Capitolo II: Il ruolo prescritto. Report dal modulo 1 (Cristina Tilli e Teresa Bertotti)
3. Sintesi e discussione dei risultati
In questa sezione vengono presentati una sintesi e alcune riflessioni sui risultati della ricerca, sui pareri espressi dai gruppi regionali e sulle loro aspettative nei confronti del CNOAS.
3.1. La sintesi dei risultati della ricerca
I risultati di questa ampia e complessa analisi confermano molte delle ipotesi iniziali e forniscono informazioni utili per alcune riflessioni conclusive.
La prima ipotesi, relativa ad una scarsa definizione del ruolo e delle funzioni di cui dovrebbe essere responsabile l’assistente sociale, risulta ampiamente confermata.
In particolare, la figura e il ruolo dell’assistente sociale sono sì citati frequentemente (la metà dei report li evidenzia), ma quasi sempre in termini generali. Con diverse declinazioni, si definiscono due macro categorie di ruolo: i) quello di regia e coordinamento degli interventi e ii) quello di referente del caso (case manager), che agisce in tutte le fasi del processo di intervento, a volte anche con responsabilità amministrative non del tutto chiarite.
Questa vaghezza si ritrova nell’analisi volta a cogliere l’articolazione e l’attribuzione di alcune funzioni tipiche della tutela minorile33. Esse non vengono quasi mai attribuite all’assistente
33 Ricordiamo che per l’identificazione di queste funzioni abbiamo ritenuto opportuno utilizzare la declaratoria contenuta nel documento fornito dal CNOAS, prodotto in occasione dell’audizione informale presso la Commissione Giustizia del Senato del 10/1/2017 come funzioni dell’AS, non esclusive. Le funzioni ivi indicate sono: valutazione dei fattori protettivi e dei fattori di rischio esistenti (personali, familiari, sociali); valutazione
50 sociale, ma sono per lo più identificate come proprie di un servizio o dell’ente e attribuite ad un’équipe, o genericamente agli operatori coinvolti. Solo tre report regionali citano l’attribuzione specifica delle funzioni di tutela all’assistente sociale; ma in tutti e tre i casi si tratta di singoli documenti a carattere locale. Questo aspetto è particolarmente significativo perché se da un lato l’attribuzione all’équipe o al servizio appare congrua e legittima con l’identificazione di una funzione pubblica e non con l’attribuzione a un singolo professionista, dall’altro essa può far emergere alcune ambiguità per quanto riguarda l’attribuzione e l’identificazione delle specifiche responsabilità professionali.
Tutte le funzioni essenziali alla tutela minorile vengono variamente citate nei report regionali, con un’ampia prevalenza delle funzioni dedicate alla valutazione delle condizioni di rischio dei minori e alla definizione di progetti di aiuto ai minori e alle loro famiglie. Sono citate frequentemente, ma in misura minore, le funzioni di valutazione delle competenze genitoriali e quelle di supporto alle risorse familiari (entrambe presenti in circa metà dei report).
Colpisce il fatto che la funzione della protezione, una delle funzioni più dedicate, sia raramente citata come funzione complessiva in sé, ma solo attraverso gli specifici interventi protettivi e in particolare attraverso documenti che regolano il collocamento dei bambini fuori dalla famiglia. Come se la protezione si declinasse solo in questa accezione.
La vaghezza nell’attribuzione delle funzioni e delle responsabilità diventa ancora più rilevante nelle considerazioni relative al secondo nodo di indagine, quello relativo al rapporto tra servizi e autorità giudiziaria.
È nota la carenza di una normativa congrua e adatta a gestire la complessità della materia minorile. I dati raccolti dall’analisi dei documenti e nei report regionali danno ampie conferme della eterogeneità e farraginosità del quadro.
Quasi tutti i report citano il tema della collaborazione tra servizi e autorità giudiziaria, affermandone la sua necessità. In alcuni casi, parlano espressamente dell’assistente sociale, e con diverse accezioni di ruolo: se ne parla come ‘esecutore’ dei provvedimenti giudiziari, come operatore con una funzione tecnico consulenziale e come mediatore tra famiglia e giudice.
Anche tale confusione è significativa: essa testimonia da un lato le diverse visioni che si hanno del rapporto tra servizi e tribunale, e dall’altro la necessità di mettere a tema la difficile
delle competenze genitoriali e della loro recuperabilità; definizione dei progetti di aiuto e sostegno al minore di età e al suo contesto familiare; potenziamento delle risorse familiari e ambientali; protezione nei casi di vulnerabilità. Nel documento era indicata un’ulteriore funzione – la collaborazione con gli organi della magistratura dedicati alla materia familiare e minorile, civile e penale – che trattando il tema centrale della ricerca ha visto dedicata un’apposita sezione.
