• Non ci sono risultati.

Le società per azioni

3.2 La successione nelle società di capitali

3.2.1 Le società per azioni

Per quanto riguarda, la disciplina prevista per la successione nelle quote di società di capitali, come visto in precedenza, vale il medesimo principio per il quale man mano che la caratteristica

dell’intuitu personae diminuisce sempre di più, risulterà più facile il trasferimento della quota per

causa di morte. È il caso delle società di capitali, ove, infatti, il rapporto personale tra i soci non acquisisce un’importanza primaria al fine dello svolgimento dell’attività, ed, invero, la partecipazione di ogni socio viene considerata come un mero apporto finanziario orientato alla remunerazione degli investimenti intrapresi dalla società stessa.

Nelle società per azioni, infatti, tale rapporto, decisamente spersonalizzato, si evidenzia nel principio della libera circolazione delle azioni, sia che avvenga mediante atto tra vivi, che per causa di morte.

Per ciò che riguarda il trasferimento di azioni per causa di morte, l’articolo 7 del r.d. n. 239/1942, prevede che debba esservi un’annotazione del nome dell’erede o del legatario dei titoli sul libro dei soci, con annessa presentazione del certificato di morte e copia di un’eventuale testamento, oltre ad un atto che attesti la qualità di erede o di legatario. In tal senso, dunque, si acquisirà la qualità di socio semplicemente dimostrando la qualità di erede o di legatario.

Una volta risolta la questione successoria circa il subentro o meno degli eredi, nella società per azioni, sarà opportuno suddividere la quota sociale in una pluralità di azioni, da spartire tra i nuovi soci, salvo il caso in cui vi sia una quota sociale non divisibile; in quest’ultimo caso, infatti, si avrà una partecipazione in comunione tra gli eredi, i quali nomineranno un responsabile principale ai sensi dell’articolo 2347 Cod. Civ.

Se in linea generale vige, dunque, un principio di libera circolazione delle azioni, si riscontra, invero, una limitazione a tale principio nell’adozione di determinate clausole statutarie tutelate dall’articolo 2355-bis Cod. Civ.

Con tali tipologie di clausole, si intende attribuire alla compagine sociale, un carattere “chiuso” tale da compromettere, invero, la libera circolazione delle azioni in società di questo tipo. Proprio per questo motivo, normalmente, non sono accettate queste particolari clausole, poiché vincolano il principio di libera circolazione delle azioni, nelle società di capitali.

Lo stesso meccanismo di introduzione di tali clausole, è assai elaborato in quanto, come stabilisce l’articolo 2347 Cod. Civ., è opportuna la delibera dell’assemblea straordinaria dei soci e, nel caso di socio dissenziente, è previsto il recesso da parte dello stesso socio (144).

Per quanto riguarda i limiti alla circolazione delle azioni, si badi, l’articolo 2355- bis Cod. Civ., stabilisce che, oltre ad una particolare clausola di intrasferibilità per un periodo di cinque anni, i divieti di trasferimento debbono necessariamente risultare dal titolo stesso, in virtù dell’articolo 1993 Cod. Civ., ove è possibile opporre al possessore di un titolo di credito, solamente eccezioni personali o di forma.

Le suddette clausole, per tali tipi di società, possono suddividersi in “clausole di gradimento” e “clausole di prelazione”. Fatta salva la clausola di intrasmissibilità di cui all’articolo 2355- bis Cod. Civ., queste altre due fattispecie non pongono divieti categorici circa il trasferimento di azioni in capo soggetti estranei alla società, ma, sono orientate a mantenere un determinato controllo nelle società da parte dei soci.

Quanto alle clausole di prelazione, queste, vincolano i soci uscenti ad offrire agli altri soci, prima di chiunque altro, le proprie azioni, impedendo, in questo modo, l’ingresso di estranei nella società. È da precisare che, tale clausola, operante in caso di cessione, dunque a titolo oneroso, possa ritenersi non applicabile per la fattispecie successoria, in quanto trattasi di trasferimento a titolo gratuito (145).

