• Non ci sono risultati.

Soggetti subalterni passati e contemporane

Capitolo 3 Postcoloniale fuori e dentro l’Italia: subalternità tra storia, memoria e narrazione

3.2 Soggetti subalterni passati e contemporane

Nel corso del ‘900, precisamente nel periodo compreso tra il Fascismo e la condizione globale contemporanea, è stata sorprendente la persistenza dell’eredità del pensiero critico occidentale gramsciano, riesaminato, infatti, da Edward Said nel secondo dopoguerra. Il rovesciamento di prospettiva che ne è emerso è risultato essenziale per una rivalutazione dell’idea di cultura, che si configura, infatti, come una categoria dinamica, aperta e mai definitiva, dal momento che l’analisi delle lotte politiche e culturali, che hanno caratterizzato la storia, vengono vagliate da una diversa prospettiva: non più in considerazione del rapporto tra tradizione e modernità, ma di quello tra la parte subalterna e quella egemone del mondo, con l’obiettivo di scardinare il senso comune – egemone – attraverso un dialogo “in cui la storia non è mai conclusa: essa è sempre ora”.280 Pertanto, questo nuovo punto di vista offre l’occasione di interpretazioni rinnovate del contesto coloniale e postcoloniale degli ultimi decenni, in cui resta persistente il pensiero di Gramsci a partire dal quale, la questione meridionale da lui introdotta, viene adesso reinterpretata e riadattata alla realtà contemporanea. Come, però, ha sottolineato Kate Crehan, dal momento che l’eredità gramsciana necessita di un continuo riadattamento – perché, si è detto più volte, una stessa teoria può essere valida in contesti socioculturali eterogenei grazie proprio a una sua rilettura da un punto di vista alternativo – è fondamentale teorizzare e rendere palese l’ingiustizia che interessa il sud del mondo, da sempre ridotto a oggetto di rappresentazione e di subalternità da pratiche occidentali dall’apparente potere illimitato.281

In tal senso, Chambers descrive una particolare dinamica che è

279 J. Burns, L. Polezzi, op. cit., p. 20.

280 I. Chambers, “Il sud, il subalterno e la sfida critica”, in I. Chambers (ed.), Esercizi di potere. Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma, 2006, pp.7-15, p. 8.

281

84

centrale in questa sede, la quale permette non solo di teorizzare ma, soprattutto, di oltrepassare la teoria stessa attraverso una considerazione delle diverse espressioni culturali in relazione al rimosso (nel caso italiano), alle diversità e all’alterità di cui si compone la contemporaneità.282

Lo studioso propone di prendere in considerazione i diversi linguaggi, letterari, visivi, musicali, che si configurano come espressioni di una realtà nascosta o mascherata, espressioni che rivendicano la loro presenza, nonché “the right to narrate” di cui parla Bhabha, cioè il diritto, appunto, di narrare il mondo dal proprio punto di vista e dalla prospettiva delle culture che si sviluppano, man mano, in relazione alle nuove sfide imposte dalle società multiculturali in cui si inseriscono.283 In queste analisi è fondamentale reinterpretare le teorie sulla base del concetto di “spaesamento” di cui parla Todorov, inteso qui nel suo doppio significato: sia in relazione a un cambiamento immediatamente spaziale (di paese, ambiente e contesto), sia nella sua accezione di situazione che provoca turbamento, sconcerto, disorientamento a seguito di abitudini diverse.284 Per cui, in relazione alla condizione contemporanea di transizione dei soggetti, ogni luogo e ogni linguaggio diventano problematici, nel senso che necessitano di reinterpretazioni e indagini che provengono proprio dall’altrove.285

Il concetto di subalternità, fin dalla sua introduzione, ha attraversato diverse fasi che vanno dal marxismo ortodosso, che lo considerava in relazione alle lotte e alla coscienza della classe operaia tra ‘800 e ‘900, attraverso il capitalismo industriale con lo sfruttamento diretto e, successivamente, indiretto della forza lavoro, fino ai più attuali dibattiti su questioni quali razza, etnia, territorio e genere, immediatamente legati al periodo dell’imperialismo e della successiva decolonizzazione. Tuttavia, come evidenzia anche Lidia Curti, in questi passaggi storici, c’è da precisare che i diversi soggetti che, via via, sono stati collocati in condizioni di subalternità – proletari, colonizzati e migranti –, non debbano essere distinti su base cronologica ma, al contrario, ogni singola situazione spesso coincide e si sovrappone.286 Nel corso dei precedenti capitoli si è detto che gli studi postcoloniali si intrecciano con altri ambiti di riflessione, nei quali rientrano anche questi sulla subalternità che hanno avuto il merito di aver riportato a galla culture e soggettività tenute ai margini della (e dalla) cultura egemone, sia essa patriarcale o coloniale. È proprio in quest’ultimo caso che si inseriscono le cosiddette “letterature minori”, considerate tali perché ibride nel loro genere e nelle loro tematiche e perché migranti e diasporiche, prodotte

282 I. Chambers, “Il sud, il subalterno e la sfida critica”, cit., p. 12. 283

J. Kuortti, J. Nyman (eds.), Reconstructing Hybridity. Post-colonial Studies in Transition, Rodopi Editions, Amsterdam and New York, 2007, p. 33.

284 T. Todorov, L’uomo spaesato. I percorsi dell’appartenenza, trad. it. M. Baiocchi, Donzelli, Roma, 1997, p. 3. 285 I. Chambers, op. cit., p. 13.

286

85

inizialmente in contesti extra-occidentali, anche se oggi questa limitazione appare alquanto restrittiva.

