• Non ci sono risultati.

tutt’uno con l’utilità Soltanto in questa prospettiva si può sostenere che quello che i classici definiscono “difesa del diritto”, i positivisti additano come “difesa

Nel documento La pericolosità sociale (pagine 81-83)

della società”

(103)

. O, come meglio chiarisce il F

ERRI

, «il dire, dunque, che lo Stato

(103) Il CARRARA tuonava contro chi osasse parificare la difesa “giuridica” alla difesa

“sociale”. Questo perché nella concezione della difesa “giuridica” la società non è destinataria della giustizia ma, semmai, è colei che la amministra. Ed inoltre perché soltanto la difesa giuridica impedisce di «immolare la sicurezza del giusto sull’altare insidioso della utilità». Entrambe le argomentazioni risentono evidentemente della linfa giusnaturalistica di cui è intrisa l’opera del maestro di Pisa. È la “società civile” ad essere un mero posterius rispetto ai diritti naturali immanenti all’uomo. Anzi, la stessa ratio del giure punitivo trova «la sua ragione di essere ed il suo fine primario nella tutela del diritto e così nella punizione del colpevole; unico mezzo di esercitare completamente quella tutela». Vedi F. CARRARA, Programma, cit., Introduzione alla seconda

sezione. Cardini della pena e § 611 ss..

Avallano la concezione giusnaturalistica dell’origine del diritto penale anche altri autorevoli criminalisti classici: dalla “retta ragione pura o empirica” del CARMIGNANI (G.

CARMIGNANI,Elementi, cit., § 1 ss., 41 ss. e 73 ss.), all’ordine morale del ROSSI (P.ROSSI, Traité, cit., p. 142 ss.), al “Diritto dello Stato” del PESSINA (E.PESSINA, Elementi, cit., p. 6), al “diritto alla felicità” del ROMAGNOSI (G. ROMAGNOSI, Genesi, cit., I ed., § 1 ss.). Concezione diametralmente opposta è quella, strettamente giuspositivistica, da cui muove il FERRI secondo cui ogni diritto è un attributo che promana dalla società (in senso adesivo anche AR.ROCCO, Sul

così detto carattere, cit., p. 89; ID., L’oggetto, cit., p. 45 ss..).

Questa disputa, naturalmente, riproduce in scala “penale” quella, invero più ampia, dei rapporti tra “diritto” e certe istanze “morali” ovvero “naturali” di “giustizia”. Attualmente, non si è ancora spento l’eco tra la Verbindungsthese e la Trennungsthese. Anche se non è questa la sede per affrontare ex professo la complessa questione, sia sufficiente pensare al radbruchiano gestzliches Unrecht – espressione peculiare dell’Unrechtsstaat - ove può cogliersi la tensione tra esigenze di “certezza” e di “giustizia”. Ovvero, e qui si nota spiccatamente l’influenza del filosofo di Lubecca, alla connessione “concettualmente e normativamente necessaria” tra i concetti di “diritto” e di “giustizia”, nella duplice funzione di “invalidazione” e di “perfezionamento” del diritto, nel pensiero dell’ALEXY e della sua triplice argomentazione fondata sulla (pretesa di)

“giustezza”, sulla radbruchiana “iniquità” e sui dworkiniani “principi”.Semprein relazione a certi “limiti di ingiustizia” da tollerare, senza tuttavia specificazioni ulteriori in termini quantitativi, si esprime il RAWLS a proposito del dovere “naturale di civiltà” di rispettare le leggi ingiuste, prodotto fisiologico di quella “giustizia procedurale imperfetta” che caratterizza ogni dialogo politico calato in un sistema costituzionale. O, infine, al “diritto di infrangere la legge” del DWORKIN quale peculiare modalità difensiva nell’ipotesi in cui lo Stato “erroneamente” rechi pregiudizio ai diritti, di natura morale, che ogni individuo detiene “verso lo Stato” (recte: i diritti fondamentali). Al contrario, il KELSEN chiarirà nitidamente la distanza tra “natura” e “norma”: «la natura è un insieme di fatti concreti e di comportamenti reali; e una conoscenza rivolta a questo oggetto può solo affermare che qualcosa è, ma non che qualcosa deve essere». Ma, più che altro, affermerà che, a proposito della validità di un ordinamento giuridico, «una norma giuridica non è in vigore per il fatto di avere un certo contenuto, cioè per il fatto che se ne può dedurre il contenuto da una norma fondamentale, secondo una deduzione logica, bensì per il fatto che la si produce in un certo modo, in un modo cioè che, in ultima analisi, è determinato da una norma fondamentale presupposta. Per questo – e per questo soltanto – tale norma appartiene all’ordinamento giuridico, le cui norme sono prodotte conformemente a questa norma fondamentale. Il diritto può quindi avere qualsiasi contenuto. Non esiste alcun comportamento umano che, come tale, a causa del suo contenuto, non potrebbe formare il contenuto d una norma giuridica».

