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5. Il primo uomo di Albert Camus: il romanzo del ritorno alle origini

5.4 Un uomo senza radici e senza passato

Il romanzo si apre con l’episodio della visita di Jacques alla tomba del padre a Saint- Brieuc in Normandia, luogo dove quest’ultimo trovò la morte durante la prima guerra mondiale. Camus nel 1953 aveva intrapreso realmente il viaggio verso il cimitero dove era sepolto il padre, dopo che la madre glielo aveva espressamente richiesto. Ed è proprio la ricerca di notizie dell’uomo defunto la causa principale dalla quale scaturirà la catena di ricordi infantili, è un momento fondamentale che porta con sé i semi che permetteranno al romanzo di svilupparsi. Il padre del protagonista, inizialmente, è soltanto un nome segnato, ormai da molti anni, sul registro del cimitero: “Cormery Henri, ferito mortalmente nella battaglia della Marna, morto a Saint-Brieuc l’11 ottobre 1914”263

. Per Jacques l’uomo non rappresenta niente di più di queste parole vuote, non prova dolore per la perdita perché fin dai suoi primi mesi di vita è stato abituato a convivere con l’assenza di una figura paterna. Quando il custode, dopo aver saputo che la tomba ricercata da Jacques era quella del padre, esprime il suo dispiacere, tuttavia questo, quasi con indifferenza, risponde: “Ma no, non avevo neanche un anno quando è morto. E allora capisce…”264

. La visita alla tomba è un gesto senza alcun significato per il protagonista, una sorta di rito che l’uomo svolge per far piacere alla madre. Nei confronti del padre non può certamente inventarsi un amore che non è mai esistito:

Da tanti anni che viveva in Francia, si riprometteva di fare ciò che sua madre, rimasta in Algeria, ciò che lei gli chiedeva da tanto tempo: far visita a quella tomba che personalmente non aveva mai visto. Era una cosa che non gli sembrava aver senso, prima di tutto per lui, che non aveva mai visto il padre, non sapeva quasi niente di ciò che era stato e aveva in orrore i gesti e gli atti convenzionali, poi per sua madre, che non parlava mai dello scomparso e non era in grado d’immaginare nulla di ciò che lui avrebbe visto. Ma, poiché il suo vecchio maestro si era ritirato a Saint-Brieuc e quella era un’occasione per rivederlo, aveva deciso di visitare la tomba di quello sconosciuto, e aveva voluto farlo prima di recarsi dal suo vecchio amico per sentirsi poi del tutto libero.265

263 Ivi, p. 28. 264 Ibid. 265 Ivi, pp. 28-29.

Visitare la tomba di “quello sconosciuto” è soltanto un compito da sbrigare, una fastidiosa faccenda che Jacques porta a termine grazie all’amore che lo lega alla madre. La visita al vecchio maestro è un pretesto per poterlo fare. Una volta davanti alla lapide Jacques si sofferma a riflettere:

Fu in quell’istante che lesse sulla lapide la data di nascita del padre, scoprendo nello stesso tempo di averla sempre ignorata. Poi notò le due date – 1885-1914 – e fece un rapido calcolo: ventinove anni. Un pensiero lo colpì all’improvviso e lo scosse. Lui di anni ne aveva quaranta. L’uomo che giaceva sepolto sotto quella pietra, e che era stato suo padre, era più giovane di lui.266

A questo punto sulla scena non compare più un figlio che fa visita alla tomba del padre, ma un uomo maturo posto davanti all’assurdità della vita, all’insensatezza di una morte violenta di una vittima innocente:

E l’ondata di tenerezza e di pietà che d’un tratto gli riempì il cuore non era quello slancio dell’anima che spinge il figlio verso il ricordo del padre scomparso, ma la compassione e il turbamento di un uomo fatto davanti a un ragazzo ingiustamente assassinato – era una cosa fuori dall’ordine naturale, e in effetti non poteva esserci ordine, ma solo follia e caos, dove il figlio era più vecchio del padre. Intorno a lui, immobile, fra queste tombe che, aveva smesso di vedere, si spezzava persino la successione del tempo e gli anni avevano cessato di allinearsi in un grande fiume che scorre verso la foce. Non erano ormai che fragore, risacca e risucchio, ed era qui che si dibatteva Jacques Cormery, alle prese con l’angoscia e la pietà.267

Jacques viene improvvisamente inghiottito da un vortice in cui gli anni e gli attimi si confondono, in cui tutto è assurdo e niente ha senso, proprio come non ha senso che un padre sia più giovane del figlio. E all’interno di questo caos, posto al di fuori dell’ordine naturale, il protagonista capisce che quella situazione non è uno scherzo del destino riservato soltanto a lui stesso, ma anche ad altre migliaia di persone:

Guardò le altre lapidi del settore e capì dalle date che quel terreno era costellato di ragazzi che erano stati i padri degli uomini brizzolati convinti di vivere in quel

266

Ivi, p. 30.

