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separatamente esaminati i quattro momenti tipici del giudizio di pericolo In

Nel documento La pericolosità sociale (pagine 132-134)

separatamente esaminati i quattro momenti tipici del giudizio di pericolo. In

assegna alla commissione di un fatto di reato o di “quasi-reato” la funzione di confine tra gli ambiti applicativi della misura di polizia e della misura di sicurezza: l’esempio classico richiama il discrimine operativo tra manicomio comune e manicomio criminale. In secondo luogo, a seguire il ragionamento del giurista napoletano, l’abolitio criminis del fatto di reato “occasione” della prognosi di pericolosità sociale, non dovrebbe dispiegare alcun riflesso giuridico sulla misura di sicurezza eventualmente già irrogato al reo. Mentre, ai sensi dell’art. 646 c.p.p. 1930, la misura di sicurezza andava revocata. Una simile obiezione non avrebbe potuto di contro essere rivolta alla costruzione del FERRI perché, nella parte speciale del suo Progetto (mai redatta dall’autore),

avrebbero trovato disciplina esclusivamente i delitti “naturali”, vale a dire quei delitti che non sarebbero mai stati espunti da alcun codice. Infine, nelle ipotesi di pericolosità sociale presunta (ancora in vigore quando il PETROCELLI scrive), si dovrebbe concludere che il legislatore, nel

richiedere la non necessarietà dell’accertamento degli indizi dettati dall’art. 133 c.p., si sia “dimenticato” di escludere dal profilo accertativo anche il sintomo “criminale” (recte: la realizzazione di un fatto di reato o di “quasi-reato”) che, nelle suddette ipotesi, va dunque sempre accertato. In altri termini, la presunzione legale ricomprenderebbe tutti i sintomi della pericolosità sociale tranne il fatto di reato o di “quasi-reato”. Ma, allora, tanto vale sostenere che in tali casi la pericolosità sociale non viene presunta. Al contrario, se si considera il fatto di reato o di “quasi- reato” come presupposto normativo ed insieme sintomo per eccellenza della pericolosità sociale, nelle ipotesi de quibus verrebbe meno di questo soltanto la valenza sintomatica. Vedi B. PETROCELLI, La pericolosità, cit., p. 214 ss..

Che la teorica del PETROCELLI, in ordine al fondamentale profilo ora esaminato, non appaia cristallina lo si evince agevolmente da questo emblematico periodo riassuntivo (p. 229): «nel nostro diritto positivo riceve piena conferma l’orientamento che assegna al reato come sintomo un valore, di regola, soltanto relativo, cioè di sintomo fra gli altri sintomi, e al reato come presupposto per la dichiarazione di pericolosità criminale e per l’applicazione delle misure di sicurezza un valore soltanto di limite legale di opportunità e di convenienza». Ora, a prescindere dalle richiamate valutazioni di opportunità e di convenienza, una tale asserzione, non senza un evidente accento di contraddittorietà, annulla quanto si è sostenuto prima.

Nondimeno, le argomentazioni del PETROCELLI seguono quelle di autorevolissima

corrente dottrinale e sonostate anche accreditate dalla dottrina successiva, alla quale dunque devono riferirsi le medesime osservazioni critiche sopra cennate. Vedi ex multis: AR.ROCCO, Le

misure, cit., p. 741; G.BATTAGLINI, La natura, cit., p. 1287; R.DELL’ANDRO, voce Capacità, cit., p. 117 ss.; G.BETTIOL, Le misure di sicurezza, in Scritti giuridici, Vol. II, Padova, Cedam, 1980, p. 560 ss.; V.MANZINI, Trattato, cit., Vol. III, p. 232 ss.; G.MAGGIORE, Aspetti dogmatici nel problema

della esecuzione delle misure di sicurezza, in Rivista di diritto penitenziario, 1934, p. 959; F.BRICOLA,

Fatto del non imputabile e pericolosità, Milano, Giuffré, 1961, p. 96 ss. e 122 ss.; P.NUVOLONE, voce

Misure, cit., p. 634; ID., L’accertamento della pericolosità nel processo ordinario di cognizione, in

Trent’anni di diritto e procedura penale, Vol. II, Padova, Cedam, 1969, p. 1480 ss..

Una questione delicata, alla quale non è stato attribuito il debito interesse, concerne l’applicabilità della misura di sicurezza in caso di tentativo di delitto. La soluzione positiva sembra discendere da due rilievi. Il primo: che il legislatore, quando ricorre al termine “reato” e nel difetto di contro-indicazioni normative, si riferisce anche alle diverse forme in cui questo si manifesta, essendo pleonastico e contrario ad ogni principio di economia normativa affiancare letteralmente, vicino ad ogni disposizione normativa, anche la sua “relativa” forma circostanziata, tentata o concorsuale. Il secondo: che sarebbe evidente il paradosso sanzionatorio se il giudice potesse irrogare una misura di sicurezza per un fatto penalmente lecito (id est: il fatto di “quasi-reato”) ma non anche nell’ipotesi più grave di commissione di un fatto penalmente illecito “interrotto” però allo stadio del tentativo.

