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Simile a quella di Boldini è la sorte di Giuseppe De Nittis, che a Parigi diventa un pittore «facile e mondano», mentre la sua attività precedente nell’ambito della napoletana scuola

di Resina, affine a quella di Pergentina, l’ha visto realizzare opere «con un senso di

eleganza innata che si esplica anche nei soggetti più umili e meno brillanti».

134

La sua

vantata affinità con gli impressionisti è ridimensionata e chiarita nei suoi termini (cosa che

poi farà in modo ancor più deciso e circostanziato Longhi nella prefazione al Rewald).

135

130 A. M. BRIZIO, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 229 e 232-233; si rimanda a Eadem, Fattori Giovanni, cit., ove l’artista è presentato in termini analoghi.

131 Eadem, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 234 e 238-239.

132 Non la possiedono i teorici del gruppo, Telemaco Signorini, Adriano Cecioni e Nino Costa: le opere di Signorini mostrano un’espressione spesso forzata da un intento polemico e caricaturale, mentre «Sono più liberi i quadri meno determinati di soggetto»; Cecioni, «Più scultore che pittore, ci ha lasciato di pittura quasi esclusivamente scenette e figurine di sapore macchiettistico»; nei dipinti di Costa «è spesso palese una minor ricchezza di temperamento pittorico» e, per contro, una «lieve artificiosità decorativa» che spiega l’amore dell’artista per i preraffaelliti e, più tardi, per l’arte di Klimt (Ivi, pp. 239-243; per le citazioni pp. 239-240 e 242-243); Il carro rosso di Nino Costa, riprodotto a p. 245, era stato visto dalla Brizio alla Biennale del ’28 (vedi XVIa Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia. Catalogo, Venezia, Premiate Officine

Grafiche Carlo Ferrari, 1928, p. 36; il quadro, allora di proprietà di Rosalinda Lemon Costa, è adesso parte della Collezione Franco U. Arboreo Mella di Sant’Elia: si veda Da Corot ai macchiaioli al simbolismo. Nino

Costa e il paesaggio dell’anima, catalogo della mostra, a cura di F. Dini e S. Frezzotti, Milano, Skira, 2009,

p. 146).

133 A. M. BRIZIO, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 247 e 252. 134 Ivi, pp. 252-254.

135 Ivi, p. 254; si veda anche R. LONGHI, L’Impressionismo e il gusto degli Italiani, cit., pp. 7-10. Sul rapporto tra De Nittis e gli impressionisti nei fatti e nella considerazione della critica si veda G. MATTEUCCI,

Un “gentiluomo dell’Impressionismo”, in Giuseppe De Nittis dipinti 1864-1884, catalogo della mostra, a

cura di R. Bossaglia, C. Farese Sperken, G. Matteucci e R. Monti, Firenze, Artificio, 1990, pp. 31-47. Si noti poi che la Brizio nomina appena di sfuggita – e per mezzo delle parole di Signorini – Zandomeneghi, a differenza del Longhi che invece lo valorizza particolarmente (Ivi, p. 10, e A. M. BRIZIO, Ottocento

Restando a Napoli, viene dato risalto particolare alla figura di Gioachino Toma, un altro

pittore «genuino e sincero», che «predilige […] le forme primitive e ingenue, e tratta

soggetti semplici» con «una delicata capacità di trasfigurazione poetica»: insomma

«trasforma in poesia motivi ch’erano repertorio comune della pittura di genere»

(affermazioni che lasciano avvertire una volta di più un accento distintamente crociano:

ove la poesia, si noti, va sempre a braccetto con una sincerità in qualche modo “primitiva”,

secondo l’accezione venturiana).

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Non si raggiunge la medesima qualità nelle opere degli

altri pittori di genere, anche i migliori, come i fratelli Induno – di cui la Brizio valorizza

maggiormente il maggiore e meno famoso Domenico –, o Giacomo Favretto, che ad ogni

modo, nei ritratti e nei quadri di modeste dimensioni, «rivela la sua piccola e genuina vena

d’artista».

137

La citazione dei paesaggisti Guglielmo Ciardi, con la sua «visione pacata, robusta», e

Pietro Fragiacomo, artista talvolta «commosso e delicato»,

138

introduce la più distesa

trattazione della pittura di paesaggio del Piemonte ottocentesco, che rivela come la Brizio

avesse respirato e condiviso, nella Torino dei suoi anni, quel generale risveglio d’interesse

per la pittura italiana e in special modo piemontese dell’Ottocento al quale non era

estraneo il Venturi junior. Ne davano eloquente testimonianza tanto il nome e l’attività

della Società Fontanesi, fondata nel ’25 da un gruppo di artisti fra cui si annoverano

Casorati e Gigi Chessa, quanto la guida alla Galleria d’Arte Moderna del Museo Civico di

Torino pubblicata nel ’27, compilata da un giovanissimo Mario Soldati su consiglio dello

stesso Venturi, come ammetteva l’autore nell’avvertenza iniziale, in cui auspicava anche

che il suo lavoro potesse rappresentare «un modesto contributo agli studi sull’Arte

Piemontese dell’800».

139

È evidente nelle scelte e nei giudizi della Brizio una

136 A. M. BRIZIO, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 254-256; si richiama ancora una volta, in particolare, B. CROCE, Poesia e non poesia, cit. e Idem, La Poesia, cit.

137 A. M. BRIZIO, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 256-260. Il dipinto del Favretto Il padre e la sorella

del pittore, illustrato a p. 260, allora in collezione Giovanelli, ora in collezione privata a Padova, era stato

visto dalla Brizio alla Biennale di Venezia del ’28; nel catalogo conservato presso il Fondo Brizio librario la voce corrispondente al quadro appare segnata con una croce, e accanto si trova scritto «piccola cosa di sapore arcaico sentita» (XVIa Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, cit., p. 40).

138 A. M. BRIZIO, Ottocento Novecento, 1939, cit., pp. 260-262. A p. 261 sono riprodotti Il canale della

Giudecca di Guglielmo Ciardi della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, e una Barca del

Fragiacomo, allora appartenente a Luigi Chiavelli (Roma): alla Biennale di Venezia del 1928 la Brizio aveva avuto modo di vedere entrambi i dipinti, le cui voci corrispondenti nella copia del relativo catalogo che fu sua appaiono segnalate a lapis con una croce; accanto al primo dipinto la studiosa ha annotato sempre a lapis «bellissima trasparenza d’acqua»; accanto al secondo «bello in questi toni pallidi di pastello settecenteschi» (XVIa Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, cit., p. 36).

139 M. SOLDATI, Galleria d’Arte Moderna del Museo Civico di Torino, Torino, Stabilimento Grafico Avezzano, 1927, p. s.n. (una copia del catalogo è conservata presso FBL Milano). Il testo è stato parzialmente riedito nel ’93 dalla casa editrice Pluriverso di Torino, con una prefazione dello stesso Soldati,

fondamentale consentaneità con il testo del Soldati, citato in bibliografia assieme al