267

momento. Lui pure era convinto di vivere, si era fatto da solo, conosceva la propria forza, la propria energia, sapeva affrontare la vita e tener duro. Ma, nella strana vertigine che lo aveva colto in quel momento, quella statua che ogni uomo finisce per erigere e indurire al fuoco degli anni, insinuandosi in essa per attendervi lo sgretolamento finale, si stava sgretolando in fretta, stava già per andare in pezzi. Non restava ormai che quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, che lo aveva accompagnato per quarant’anni e continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere, sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre.268

Dal piano individuale ci trasferiamo a quello universale; dalla sofferenza e dallo smarrimento di un uomo passiamo alla sofferenza e allo smarrimento dell’uomo. Jacques, “nella strana vertigine che lo aveva colpito”, avverte la necessità di scavare a fondo nella propria vita per conoscere meglio se stesso ripartendo dalle proprie origini:

Rivedeva la propria vita, folle, coraggiosa, vile, ostinata e sempre tesa verso questo obiettivo di cui ignorava tutto, e in verità trascorsa senza che avesse mai cercato di immaginare che cosa potesse essere stato l’uomo che gli aveva dato questa stessa vita prima di andare a morire su una terra sconosciuta di là del mare. A ventinove anni doveva essere stato fragile, sofferente, teso, testardo, sensuale, sognatore, cinico, coraggioso. Sì, era stato tutto questo e altre cose ancora, era stato vivo, un uomo insomma, e tuttavia lui non aveva mai pensato a colui che qui riposava come a un essere vivente, ma come a uno sconosciuto, che era passato un tempo sulla terra dove lui era nato, che, a sentire sua madre, gli assomigliava, e che era morto sul campo dell’onore. Ma ora gli sembrava che quel segreto che aveva cercato con avidità di conoscere attraverso i libri e le persone, fosse intimamente legato a questo morto, a questo padre ragazzo, a ciò che era stato ed era diventato; e di aver cercato lontano ciò che gli era vicino nel tempo e nel sangue. In verità, non lo aveva aiutato nessuno. Una famiglia dove si parlava poco, dove non si leggeva né si scriveva, una madre sventurata e distratta, che avrebbe potuto raccontargli di questo padre giovane e patetico? Nessuno lo aveva conosciuto, se non sua madre che lo aveva dimenticato. Ne era certo. Era morto sconosciuto su questa terra, dove era passato fuggevolmente, come uno sconosciuto appunto. Sarebbe toccato a lui informarsi, domandare.269 268 Ivi, p. 31. 269 Ivi, p. 32.

Ecco allora che il padre defunto non è più soltanto un nome inciso su una pietra, Jacques capisce che anche lui è stato un essere umano pieno di passioni e di paure, un uomo che ha dato la vita a un bambino per perdere, dopo poco tempo, la propria. Il protagonista si rende conto che il segreto della sua vita è legato al padre e che, per comprenderlo, deve scavare a fondo, risalire alla sorgente da cui tutto è partito. Jacques si sente in dovere di conoscere quell’uomo che gli ha dato la vita ma che ormai tutti hanno dimenticato, compresa la moglie. La visita al cimitero, dunque, è un momento cruciale nella vita dell’alter ego di Camus, è una vera e propria rivelazione dalla quale ha origine la ricerca del lontano passato del padre: “In fondo, però, non era troppo tardi, poteva ancora cercare, scoprire chi fosse quest’uomo che ora gli sembrava più vicino di qualsiasi altra persona al mondo”270

.

