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Il capitolo che segue, Sognando una città migliore, prende l’avvio da materiali di repertorio del 1967 che mostrano Edmund Bacon, che allora si occupava di urbanistica per la città di Filadelfia, che spiega perché Kahn non è stato scelto per la riqualificazione del centro della città.

La voce over in funzione didascalica informa lo spettatore su che cosa accadde e perché Kahn non riuscì a realizzare i suoi progetti.

Ho sempre sentito dire che Ed Bacon era la nemesi di Lou a Filadelfia. Bacon fu incaricato di ricostruire il centro della città negli anni 50-60. Incaricò Lou di studiare dei progetti ma qualcosa, andò storto.

Prima che l’autore ci informi su quali fossero i progetti di Kahn, il regista incontra Ed Bacon. Nonostante gli anni passati, l’ormai anziano Bacon continua a sostenere la sua posizione con grande vitalità. E tocca dunque al narratore fare chiarezza sulla questione.

Alcune delle idee di Lou erano utopiche e impraticabili.

Ma negli anni 60 si cominciò a mettere in dubbio lo stile di vita americano.

Volevamo davvero che tutte le città americane fossero uguali? Perché la gente non poteva parcheggiare e muoversi a piedi?

In opposizione alle aride teorie di Bacon, le immagini dei progetti di Kahn svelano la grandiosità e la genuinità del progetto.

A supportare la devozione che Kahn metteva nei suoi lavori, seguono delle immagini di repertorio e l’architetto ci viene mostrato durante una lezione universitaria circondato da studenti affascinati e incuriositi dalle sue parole.

Il capitoletto, interamente dedicato al Kahn pubblico, si chiude con una doppia intervista: all’architetto Saul Wurman, suo studente, e all’architetto di fama mondiale Frank Gehry.

Se entrambi gli architetti ribadiscono la grandezza delle opere progettate da Kahn la voce over in funzione didascalica-informativa, ci introduce al momento di apice della carriera dell’architetto. La sequenza,

costituita da un insieme di fotografie che ritraggono Kahn in città sempre diverse e con gruppi di persone sempre nuovi, innesta nel racconto una sorta di conto alla rovescia.

Quando le idee di Lou presero piede gli mancavano dieci anni dalla morte.

Sembrava quasi lo sapesse, non rifiutò mai un invito, né un incarico. Non importava quanto fosse stanco o dove dovesse andare. Andava ovunque fosse chiamato.

Siamo al cinquantesimo minuto e abbiamo appena capito in quale punto ci troviamo nei confronti di una linea immaginaria che rappresenta la vita di Kahn ma, soprattutto a livello di narrazione, questa informazione incuriosisce lo spettatore che si rende conto di avere ancora molto a cui assistere prima di avere un quadro definitivo del padre dell’autore.

È nel capitolo successivo, Sul mare, che viene introdotta la figura della madre e il racconto entra nel cuore del suo autobiografismo.

3. 9 Sul Mare

Il narratore in voce over scivola da una funzione didascalica ad una informativa. Le immagini infatti inizialmente rappresentano il piccolo quaderno che testimonia l’esperienza riportata alla memoria dalla voce

over e subito dopo anticipa le immagini che andremo a vedere della nave

progettata da Kahn e dell’incontro con il suo proprietario.

Una sera Lou e io scrivemmo un libro, “il libro della nave pazza”. C’erano la nave cucchiaio, la nave biscotto e la nave salsiccia, con gli stuzzicadenti che la tenevano dritta.

A quel tempo non sapevo che stesse lavorando al progetto di una nave stravagante.

L’autore raggiunge la nave ed è pronto a conoscere il proprietario, un tempo amico del padre. La voce over usando una fine strategia narrativa

legata alla suspence154 ci informa che stiamo per assistere ad un evento le

cui conseguenze sono imprevedibili.

Lou usò l’accaio per costruirla. È un palco galleggiante. Porta concerti in giro per il mondo.

Gli fu commissionata da Robert Boudreau, che è capitano della nave e direttore dell’orchestra.

Non sa che sono il figlio di Lou.

Il blocco narrativo che segue è tutto giocato sul disvelamento della figura dell’autore, secondo una strategia narrativa legata alla suspence per quello che succederà quando il proprietario della nave, scoprirà che ha davnti a sé il figlio dell’amico.

Si tratta evidentemente di un espediente che va nella direzione di un maggiore coinvolgimento spettatoriale dato dalla regolamentazione del rapporto di sapere fra istanza narrante, personaggio e spettatore. Si deve a Genette un ampio studio sui modi in cui viene regolato il flusso di informazioni in un racconto e che vede tre principali modalità: il racconto non focalizzato o a focalizzazione zero, in cui cioè il narratore ha un sapere maggiore dei personaggi a focalizzazione interna, in cui il narratore assume il punto di vista di un personaggio; a focalizzazione esterna in cui il narratore dice meno di quello che i personaggi sanno. Lo studio di Genette parte dal presupposto che l’istanza narrante sa sempre tutto e decide via via le strategie narrative da adottare per regolare il flusso del sapere. Nel caso di un documentario tale classificazione mi sembra assai più complicata.

154 Uso qui il termine suspence, in relazione alla celebre definizione che ne ha dato Hitchcock nell’intervista rilasciata a Truffaut. Partendo dall’esempio di una scena in cui due persone stanno parlando ad un tavolo, sotto il quale è stata posta una bomba, il regista inglese si esprime così «la bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto […]. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: “non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro”» in Francois Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, Editions Ramsay, Paris, 1983; trad. it. Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Parma, 1985, pp.60,61.

Il tema del figlio è stato introdotto e a questo punto del racconto il narratore introduce il personaggio della madre e lo fa mostrando una lettera che il padre aveva scritto alla donna. La lettera viene letta in voce

over e le immagini mostrano delle foto della coppia insieme e quelle

dell’autore bambino con il padre.

“Cara Herriet, le tue parole mi hanno aiutato a superare questo periodo. Non so cosa accadrà. Mi riferisco all’odio dei tuoi fratelli, Abbot e Willy.

Spero che la bellezza di un nuovo amore li faccia comprendere. Su di me è calata la pesantezza della quiete e della incompletezza. Il senso di inettutudine mi prostra. Lou”

Viene introdotta a questo punto del documentario la madre dell’autore: Harriet. L’incontro avviene in un museo dove si trovano i progetti di Kahn ai quali ha collaborato anche la madre del regista. La complessità di questa figura e il peso che ha nell’autobiografia del figlio è tale che si tratta dell’unica persona che comparirà più di una volta nel documentario.

Questo primo incontro che serve ad introdurre il personaggio attraverso un avvicinamento lento e progressivo, è il più formale dei due, e vuole tenere in piedi il doppio binario della biografia e dell’autobiografia. Le domande infatti che il figlio fa alla madre, sono inizialmente legate esclusivamente al modo di lavorare dell’architetto e solo via via si fanno più personali e tese a scoprire il modo in cui la madre viveva qualla complessa relazione.

Le dure rivelazioni di Harriet che racconta le difficili condizioni in cui era costretta a lavorare, rinchiusa in una stanza perché la moglie di Kahn non la vedesse, sono solo un assaggio di quello che lo spettatore verrà a conoscere più avanti ma permetteno qui di chiudere il capitoletto e di entrare nell’ultima parte del documentario dove la vicenda autobiografica avrà uno spazio ancora maggiore.