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Il termine “gusto”, non per niente, compariva già nelle poche pagine che introducevano al catalogo della Raccolta Gualino: in riferimento al mecenate, e non agli artisti, come

accadeva nel testo coevo, ma indicandone similmente l’«insieme delle preferenze nel

mondo nell’arte».

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E se negli artisti questo “gusto” si declinava in precise scelte e in

89-92. Paola Barocchi ha antologizzato alcuni brani del libro e le recensioni che ne scrissero il Croce ed Emilio Cecchi (L. VENTURI, Il gusto dei primitivi, in P. BAROCCHI, Storia moderna dell’arte in Italia, cit., pp. 37-48; B. CROCE, «Il gusto dei primitivi» di Lionello Venturi, Ivi, pp. 49-51; E. CECCHI, Un’estetica

senza l’arte, Ivi, pp. 52-59). In un articolo pubblicato nel 1927 su «L’Arte», Lionello difendeva il proprio

testo dalle numerose critiche che gli erano state indirizzate: L. VENTURI, Il gusto e l’arte – I primitivi e i

classici, in «L’Arte», XXX, 1927, 2, pp. 64-79; si veda Ivi, p. 64, nota 1 per una rassegna delle recensioni al

libro venturiano). Presso il Dipartimento di Storia delle arti, della musica e dello spettacolo dell’Università degli Studi di Milano si conserva una tesi di laurea discussa nell’a.a. 1974-75 e incentrata proprio su Lionello Venturi e su Il gusto dei primitivi: ne è stata relatrice Marisa Dalai; la tesi presenta diverse correzioni e annotazioni manoscritte della Brizio (si veda D. CECCHI, Lionello Venturi e il dibattito culturale intorno a “Il

gusto dei primitivi”, cit.).

Un’anteprima puntuale dei contenuti del testo, che rappresentava peraltro il punto di approdo di una meditazione avviata da tempo, era stata offerta dal Venturi attraverso un ciclo di lezioni tenute già nel 1924 a Milano presso il Circolo d’Arte e d’Alta Coltura, e quindi a Torino (si veda F. CALATRONE, Nota ai testi, cit., p. 15; M. NEZZO, Il primo tempo de «L’Esame» (1922-1925), in Percorsi di critica. Un archivio per le riviste

d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, atti del convegno, a cura di R. Cioffi e A. Rovetta, Milano,

Vita & Pensiero, 2007, pp. 339-367, in partic. p. 360; C. PREVOSTI, Il Circolo d’Arte e d’Alta Coltura di via

Amedei 8 a Milano, in «Concorso», II, 2008, p. 48, nota 51; il Venturi stesso dava notizia di queste

conferenze nell’articolo pubblicato su «L’Arte» nel 1927, citato poco sopra (L. VENTURI, Il gusto e l’arte – I

primitivi e i classici, cit., p. 72). Nel sunto delle lezioni venturiane presentato ne «L’Araldo del primo Istituto

d’Arte e di Alta Coltura» emergeva con chiarezza il senso pieno della battaglia venturiana, incomprensibile senza un rimando al contesto in cui si svolgeva: «E però è opportuno di riconoscere il valore dei Primitivi e dei loro epigoni, a noi vicini, oggi che per idolatrare l’arte classica si costituisce un’arte neo-classica, fatta assai più di volontà e d’intelligenza, che di sensibilità. Contro il neo-classicismo, antico moderno e modernissimo, dissanguantesi nella pura Accademia, serve come antidoto appunto lo studio dei Primitivi, i più spontanei, i più sensibili, i più umili fra gli artisti di tutti i tempi» (Il valore attuale dei Primitivi, in «L’Araldo del primo Istituto d’Arte e di Alta Coltura», I, 1924, 2, p. 2).