51 composizione dell’interazione tra un organismo afferente al sistema giudiziario e uno al sistema amministrativo.
Non a caso, lo snodo più frequentemente trattato nei report è il passaggio della segnalazione, che rappresenta il primo e principale momento di contatto tra servizi e tribunale. Un’ampia letteratura ha preso in esame questo aspetto da diversi punti di vista, mettendone in luce, per quanto riguarda il versante dei servizi, come esso rappresenti un radicale cambiamento di contesto nella relazione con la famiglia.
Ma ciò che interessa evidenziare qui è i) l’ampiezza del numero di documenti che ne parlano, in relazione alla totalità degli snodi trattati; e ii) la variabilità con cui sono definiti alcuni passaggi fondamentali, tra cui l’obbligatorietà della segnalazione, in quali casi o gli attori. Un approfondimento di tali aspetti esula dai limiti di questo studio ma permette di affermare che esso è certamente uno dei passaggi che richiede un adeguamento della normativa a livello nazionale.
Il successivo snodo trattato con frequenza riguarda le attività di indagine e valutazione, con differenti accenti riguardo alle aspettative informative dell’Autorità Giudiziaria nei confronti dei servizi, e diverse indicazioni operative (ad es., se proporre o meno un progetto).
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, lo snodo dell’allontanamento dei minori è trattato in pochi report, e solo in due/tre casi in relazione ai provvedimenti di urgenza (ex art.
403 c.c.). Quest’ultimo, indicato da otto report regionali, segnala la necessità di un chiarimento normativo in particolare rispetto alle responsabilità. Infine, appaiono raramente altri temi che suscitano dibattiti nella pratica, quali l’ascolto del minore o l’affido dei minori all’ente locale, trattati rispettivamente da cinque e due regioni.
In questo quadro particolarmente complesso, una terza area di indagine si è dedicata a capire quali strumenti fossero messi in campo a sostegno del corretto agire degli operatori. In tale prospettiva, sono stati considerati sia i documenti di carattere più ‘procedurale’, sia documenti più operativi (linee guida), contenenti indicazioni specifiche in merito a criteri e modalità di valutazione delle condizioni di rischio per i minori.
Come dettagliato nel § 3.2.3, analizzando i report regionali relativi a questa parte, nei documenti troviamo indicazioni su tre categorie:
I. procedure interne dei singoli servizi;
II. strumenti a supporto delle attività degli operatori, all’interno dei servizi;
III. strumenti e procedure a sostegno dell’integrazione tra servizi.
I documenti che riportano indicazioni sulle prime due categorie sono più numerosi rispetto a quelli rivolti all’integrazione tra servizi.
Le procedure interne hanno sia lo scopo di strutturare le attività sul versante organizzativo, allineando e integrando i processi di lavoro, sia di offrire strumenti specifici a supporto degli operatori, nell’intento di garantire la qualità degli interventi. Un esempio paradigmatico sono
52 le procedure per la segnalazione o le linee guida per la realizzazione di indagini sociali, che spesso contengono sia indicazioni su ‘chi deve fare cosa’ sia sul ‘come’ farlo.
La seconda categoria riguarda gli strumenti interni ai diversi servizi, ed è centrale a questo studio. Nei report viene evidenziata infatti una forte presenza di strumenti usuali della professione, utilizzabili in tutti i contesti in cui l’assistente sociale lavora. Accanto a questi viene anche segnalata la presenza di un consistente numero di strumenti specifici, dedicati al rapporto con l’autorità giudiziaria, a conferma della complessità di questa relazione. Come dettagliato in precedenza (cfr. § 3.2.3) la maggioranza dei documenti in questo ambito si dedica alle attività di rilevazione e valutazione delle condizioni di rischio dei minori, basandosi sull’identificazione dei fattori protettivi o di rischio, a partire dai più consolidati riferimenti alla letteratura scientifica del settore.
I documenti sono stati analizzati anche considerando gli aspetti di standardizzazione e obbligatorietà, due criteri reputati significativi nel dibattito per garantire l’oggettività dell’assessment (e circoscrivere la soggettività delle valutazioni) e al contempo la specificità della valutazione delle singole situazioni.
