle di paesi considerati generalmente più corrotti come Romania e Grecia. Sicuramente un miglioramento rispetto al 2014 quando il “Belpaese” si posizionava al 69° posto, ma tuttavia tale risultato sembra essere dovuto al peggioramento di altri paesi, come dimostra il punteggio assegnato all’Italia, che da 43 su 100 nell’anno precedente è salito ora di un solo punto a 441. Nel febbraio 2014, la Commissione europea, nell’allegato sull’Italia, parte della “Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione” presentata al Consiglio e al Parlamento Europeo, ha rilevato:
«.... nonostante il profondo impegno profuso dalla Corte dei conti, dagli organi di contrasto, dalle procure e dai giudici, la corruzione in Italia rimane un problema serio. La nuova ondata di scandali di corruzione, che hanno coinvolto una serie di cariche elettive regionali, ha fatto luce sul finanziamento illecito dei partiti politici e delle campagne elettorali e ha rivelato infiltrazioni mafiose, anche se sono tuttora rari i casi in cui sanzioni dissuasive vengono realmente comminate a pubblici ufficiali di alto rango. Il regime restrittivo della prescrizione continua a ostacolare l’accertamento nel merito dei casi di corruzione. La disciplina sul conflitto di interessi e sui finanziamenti ai partiti politici è sotto certi aspetti insoddisfacente. Gli appalti pubblici e il settore privato continuano a essere settori a rischio,
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malgrado le misure fin qui adottate. In generale occorrono ulteriori sforzi per garantire un’applicazione e un monitoraggio efficaci del quadro legislativo anticorruzione, compresi i decreti legislativi, in modo da garantire un impatto sostenibile sul campo».2
La necessità del legislatore di intensificare gli interventi di prevenzione e contrasto della corruzione, così come delineati dalla legge 190, vista proprio la particolare situazione di emergenza sociale, ha portato all’approvazione in questi ultimi anni di due importanti leggi che hanno provveduto a ridefinire alcuni ambiti entro i quali la legge 190 era intervenuta, accentuando le misure anticorruzione. Si tratta del d.l. n.90/2014 così come convertito in legge 114/2014, che tra le altre cose ha riconfigurato la «mission istituzionale» dell’Autorità anticorruzione riconoscendo alla stessa la pienezza dei compiti in materia di prevenzione, e della più recente legge anti-corruzione entrata in vigore nel maggio 2015. Quest’ultima, in particolare, è stata approvata dopo più di due anni di discussioni, rinvii, polemiche, nonostante l’urgente necessità di rivedere alcune zone d’ombra del precedente testo normativo in materia di anti-corruzione, vista non solo la nuova escalation di scandali, ma anche i richiami di organismi sovranazionali riguardo ad alcune criticità.
La legge, dettando una serie di misure di carattere prevalentemente repressivo, ma comunque rispondenti alla più generale esigenza di prevenzione e contrasto della corruzione, sembra aver posto rimedio ad una certa timidezza manifestata dal legislatore nel 2012 rispetto ad alcune fattispecie di reato, intervenendo sugli aumenti di pena per i delitti dei pubblici ufficiali della PA, novità entro le quali si colloca un’ulteriore riconfigurazione del ruolo dell’ANAC, nonché riformando la disciplina delle false comunicazioni sociali, e in particolare il fatto che il reato “sentinella” del falso in bilancio, torna ad essere un delitto per tutte le imprese, e non solo per quelle quotate in borsa.
Tuttavia, la legge non sembra aver risolto un'altra questione spinosa, quale quella della prescrizione, sulla quale la stessa ANM all’indomani dell’approvazione della nuova legge 69, ha auspicato a proseguire, dopo questo importante primo
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Commissione Europea. Allegato sull’Italia della Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo.” Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione”, Bruxelles 3.2.2014, p.15
http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/organized-crime-and-human-trafficking/corruption/anti-corruption- report/docs/2014_acr_italy_chapter_it.pdf
passo, con «un approccio strutturale», visto il rilievo che la questione assume proprio nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione3.
Di certo anche rispetto alla questione prescrizione la classe politica ha ancora una volta continuato a manifestare la sua storica reticenza, dimostrando, ancora una volta, di non voler emendarsi troppo dai propri errori e dalle proprie omissioni.
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