Il primo uomo non può essere considerato un romazo-testamento soltanto per fatalità, ma è possibile individuare caratteristiche che possono essere ritrovate soltanto all’interno di un’ultima opera. Il recupero di un passato lontano, il ritorno alle origini, la ricerca del padre mai conosciuto sono tutti elementi che denotano una certa intenzionalità, da parte di Camus, di comporre l’opera conclusiva della sua carriera. L’autore va alla ricerca della sua essenza per riscoprire se stesso:

Ma, nella strana vertigine che lo aveva colpito in quel momento, quella statua che ogni uomo finisce per erigere e indurire al fuoco degli anni, insinuandosi in essa per attendervi lo sgretolamento finale, si stava screpolando in fretta, stava già per andare in pezzi. Non restava ormai che quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, che lo aveva accompagnato per quarant’anni e continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere, sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre.271

In queste ultime parole Camus sintetizza perfettamente il senso della sua opera. La volontà di andare oltre, il desiderio di svelare il segreto della propria vita prima della morte sono fattori che ci fanno immediatamente pensare a un autore consapevole di

270

Ibid.

271

essere alla fine della vita. Anche se Camus, durante la stesura di queste pagine, non poteva certo immaginare di avere i giorni contati, Il primo uomo assume fin dall’inizio tutte le caratteristiche del romanzo-testamento. Lo scrittore aveva già ricevuto da qualche anno il premio Nobel, quindi aveva ormai raggiunto l’apice della propria carriera. Non casualmente è proprio in questo momento della vita che avverte l’esigenza di “andare più in là”, “di sapere prima di morire”; per questo motivo inizia a scrivere il suo primo vero romanzo, che poi sarà anche l’ultimo. Con queste pagine Camus vuole chiudere il cerchio della propria esistenza e capisce che l’unico modo per riuscirci è ripartire dalle origini, riscoprendo se stesso a partire dal padre.

L’assenza del padre, unita alla vacua presenza della madre, ha influito non poco sulla vita di Jacques che, nel corso degli anni, “si è allevato da solo”272

, costruendosi una morale, che, normalmente, viene formata dai genitori. In un’aggiunta in margine riportata da Catherine Camus leggiamo:

Jacques / Ho cercato sin dall’inizio, ancora bambino, di scoprire da solo cosa fosse bene e male – poiché intorno a me nessuno era in grado di dirmelo. E ora che tutto mi abbandona, mi rendo conto di aver bisogno di qualcuno che mi indichi la strada e mi dia biasimo e lode, non in nome del potere ma in quello dell’autorità, ho bisogno di mio padre. Credevo di saperlo, di essere padrone di me stesso, non [lo so?] ancora.273

Jacques in età adulta si rende conto di essere privo di riferimenti, nessuno gli ha mai insegnato la differenza tra bene e male, nessuno, neppure la nonna, ha mai contribuito alla formazione di un bagaglio di valori morali. Tutto ciò che ha appreso nel corso della sua infanzia e adolescenza lo deve soltanto a se stesso e alla proprie esperienze:

In verità, nessuno gli aveva mai insegnato la differenza fra bene e male. C’erano cose vietate e le infrazioni erano punite con durezza. Altre non lo erano. Solo i maestri, quando i programmi ne lasciavano il tempo, parlavano a volte della morale, ma anche per loro le proibizioni erano più precise delle spiegazioni. In fatto di morale, la sola cosa che Jacques avesse potuto vedere e sentire era la semplice vita quotidiana di una famiglia operaia, dove chiaramente nessuno aveva mai pensato

272

Ivi, p. 42.

273

che per procurarsi il denaro necessario esistesse un modo che non fosse il duro lavoro. Ma era una lezione di coraggio, non di morale.274

Il protagonista ha una vaga idea di cosa sia giusto e cosa sbagliato, ma non ne conosce i motivi; conosce le proibizioni e non le spiegazioni. È una morale a metà, diretta conseguenza dell’assenza di una padre e dell’analfabetismo della madre. Jacques deve semplicemente rispettare una lista di ordini e divieti senza interrogarsi sul perché, proprio come avviene per quanto riguarda il rapporto con la religione, che non occupava molto spazio all’interno della sua famiglia: “Il fatto è che per loro, come per la maggioranza degli algerini, la religione faceva parte della vita sociale, e di essa soltanto. Erano cattolici come erano francesi, e ciò comportava un certo numero di riti”275.