24 Il colophon de Il gusto dei primitivi riporta che esso era stato «Finito di stampare il dì 2 Giugno MCMXXVI», mentre nel catalogo della Collezione Gualino il colophon comunica che la stampa dell’edizione di trecentocinquanta esemplari è stata ultimata «il giorno I Marzo MCMXXVI»: si veda L. VENTURI, Il gusto dei primitivi, cit.; Idem, La Collezione Gualino, Torino-Roma, Casa Editrice d’Arte Bestetti e Tumminelli, 1926, p. s.n., e M. ALDI, Da Toesca a Venturi, cit., p. 195; L. IAMURRI, L’azione

culturale di Lionello Venturi, cit., p. 85. Il volume – e in particolare proprio l’introduzione venturiana –

aveva suscitato il commento entusiasta di Gabriele D’Annunzio (A. D’ORSI, La cultura a Torino tra le due

guerre, cit., p. 225, nota 22).

Sulla collezione Gualino si veda anche L. VENTURI, Alcuni acquisti della collezione Gualino, in «L’Arte», XXXI, 1928, 2, pp. 69-79; Idem, Alcune opere della collezione Gualino esposte nella R. Pinacoteca di

Torino, cit.; A. M. BRIZIO, La prima mostra della collezione Gualino, cit.; Collezione Gualino, catalogo.

Galleria Sabauda, Torino, prefazione di N. Gabrielli, Genova, Sigla Effe, 1961; M. BERNARDI, Riccardo

Gualino e la cultura torinese, cit., pp. 169-174; M. M. LAMBERTI, Riccardo Gualino: una collezione e molti

progetti, cit., pp. 5-18; Dagli ori antichi agli anni Venti, cit.; Cesarina Gualino e i suoi amici, catalogo della

mostra, a cura di M. Fagiolo dell’Arco e B. Marconi, Venezia, Marsilio, 1997, in partic. pp. 34-37 e 141-142; L. IAMURRI, L’azione culturale di Lionello Venturi, cit., pp. 84-88; Galleria Sabauda. Guida breve, testi a cura di P. Astrua e C. E. Spantigati, Milano, Electa, 2000, pp. 76-81. Era il Venturi stesso, nell’introduzione al catalogo, ad annunciare che il primo volume sarebbe stato presto integrato da un secondo, «e poi forse da altri, a seconda dello sviluppo della collezione» (L. VENTURI, Introduzione, in Idem, La Collezione Gualino, cit., p. s.n.).

25 L. VENTURI, Il gusto dei primitivi, cit., p. 15 («E per evitare equivoci, dichiaro che intendo per gusto l’insieme delle preferenze nel mondo dell’arte da parte di un artista o di un gruppo di artisti»); è di grande interesse notare che anche il Toesca, nei suoi Precetti, aveva utilizzato il termine “gusto”, dandone una definizione che il Venturi pare aver avuto presente: «tutte le arti d’uno stesso tempo nascono dallo spirito

determinati caratteri formali, nel “conoscitore” doveva essere pronto a «varcare ogni limite

di tempo e di luogo […] per rintracciare nelle più diverse, anzi opposte, apparenze l’unità

della creazione artistica».

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Solo così sarebbe stato possibile, proprio grazie all’iniziativa

privata, colmare le lacune di una cultura «fondata […] specialmente sull’arte classica e

italiana»,

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spalancandola all’universalità delle espressioni artistiche. Le tavole del

poderoso volume, corredate da una sintetica descrizione, presentavano un saggio di questa

possibilità in atto: nella prima parte, dedicata alle pitture, erano illustrati alcuni dipinti

della collezione, da Cimabue a Francesco Guardi;

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nella seconda, riservata alle sculture e

agli “oggetti d’arte”, si trovavano i manufatti più svariati, dalle stele cinesi ai mobili

dell’uomo nutrite da una medesima cultura, maturate da una stessa temperie e, anche più che non i frutti diversi d’una stagione, esse hanno alcunché d’intimamente comune, ciò che si chiama “stile” o, più vivamente, “gusto”» (P. TOESCA, Precetti d’Arte italiani, cit., p. 33; il passo è riportato in G. ROMANO,

Pietro Toesca a Torino, cit., p. 6).

