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Sfide all’ipotesi di type-shifting

Diverse osservazioni suggeriscono che l’ipotesi del type-shifting sia problematica sia in termini della sua copertura empirica che per l’implementazione sperimentale. Abbiamo già visto, infatti, che esiste almeno un sottoinsieme di verbi di coercion che non richiede necessariamente un complemento che denota un evento e che solo una parte di questi verbi innesca un costo di elaborazione aggiuntivo. Sia Katsika et al. (2012) che Utt et al. (2013) hanno mostrato che l’effetto di coercion è osservabile solo con i verbi aspettuali che modificano la referenza temporale, ma non con i verbi psicologici che denotano stati mentali. Tuttavia, la maggior parte degli studi sulla complement coercion ha fuso queste due classi verbali e incluso inoltre anche altri verbi come try, master, ecc., non classificabili in un’unica categoria. Gli esperimenti nella letteratura precedente hanno quindi fatto uso di un gruppo di verbi semanticamente eterogeneo, in cui le sottoclassi non mostrano un profilo di elaborazione identico. Bisogna inoltre precisare che la presenza di costo solo per una sottoclasse specifica suggerisce che i processi di inferenza pragmatica non possono spiegare interamente il fenomeno di complement coercion. A partire da queste osservazioni, Lai et al. (2014) hanno proposto un’ipotesi alternativa che si focalizza sui verbi aspettuali, prendendo come riferimento l’analisi effettuata in Piñango and Deo (2012), ossia la dimension ambiguity analysis, la quale non fa assunti sulle restrizioni selettive e le operazioni di type-shifting per risolvere il problema del contrasto di tipo. I verbi aspettuali si combinano con i loro complementi e soggetti proprio come i verbi regolari, ma la loro piena interpretazione richiede la risoluzione contestuale di un’ambiguità, ossia la dimensione specifica lungo cui il complemento può essere costruito come un individuo strutturato. I riflessi psico- e neurolinguistici osservati sono presi a supporto della risoluzione di ambiguità e non delle operazioni di type- shifting. Questo ci permette non solo di mantenere una semantica uniforme per i verbi aspettuali tra i loro diversi usi, ma cattura anche l’osservazione di Katsika et al. (2012) secondo cui i verbi aspettuali, ma non quelli psicologici, generano un costo aggiuntivo.

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Si ipotizza quindi che l’elaborazione dei verbi aspettuali avvenga all’incirca in questo modo:

a. In una prima fase si verifica il processo definito di attivazione esaustiva delle funzioni lessicali. Nello specifico, quando il lettore incontra un verbo aspettuale, recupera il verbo insieme a un numero di funzioni dimensionali che sono codificate nella sua entrata lessicale.

b. Nella seconda fase poi si ha la risoluzione dell’ambiguità, ossia il soggetto deve scegliere una particolare funzione tra quelle codificate nel verbo per determinare l’interpretazione. Una volta che la funzione è scelta, il complemento può essere costruito come un individuo strutturato lungo la dimensione data da quella funzione.

Quindi il costo di elaborazione associato ai verbi aspettuali può risultare sia dalla prima fase che dalla seconda, anche se gli autori dello studio in esame protendono per la seconda (la risoluzione dell’ambiguità). Particolarmente rilevante, però, è il fatto che il processo qui delineato ritrovi dei riscontri nei risultati neurologici. In particolare, l’attivazione delle funzioni lessicali dei verbi aspettuali potrebbe attivare un’area cerebrale senza generare un costo osservabile nelle misure psicologiche. Dall’altro lato, la risoluzione dell’ambiguità può indurre un costo osservabile durante la comprensione on-line e mentre è implicata una specifica area del cervello. Lai et al. (2014) hanno quindi condotto un esperimento di self-paced reading e un altro basato sulla risonanza magnetica funzionale. Molto interessanti sono stati i risultati di questo secondo test, il quale mostra che le espressioni costruite con verbi aspettuali attivano maggiormente la corteccia temporo-parietale superiore e posteriore sinistra (area di Wernicke) nel momento in cui i soggetti elaborano il verbo, e la corteccia frontale inferiore sinistra (area di Broca) nel momento in cui elaborano il complemento, in rapporto ad ognuna delle condizioni psicologiche (sono state qui confrontate tre tipologie di verbi: verbi aspettuali, verbi psicologici come enjoy, che innescano quindi un meccanismo di coercion e verbi psicologici come love, utilizzati come controllo). Tali risultati quindi sono in linea con

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l’analisi dell’ambiguità dimensionale condotta in Piñango and Deo (2012): solo i verbi aspettuali implicano la risoluzione dell’ambiguità e quindi costi aggiuntivi. Inoltre possiamo anche dire che la prima fase del processo di interpretazione della metonimia logica descritta da Lai et al. (2014) coinvolge l’area di Wernicke (BA40), che supporta l’attivazione della rappresentazione lessicale e semantica; e la seconda fase implica il giro frontale inferiore sinistro (left inferior frontal gyrus, LIFG), area coinvolta nella risoluzione dell’ambiguità. Quindi la complement coercion non coinvolge operazioni di type-shifting, ma composizione ed elaborazione dei verbi aspettuali. Già Baggio , Choma, van Lambalgen, Hagoort (2009) avevano riportato una nuova ipotesi, distante dai concetti di type e type-shifting. Esistono, infatti, teorie che modellano il processo di coercion in maniera non composizionale, come quella della conoscenza del mondo che è recuperata dalla semantica lessicale e dalla sintassi. Una tale proposta è basata sulla nozione di unificazione. La complement coercion può essere descritta in una teoria basata sull’unificazione di tempo, aspetto e struttura evento, come l’Event Calculus (van Lambalgen and Hamm, 2004). Questo formalismo è una via alternativa alle analisi basate su types e type-shifting. Nell’Event Calculus il verbo begin e i suoi sinonimi sono rappresentati dalla formaInitiates (start, a, t), che significa che uno starting event (start) innesca un’attività a nel tempo t. La variabile a deve essere unificata con il materiale fornito dal contesto del discorso o dalla conoscenza del mondo, ossia un verbo (a = write) o un complemento che denota un evento (a = meeting). Ciò che rende interessante questo formalismo è la sua plausibilità cognitiva, ossia una simile rappresentazione insieme alla stessa operazione di unificazione trovano la loro motivazione nel collegamento evolutivo tra la semantica di tempo, aspetto e struttura dell’evento da un lato, e pianificazione dall’altro (Steedman, 2002). Anche se i dati forniti dal loro studio non favoriscono l’unificazione, gli autori sottolineano comunque la possibilità di tale formalismo di gettare nuova luce sul fenomeno in esame. In particolare, l’Event Calculus suggerisce che le operazioni di unificazione sono più complesse per frasi di coercion, in quanto deve essere fatto un ulteriore step di inferenza per unire la variabile (a) ad un’attività adeguata. L’obiettivo di questo step di inferenza è quello di trovare un’attività che si adatti al

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contesto fornito. L’unificazione quindi fornisce un tentativo di formalizzazione della nozione tradizionale di integrazione degli elementi lessicali in una frase o un modello discorsivo. Di conseguenza, per estensione l’N400 può essere presa come un indice di integrazione semantica; tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare tale ipotesi.