Dall’estremismo del “dover essere”, ove la centralità dell’elemento volontaristico assume connotati dal formalismo quasi “metafisico”, all’estremismo “fattuale” del realismo scandinavo. In tal caso, il fenomeno giuridico è privo di qualsiasi valore estraneo all’orizzonte empirico e dietro

alla “hollow word” del “diritto” non si rivela alcun preciso concetto né alcun riferimento ad una realtà oggettivamente esistente. Soltanto l’“idea” del diritto, e l’emozione connessa, è reale. «La ricerca di una base ultima e assoluta del diritto è destinata al fallimento. Sostanzialmente è il tentativo di dare un fondamento sovrannaturale all’ordine esistente, conferendogli un’aureola di sacralità». L’OLIVECRONA, da questa intuizione linguistica derivanti dagli studi

dell’HÄGERSTRÖM, sostiene che ciò che viene scambiato per la “forza vincolante” del diritto altro

non è che un mero “sentimento” di costrizione interna al soggetto nei confronti dell’“imperativo indipendente”. Così come, al contrario, ciò che determina l’osservanza di un simile imperativo è la “motivazione” del medesimo soggetto: la «uniformità di motivazioni è la base più sicura su cui possa poggiare qualsiasi ordine sociale. Basi diverse e indipendenti dalle opinioni e dai sentimenti degli uomini sono state accanitamente cercate, ma sono impossibili da trovare. Credere che esistano equivale a credere che il mondo risposi sul dorso di un elefante».

Vedi amplius K.OLIVECRONA, Law as fact, trad. it. di S. Castiglione, Il diritto come fatto,

in La realtà del diritto. Antologia di scritti, a cura di S. Castignone, C. Faralli e M. Ripoli, Torino, Giappichelli, 2000, p. 75 ss.; ID., Realism and idealism. Some reflections on the cardinal point in legal

philosophy, trad. it. di V. Ottonelli, Realismo e idealismo. Alcune riflessioni sul punto cardinale della filosofia del diritto, in La realtà del diritto. Antologia di scritti, a cura di S. Castiglione, C. Faralli e

M. Ripoli, Torino, Giappichelli, 2000, passim; sulla formula radbruchiana – o sulla possibilità di distinguere due formule, una concernente la misura della “intollerabilità” che rende “ingiusto” il diritto (Unerträglichkeitsformel) ed un’altra concernente l’assenza di natura giuridica (Nicht- Recht) di quelle norme intrinsecamente negative del principio di uguaglianza (Verleugnungsformel) - vedi l’attenta analisi di G.VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale.

Note sulla punizione dei “delitti di Stato” nella Germania postnazista e postcomunista, Milano,

Giuffré, 2001, p. 3 ss.; J. RAWLS, A theory of justice, trad. it. di U. Santini, Una teoria della

giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982, p.336ss.;R.DWORKIN,Taking rights seriously, trad. it. di F.

Oriana, I diritti presi sul serio, Bologno, Il Mulino, 1982, p. 268 ss.; R.ALEXY, Begriff und Geltung

des Rechts, trad. it. di F. Fiore, Concetto e validità del diritto, Torino, Einaudi, 1997, p. 34 ss.; H.

KELSEN, Allgemeine, cit., p. 7 ss.; ID., Reine, cit., p. 222. Vedi, infine, per una eccellente analisi

deli profili distintivi tra giuspositivismo e giusnaturalismo, e per un’analisi meta-giuridica dei possibili signfiicati della formula “separazione del diritto dalla morale”, vedi L. FERRAJOLI,

Diritto, cit., p. 199 ss..

Quello che appare un dissidio insanabile, se soltanto si pone mente alle premesse filosofiche da cui argomentano gli opposti orientamenti dottrinali, può essere però ricomposto, nella fase “laica” del diritto penale, allorquando si proceda ad un’analisi dettagliata della fondatezza delle doglianze manifestate dal CARRARA. In primo luogo, non appare corretto sostenere che il positivismo indichi la società come unica destinataria della giustizia. Nel tentativo di ripristinare l’equilibrio tra la tutela dell’individuo e quella della società, falsato dall’individualismo liberale a favore del primo, il positivismo intende rafforzare la “lacunosa” tutela della società a fianco (e non in luogo) a quella dell’individuo. Nel linguaggio dei classici, tutto ciò potrebbe tradursi asserendo che la “difesa giuridica” debba estendere il proprio oggetto di tutela anche al “diritto” all’esistenza di cui la società è titolare. In secondo luogo, l’“insidiosa utilità” di cui paventa il CARRARA altro non è che il timore, in capo al colpevole, di un vuoto di garanzie di ordine sia sostanziale che processuale. Ma, anche in tal caso, una simile critica non sfiora il positivismo che, sul terreno delle garanzie, non ha mai negato precisi limiti al giure punitivo.

Al di là di altisonanti declamazioni di principio, appare dunque, in ultima analisi, molto meno stridente l’assonanza tra difesa “giuridica” e difesa “sociale”. Invero, non si deve dimenticare che in tanto il diritto naturale viene tutelato dalla “società civile” in quanto questa lo riconosca come “suo”, ossia lo trasformi in diritto positivo. A titolo esemplificativo, si pensi attualmente all’art. 2 Cost. quando sottolinea che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Anche a voler muovere dalla tesi “aperta” giusnaturalistica, che comporta l’ingresso nel nostro ordinamento di nuovi diritti e libertà, anziché da quella “chiusa” giuspositivistica, per cui tale disposizione si limiterebbe ad una mera elencazione dei diritti fondamentali già previsti aliunde nella Carta Fondamentale, è indubbio che soltanto la

ha diritto di punire per la necessità della difesa giuridica, altro non può esprimere

Nel documento La pericolosità sociale (pagine 81-83)