26 L. VENTURI, La Collezione Gualino, cit., p. s.n.; si rimanda a quanto affermato dal Venturi nella prolusione del 1915: «se per apprezzare il David di Donatello, noi ci ricordassimo di un Budda cinese del secolo VIII, troveremmo più facilmente la via per apprezzarlo. Ambedue que’ bronzi sono opere d’arte, ambedue concretano in forme, più che diverse, opposte, una facoltà universale dello spirito umano» (Idem, La

posizione dell’Italia nelle arti figurative, cit., p. 214).

27 L. VENTURI, La Collezione Gualino, cit., p. s.n.: «D’altra parte la deficienza di una cultura universalistica dell’arte dipende soprattutto dal fatto che nei nostri musei intere grandi civiltà artistiche non sono rappresentate. Per colmare tali lacune, per integrare la nostra cultura, per raggiungere una visione d’insieme, è necessario [sic] appunto l’iniziativa privata». Le asserzioni del Venturi sono riproposte due anni più tardi dalla Brizio nella sua recensione alla mostra della collezione Gualino (per la quale si rimanda alla nota 33 di questo capitolo): «Ed ecco che, iniziata per puro amore di collezionista, per desiderio di circondarsi d’opere belle, la Collezione Gualino, aumentando a mano a mano di mole e di importanza, viene ora ad orientarsi verso altri scopi, di colmare cioè le lacune dei musei nazionali. I nostri musei, pur ricchissimi com’essi sono di capolavori, comprendono quasi esclusivamente opere italiane. Ora, negli studi d’arte si è giunti ad un punto in cui, sorpassato lo stadio della semplice ricerca erudita, compito essenziale del critico è divenuto quello di giudicare e d’interpretare esteticamente l’opera d’arte. Per ciò fare si sente la necessità di spinger lo sguardo oltre l’arte italiana e di conoscere e studiare ogni manifestazione artistica, sia essa europea o asiatica, arcaica o moderna. Solo da questa più vasta conoscenza potrà derivare una più esatta graduazione dei valori artistici e una più profonda comprensione della loro importanza storica» (A. M. BRIZIO, La prima mostra

della collezione Gualino, cit., p. 137). Si veda anche M. M. LAMBERTI, Un sodalizio artistico, cit., p. 20, in particolare la nota 29.

28 La prima tavola del catalogo, indicata come opera di Cimabue, e data ad artista toscano pregiottesco da Noemi Gabrielli (Collezione Gualino, catalogo, cit., pp. 6-7; N. GABRIELLI, Galleria Sabauda. Maestri

italiani, Torino, Edizioni Ilte, 1971, pp. 57-58), viene oggi attribuita a Duccio di Buoninsegna (si veda L.

BELLOSI, Il percorso di Duccio, in Duccio. Alle origini della pittura senese, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2003, pp. 118-145, in partic. pp. 123-128, ma vedi già F. MAZZINI, Torino. La

Galleria Sabauda, Torino, Fratelli Pozzo, 1968, TAV. I, e M. BERNARDI, La Galleria Sabauda di Torino, cit., pp. 146-147: in entrambi i testi l’attribuzione è presentata con un punto interrogativo). La collezione Gualino vantava opere di qualità innegabile; tuttavia, come si può facilmente immaginare, le attribuzioni venturiane, incentrate per lo più su nomi di grandi artisti, erano talvolta discutibili (Mimita Lamberti parla in proposito di «qualche attribuzione distorta dalla troppa passione»: M. M. LAMBERTI, Riccardo Gualino: una collezione e

molti progetti, cit., p. 7). Si noti che nel suo catalogo della collezione Gualino la Gabrielli riporta, come

didascalie alle opere, brani tratti dal catalogo del ’26 e da quello della mostra del ’28, realizzato sempre da Lionello Venturi (L. VENTURI, Alcune opere della collezione Gualino esposte nella R. Pinacoteca di Torino, cit.), correggendo però le attribuzioni errate anche nel corpo del testo: si ha così il curioso (e filologicamente poco corretto) risultato di vedere associate ai nuovi autori le caratteristiche che il Venturi aveva individuato per altri artisti.

cinquecenteschi agli avori e ai gioielli provenienti dalla collezione Stroganoff.

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Il criterio