(61) Naturalmente, le considerazioni che seguono valevano anche per il rigoroso istituto

della pericolosità sociale “presunta”. Circoscritta alle sole misure di sicurezza personali, in realtà l’ambito applicativo di questa categoria non era così esteso e conviveva talvolta con margini di

particolare, mentre la “base” è costituita dallo stato psico-fisico della persona; il

“momento” è quello in cui viene effettuata la suddetta prognosi (art. 205 c.p.)

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discrezionalità giudiziale (artt. 221, comma 2, e 225, comma 2, c.p.). Oltretutto, gli ultimi due commi dell’art. 204 c.p. sancivano che: «nei casi espressamente determinati, la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge. Nondimeno anche in tali casi l’applicazione delle misure di sicurezza è subordinata all’accertamento di tale qualità, se la condanna o il proscioglimento è pronunciato: 1) dopo dieci anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, qualora si tratti di infermi di mente, nei casi preveduti dal primo capoverso dell’articolo 219 e dell’articolo 222; 2) dopo cinque anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, in ogni altro caso. È altresì subordinata all’accertamento della qualità di persona socialmente pericolosa l’esecuzione, non ancora iniziata, delle misure di sicurezza aggiunte a pena non detentiva, ovvero concernenti imputati prosciolti, se, dalla data della sentenza di condanna o di proscioglimento, sono decorsi dieci anni nel caso preveduto dal primo capoverso dell’articolo 222, ovvero cinque anni in ogni altro caso». A queste disposizioni andavano affiancate altre due importanti “deroghe”: la possibilità per il guardasigilli di revocare la misura di sicurezza irrogata prima del decorso della sua durata minima (art. 207, comma 3, c.p.); l’accertamento obbligatorio della pericolosità sociale nel caso di sopravvenuta infermità mentale determinante la sospensione dell’esecuzione della misura di sicurezza (art. 212, commi 2-4, c.p.), di riconoscimento della sentenza penale straniera (art. 201, comma 2, c.p.) e di alcune ipotesi di estradizione “passiva” (art. 670, comma 4, c.p.p. 1930).

Nel 1974, dimostrando più “coraggio” del legislatore ed anticipandone il percorso normativo, la Corte Costituzionale comincia una lenta ma inesorabile opera di “sgretolamento” dell’istituto della pericolosità sociale presunta. Nel censurare la disposizione di cui all’art. 207, comma 3, c.p., il Giudice delle Leggi restituisce il potere di “revoca” al suo legittimo titolare secondo la Carta Fondamentale: il giudice di sorveglianza (art. 635, comma 1, c.p.p. 1930). Con questo fondamentale arresto, il riesame della pericolosità sociale diviene possibile anche prima del termine della durata minima prestabilita per la misura di sicurezza irrogata (ed è attualmente disposto dal magistrato di sorveglianza: art. 69, comma 4, o.p.). Vedi Corte Costituzionale, sentenza 23 aprile 1974, n. 110. Successivamente, la Corte evidenzia in una duplice pronuncia la precaria tenuta di costituzionalità degli artt. 219, comma 1, e 222, comma 1, c.p. nella parte in cui impongono l’internamento in un “manicomio criminale”, rispettivamente, dei condannati a pena diminuita per semi-infermità mentale ovvero dei prosciolti per totale infermità mentale. Ad onor del vero, in questi interventi la Corte, mentre condivide la presunzione “scientifica” tra accertamento dell’infermità mentale ed accertamento della pericolosità sociale, mostra seri dubbi sulla presunzione “temporale” tra accertamento dell’infermità mentale “al momento del fatto” ed accertamento della medesima infermità “al momento del giudizio”, con conseguente persistenza della pericolosità sociale. Ciò che rileva, in tali ipotesi, è la lesione del principio di uguaglianza atteso che «collegandosi la misura di sicurezza all'infermità psichica al momento del fatto, la misura andrà ugualmente applicata a soggetti che, al momento del giudizio, siano ancora infermi di mente, e ad altri il cui stato di salute (ovviamente oggetto dell'esame peritale concernente l'imputabilità) abbia invece subito una positiva evoluzione». Vedi Corte Costituzionale, sentenze 27 luglio 1982, n. 139, e 28 luglio 1983, n. 249.

Queste pronunce della giurisprudenza costituzionale sono state prodromiche alla novella apportata dalla legge GOZZINI che, in maniera tranchant, ha abolito ogni forma di pericolosità sociale presunta per l’irrogazione delle misure di sicurezza personali (art. 31 legge 10 ottobre 1986, n. 663). Infine, sono degni di rilievo altri due recenti interventi del Giudice delle Leggi che hanno espunto dagli artt. 206, comma 1, e 222, comma 1, c.p. il rigido meccanismo che non consentiva al giudice di poter scegliere, in luogo dell’internamento in un “manicomio criminale”, una misura di sicurezza di carattere maggiormente terapeutico e meno “segregante”. Vedi Corte Costituzionale, sentenze 18 luglio 2003, n. 253

(62) Nei casi “canonici” in cui la misura di sicurezza viene disposta dal giudice di

il “metro” è costituito da tutti gli indizi o sintomi rilevatori della pericolosità

sociale(art. 133 c.p.)

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; ed infine il “grado” è la probabilità (art. 203 c.p.)

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η) Applicando i canoni dell’interpretazione sistematica, è possibile

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