Da un’analisi approfondita di circa 30 documenti, nessuno di essi presenta strumenti
‘standardizzati’, (secondo cui l’esito della valutazione si traduce in un punteggio che determina la soglia dell’intervento). Metà di essi forniscono indicazioni generali, segnalando le diverse “macroaree” da indagare, mentre l’altra metà entra maggiormente nel dettaglio, indicando i contenuti specifici per ciascuna macroarea. Per esempio, si elencano nel dettaglio i fattori di rischio e protettivi da indagare o si propone una griglia riassuntiva di valutazione.
Solo in un caso viene proposta l’assegnazione di un punteggio, che rappresenta però essenzialmente una sintesi della valutazione degli operatori (ER078).
Rispetto al criterio dell’obbligatorietà, invece il panorama è più chiaro. Trattandosi prevalentemente di documenti emessi da enti pubblici, gestori dei servizi (quali grandi comuni, ambiti territoriali, aziende sanitarie), le loro indicazioni sono stringenti per gli operatori. Tra i 30 documenti analizzati, solo quattro indicano espressamente che gli strumenti sono ‘facoltativi’.
I destinatari degli strumenti sono prevalentemente le équipe psico-sociali e solo in alcuni casi sono esclusivamente rivolti agli assistenti sociali. Questo avviene per esempio nelle frequenti linee guida per la realizzazione delle indagini sociali. Ancora rispetto allo specifico professionale, è interessante osservare come spesso gli strumenti previsti nei documenti non siano specifici della tutela minorile, ma siano quelli usuali della professione, utilizzabili in tutti i contesti in cui l’assistente sociale lavora.
Un’ultima osservazione va fatta rispetto agli strumenti dedicati al “funzionamento” della relazione tra servizi e autorità giudiziaria, che in parte orientano la raccolta di informazioni. Si tratta di schemi di segnalazione e griglie per le indagini sociali, e implicano una riflessione sul rapporto tra le due istituzioni.
53 La terza categoria di strumenti e procedure ha lo scopo di sostenere la collaborazione tra servizi e i diversi soggetti coinvolti nei processi di tutela dei minori. Come è noto si tratta di una gamma di soggetti molto ampia e diversificata, afferenti sia all’area socio sanitaria sia ai diversi organismi del privato sociale. Una parte dei documenti si occupa di questa interazione, introducendo diversi strumenti, orientati a rendere fluidi i processi di collaborazione e a garantire la qualità degli interventi. Ne sono un esempio gli schemi per la redazione dei progetti educativi o di assistenza personalizzata. Vi sono poi protocolli d’intesa e operativi per la costituzione delle unità di valutazione multidisciplinare. Essi associano aspetti organizzativi e di contenuto volti a creare una base comune di intesa tra diversi punti di vista professionali.
Pur non essendo centrale al tema di ricerca, la quarta chiave interpretativa cercava di indagare quali fossero i principali assetti organizzativi adottati e se fossero previsti degli standard in termini di risorse e servizi. Questo alla luce della necessità di tenere nella massima considerazione: i) il fatto che gli interventi di tutela minorile si inseriscono in un contesto istituzionale e organizzativo, composto da soggetti plurimi, con diversi gradi di potere e responsabilità e ii) che per la realizzazione degli interventi è indispensabile prevedere risorse adeguate.
L’analisi condotta nei diversi contesti regionali ha messo in luce come questa sia un’area poco affrontata nei documenti raccolti. In diversi casi non si va oltre una generica indicazione degli operatori coinvolti e/o della necessità di lavoro in équipe.
L’elemento organizzativo maggiormente trattato riguarda il fattore ‘tempo’, in termini di apertura dei servizi, di durata e realizzazione delle attività e nell’esecuzioni dei provvedimenti richiesti dall’Autorità Giudiziaria. In pochi casi emergono riflessioni inerenti le risorse di personale, nei termini di previsione della presenza di un assistente sociale nei diversi livelli dell’intervento e/o in ogni équipe; solo in pochi territori si trova qualcosa in termini di standard e/o ai fabbisogni di personale, o una possibile quantificazione del monte-ore operatori dedicato ed una considerazione dei carichi di lavoro. In alcuni report si evidenzia inoltre la formazione del personale e la supervisione.
3.2. Il parere dei CROAS
Qual è il parere dei CROAS in merito a questa situazione e quali sono le strade di miglioramento prefigurabili?
Le risposte a questa domanda sono ampiamente descritte nella precedente sezione 3.3. In questa sede se ne evidenziano alcuni punti salienti.