Gramsci, dunque, aveva pensato la nozione di subalternità in relazione a un requisito strettamente territoriale in cui, secondo un’interpretazione personale, si intende il territorio sia come zona geografica o porzione di terra propriamente detta, idea alla base delle successive politiche imperialiste di dominio territoriale e geografico, sia nella sua accezione di condizione sociale di appartenenza e, in tal senso, tanto il contadino del sud, quanto il proletario del nord condividono questo “territorio comune”. Nelle parole di Gramsci:

[…] noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come un problema di rapporto di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale.287

O ancora:

[…] La parola d'ordine del governo operaio e contadino deve perciò tenere speciale conto del Mezzogiorno, non deve confondere la questione dei contadini meridionali con la questione in generale dei rapporti tra città e campagna in un tutto economico organicamente sottomesso al regime capitalistico: la questione meridionale è anche questione territoriale ed è da questo punto di vista che deve essere esaminata per stabilire un programma di governo operaio e contadino che voglia trovare larga ripercussione nelle masse.288

In riferimento a una condizione propriamente coloniale nella quale, al binomio sud/nord, si unisce quello di oriente/occidente – binomi legati a uno spazio mobile e connessi a politiche di dominio geografico, culturale e linguistico, oltre che economico e istituzionale – Said ha rimarcato precisamente il tratto distintivo della situazione contemporanea, parlando infatti di “overlapping territories, intertwined histories”,289 in cui la cultura egemone e imposta non può essere interpretata senza tener conto di quella del subalterno con la quale si intreccia. Egli ha infatti posto l’accento proprio sul territorio e sulla geografia della subalternità nel contesto coloniale non trascurando, soprattutto, il fatto che qualunque conquista imperiale è stata originata proprio da questioni legate al territorio.290 Sono diversi i riferimenti nell’opera di Gramsci che sono stati ripresi e riadattati poi

287

A. Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 2005. Consultata la versione e-book su www.liberliber.it.

288 Idem, p. 18.

289 E. Said, Culture and Imperialism, Vintage, London, 1993, cap.1, p. 3. 290

86

nell’opera di Said. Ad esempio, i diffusi pregiudizi che interessavano i contadini meridionali sono stati chiaramente riportati da Gramsci:

Ma perché questo lavoro di organizzazione sia possibile ed efficace occorre che il nostro partito si avvicini strettamente al contadino meridionale, che il nostro partito distrugga nell'operaio industriale il pregiudizio inculcatogli dalla propaganda borghese che il Mezzogiorno sia una palla di piombo che si oppone ai più grandiosi sviluppi dell'economia nazionale, e distrugga nel contadino meridionale il pregiudizio ancora più pericoloso per cui egli vede nel nord d'Italia un solo blocco di nemici di classe.

[…]

È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell'Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con la esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto.291

In questi passaggi, sono presenti epiteti che in seguito Said stesso ha ricollegato a quelli che emergevano dalle opere e valutazioni di chi era stato in contatto con gli indigeni dell’oriente e che oggi sono riproposti nei confronti degli immigrati. Allo stesso modo, Said condivide il concetto gramsciano di subalterno in movimento verso la riconquista della propria supremazia, un atteggiamento presente anche nei momenti più complessi del periodo colonialista durante il quale, nonostante la marginalità delle classi subalterne, tuttavia, esse costituivano un elemento cruciale nell’organizzazione della società, tratto essenziale nell’elaborazione dei successivi studi sulla subalternità. Infatti, se la questione su come la classe dominata e subalterna possa riuscire a raggiungere una posizione egemonica trae la sua origine dai Quaderni del carcere di Gramsci,292 la grande diffusione del termine subalterno oggi è legata alla nascita dei subaltern studies, per l’appunto, una corrente di studi storici nata in India negli anni ’80. Essa dava rilievo al fatto che, sebbene i ceti subalterni contadini avessero tracciato le linee principali della storia indiana, quest’ultima era stata tuttavia scritta da un punto di vista colonialista e dominante, ovvero da parte di chi non era stato, in realtà, protagonista di quella storia.293 L’approccio adottato proponeva non solo una ricerca da una diversa prospettiva, la history from below, ma anche una decostruzione delle narrazioni dominanti in base alle quali le soggettività subalterne erano state definite.294 Dunque, le insurrezioni contadine dei secoli XVIII e XIX diventarono il simbolo della condizione subalterna in

291 A. Gramsci, op. cit., p. 39.

292V. Gerratana (a cura di), Antonio Gramsci. Quaderni del carcere. Edizione critica, Roma, Einaudi, 2007. 293 R. Ghua, G. C. Spivak, Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, Ombre Corte, Verona, 2002. 294

87

cerca di una soggettività storica,295 condizione alla quale sembrano appartenere anche migranti passati e contemporanei. Come i contadini indiani, anche i migranti cercano la possibilità di riscattarsi dai silenzi, dalle assenze e rimozioni della storiografia e della cultura egemone. Questo avviene perché chi ospita tende a minimizzare la soggettività del migrante, ignorando altresì la sua origine geografica e quanto ad essa associato, in un atteggiamento funzionale al riconoscimento e alla legittimazione del gruppo dominante. La nuova letteratura della migrazione, primo passo verso tale riscatto, da un lato, non esclude una possibilità di parola che il migrante, in quanto subalterno, può avere; dall’altro, essendo ancora influenzata dagli stereotipi che regolano i rapporti tra migranti/subalterni e cultura ospitante/dominante, in alcuni casi, innesca un processo di negazione del soggetto migrante.296 Pertanto, la voce subalterna acquisisce una valenza del tutto particolare, dal momento che ha la possibilità di agire sia su un piano immediatamente individuale, sia collettivo, evidenziando infatti le incoerenze che coinvolgono il discorso egemone.