Capitolo 3 Postcoloniale fuori e dentro l’Italia: subalternità tra storia, memoria e narrazione
3.1 Voci subalterne in transito tra memoria e narrazione
Il migrante […] consapevole della sua condizione esistenziale deprivata dal senso di appartenenza e di quello di consistenza e di continuità, organizza strategicamente le sue risorse esperienziali al fine di contrastare il senso di estraneità o quello di frantumazione biografica, e di ridefinire le
appartenenze o di ricomporre i frammenti del suo vissuto.272
L’ipotesi proposta da Sonia Floriani riassume chiaramente le dinamiche che verranno affrontate nella presente discussione che verterà, per l’appunto, su questioni quali ricerca di appartenenza, ristrutturazione e ricomposizione di frammenti di esperienze e ricordi, ridefinizione delle suddette appartenenze e identità riconducibili a individualità subalterne e migranti, in cui si intende migrante non solo chi, fisicamente, ha subìto un processo di dislocazione da un luogo di origine, ma anche chi ha compiuto metaforicamente un viaggio tra le diverse temporalità cui appartengono i frammenti che cerca di ricomporre. Fin da subito, appare evidente la complessità e la natura eterogenea di qualunque definizione identitaria, a maggior ragione se essa è riferita a una soggettività migrante, che si colloca in uno spazio di confine che non denota, appunto, una situazione immediatamente geografica ma, nello specifico in questa sede, anche esistenziale, linguistica e culturale. L’organizzazione strategica, introdotta nel passo iniziale, viene interpretata qui da un punto di vista strettamente narrativo: la narrazione si configura, infatti, quale espediente che consente di effettuare degli sconfinamenti attraverso i testi. In tal senso, gli scritti della migrazione sono anch’essi prodotti di confine, in quanto testi ibridi sia dal punto di vista del genere letterario prescelto, sia delle tematiche proposte, sia delle caratteristiche strettamente linguistiche e, naturalmente, culturali che in essi vengono analizzate.273 Queste scritture propongono una serie di viaggi in una dimensione instabile; essi si situano ai margini dei canoni tradizionali stabiliti da una cultura nazionale, coinvolgono identità e realtà multiple che sono, pertanto, irriducibili a singoli elementi e danno origine a quanto Michel de Certeau ha definito l’arte di vivere “tra”.274 Come argomentato nel precedente capitolo, l’esperienza della migrazione è rimasta in una posizione marginale nel processo di costruzione ufficiale dell’identità italiana così, anche la sua narrazione è apparsa, fino a poco tempo fa, come una produzione periferica e minore, a riflesso della stessa condizione di ibridità che caratterizza i suoi autori. È proprio la sua posizione marginale a consentirle di gettare uno sguardo nuovo e alternativo sulla tradizione nazionale, dal momento che
272 S. Floriani, Identità di frontiera. Migrazioni, biografie, vita quotidiana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 92. 273 G. Burns, L. Polezzi, “Migrazioni tra confini e sconfinamenti”, in J. Burns, L. Polezzi (eds.), Borderlines. Migrazioni e identità nel Novecento, Cosmo Iannone, Isernia, 2003, p. 15.
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eccede e amplia i confini imposti dal canone. Da una simile prospettiva, si può riprendere la definizione di Gilles Deleuze e Felix Guattari:
Une littérature mineure n’est pas celle d’une langue mineure, plutôt celle qu’une minorité fait dans une langue majeure. Mais le premier caractère est de toute façon que la langue y est affectée d’un fort coefficient de déterritorialisation.275
Alla luce di tale riflessione, si può intendere dunque la “nuova” letteratura come una vera e propria rivoluzione, soprattutto per il suo carattere deterritorializzato, che tiene conto non solo della migrazione vera a propria, ma anche della caratteristica migrante, nel senso che è capace di andare oltre, non solo da un punto di vista propriamente geografico ma, come si vedrà nei testi proposti, anche da una prospettiva tematica. Essa, infatti, fa appello a questioni che vanno al di là dell’immediata esperienza personale migratoria e diviene altresì “[…] espressione di quella crisi e di quella ricerca dell’identità che segnano oggi il destino di ognuno e non certo soltanto di chi nasce o vive nelle terre di confine.”276 Affermazione validissima, che trova un riscontro anche nel pensiero di Iain Chambers il quale, oltre a sottolineare, per il soggetto contemporaneo, l’ormai inconfutabile realtà del vivere contemporaneamente qui e altrove e di scardinare la presunta unicità dell’identità, aggiunge anche un elemento essenziale in questa analisi, ovvero la reversibilità del tempo storico: “nel passaggio tra mondi, persino il passato diventa permeabile, suscettibile alle interrogazioni che emergono lungo i vari percorsi verso possibilità diverse[…]”.277 Il passato emerge preponderante nelle narrazioni considerate, senza il quale nessun percorso individuale volto alla conoscenza potrebbe aver luogo o, quanto meno, potrebbe portare alla profonda consapevolezza della propria e altrui storia e identità.
Tuttavia, quanto affiora da questa nuova letteratura non è solo una volontà di uscire da una condizione di marginalità, ma anche di palesare la polifonia di cui si compone, dal momento che le voci di scrittori e personaggi non sono solo quelle della loro interiorità, ma anche quelle dei diversi luoghi di origine, quello che De Mauro ha chiamato “un intreccio di paesi” all’interno dei testi.278 Questo è valido perché la necessità di narrare e di condividere l’esperienza migratoria del singolo soggetto dà origine a uno scambio di storie e vicissitudini che hanno interessato altre soggettività, per cui si prefigura, attraverso la scrittura, una sorta di terapia collettiva che ripercorre e analizza non solo le esperienze in quanto tali, ma anche le reazioni a esse. Il prodotto di tale dinamica è la
275 G. Deleuze, F. Guattari, Kafka: Per una letteratura minore, Minuit, Paris, 1975, p. 29. 276 A. Ara, C. Magris, Trieste: Un’identità di frontiera, Einaudi, Torino, 1987, p. 193.
277 I. Chambers, Dialoghi di frontiera. Viaggi nella postmodernità, Liguori, Napoli, 1995, p. 3. 278
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creazione di una storia collettiva che, attraverso la narrazione, accomuna diverse identità subalterne che riescono a trovare un loro riposizionamento all’interno della società ospitante. Pertanto, non si può tralasciare l’importante valore testimoniale che, in tale contesto, acquisisce la narrazione: […] si può parlare della narrativa della migrazione come testimonianza: cioè il raccontare storie che hanno le loro radici nell’esperienza individuale, ma che trovano anche, nell’atto di raccontare, un valore etico. Una volta raccontata, l’esperienza personale acquisisce un significato pubblico, sociale […]: in breve, diventa lo stimolo per un dialogo interculturale.279