In merito ai risultati della ricerca, e rispetto alla prima questione, relativa alla definizione di ruoli e funzioni dell’assistente sociale, i CROAS concordano con quanto emerge rispetto alla loro vaghezza e scarsa definizione. Solo cinque CROAS ritengono che ruoli e funzioni siano adeguatamente definiti, a di essi uno specifica che tale adeguatezza riguarda solo i rapporti con il Tribunale per i Minorenni. Ne lamentano la scarsa chiarezza, la scarsa definizione e la presenza di indicazioni non univoche.
54 Il tema della definizione dei ruoli viene discusso e commentato anche in relazione alle équipe multidisciplinari, in cui l’assenza di chiare definizioni di ruolo e di responsabilità porta spesso a sovrapposizioni delle attività tra gli operatori e a mancate assunzioni di responsabilità istituzionali da parte degli enti.
Anche per la seconda questione, relativa ai rapporti con la magistratura, i CROAS concordano con i risultati della ricerca e sottolineano la difficoltà di capire (e l’insoddisfazione in merito a...) quale ruolo il servizio sociale debba avere nei confronti dell’Autorità Giudiziaria. Le insoddisfazioni si collocano su un continuum che va dall’essere considerati ‘meri esecutori’
degli ordini del giudice al ricevere una delega troppo ampia di responsabilità. Altre criticità specifiche riguardano le difficoltà di comunicazione. Si distanziano da questo quadro 6 CROAS che si dichiarano complessivamente soddisfatti del rapporto con la magistratura. Rispetto alla molteplicità delle indicazioni in merito alla segnalazione, gli Ordini Regionali confermano come questa sia un nodo complesso e spesso regolato in modo eterogeneo e talvolta contraddittorio, ed evidenziano l’assenza di documenti su questioni che sono invece importanti nella pratica quotidiana (come l’affido all’ente o la relazione con gli avvocati).
Rispetto ai risultati su strumenti e procedure, i CROAS confermano la desiderabilità di linee guida e strumenti. Interpellati in particolare sulla preferibilità degli strumenti, considerando l’ipotetico continuum tra alta standardizzazione/bassa discrezionalità versus bassa standardizzazione/elevata autonomia, hanno espresso pareri che si collocano in un’area mediana. I report dei CROAS individuano vantaggi e svantaggi per ognuna delle ‘polarità’. A favore di linee guida e strumenti strutturati citano: l’identificazione di punti di riferimento scientificamente ancorati, la limitazione della soggettività, la possibilità di avere indicatori di monitoraggio e la facilitazione nella collaborazione tra punti di vista professionali diversi. A sfavore citano i rischi di burocratizzazione, di rigidità e restringimento della sfera di autonomia e discrezionalità necessaria alla personalizzazione degli interventi. Viene inoltre sottolineata la necessità che la redazione delle linee guida veda il coinvolgimento della componente professionale.
La carenza di indicazioni sulla quarta area di indagine, relativa agli assetti e standard organizzativi, suscita importanti reazioni. I CROAS ne sottolineano infatti l’assoluta rilevanza e mettono in evidenza la grave carenza delle risorse e la scadente organizzazione degli assetti operativi. Rimarcano la frequente mancata considerazione della complessità degli interventi e l’attribuzione di funzioni particolarmente delicate ad assistenti sociali poco esperti, che lavorano in solitudine. Alcuni ritengono che sia indispensabile prevedere équipe specializzate nella tematica. Viene inoltre denunciata la precarietà e l’instabilità delle figure professionali provocata dai processi di esternalizzazione.
55 3.2.1. Aspetti critici e punti di forza nel lavoro della tutela minorile
Nei focus group i CROAS sono stati interpellati per mettere in luce gli aspetti più critici e i punti di forza del lavoro nella tutela dei minori, evidenziando possibili ‘pregi e difetti’
dell’operato professionale. Il motivo per cui si è ritenuto opportuno chiedere ai CROAS una specifica riflessione su questi aspetti è legato in primo luogo all’oggetto della ricerca complessiva, su ‘ruolo e qualità’ del lavoro degli assistenti sociali nella tutela minorile, e in secondo luogo, alla preziosa opportunità di interpellare i gruppi professionali in modo strutturato. Alcuni studi hanno infatti cercato di mettere in evidenza quali sono gli aspetti che
‘piacciono’ e che sostengono la motivazione degli operatori nel lavoro della tutela minorile, così come gli aspetti che ‘non piacciono’ e frenano o ostacolano l’ingaggio degli operatori, divenendo frequente fonte di burn-out o ritiro (Frost, et al, 2018, Cabiati, 2015, Bertotti, 2012). Il senso di questa esplorazione risiede nell’opportunità di aprire uno spazio in cui gli stessi assistenti sociali identifichino i propri punti di valore e le proprie criticità, superando la tendenza a farsi definire da altri (Ferguson, 2016).