Jacques, dunque, essendosi “fatto da solo”, è privo di radici e, da adulto, si rende conto di non avere un passato al quale ancorarsi, per questo avverte l’improvvisa necessità di andare alla ricerca di informazioni sul padre. L’indagine diventa fin da subito un viaggio all’interno di se stesso. Trovare notizie sul padre equivale alla scoperta di una piccola radice che lo lega a un passato oramai svanito, tuttavia sarà impossibile rinvenire queste radici, che nessuno è stato in grado di conservare accuratamente:

No, non avrebbe mai conosciuto suo padre, che avrebbe continuato a dormire laggiù, col viso perso per sempre nella cenere. C’era in lui un mistero che aveva voluto sondare. Ma, alla fin fine, era soltanto il mistero della povertà che crea le persone senza nome e senza passato, che le fa rientrare nella folla immensa di quei morti anonimi che hanno fatto il mondo disfacendo se stessi per sempre.276

Il padre, dunque, è destinato a rimanere nell’anonimato, è una vittima della povertà che “crea le persone senza nome e senza passato”. Dopo quarant’anni in pochissimi si ricordano di lui; perfino la moglie ne conserva soltanto un vago ricordo. Ed ecco che Jacques, nonostante i tentativi di fuga dal suo passato, si rende conto di essere condannato alla condizione di primo uomo, individuo senza radici e senza passato:

274 Ivi, p. 93. 275 Ivi, p. 170. 276 Ivi, p. 200.

E anche Jacques, che aveva voluto sfuggire al paese senza nome, alla folla e a una famiglia senza nome, mentre qualcosa nel suo animo non aveva mai smesso di invocare quel silenzio e quell’anonimato, si sentiva parte della tribù, mentre camminava alla cieca nella notte, […] camminando nella notte degli anni sulla terra dell’oblio, dove ognuno era il primo uomo, e dove egli stesso aveva dovuto allevarsi da solo, senza un padre, non avendo mai conosciuto quei momenti in cui il padre chiama il figlio, dopo aver atteso che abbia l’età d’ascoltare, per confidargli il segreto della famiglia, o un’antica sofferenza, o l’esperienza della propria vita, quei momenti in cui persino il ridicolo e odioso Polonio diventa grande nel parlare a Laerte, e aveva avuto sedici anni e poi venti e nessuno gli aveva parlato e aveva dovuto imparare da solo, crescere da solo, in forza e in potenza, trovare da solo la sua morale e la sua verità, sino a nascere come uomo per poi nascere di nuovo di una nascita più dura, come tutti gli uomini nati in questo paese che, a uno a uno, cercavano di imparare a vivere senza radici e senza fede, e che oggi, quando rischiavano l’anonimato definitivo e la perdita delle sole tracce visibili del loro passato su questa terra, le lapidi illeggibili ora coperte dalla notte nel cimitero, dovevano imparare tutti assieme a nascere per gli altri, per la folla immensa dei conquistatori, ora soppiantati, che li avevano preceduti su questa terra e che dovevano riconoscere come fratelli di razza e di destino.277

A questo punto la dimensione privata e autobiografica allarga i confini fino a diventare sociale, storica, esistenziale. L’Algeria è la terra dell’oblio, un luogo dove chiunque vi nasca sarà indubbiamente condannato a essere un primo uomo, senza passato, senza punti di riferimento se non la povertà e la miseria. Jacques, come Camus, ha provato a fuggire, a lasciarsi alle spalle il passato e l’anonimato, “per affrontare da solo, senza ricordi e senza fede, il mondo degli uomini del suo tempo e la propria storia orrenda ed esaltante”278

. Tuttavia la sua condizione di uomo senza radici non può essere certamente ignorata, anzi, è parte integrante della sua personalità e della sua storia.

In questa “terra senza avi e senza memoria”279

Jacques si ritrova faccia a faccia con le proprie origini. La ricerca di notizie sul padre defunto lo ha portato a svolgere un percorso all’interno di se stesso, costringendolo a guardarsi dentro e ad accettare il proprio passato senza più fuggire da esso:

277 Ivi, p. 202. 278 Ibid. 279 Ivi, p. 290.

Sì, così era vissuto tra i giochi del mare, del vento, della strada, sotto il peso dell’estate e delle piogge intense del breve inverno, senza padre, senza una tradizione che gli fosse stata trasmessa, ma trovando un padre per un anno, proprio nel momento in cui ne aveva avuto bisogno, e procedendo attraverso le persone e le cose delle [ ]280, e le conoscenze che gli si aprivano per costruirsi qualcosa che assomigliasse a un comportamento (sufficiente per il momento per le circostanze che gli si presentavano, insufficiente in seguito davanti al cancro del mondo) e per crearsi una propria tradizione.281

Soltanto ritrovando le proprie radici e la memoria del padre Jacques, emigrante e figlio di emigranti, riesce a comprendere che lui stesso, come tutti i suoi antenati, ma anche tutti coloro che avevano avuto una vita come la sua, facevano parte di un immenso anonimato, un’invisibile e silenziosa tribù dove ognuno era il primo uomo.

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