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Capitolo 2 – Postcoloniale italiano tra storia e narrazione

2.1 Studi postcoloniali e realtà italiana

«Tienila stretta quella curiosità e raccogli tutte le storie che puoi. Un giorno sarai la nostra voce che racconta. Attraverserai il mare […] e porterai le nostre storie nella terra degli italiani. Sarai la voce della nostra storia che non vuole essere dimenticata».159

Sono le parole che, nel romanzo Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi (scrittrice di origine etiope), il vecchio Yacob sussurra a Mahlet, uno dei saggi di una grande famiglia patriarcale, che decide di narrare alla piccola la storia degli italiani in Etiopia, compiendo così un lungo viaggio nel tempo e nello spazio in cui si snodano le vicissitudini di una famiglia etiope tra il periodo della dittatura degli anni ’70 e la successiva emigrazione. Si tratta di parole che condensano le tematiche affrontate nella presente discussione: la forte valenza della parola, del racconto e delle storie quali strumenti per non lasciar cadere nell’oblio una storia che ha segnato in profondità tanto le popolazioni assoggettate, quanto quella italiana, e il compito, affidato alle nuove generazioni, di tramandare le memorie facendole sconfinare nella terra degli ex-colonizzatori. Questo romanzo presenta un incontro e uno scontro coloniale violento, in cui gli errori, le bassezze e i paradossi dell’occupazione italiana dell’Etiopia vengono a galla. L’autrice, con questo testo, vuole offrire l’opportunità di elaborare una memoria che, nell’Italia contemporanea, segna finalmente un tempo di redenzione dalle nefandezze di un passato che non appartiene solo all’Etiopia, ma è anche italiano. Ghermandi invita, dunque, a guardare indietro, verso una storia che, allo stesso modo, non è solo della piccola Mahlet o di tutti gli etiopi, ma è una storia comune.160

Oggi, i numerosi soggetti ex-subalterni/cloniali, dei quali Ghermandi è una rappresentante, guardano oltre i confini nazionali alla ricerca di una migliore collocazione altrove transitando, così, tra i loro luoghi di origine e gli stati europei. In questi stessi luoghi da cui si allontanano, le élite

159 G. Ghermandi, Regina di fiori e di perle, Donzelli, Roma, 2007, p. 6. 160

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locali si trovano invece ben posizionate proprio nelle istituzioni create un tempo dai colonizzatori, che vengono tuttavia adeguate a “nuove” ideologie che, ancora oggi, contribuiscono a gerarchizzare la popolazione su base etnica.161 In un certo senso, si assiste a una forma di citazione del passato che, seguendo il pensiero di Chambers, corrisponde a una ricollocazione del “presente e rivelare all’interno dello stesso l’istanza di sentieri contingenti che ci riconducono indietro mentre ci trasportano avanti”.162

A partire da questo concetto di replica e riadattamento del passato a contesti diversi, come già in precedenza rimarcato, il postcoloniale si configura, dunque, non già come un periodo cronologicamente successivo all’epoca coloniale, quanto come una transizione, una prospettiva di analisi ad ampio spettro degli effetti del colonialismo sull’ordine globale, nonché l’incidenza che esso esercita ancora sull’epoca contemporanea, a partire dai movimenti di liberazione delle popolazioni assoggettate.163 Il concetto di “contemporaneo”, così come concepito da Giorgio Agamben, esercita sul tempo una sorta di manipolazione, così da creare delle corrispondenze con altri tempi e offrire delle prospettive diverse della storia. Egli afferma infatti: Il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del presente, ne afferra l’inesitabile luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di “citarla” secondo una necessità che non proviene dal suo arbitrio, ma da un’esigenza a cui egli non può rispondere.164

Questa relazione tra diverse temporalità è esplicitata anche da Achille Mbembe che, in relazione al postcoloniale, afferma:

In un’ottica più filosofica, si potrebbe ipotizzare che il presente come esperienza di un tempo sia proprio quel momento in cui differenti forme di assenza sono mescolate insieme: assenza di quelle presenze che non sono più tali e che ognuno di noi ricorda (il passato), assenza di quelle presenze che devono ancora giungere e sono da noi anticipate (il futuro).165

In considerazione delle definizioni offerte dai due studiosi, dunque, la temporalità si configura come una categoria che non si sviluppa in maniera lineare e consequenziale; piuttosto, mette in sincronia il tempo presente, il passato e il futuro con altre temporalità presenti, passate e future, così da creare un movimento oscillante e delle sovrapposizioni che, nella loro interazione, producono trasformazioni reciproche. Infatti, ancora Mbembe chiarisce bene il percorso che

161

J. Andall, D. Duncan, (eds.), Italian Colonialism. Legacy and Memory, Peter Lang, Bern, 2005, p. 270.

162 I. Chambers, Sulla soglia del mondo. L’altrove dell’Occidente, Meltemi, Roma, 2003, p. 119.

163 Da considerare i testi citati nel precedente capitolo quali, in particolare, Mellino, Spivak, Said e Bhabha. 164 G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo e altri scritti, Nottetempo, Roma, 2008, p. 24.

