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Una simile conclusione sembra dunque frustrare tutti gli sforzi compiuti dalla giurisprudenza di legittimità che, in punto di tassatività della descrizione

Nel documento La pericolosità sociale (pagine 192-194)

delle fattispecie associative e di necessaria offensività del contenuto delle stesse, si

è sempre cimentata nella delicata connotazione dei vaghi concetti di

“partecipazione”

(41)

, “associazione”

(42)

e di “programma” del sodalizio

interpretativo circa l’ammissibilità o meno di un concorso reale tra delitto associativo e delitto “scopo”.

(41) L’unico dato normativo sicuro è la natura “residuale” di tale concetto, ricavabile a

contrario dalle varie condotte di livello “apicale” quali la costituzione, la promozione, la direzione,

l’organizzazione, il finanziamento, ecc.. Ed a tal proposito, appare utile menzionare alcuni punti fermi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

In tema di associazione di matrice terroristica, non possiede alcun valore indiziante la mera appartenenza alla cultura islamica estremista (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 26 maggio 2009; Sez. V, sentenza 4 luglio 2008; Sez. I, sentenza 11 ottobre 2006; Sez. I, sentenza 15 giugno 2006; Sez. VI, sentenza 13 ottobre 2003) né la segnalazione dell’associazione, rilevante ai fini dell’irrogazione di una misura di prevenzione di natura reale, al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 26 maggio 2009; Sez. I, sentenza 11 ottobre 2206; Sez. I, sentenza 15 giugno 2006).

In tema di associazione di matrice mafiosa, ove è maggiormente copiosa l’elaborazione giurisprudenziale in tema di condotta partecipativa, tra il criterio della “idoneità causale del contributo” e quello dell’“inserimento organico nel sodalizio criminoso del soggetto” la giurisprudenza di legittimità sembra attualmente attestarsi su quest’ultimo. Vedi, per il primo orientamento, Cass. Pen., Sez. II, sentenza 15 ottobre 2004; Sez. VI, sentenza 31 gennaio 1996. Per il secondo orientamento, vedi Cass. Pen., S.U., sentenza 30 ottobre 2002; S.U., sentenza 12 luglio 2005.

Fondamentale l’insegnamento delle Sezioni Unite in tema di distinzione tra “partecipe” e “concorrente esterno”: «si definisce “partecipe” colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo “è” ma “fa parte” della (meglio ancora: “prende parte” alla) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima […] Assume invece la veste di concorrente “esterno” il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis (che quindi non ne “fa parte”), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione […] e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima». Vedi Cass. Pen., S.U., sentenza 12 luglio 2005.

Senza pretesa di risolvere la vexata quaestio circa l’ammissibilità, anche soltanto sul piano logico, del “concorso” in un reato associativo, vale a dire in una fattispecie incriminatrice “a concorso necessario”, si vuole comunque evidenziare, nella parte motiva dell’arresto sopra cennato, l’evidente presenza di un’aporia logico-normativa. Se “concorrere” nella commissione di un fatto di reato significa contribuire, oggettivamente e soggettivamente, alla produzione dell’offesa penalmente tipica secondo lo schema di una particolare figura criminosa, allora delle due l’una: o si contribuisce, oggettivamente e soggettivamente, alla produzione dell’offesa penalmente tipica ai sensi dell’art. 416 bis c.p., ed allora la qualifica di “concorrente” si fonde

necessariamente con quella di “associato”; ovvero non si contribuisce a tale produzione, ed allora

non si può essere qualificati neanche come “concorrenti” ai sensi dell’art. 110 c.p.. In altri termini, non esiste normativamente una zona grigia, tra “associato” ed estraneo al sodalizio criminoso, ove

l’ibrida figura del “concorrente esterno” possa validamente collocarsi. E ciò perché le due note costitutive del “contributo occasionale o continuativo causalmente idoneo al conservamento o al rafforzamento del sodalizio criminoso” unito all’“assenza dell’affectio societatis” – recte: il patrimonio del diritto “vivente” ormai acquisito attraverso le fondamentali pronunce: Cass. Pen., S.U., sentenza 5 ottobre 1994; S.U., sentenza 30 ottobre 2002; S.U., sentenza 12 luglio 2005 – dimostrano come, sotto il profilo soggettivo, la fattispecie concorsuale non possa considerarsi integrata. Invero, ai sensi dell’art. 416 bis c.p. la produzione dell’offesa penalmente tipica richiede proprio la necessaria sussistenza dell’affectio societatis. Affermare che, nelle ipotesi ora esaminate, il dolo del “concorrente esterno” non debba ricostruirsi in tema di affectio societatis, vale quanto affermare che in capo a tale concorrente non sia richiesto un dolo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p..