In riferimento, invece, alle così dette clausole di gradimento, esse consistono nella espressione, da parte di un organo sociale specifico, di una volontà alla quale è subordinato l’ingresso di un nuovo soggetto all’interno della società. Il gradimento, appunto, di tale soggetto può essere rimesso all’assemblea, al consiglio di amministrazione o, solamente, a parte di esso.

Tali clausole debbono opportunamente essere distinte in clausole di “mero gradimento” e clausole di “non mero gradimento”. Le prime consentono di rimettere al potere discrezionale dei soggetti di cui all’art. 2469 Cod. Civ. la facoltà di concedere o meno il gradimento alla cessione

144 ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, “Il Diritto delle società”, a cura di G. OLIVIERI, G. PRESTI,F. VELLA, Zanichelli,

Bologna, 2006, p. 101; GATTI S., “La circolazione delle partecipazioni sociali secondo il d. lgs. N. 6 del 2003”, Rivista

di diritto commerciale, I, 1, 2003.; D. VATTERMOLI, “Commento all’articolo 2355 bis codice civile”, in M. Sandulli, V. Santoro ( a cura di), La riforma delle società, 2, I, Giappichelli, Torino, 2007, p. 176 ss.

145 Sul punto vedi Trib. Venezia, 21 luglio 1995, in Rivista del Notariato, 1996, p. 945. Con riferimento agli atti tra vivi

a titolo gratuito v. Cass. Civ., 12 gennaio 1989, n. 93, in Rivista di diritto commerciale, 1990, II, p. 14. Contra in dottrina ALESSI R., “Alcune riflessioni intorno alla clausola di prelazione”, Rivista di diritto commerciale, I, 1987, pp. 570 ss. ; ANGELICI C., “Fine dell’atto di gradimento?”, in Giustizia Civile, II, 1991, pp. 2067 e ss., nota a Cass. Civ., 25 ottobre 1982, n. 5567

65

della partecipazione senza dettare condizioni particolari alle quali condizionare il gradimento ed affidando, quindi, l’alienazione alla discrezionalità dei soggetti in essere.

Sono invece clausole di non mero gradimento quelle per le quali il legislatore prevede determinati requisiti da parte dell’acquirente i quali debbono essere valutati da un apposito organo societario quale, a titolo di esempio, l’assemblea o il consiglio di amministrazione.

Nelle clausole di mero gradimento, invero, può accadere una situazione decisamente contraria al principio di libera circolazione delle azioni. Infatti, in virtù dell’articolo 2355-bis comma terzo, l’erede, potrebbe acquisire il diritto alla liquidazione della sua quota o alla cessione della partecipazione ai soci, solo nel caso in cui non venga espresso il gradimento o non vi sia alcun socio che intenda esercitare la prelazione.

In tal senso, emerge una particolare caratteristica tipica delle società di persone, cioè quella di focalizzare la società nel principio dell’intuitu personae, evitando, quindi, la libera circolazione delle azioni.

Per quanto riguarda la liquidazione della quota oggetto di successione, è da considerare che, l’articolo 2355-bis tratta la fattispecie dell’erede come mero proprietario delle azioni, in quanto subentrante al de cuius, ma, privo di ogni diritto sociale, spettando a lui, solamente il diritto di richiedere la liquidazione delle proprie azioni od il loro acquisto.

È, inoltre, considerata tra le fattispecie di cui all’articolo 2355- bis, l’applicabilità delle così dette clausole di “riscatto successorie”, le quali riconoscono il diritto ai soci superstiti di riscattare, appunto, i titoli azionari del socio defunto. Il comma terzo del medesimo articolo, infatti, sembrerebbe favorevole a tale interpretazione in rispetto, anche, alla disciplina dei patti successori (146).