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seguono, oggi, le diverse realtà africane, sebbene si tratti di una prospettiva probabilmente applicabile a tutte le altre realtà:

Le formazioni sociali africane non stanno necessariamente convergendo in un unico punto, tendenza o ciclo. Hanno in sé la possibilità di compiere un gran numero di traiettorie diverse, paradossalmente non convergenti, né divergenti, ma interconnesse tra loro.166

Essendo il postcoloniale un concetto molto fluido e instabile, così come lo sono le discipline alle quali si può intrecciare, esso non può essere considerato come definitivo, ma, appunto, in un continuo movimento che chiarisce concretamente quelli che sono stati i rapporti e i conflitti tra dominanti e subalterni.167 Facendo ricorso all’ibridazione e alla traduzione come delle strategie fondamentali per consentire la transizione e la disseminazione di cui parla Bhabha,168 questo ambito di studi ha avuto il merito di aver messo in discussione i classici binomi centro/periferia o modernità/tradizione, facendo spazio, in questo modo, a quelle soggettività che erano rimaste taciute ai margini della storia, ha fatto venire meno le ideologie nazionali condivise e percepite come assolute e, infine, ha reso applicabili stesse teorie accademiche ad altri ambiti nazionali, quali, in questo caso, quello italiano.

In Italia, gli studi postcoloniali sono stati introdotti da accademici operanti in ambito anglofono, quali Iain Chambers, Lidia Curti, Silvia Albertazzi, Miguel Mellino. Il loro contesto accademico di appartenenza ha suscitato inizialmente non poca indifferenza nei confronti di tali teorie, dal momento che il tentativo di affrontare la “questione postcoloniale” in Italia è stato visto come un’incursione anglosassone e statunitense nel contesto accademico italiano. Sandra Ponzanesi, a tal proposito, ha precisato che:

Uno dei paradossi più lampanti della condizione post-coloniale consiste, infatti, nell’assumere implicitamente che tutta la letteratura post-coloniale sia espressa in lingua inglese, marginalizzando così molte altre tradizioni post-coloniali come quelle espresse in lingua francese, portoghese, olandese ed italiana.169

Roberto Derobertis cerca di dare una spiegazione a questa iniziale diffidenza e ne rintraccia le cause nella passata scarsa circolazione dei classici del pensiero critico (quali, ad esempio, quelli

166 Idem.

167 I. Chambers, “Il Sud, il subalterno e la sfida critica”, in I. Chambers, (ed.), Esercizi di potere. Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma, 2006, pp. 7-11.

168 H. K. Bhabha, «DissemiNation: Time, Narrative and the Margins of the Modern Nation», in H. K. Bhabha, op. cit.,

1994, pp. 199-144.

169 S. Ponzanesi, “Il postcolonialismo italiano. Figlie dell’Impero e letteratura meticcia”, Quaderni del ‘900, IV, 2004,

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di Fanon) alla base degli approcci postcoloniali, nonché nella posizione secondaria occupata dagli studi femministi e di genere che, invece, hanno giocato un ruolo di primo piano nello sviluppo del pensiero postcoloniale; egli, infine, ha indicato la mancanza di un dibattito con quanto si verificava in contesti accademici stranieri come una ulteriore e più generale ragione del ritardo con cui la cultura italiana ha approcciato gli studi postcoloniali.170 Pertanto, si prospettava la necessità di operare una traduzione, non solo immediatamente riferita ai testi da far circolare, ma anche delle stesse soggettività coinvolte. A tal proposito, Stuart Hall, nell’intervista a Mellino, ha dichiarato: L’esperienza diasporica ci ricorda poi che siamo tutti soggetti «situati», che parliamo da un certo luogo, da una certa storia e linguaggio […]. È una condizione che ci costringe a tradurre costantemente la nostra identità, la nostra posizione, le nostre politiche dell’identità, senza alcun punto di arrivo determinato in partenza.171

Dunque, è opportuno qui considerare i motivi che hanno fatto sì che anche in Italia, e nella letteratura italiana, sorgesse, ad un certo punto, la necessità di misurarsi con gli studi postcoloniali. Ancora Derobertis ha individuato le possibili ragioni che hanno determinato un simile interesse. La prima motivazione che ha favorito l’approccio a questo ambito di ricerca riguarda il fatto che, ancora oggi, gli studi sul colonialismo italiano non ricevono lo spazio che meritano. Esso, infatti, è sistematicamente ignorato, se non addirittura rimosso, perché associato in automatico all’epoca fascista ma, soprattutto, viene trascurato il suo ruolo nella formazione dell’unità nazionale.172

Questo, tuttavia, è solo in parte vero. Sarebbe più esatto affermare che vi è stato, in effetti, negli ultimi anni, un crescente coinvolgimento accademico in tal senso, ma, nonostante ciò, manca ancora un riconoscimento condiviso del ruolo del colonialismo nella formazione nazionale, non solo da un punto di vista sociale, ma anche culturale e letterario. È per questo motivo che si riscontra anche un interesse disomogeneo sia verso il ruolo giocato dal testo letterario nell’affrontare questioni quali razza, classe e genere, sia verso la stessa produzione letteraria italofona da parte di soggetti in transito – o, in alcuni casi, ormai ‘transitati’, e divenuti a tutti gli effetti cittadini italiani –, di madrelingua diversa e per lo più donne, provenienti dalle ex colonie italiane. Inoltre, come in precedenza sottolineato, l’Italia ha visto e vissuto tre diversi tipi di migrazione; si tratta di dislocazioni che hanno irrimediabilmente contribuito a plasmare l’identità italiana, al pari di altre realtà europee che hanno anticipato le dinamiche che oggi si riscontrano sul territorio nazionale, per

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R. Derobertis, (ed.), “Fuori centro: studi postcoloniali e letteratura italiana”, in Derobertis, R. (ed.), Fuori centro:

percorsi postcoloniali nella letteratura italiana, Aracne, Roma, 2010, pp. 24-25.

171 M. Mellino, “Teorie senza disciplina. Conversazioni sui “Cultural Studies” con Stuart Hall”, Studi Culturali, 2/2007,

pp. 309-342, p. 336, http://www.rivisteweb.it/doi/10.1405/24902.

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cui è sorta l’esigenza di non limitare la questione dell’identità italiana a semplici argomentazioni di stampo neotradizionalista.173