Vedi, ex paucis, per l’inammissibilità dello schema del concorso “esterno” nei reati associativi, con riferimento alla banda armata, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 13 marzo 1984, e, con riferimento all’associazione di matrice mafiosa, Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 21 settembre 2000.

Se proprio si vuole attribuire penale rilevanza alla c.d. “contiguità mafiosa”, sarebbe preferibile de iure condendo coniare fattispecie incriminatrici ad hoc come, a titolo esemplificativo, il fatto di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416 ter c.p. ovvero quello di assistenza agli associati ex art. 418 c.p., sebbene quest’ultima figura criminosa - comune anche all’associazione di matrice terroristica (art. 270 ter c.p.) ed alla banda armata (art. 307 c.p.) - costituisca una fattispecie a forma vincolata i cui benefici, peraltro, rimangono circoscritti ai singoli associati e non anche all’associazione.

Vedi, in tema di concorso esterno nell’associazione di matrice terroristica, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 11 ottobre 2006; nella banda armata, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 5 giugno 1989; nella cospirazione politica mediante associazione, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 27 novembre 1968; nelle associazioni cospirative che, pur autonome, agiscono per il medesimo fine, Cass. Pen., Sez. I, sentenza 30 dicembre 1974. Vedi, in tema di associazioni di matrice terroristica, l’art. 4, paragrafo 1, Decisione Quadro 2002/475/GAI che ammette l’istigazione ed il concorso anche per tale fattispecie associativa (con deprecabile superfetazione legislativa, posto che l’“istigazione” già costituisce una forma di manifestazione del “concorso”).

(42) Non soltanto per distinguere la fattispecie associativa dal concorso di persone nel reato

(anche nelle ipotesi, più problematiche, di reato continuato), ma anche per contrassegnare un certo grado di “idoneità organizzativa” della struttura del sodalizio in relazione alla possibilità di conseguimento della finalità preposta (il requisito dell’“idoneità” è esplicitamente richiesto, senza tuttavia ulteriori specificazioni, soltanto per l’associazione sovversiva ex art. 270 c.p.). La giurisprudenza di legittimità, in relazione al concetto di “associazione”, attualmente richiede un accordo a carattere temporale tendenzialmente permanente unito ad un programma criminale qualitativamente e quantitativamente indeterminato circa la commissione dei futuri fatti di reato. Il sodalizio che sorge su tale accordo, laddove venga dotato di una struttura anche “rudimentale”, può dunque considerarsi come “idoneo” al raggiungimento del suo scopo.

Vedi, in tema di associazione terroristica, la definizione (che contiene tutti i requisiti già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità) offerta dall’art. 2 Decisione Quadro 2002/475/GAI nonché Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 26 maggio 2009; Sez. VI, sentenza 8 maggio 2009; Sez. II, sentenza 20 marzo 2009. Ed in tema di associazione a delinquere, vedi Cass. Pen., Sez. V, sentenza 28 giugno 2000; Cass. Pen., Sez. I, sentenza 28 settembre 2005.

Infine, seguendo il criterio della natura dell’interesse tutelato, la giurisprudenza di legittimità è addivenuta ad affermare l’ammissibilità del concorso reale, nel caso di plurime finalità perseguite dal sodalizio, tra la fattispecie associativa di matrice mafioso e quella finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope: vedi Cass. Pen., Sez. I, sentenza 20 dicembre 2004. Avallare un simile orientamento giurisprudenziale, significa coerentemente ammettere la possibilità del concorso reale tra l’art 416 bis c.p. e tutte le altre fattispecie associative diverse da quella “generale” per delinquere ex art. 416 c.p..

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