Sul versante di ciò che ‘piace e non piace’ del lavoro nella tutela minorile, i CROAS riportano un parere unanime rispetto all’importanza che riveste la componente relazionale. Ciò che
‘piace’ agli assistenti sociali del lavoro nella tutela minorile è il lavorare con gli altri e in particolare con le famiglie e con i minori. Gli aspetti negativi (ciò che non piace) è la complessità ed il difficile equilibrio tra mandato di aiuto e di controllo, con il conseguente carico emotivo e l’aggressività delle persone. A questo si associa la scarsa tutela dei professionisti e la distanza tra quanto indicato dalle norme esistenti e la loro reale applicazione.
Per quanto riguarda i ‘pregi e i difetti’, i CROAS sono più chiari nell’indicare i ‘difetti’ e meno le qualità, in linea con quanto accade anche in altri paesi (Ferguson, 2016). Sul primo versante, citano i rischi di autoreferenzialità, spesso collegati al lavorare in solitudine, gli atteggiamenti di chiusura, l’avere una visione difensiva della tutela. Sul versante dei ‘pregi’ e delle qualità vengono citati l’attenzione data al bambino, la capacità di ascolto, lo sforzo nel costruire relazioni di fiducia. A questo si aggiunge la tendenza ad avere uno sguardo di insieme e la rilevanza attribuita al lavoro di rete, cercando di costruire collaborazioni tra i diversi soggetti.
3.3. Le aspettative verso il CNOAS
Secondo i gruppi regionali, il CNOAS può giocare un ruolo rilevante nell’affrontare alcuni degli snodi critici del servizio sociale nella tutela minorile.
Come dettagliato nella sezione 3.3.4, la sua azione può realizzarsi in primo luogo nei confronti dell’esterno, lavorando sia per la diffusione di una corretta immagine del servizio e una maggiore visibilità, sia per giungere ad una più chiara definizione di ruolo e responsabilità nei confronti degli altri interlocutori. Diversi CROAS sottolineano l’importanza di un lavoro rivolto alla tutela e alla legittimazione della professione.
56 Vengono poi auspicate azioni ‘politico - istituzionali’, sia sul piano nazionale da parte del CNOAS (nei confronti del sistema giudiziario e degli ordinamenti regionali) sia sul piano locale, e si ritiene necessario anche un collegamento tra le professioni.
Rispetto all’‘interno’ della professione, le aspettative sono espresse in termini generali, auspicando che l’Ordine metta in campo azioni di supporto ai professionisti e che si costituisca come luogo di pensieri, riflessioni comuni, condivisione di saperi, sviluppando il dibattito interno alla professione.
Viene spesso richiamata la necessità di una formazione specifica e di supervisione. L’esigenza di specializzazione si manifesta a più livelli: come percorso dedicato nella formazione di base, (da due CROAS), e come indispensabile nelle fasi iniziali degli operatori neolaureati. La creazione di servizi specificamente dedicati alla tutela è posta da un CROAS.
Infine, interpellati direttamente in merito alla necessità o opportunità di dotarsi di linee guida, il parere dei CROAS è unanimemente positivo. Le linee guida sono ritenute utili e necessarie per superare la frammentazione e orientare interventi; di esse si sottolinea che non debbano essere calate dall’alto o imposte e che siano realizzate dai professionisti, o comunque attraverso la loro collaborazione. Si ribadisce la necessità di considerare gli assetti organizzativi all’interno dei quali le linee guida verranno applicate.
Rispetto ai contenuti delle linee guida, l’indicazione è più generale e tende a coprire tutte le fasi dell’intervento senza specifiche particolari, anche se dal rilievo dato al rapporto con la scuola si può cogliere l’importanza attribuita alle prime fasi. Si ribadisce però l’importanza di precisare le responsabilità in tutte le attività che riguardano l’interazione con l’autorità giudiziaria.
La cornice in cui ciò va realizzato sembra essere quella della cultura professionale, tema richiamato trasversalmente nelle diverse sezioni dei report regionali: e che rappresenta contemporaneamente la base da cui partire per produrre condivisione di saperi e pratiche, ed il prodotto dell’agire e della riflessione condivisa.
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